Riassunto libro \"mangiare da cristiani\" di Massimo Montanari per esame PDF

Title Riassunto libro \"mangiare da cristiani\" di Massimo Montanari per esame
Author Nicolò
Course Storia dell'Agricoltura e dell'Alimentazione
Institution Università degli Studi di Padova
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Riassunto del libro per quesito esami...


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MONTANARI, Mangiare da cristiani 1. Il messaggio tradito Un modello alimentare cristiano non esiste. Fin dai tempi della predicazione apostolica la linea affermatasi fu quella della piena libertà a riguardo. Il luogo testuale in cui si afferma questo principio è il decimo capitolo degli Atti degli Apostoli. L’ebraismo attribuiva ai cibi un valore oggettivo, distinguendoli secondo il paradigma della “purezza” alcune carni sono infatti interdette, altre necessitavano di trattamenti particolari. La narrazione biblica prevede tre tappe successive del rapporto tra Dio e gli uomini caratterizzato dal rapporto con il cibo. 1. Progenitori: Adamo ed Eva si nutrono della vegetazione spontanea nel giardino dell’Eden. Secondo alcune teorie rimanda anche alla concezione vegetariana dell’uomo. 2. Noè: Con l’arrivo della violenza Dio distrusse l’umanità salvando una sola famiglia e imponendo loro una dieta diversa tenendo conto dell’imperfezione umana. Impedisce solamente di mangiare la carne che ha ancora vita, ovvero il sangue che scorre. Ecco spiegato il rituale di dissanguamento degli animali. 3. Mosè: La distinzione tra cibi puri ed impuri. Con Paolo e la conversione dei non cristiani avviene una svolta: la scelta alimentare viene lasciata al singolo individuo. Eppure si può affermare che un cibo cristiano non esista, tutta l’attenzione si basa sul soggetto mangiante. Walter Map alla fine del XIIsec etichetta come eretici che coloro che hanno curiose abitudini alimentari. Tali eretici, erano soliti infatti attrarre a sé altri possibili eretici tramite l’uso di pietanze e l’istigazione alla gola. Matteo Parisienese cercherà di negarlo sostenendo che una volta, a Gemona del Friuli accettà di bere vini nobilissimi dei patarini pur non diventando anch’esso patarino. Nella cultura medievale si comprende l’idea secondo la quale sia il cibo a costruire l’identità anche a causa della scarsa conoscenza scientifica a riguardo. Secondo la regola di Basilio, uno dei padri del monachesimo orientale il cibo avrebbe dovuto essere commisurato in base ai bisogni. Ad esempio, il bisogno della castità da parte del clero avrebbe dovuto essere accompagnato anche da cibi che l’avrebbero favorita. 2. La religione del pane e del vino L’ultima cena attribuisce al vino e al pane un valore spirituale. Ma questa non è stata un’invenzione cristiana, infatti già i romani imitando le civiltà mesopotamiche avevano fatto di questi cibi il simbolo della civiltà per il fatto che sono un prodotto artificiale e che non può essere raccolto in natura. Il vino, sviluppatosi per la prima volta in Egitto viene diffuso in tutto il mondo conosciuto dai greci. Anche l’olio si fa spazio tra questi cibi-simbolo ed entra nei sacramenti. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, non la manna e non un affidamento alla provvidenza. Il processo di formazione del pane è un processo lungo che richiede duro lavoro, esattamente come la formazione dell’uomo nuovo. Il pane è per eccellenza Cristo stesso come afferma Crisologo: seminato nella Vergine, fermentato nella carne, impastato nella passione e cotto nel forno del sepolcro. I cristiani sono fatti della stessa pasta e bevono insieme perché vivono insieme. Nel Medioevo servì a rappresentare la vera religione, infatti i crociati definivano il pane arabo come pane “mal cotto”. Il vino invece rappresenta il sangue di Cristo, non solo per il colore rosso, ma anche perché rappresentava il nutrimento perfetto per coloro che avevano un animo sanguigno. Tutt’ora il famoso detto afferma che “il vino fa buon sangue”. Durante tutto il medioevo il vino conserva il suo primato assoluto, verso l’acqua si nutriva una sensata diffidenza, perché spesso portatrice di malattie. Il contenuto di alcool nel vino faceva in modo di poter disinfettarla, per questo spesso si beveva acqua con vino. Negli usi alimentari dei monaci il merum (vino puro) e il mixtum (vino annacquato) si alternavano secondo regole ben stabilite. La consacrazione eucaristica infatti prevede

di mischiare insieme il vino e l’acqua. Nell’acqua si rivede il vecchio testamento, nel vino il nuovo, oppure il vino è la natura divina di Cristo mentre l’acqua è la sua natura umana. Martino di Tours rispetto alla scelta di astenersi dal vino viene sostenuto da Pier Damiani che testimonia il diffuso ammalarsi dei fratelli divenuti ormai deboli. Riguardo l’uso dell’ebrezza i culti antichi offrivano ad essa una natura sacrale. I riti dionisiaci e bacchici conferivano al vino un’importanza sacrale. L’ebrezza permetteva ai fedeli di oltrepassare i limiti della fisicità quotidiana. La condanna all’ubriachezza non fornirà mai un pretesto per una crociata morale. L’imposizione da parte della cultura islamica di astenersi dal vino non fece altro che segnare definitivamente la lontananza dall’Europa e dalla cultura cristiana. Pian piano il vino di diffuse in tutto il continente. Sarebbe stato proprio il vino a consentire a Clodoveo, re dei Franchi di affermare la sua potenza, nella battaglia decisiva contro Alarico, il re ricevette la benedizione di un fiasco di vino che gli avrebbe conferito forza e potenza divina. 3. La carne nutre la carne Nasce nel 2009 l’associazione Cattolici Vegetariani. La bibbia non prevede vegetariani se non nel giardino dell’Eden, da quel fatto in poi il consumo di carne fa parte della natura umana. L’astensione dal consumo di carne è presente anche in Ovidio e in Pitagora. Secondo Gioviniano invece rinunciare alla carne significa rinunciare ai doni della provvidenza. Alcuni animali infatti potrebbero essere stati creati per aiutare l’uomo nel lavoro, ma altri, come il maiale, soltanto per potersene cibare. Girolamo decine di anni più tardi esprimerà il suo dissenso a riguardo, affermando che la religione cristiana non voleva formare atleti o combattenti ai quali invece spettava la carne come portatrice di forza. Secondo alcuni la carne avrebbe favorito gli istinti sessuali e per questo andava evitata, in particolare secondo Isidoro di Siviglia. Secondo alcuni, invece i volatili erano ammessi nell’alimentazione poiché non considerate carni sanguigne come quella rossa; oltre ad essere più digeribili e quindi più adatte ad un’alimentazione leggera. Pesci e volatili furono creati insieme nello stesso giorno e quindi anche il consumo di pesce, per questa ideologia alimentare, era consentito. La cultura umanistica si concentrò sui vantaggi “salutistici” di una dieta priva di carne. Con il diffondersi della cultura illuminista anche le argomentazioni animaliste trovano spazio nella cultura occidentale. Nel diciannovesimo secolo nascono in vari paesi europei i primi enti per la protezione degli animali: in Italia fu lo stesso Garibaldi a fondarlo nel 1871. 4. Mangiare il sangue Un dolce come il sanguinaccio sarebbe stato inconcepibile nella tradizione gastronomica dei primi anni del Cristianesimo. Negli Atti degli Apostoli viene ricordato più volte il divieto di consumare sangue e carni animali. Ovviamente iniziano a diffondersi usi e teorie contrarie a questo precetto. Secondo Evanizio, abate di Troclar l’astensione dal sangue sarebbe da attribuire agli ebrei più che ai cristiani, è infatti ridicolo che Dio abbia creato la carne pura e il sangue impuro. Tra VII e VIII sec numerosi monasteri erano soliti far consumare sangue ai monaci, tanto da causare l’ira di papa Adriano I. Non a caso tali libertà vennero prese in Spagna, in quegli anni sotto assedio islamico, tali libertà probabilmente riflettevano la volontà di distinguersi dagli islamici (e anche dagli ebrei) che invece proibivano tassativamente il consumo di sangue. Papa Callisto II ancora nel 1122 al concilio di Worms continua a proibire il consumo di sangue. Nella Chiesa ortodossa la proibizione continuò fino al XVII secolo. Una lettera del IX sec, probabilmente scritta da Ludovico il Germanico domanda se gli animali cacciati avrebbero dovuto essere soffocati. Quesito di importanza fondamentale per chi viveva in una società di cacciatori. Rousseau osserva come l’astensione dal sangue vada di pari-passo con i quesiti riguardanti il consumo di cibi grassi o di cibi magri. Analizzando i libri di cucina del tempo possiamo notare come nel trecento fosse già comune il consumo della salsiccia condita con il sangue di maiale che i francesi chiamano boudin, e allo stesso modo era diffuso il pudding, che originariamente era riferito ad una salsiccia di maiale. Riguardo la dualità sangue/grasso la ricetta del Mesnagier de Paris 1393, sembra chiara nel descrivere il procedimento: il sangue andava conservato poiché era il grasso. Il sangue e la sua

offerta diventa per molti simbolo di amicizia. La festa del porco e di conseguenza del suo sangue diventa una festa tipica del mondo contadino. 5. Un protagonista inatteso L’inserimento del maiale all’interno della tradizione cristiana è dovuto alla necessità di differenziarsi da ebrei e musulmani. L’ultima cena di Gesù si svolge nel periodo pasquale che i vangeli chiamano “degli azzimi” poiché la tradizione ebraica esclude il pane lievitato nei giorni precedenti alla Pesah. L’agnello, simbolo ebraico verrà reinterpretato come il sacrificio di cristo e l’astensione dal pane tipicamente ebraica verrà reinterpretata tramite la quaresima. Il pesce come cibo dell’ultima cena è tipico dell’iconografia cristiana, così come lo sono alcuni cibi proibiti nella tradizione ebraica: crostacei e molluschi. Il concilio di Antiochia del 341 è chiaro: “I cristiani non imiteranno gli ebrei quanto all’astinenza da certi cibi e mangeranno anche il maiale”. Ma cosa ci fa un porcello ai piedi di Sant'Antonio abate? Si chiedevano i teologi di età moderna. Antonio infatti era raffigurato con un bastone a forma di T, la campanella, il fuoco e uno o più maiali ai piedi. Nato in Egitto verso il 250 da una ricca famiglia copta decide di abbandonare il mondo e di farsi eremita nel deserto inaugurando uno stile di vita che fu comune a molti. Nulla sembra portare all’associazione con un maiale se non alla guarigione miracolosa di un porcello malato riferita nel quattordicesimo secolo da Buenhombre, sembra però che sia stato quest’ultimo a generare la leggenda in base alle rappresentazioni che iniziavano a diffondersi e non viceversa. Fu la comunità d Saint-Antoine nei pressi di Vienne a rilanciarne la figura e ad associarla all’animale. Gli antoniani infatti godevano dello speciale pregio di poter allevare maiali in città. Il maiale infatti non serviva soltanto a sfamare poveri e ammalati, ma entrava a far parte della terapia del “fuoco di Sant’Antonio”. Piano piano si va costruendo l’identikit di un santo contadino protettore delle bestie della fattoria. Secondo la cultura dotta invece il maiale sarà simbolo delle tentazioni contro cui Antonio dovette combattere. Il maiale di Sant’Antonio è quindi un animale che è semplicemente un animale e che non assume una valenza simbolica. La sua identità cristiana, quindi, ne esce rafforzata. 6. L’invenzione della Quaresima Al tempo del granduca Ferdinando II, un inquisitore girava per le strade di Firenze nelle giornate di venerdì per assicurarsi che nessuno stesse consumando carne. Fin dal quarto secolo, le autorità ecclesiastiche prescrissero l’astinenza da prodotti animali come obbligo generale per ogni fedele in giornate precise: venerdì e mercoledì e nelle vigilie di importanti festività. In particolare durante i quaranta giorni che precedevano la pasqua in memoria del digiuno di Cristo nel deserto e prima ancora di Mosè sul Sinai. Tale obbligo impediva anche la vendita della carne. In sostituzione alla carne spesso veniva associato il pesce, che divenne in breve tempo un vero e proprio simbolo della quaresima. Da qui nacque una profonda differenziazione tra carne e pesce e i miscugli, come il minutal romano, sparirono. Il detto popolare dice molto a riguardo: “Chi mangia carne e pesce la vita gli rincresce”. Nel dodicesimo secolo si iniziò a commerciare l’aringa dal Baltico, nelle regioni interne si diffonde l’allevamento della carpa, delle trote e del luccio. Stoccafisso, merluzzo e baccalà diventano a pieno titolo un alimento europeo. Per quanto riguarda i formaggio sono gli stessi monaci ad affermarne la produzione, volta non solo al consumo personale, ma anche alla vendita esterna. L’olio, che per molti giorni avrebbe dovuto essere il fondo di cottura degli alimenti, in sostituto al lardo, era un alimento di difficile reperibilità. Come si risolveva quindi il problema quaresimale? Una possibile soluzione era quella di sostituirlo con altri tipi di olio vegetale. Non furono poche le concessioni elargite dai papi nei confronti dei popoli che avevano grosse difficoltà nel reperire l’olio. Vennero fatte anche molte concessioni per il burro. Una tradizione leggendaria vuole che la costruzione della “Torre del burro” a Rouen sia stata finanziata con i soldi dei cittadini che compravano l’autorizzazione ad usare il burro in periodo quaresimale. Il burro quindi iniziò a nobilitarsi seguendo il medesimo processo del formaggio.

Erasmo aveva affermato in modo ironico la necessità di superare le regole del “vitto quaresimale”. A Zurigo nel 1522 Zwingli prese le difese di un suo operaio che era stato sorpreso a mangiare salsicce in periodo di quaresima senza la dovuta autorizzazione. Zwingli sostenne che non era per necessità, ma perché il messaggio evangelico non si doveva far conto di ciò che il buon cristiano mangiasse. Fu in questo modo che prese avvio la Riforma Svizzera. Lo stesso Lutero affermava che Dio non si sarebbe curato di cosa mangiavano i fedeli. La ventiseiesima proposizione della Confessione augustana redatta da Melantone nel 1530 fa piazza pulita di tutte queste regole imposte dall’esterno: niente più digiuni o cibi vietati. Numerose erano le concessioni per coloro che soffrivano di particolari malattie. In Francia solo nel 1657 il parlamento darà il permesso ai medici laici di prescrivere dispense riguardo il consumo di carne. Solo nel 1774 sarà liberalizzata la vendita di carne durante il periodo della quaresima. Paolo Zacchia, archiatra di Innocenzo X, nei riguardi di coloro che affermavano che il consumo di carne fosse necessario risponde nel 1636 con “Il vitto quaresimale”dove veniva affermato che la carne alimentava il sangue che scorreva in eccesso agli inizi della primavera, e che quindi sarebbe stato opportuno astenersi dal consumo. Si apriranno poi ampi spazi di dialogo riguardo i cibi provenienti dal nuovo mondo, in particolare sulla cioccolata calda, che in quanto bevanda, per alcuni, non sarebbe stata oggetto di digiuno. 7. Il vizio della cola, la virtù del digiuno Nel linguaggio medievale l’accezione più tecnica di ieiunum è quella di prendere un pasto al giorno, al calare della sera, come nel mondo islamico in periodo di Ramadan. Il digiuno aveva una valenza positiva: rinunciando al cibo ci sarebbe stato più cibo e tempo per gli ammalati. Il modello del corpo digiunante è modello di quello di Cristo stesso. La fermezza di Cristo nel respingere i richiami del corpo e gli urli della fame si contrappone in modo speculare ad Adamo. Come per Adamo infatti uno dei modi più semplici per corrompere lo spirito attraverso i vizi sembra essere proprio quello del cibo. Il goloso è destinato quindi a soccombere perché introduce il vizio nel suo corpo. Gregorio Magno osserverà intelligentemente che il peccato non si trova nel cibo, ma nel vizio. Nella scala dei vizi il primo gradino è quello fra gola e lussuria, le due pulsioni carnali per eccellenza. La gola “addestra” al piacere fisico. I cibi quindi diventano anche un alleato della sessualità, prescritti contro impotenza o infertilità. Sono molto comuni termini greci che indicano una particolare affezione al cibo come “laimargia” l’atto del trattenere in bocca un cibo che ci è gradito particolarmente. Ma quali organi sono coinvolti in questo peccato? Secondo Ambrogio sia la gola che il ventre, secondo Cassiano il luogo cruciale del peccato risiede nella gola. Secondo Ambrogio risiede nel cibo la causa di un mondo corrotto: “appena fu introdotto il cibo iniziò la fine del mondo”. Entrano subito in discussione argomenti di natura salutistica sulla funzione terapeutica del digiuno. 8.Cucina e anticucina Il biografo di Benedetto di Aniane racconta come il santo fosse solito cucinare per i suoi discepoli mentre trovava anche il tempo di scrivere un libro di cucina. Cucinare non era un’attività mal vista dai cristiani più estremisti, infatti significava dare forma al cibo, così come Dio aveva dato forma all’uomo. La descrizione fatta da Ammiano Marcellino nel quarto secolo è molto chiara: descriveva gli Unni come simili all’uomo ma non degni di tale nome, poiché erano soliti cibarsi di ciò che trovavano e scaldavano la carne tenendola fra le cosce o sul dorso del cavallo. Il cibo cotto esprime uno status di civiltà, quindi. Crudo e selvatico assumono connotati barbari e incivili. Furono molte però le testimonianze di uomini religiosi che sceglievano di astenersi dalla cottura al fine di ritrovare un collegamento con il creato. L’ossimoro è chiaro nei fatti. Cocinare è un termine nuovo che nasce nel Medioevo affiancato al termine coquere, ovvero cuocere. La cucina medievale, come quella antica, amava i sapori complessi, per questo la continua insistenza riguardo il “crudo” è stata vissuta come un sinonimo di “anticucina”. La cottura viene vista come l’inizio della digestione, oltre ad essere igienico perché toglie delle sostanze che potrebbero essere portatrici di malattie.

Nasce così quella che da Camporesi è stata definita come la “Cucina pervertita”: l’aggiunta di sostanze velenose al cibo per creare dispiacere e disgusto in coloro che mangiavano, atto finalizzato a sedare i peccati di gola. 9. Mangiare insieme Gregorio Magno raccontava di Fiorenzo, un uomo che trascorreva la sua vita nei boschi dell’Umbria, in compagnia di Eutichio. Il compagno venne chiamato a dirigere un monastero e così, sentendosi solo chiede a Dio un compagno. Dio rispose mandandogli un orso con il quale si ritrovava per i pasti. Le parole latine “convivo” ovvero il pasto insieme indicano letteralmente il fatto di vivere insieme. Quando gli eremiti si riuniscono in collettività il momento dei pasti insieme diventa uno dei luoghi simboli della vita. Per un monaco che si macchia di qualche colpa la prima forma di scomunica è proprio l’allontanamento dal momenti di vita insieme ai compagni. I monaci, inoltre, avevano l’obbligo di non guardare nel piatto altrui e di non chiacchierare durante i pasti. Nascono proprio da questo obbligo tutt’un insieme di gesti che a sostituzione della parole indicavano un bisogno: passami il sale, verso il vino, desideri altro vino? Nel 1180 Geraldo Cambrai visitò i benedettini di Canterbury e confessò di aver avuto l’impressione di trovarsi nel mezzo di una rappresentazione teatrale. Il cibo è sempre stato un modo per celebrare un evento o un giorno festivo, la domenica infatti era paradossalmente evitato digiunare, perché era la giornata del Signore. San Francesco in Leggenda perugina racconta di quando è stato svegliato nella notte dalle urla di un frate che affermava di essere sul punto di morire di fame, così Francesco avrebbe fatto imbandire una tavola per mangiare insieme al fate, per non fargli pesare la sua debolezza. Tale fatto testimonia che la solidarietà vale più della penitenza. Inizia a nascere la concezione secondo la quale ogni festa ha un suo cibo. Tali fatti servono soprattutto a dare ordine alle cose per introdurre nella quotidianità un “senso della regola”. La quaresima impone sì qualche sacrificio, ma senza quaresima non ci sarebbe il carnevale. 10. Gusto, piacere, conoscenza Isidoro di Siviglia, approfitta della radice comune tra “sapiente” e “sapore” per affermare che il sapiente è anche colui che è capace di percepire i sapori e distinguere le realtà e le cause. L’esperienza gustativa non sempre rappresenta uno svantaggio, ma è uno strumento di conoscenza. Il nesso piacere-salute diventa praticamente scontato. L’idea di piacere come guida fondamentale si oppone al concetto tradizionale che vede il piacere come un peccato. Secondo l’autore tale contrapposizione è solo apparente e si tratta della stessa cultura declinata in forme diverse....


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