UN NIDO PER Amico - Riassunto del libro di Honegger. PDF

Title UN NIDO PER Amico - Riassunto del libro di Honegger.
Course Metodologia e tecnica del gioco e dell'animazione
Institution Università degli Studi di Firenze
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Riassunto del libro di Honegger....


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UN NIDO PER AMICO – GRAZIA HONEGGER FRESCO INTRODUZIONE- LA CONOSCENZA DEL BAMBINO PICCOLO E’ ANCORA TUTTA DA COSTRUIRE Il carico di responsabilità di chi si occupa dei primi anni di vita è molto alto, nonostante ciò ancora oggi questa professione viene sottovalutata sotto il profilo sociale perché considerato ovvio nella sua specificità femminile. Non si sceglie un tale impegno educativo solo perché ci piacciono i bambini, ma lo si fa nella consapevolezza che ci si andrà ad occupare della crescita delle singole persone e del loro futuro benessere con forti ricadute sul sociale. Maria Montessori ha sempre ribadito l’unicità dell’essere umano: da quando cominciare? Dalla nascita! Aiutando ogni nuovo nato a seguire i propri ritmi autoregolativi, le proprie esigenze profonde. Il neonato è tuttora poco riconosciuto come persona che sente e comunica, soprattutto nella pratica educativa. È al bambino dei primi anni che dobbiamo rivolgerci Montessori lo ha detto più volte e aveva affermato, già decenni prima, che enfatizzare gli aspetti fisiologici del bambino nei primi anni, minimizzando quelli sensoriali e psichici, significa di fatto negarlo. Dalla seconda metà del novecento a oggi lo studio del bambino è progredito enormemente al punto che, ben prima della nascita, risultano chiari i segni delle sue esigenze. Il libro che presentiamo nasce dall’esigenza di far conoscere meglio le idee guida Montessori in difesa dello sviluppo dei più piccoli e di diffonderle maggiormente. PARTE PRIMA – UN BAMBINO E LE SUE RICHIESTE L’originalità di ogni essere umano La difficoltà maggiore per capire la realtà dei bambini più piccoli è dovuta al fatto che gli infanti (vocabolo di origine latina che significa senza parola) non sanno esprimere verbalmente le loro esigenze.  pregiudizio più diffuso. Le cosiddette tappe evolutive inaugurate da Piaget, prese troppo alla lettera, hanno portato a focalizzare l’interesse su ciò che il bambino sa fare, trascurando invece come lo fa. Nel primo caso (ciò che il bambino sa fare) si elencano competenze o incompetenze, abilità o deficienze; nel secondo caso, ovvero di come il bambino fa le cose, si riconosce il fatto che ogni individuo arrivi a sviluppare dall’interno le proprie capacità, seguendo un percorso e un ritmo del tutto personali.  tali conquiste progressive avvengono sulla base di speciali sensibilità interne limitate nel tempo, osservate da Maria Montessori e da lei chiamate “periodi sensitivi”, che guidano il bambino. Sempre secondo la Montessori, il neonato intraprende un lavoro formativo che, nel campo psichico, ricorda quello avvenuto per il corpo nel periodo embrionale. Questo periodo post-natale, che si può definire periodo formativo, è un periodo di vita embriologica costruttiva che rende il bambino un embrione spirituale.  corrisponde a un periodo di circa tre mesi.

Le delicate percezioni dei neonati Sono in molti a pensare che i neonati siano insensibili al dolore fisico prodotto: oggi numerose ricerche dimostrano il contrario ed è accertato che la sensazione dolorosa si fissa nella memoria biologica del bambino, pronta a riemergere nel corso dell’infanzia o dell’adolescenza. È sui primi contatti che il neonato avvia la consapevolezza di sé. Secondo Winnicot l’ambiente è fondamentale,

persone incluse e gioca nel determinare la realtà interna di un individuo nuovo a tutto quale è il neonato. Un ambiente che deve assicurare fiducia, sicurezza, continuità. Fin dalla nascita comunica le sue esigenze Ogni bambino, a suo modo, informa su ciò che gli piace nelle relazioni attive con l’ambiente. A seconda di ciò che sente, può contrarsi o distendersi; allo stesso modo è in grado di respingere il capezzolo o l’alimento che non gradisce, tirando fuori la lingua. Una delle prima cose che sa dire, senza parole, è no, girando la testa in un chiaro gesto di rifiuto. È noto a tutti che la persona che cura stabilmente un bambino è quella che sa interpretare meglio le richieste e i desideri. Il centro e la periferia Un altro pregiudizio diffuso nelle famiglie è che l’interazione tra madre e bambino sia a senso unico: sarebbe solo la madre a curare, proteggere, insegnare e invece le nostre osservazioni ci hanno dimostrato che si tratta di una relazione circolare, in cui la donna condiziona il figlio e viceversa, promuovendo nella madre capacità creative e nuove sensibilità. Nella straordinaria circolarità del dialogo senza parole che si instaura tra madre e figlio, il piccolo affina i suoi messaggi, lei accresce il livello di comprensione e la qualità delle risposte, anche se non potrà mai penetrare del tutto in fondo nel segreto della sua persona. Dobbiamo infatti rinunciare a voler esplorare a tutti i costi un bambino: ciò che passa nella sua mente è il suo segreto ed è essenziale imparare a rispettarlo. Non volgiamoci quindi al centro, ma alla sua periferia, a quello che fa emergere di sé, ai suoi desideri. AL NIDO NEI PRIMI MESI Ambientamento attivo Quando un genitore decide di portare il figlio in una situazione collettiva può trovarsi di fronte a termini come: accoglienza, ambientamento. Ambientamento è diverso da inserimento: noi intendiamo un ambientamento attivo, in senso biologico, psicologico, emotivo, sensoriale e cognitivo. Ambientarsi equivale a far proprio l’ambiente: per il bambino conoscerlo poco a poco, scoprire gli spazi disponibili e gli oggetti che via via diventano familiari, accettare persone nuove e infine riuscire a separarsi senza sofferenze dal familiare che lo accompagna al nido. Una situazione non proprio tranquilla per tutti coloro che vi sono coinvolti. Il termine accoglienza denota calore, attenzione, riguardo. Il bambino se entra in una comunità in un’età estremamente precoce va in contro a una prova pesantissima: è ancora nel periodo embrionale in senso psichico e quindi non ha ancora costruito a sufficienza dentro di sé il mosaico del viso materno: ci sono lattanti che non accettano in alcun modo la perdita veloce con la madre e piangono tantissimo. Se l svezzamento fosse parziale o nemmeno avviato si potrebbe preparare nell’ambiente nido un angolo, una sedia comoda per la madre che volesse venire ad allattare il figlio in modo da rinviare e realizzare un divezzamento più lento. Dopo un primo colloquio per conoscere dai genitori le abitudini e le preferenze del bambino, l’educatrice si limiterà ad accoglierlo con il familiare e starà vicina a loro per vedere come ella fa con il bambino. Nei primi giorni al nido sarà la madre a cambiarlo, a nutrirlo, a metterlo nella culla se ha sonno. Agli inizi resteranno insieme nel nido solo due o tre ore al massimo, poi i tempi si allungheranno finché sarà l’educatrice ad agire con il bambino sotto gli occhi materni: è indispensabile che la madre conosca in anticipo le modalità di questo passaggio gradualisssimo, che

chiamiamo appunto ambientamento. Separazione e lontananza devono avvenire in modo tale da alterare il meno possibile le abitudini, le sensazioni, i ritmi di sonno-veglia. Il tempo e la pazienza saranno ampiamente ripagati: ogni volta che invece le cose vengono fatte velocemente per accelerare i tempi cominciano i pianti e piccoli malesseri. Quando il bambino si è separato tranquillamente dalla madre, sarà poi sempre la stessa persona (salvo eccezioni) a prendersi cura di lui per il cambio, il pasto, il sonno, cioè le cure materne per le quali è più forte nella psiche e nei sensi del bambino l’associazione con la figura materna e quindi tanto più necessaria la stabilità di chi la sostituisce. Nuovi punti di riferimento Più o meno il tempo al nido va dalle 8 alle 10 ore; viceversa l’orario dell’educatrice è di 6 ore, quindi la persona di riferimento assicura la sua prima accoglienza, ma poi va via e quindi il bambino è affidato ad un’altra persona per garantire ai piccoli nel nido l’indispensabile stabilità: se nelle prima settimane il cambio di educatrice non si verifica, non appena l’ambientamento si sia stabilizzato entra in gioco una seconda persona che affianca l’educatrice di riferimento da quel momento una seconda persona all’interno del gruppo delle educatrici lo accudirà stabilmente per tutta la settimana secondo indicazioni concordate con l’educatrice. L’idea guida è che il bambino sia accudito stabilmente nelle cure corporee dalla persona di riferimento e da un’altra persona stabile nei momenti inevitabili di assenza della prima. È consigliabile che per qualche giorno ci siano momenti di compresenza delle due educatrici. L’eventuale assenza della persona che ormai conosce bene è una pena dolorosa per il bambino, che può essere sostenuta con accorgimenti organizzativi precisi: l’ideale per la seconda educatrice sarà di aver avuto anche lei la possibilità di osservare la madre con il bambino. Durante e dopo l’ambientamento è importante annotare giorno per giorno le eventuali novità che manifesta, le cose che inaspettatamente mostra di saper fare per riferirle ai genitori non presente, creando con loro un ponte continuo di comunicazioni. Anche le ausiliarie sono assegnate stabilmente a uno stesso gruppo o sezione. Perché tanta attenzione alla continuità? L’estremo bisogno di difendersi da modificazioni ambientali improvvise, che a noi adulti può risultare scomodo: lo si nota verso i due tre anni, ma è ancora più sottile nei primi mesi, quando concerne direttamente il corpo del bambino: le persone sconosciute che lo toccano suscitano forti proteste. La regola deve essere che chiunque entri nel nido si muova adagio e con cautela: la paura dello sconosciuto (segnale positivo perché il bambino distingue ciò che non è familiare da ciò che lo è) va comunque vista come una reazione di legittima difesa. La necessità di orientarsi lentamente, stabilmente è come una bussola che permette al bambino di costruire la propria identità; ogni mutamento improvviso stropiccia, confonde, il disegno che il bambino ha cominciato a fissare nella mente. Dopo aver parlato tanto di continuità occorre dire che il cambiamento è necessario fattore di crescita, di scoperta, solo che va offerto in accordo con i tempi individuali, in base alle reazioni di quel bambino. Un piccolo tenuto in modo troppo monotono ed esageratamente protetto da novità cresce impoverito e assai timoroso; un altro, all’opposto, sballottato nelle mani di molte persone, può diventare sovraeccitato, rabbioso. In entrambe le situazioni, reazioni così precoci rischiano di diventare stabili.  sta dunque agli adulti trovare una giusta misura tra continuità e cambiamento.

LA CONQUISTA DEI MOVIMENTI Nella pratica educativa tradizionale la sapienza motoria originaria è totalmente ignorata: si guarda alle abilità raggiunte, ma non si valutano affatto gli sforzi e gli esercizi che il bambino mette in atto per proprio conto per possederle completamente; già nell’utero il bambino possiede una notevole ricchezza motoria. Il bambino ha bisogno della sua dose di contatto fisico più volte al giorno, però è anche molto importante che abbia un tempo per conto proprio per concentrarsi sulle possibilità che il corpo stesso gli offre. Da noi troppo presto i bambini vengono separati e allontanati dal corpo materno= approccio a basso contatto, che si distanzia dalla lunga evoluzione umana: si tende il più possibile a mettere giù il bambino. Il contributo di Emmi Pikler Come agire riguardo a linguaggio e a movimenti per il bene del bambino? Ricerche dell’istituto di via Loczy a Budapest, fondato negli anni cinquanta da Emmi Pikler: riguardo allo sviluppo motorio, in questo istituto il bambino viene protetto al massimo tenendolo sempre in orizzontale sulla schiena nei primi mesi, mettendolo per il sonno come per il gioco nella stessa posizione. Durante la cura del corpo è intensa, ricca di parole e adattata ai suoi tempi la comunicazione: bagno, cambio, cibo e sonno. L’idea guida di Pikler che lo sviluppo motorio non vada visto come una progressione dall’incapacità alla capacità: dai primi giorni di vita il bambino è in grado di muoversi in maniera autonoma, infatti sa prendere l’iniziativa di nuove posture e di piccoli movimenti, li ripete e si esercita finché essi non li ha fatti propri. Parlare di fasi di sviluppo motorio rispetto alle quali il bambino sarebbe in anticipo o in ritardo, travisa la sua realtà psicomotoria che va vista piuttosto come un tutto in continuo divenire: in principio saprà fare solo alcuni movimenti della testa, poi inizierà a rotolare, a raggiungere la posizione seduta, poi si mette in piedi da sé: queste conquiste sono rese possibili a patto che: -

Il bambino non venga messo su materassi alti di gomma piuma in cui affonderebbe, ma va messo direttamente sul pavimento di legno Abbia un vestiario agevole

il processo di perfezionamento motorio non è un apprendimento dall’esterno, ma si muove dal “centro” verso la “periferia”: ogni volta che raggiunge una nuova abilità, il bambino la esercita a lungo, secondo i suoi tempi personali. Le ricerche condotte dimostrano che la stimolazione diretta, tesa ad accelerare, anticipare, non solo non è produttiva, ma dannosa perché blocca l’attenzione spontanea. Il bambino va lasciato in pace quando tenta nuove cose e le ripete: resistiamo alla tentazione di prenderlo in braccio, di accarezzarlo se in quel momento + preso da ciò che sta facendo. Qualità dell’intervento La costatazione delle tante diversità da un bambino all’altro ci suggerisce un preciso atteggiamento educativo: osservare/conoscere/seguire: quindi non dirigere o accelerare. L’allenamento a osservare in modo neutrale e al tempo stesso empatico diventa un’abitudine delle più naturali e consente di interpretare in modo corretto, non aggressivo, le tante situazioni umane. P un mezzo formidabile di autoverifica negli interventi con il bambino e coi suoi genitori e anche nel lavoro con le colleghe. L’osservazione ci rivela che in una posizione anticipata non può compiere nuovi movimenti autonomi: per lo stesso motivo non dovremmo mai ammaestrarlo a scimmiottare gesti e parole. Oppure troppo presto si offrono le mani perché comincino a camminare, magari saltando

quell’importantissima tappa del gattonamento. La stimolazione continua rende il bambino instabile, irritabile, aggressivo, perché grandemente insicuro, incapace di agire se non aiutato  il condizionamento precoce è fortissimo. Quanto ai tempi individuali del bambino, alcuni procedono adagio nel linguaggio, altri nei movimenti: alla fine arrivano tutti, più o meno negli stessi limiti di età ad analoghe abilità, salvo intralci specifici. È decisivo limitare al massimo ogni intervento e non aiutare e non parlare se non è indispensabile. Però è essenziale la presenza discreta, incoraggiante dell’adulto nei paraggi, il senso di protezione che essa gli comunica. Lasciamolo libero di evolvere le posture secondo il suo ritmo e mentre le perfeziona, esplora, conosce gli oggetti, assimila nomi e verbi etc: linguaggio e movimento vanno di pari passo. Lasciamolo giocare in pace Sia in casa che nelle istituzioni si tende a farli giocare per intrattenerli. Il gioco viene orientato nella direzione decisa dall’adulto solitamente  in realtà procedere per prove ed errori, è il tipico procedimento scientifico di analisi e di scoperta che anche il bambino persegue spontaneamente, in un’instancabile continua esplorazione senso motoria che lo porta ad acquisire tante nuove abilità. Manifesta già proprietà tipiche della mente umana: imparare a partire dall’esperienza. Questo sperimentare è già un gioco-lavoro e per realizzarlo non gli occorre alcun aiuto, solo molta quiete e stabilità. LA CONQUISTA DELLA PAROLA In ogni bambino che nasce c’è uno straordinario dispositivo della psiche che guida la costruzione del linguaggio umano: un’area del cervello in cui il bambino assorbe e fissa indelebilmente i suoni della voce umana, a condizione di sentir parlare. Infatti l’apparato uditivo è il primo degli organi sensoriali a formarsi nell’embrione ed è ben presto attivo. Questa area del cervello è comunque neutra: qualunque linguaggio va bene e anche più di uno: l’assorbimento infatti ha del prodigioso: non solo il vocabolario, non solo la grammatica e la sintassi, ma anche le sfumature sonore (dialetto). Senza un dialogo diretto e rassicurante le parole si disperdono, l’assorbimento è discontinuo: se nessuno si rivolge al bambino di sicuro comincerà a parlare con notevoli ritardi. Per i piccoli che vanno molto precocemente al nido, tra i vari punti di riferimento, perdono anche quello sonoro verbale della madre e del padre, per entrare in un altro mondo uditivo che può essere nutriente e gradevole: ogni parola va pensata come un dono affettuoso e nutriente: accompagnare con brevi frasi rassicuranti i gesti con i quali si tocca il bambino, avvertendolo di cosa stiamo per fare su di lui. La libera scelta delle attività Se è casuale per il feto ascoltare e assorbire le parole che la madre stessa dice, ritrovare dopo la nascita quegli stessi suoni diventa ricerca attiva. Così nel neonato, se le prime esperienze visive sono casuali, a poco a poco diventano volontarie: ricerca girando la testa l’oggetto che lo ha interessato. Non c’è da insegnare o da lodare: la vittoria è sua, quindi va lasciato in pace nel rispetto delle sue piccole ma grandi conquiste. Per sapere quando un bambino sia pronto per una determinata esperienza occorre guardarlo senza alcun intento anticipatorio: cercarlo con gli occhi per capire se desidera un oggetto nuovo per renderglielo accessibile nel momento in cui egli stesso decide. Ciò che è sbrigativo e aggressivo non si addice al piccolo bambino. La libera scelta dell’oggetto con cui giocare (senza che egli venga messo in mano) è uno dei primi e formativi atti di indipendenza.

La relazione vitale con l’altro Il bambino dunque si costruisce da sé, ma non nel vuoto: il tramite indispensabile per la formazione della base sicura è la relazione con l’altro, il genitore soprattutto: è l’adulto che gli garantisce la stabilità, la continuità delle situazioni, dei ritmi quotidiani. Tra il primo e il secondo anno di vita si potrebbe instaurare la lotta tra bambino e adulto: per l’impazienza di quest’ultimo di non saper star fermo, finendo per dare messaggi confusi, passando dal consenso alla proibizione senza una regola, a caso. Tra i 18 e i 24 mesi è il tempo della cosiddetta nascita psicologica: non sa ancora dire “io”, ma si riconosce con sicurezza allo specchio. Comincia a combinare l’uso di oggetti diversi tra loro, scoprendo via via il entro/fuori, il grande/piccolo, il su/giù, il sopra/sotto. Nel secondo anno manifesta via via un livello più avanzato di indipendenza: mangia da solo, comincia a spogliarsi da solo, a lavarsi da sé.  l’adulto deve accogliere e dare tenerezza senza creare dipendenza. L’esperienza di Lozcy dimostra che se il bambino riceve già nel primo anno con delicatezza e continuità le cure materne, sarà poi del tutto indipendente nell’attività esplorativa. Progressi nel linguaggio Le parole che preludono o accompagnano un’esperienza sono per il bambino, fin dalla nascita, una musica essenziale, preziosa, di comunicazione e di sonorità di cui lentamente si appropria. Se con orecchio vigile la madre o l’educatrice sanno interpretare i richiami e subito rispondono con la presenza e il contatto e la parola gentile, si instaura facilmente la comunicazione, preludio al linguaggio. Il pianto invece non la favorisce, anzi la preclude, la ritarda. La nebula del linguaggio è tanto più attiva quanto più il bambino vive una situazione di calma molto spesso si verificano silenzi di settimane e poi all’improvviso una cascata di parole nuove o giù un abbozzo di frase. La produzione dei vocaboli, la capacità di abbinare parole per aumentare i significati, l’invenzione stessa di termini sono affascinanti prove della capacità del bambino di comunicare desideri e scoperte. Le ninne nanne offrono dalla nascita un effetto calmante e protettivo e sono anche alimento di parole per il linguaggio; poi ci sono le filastrocche, elencazioni di parole in rima spesso prive di senso, ma vera miniere di vocaboli e immagini. Ben presto, a volte già tra i sei e gli otto mesi, ci accorgiamo che il bambino riconosce alcune parole e il loro significato: lo si vede chiaramente da come reagisce, da come protende il corpo o le mani. Il piacere di agire e il signor errore La mentalità, che tutti no...


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