UOMO MOSE - Riassunto monografia L\'Uomo Mosè e la religione monoteistica, S. Freud PDF

Title UOMO MOSE - Riassunto monografia L\'Uomo Mosè e la religione monoteistica, S. Freud
Author Luisa Ladduca
Course Storia della filosofia contemporanea
Institution Università degli Studi di Palermo
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Riassunto monografia L'Uomo Mosè e la religione monoteistica, S. Freud...


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L’uomo Mosè e la religione monoteistica Contesto e contributi teorici L’uomo Mosè e la religione monoteistica è l’ultimo libro di Freud, pubblicato ad Amsterdam nel 1939, pochi mesi prima della sua morte. Si compone di tre saggi scritti tra il 1934 e il 1938 e intitolati rispettivamente Mosè egizio, Se Mosè era egizio, Mosè , il suo popolo e la religione monoteistica. Il libro discute le origini del monoteismo, a partire dalle vere origini di Mosè e secondo una prospettiva assolutamente inedita. Infatti Freud si serve, in quest’opera, della sua teoria psicoanalitica per indagare e scandagliare le verità più nascoste della questione mosaica. La figura storica di Mosè è una questione controversa. Diversi storici si sono interrogati sull’esistenza reale o leggendaria del profeta e anche se non si è raggiunta una definitiva certezza, la maggioranza ammette che Mosè esistette realmente e che l’Esodo dall’Egitto si verificò. Lo scritto è stato definito dallo stesso Freud un “romanzo storico”. Romanzo perché in esso non sono contenute verità attestabili da fonti quanto piuttosto creazioni letterarie che si rifanno a qualcosa di verosimilmente storico. È importante esaminare il contesto da cui prende vita la stesura di quest’opera: è il periodo delle persecuzioni antisemite che colpirono lo stesso Freud e che lo spinsero ad interrogarsi sull’origine del popolo ebraico e sul perché si fosse attirato nel corso della storia “quest’odio perenne”. In realtà le premesse teoriche di questo scritto risalgono a trent’anni prima della sua definitiva pubblicazione. È del 1909 il lavoro di Otto Rank sul mito della nascita dell’eroe, che avrebbe poi consentito la formulazione dell’ipotesi sulla nazionalità egizia di Mosè. La pubblicazione, nel 1912, del saggio di Karl Abraham su Amenofi IV concentra l’interesse di Freud sul singolare episodio monoteistico della storia egizia. Contemporaneamente la pubblicazione di Totem e Tabù pone l’impostazione antropologica – religiosa che verrà poi applicata alla specifica vicenda ebraica. L’ultimo importante contributo viene dall’enunciazione dell’ipotesi di Ernst Selli sulla morte violenta di Mosè, del 1922. Proprio per il carattere audace di quest’opera, che si serve di una chiave di lettura psicologica per analizzare tutti i processi storici che portarono alla nascita dell’attuale monoteismo ebraico, l’opera è tutt’oggi ampiamente discussa e origine di grandi controversie tra gli specialisti.

Tesi e punti salienti della questione mosaica Le tesi fondamentali che l’autore vuole sostenere coincidono con le tre divisioni dell’opera: PRIMO SAGGIO  Il Mosè Egizio. Il punto di partenza della ricostruzione freudiana consiste nel considerare il Mosè del racconto biblico come egizio e, più precisamente, colui che avrebbe insegnato agli ebrei il monoteismo del faraone Ekhnatòn. L’ipotesi dell’origine egizia di Mosè si affaccia a partire dall’analisi etimologica del suo nome e dall’indagine comparata del “mito dell’esposizione dell’eroe”. Ipotesi etimologica. Secondo la tradizione Mosè nacque da una poverissima famiglia di israeliti che lo abbandonò alle sorti del Nilo per salvarlo dalla disposizione del faraone di uccidere i figli maschi degli ebrei presenti sul territorio egizio. Scampato alla persecuzione voluta dal faraone, Mosè venne salvato dalla figlia di quest’ultimo ed educato alla corte egizia. Secondo i testi biblici quindi il nome Mosè significherebbe “tratto fuori dalle acque”, e deriverebbe dall’ebraico Mosheh (perché io l’ho tratto fuori dalle acque ), con chiaro riferimento al suo miracoloso ritrovamento nel Nilo da parte della figlia del faraone. Freud respinge questa proposta etimologica e avanza l’ipotesi che il nome Mosè non avesse una radice ebraica, quanto piuttosto una radice egizia. In tal senso, Mosè deriverebbe dal termine mose ovvero “bambino”. Da qui Freud ne ricava che fosse egizio egli stesso.

Miti dell’esposizione. L’autore poi confronta il mito di Mosè con l’impostazione classica dei miti che trattano la nascita degli eroi, un tema già affrontato da Otto Rank. Vengono analizzate le leggende dell’esposizione mettendo in evidenzia i caratteri comuni di queste, indipendentemente dal popolo che le ha elaborate. Generalmente l’eroe, figlio di genitori di altissimi natali, viene abbandonato e salvato da animali o umili persone. Una volta diventato adulto, si vendica e ottiene riconoscimento. La situazione di Mosè è invece capovolta: Mosè, a differenza degli altri eroi che lo hanno preceduto, non nasce da una famiglia nobile ma al contrario da una poverissima famiglia, e viene salvato e accudito non da animali o umili persone, ma dalla figlia del faraone. Inoltre la leggenda mosaica differisce da tutte le altre poiché l’eroe nel ciclo della sua esistenza non passa da un rango inferiore ad uno superiore, ovvero dalla famiglia umile che lo cresce fino al riconoscimento all’interno della famiglia aristocratica (che poi è la famiglia di origine), quanto piuttosto da un rango superiore ad uno inferiore, ovvero dalla reale famiglia del Faraone d’Egitto fino ai figli di Israele. Secondo Freud il riadattamento del mito è finalizzato a camuffare l’origine reale di Mosè, che la leggenda si propone di far diventare ebreo (a tal proposito c’è da dire che Freud non solo ipotizza che Mosè fosse egizio, ma che addirittura fosse di nobili natali – come proposto dallo storico Eduard Meyer). SECONDO SAGGIO  Se Mosè era egizio. Il secondo saggio de L’uomo Mosè e la religione monoteistica indaga i rapporti tra Mosè e il suo popolo. Il problema della differenza tra l’ebraismo e la religione egiziana tradizionale. «Se dunque Mosè era egizio, il primo frutto di questa ipotesi è un nuovo enigma, di difficile risoluzione. Non è facile indovinare che cosa poté indurre un Egizio di alti natali - forse principe, sacerdote, alto funzionario - a mettersi a capo di una folla di stranieri immigrati, di civiltà arretrata, e a lasciare con loro il paese. Il noto disprezzo degli Egizi per i popoli stranieri rende particolarmente inverosimile un avvenimento del genere». Inoltre se, come abbiamo supposto, Mosè era egizio, dobbiamo ugualmente supporre che la religione che impose agli israeliti fosse quella egiziana. Questa supposizione potrebbe apparire a chiunque del tutto infondata e assurda dal momento che la religione ebraica e quella egiziana sono difficilmente assimilabili, per non dire del tutto opposte. La religione ebraica era un rigoroso monoteismo, vi era un solo Dio, unico, onnipotente, di cui era vietato farsi un’immagine, condannava magie e stregonerie; viceversa la religione egizia era politeista, vi erano un’infinità di divinità che venivano elogiate con statue di creta, pietra e metallo e la magia assumeva una funzione fondamentale. Possiamo quindi dire che la religione ebraica, avendo assunto un notevole livello di astrazione, è di certo più evoluta rispetto a quella più primitiva rappresentata dalla religione egizia. Un ulteriore elemento di distinzione tra le due forme di religione è dato dal culto dei morti. Sappiamo bene dai ritrovamenti archeologici (mummie, sarcofagi e piramidi) come questo fosse radicato all’interno della religione egizia. Al contrario, la religione ebraica non possiede alcun culto dei morti e la vita ultraterrena non è contemplata in alcun modo, sebbene questa prerogativa sia caratteristica delle religioni monoteistiche. Il culto del dio Atòn. Benché sino ad ora le due forme di religiosità appaiano inconciliabili, un avvenimento storico del 1375 a.C. sembrerebbe rimescolare le carte. Durante la diciottesima dinastia egizia, un faraone chiamato Amenofi IV cercò di imporre ai propri sudditi una nuova religione di impronta rigidamente monoteistica, in contrasto con la tradizione millenaria dell’Egitto. Amenofi dedicò il tempio del Sole al dio Atòn e proibì il culto degli altri dei. L’ostilità contro la religione tradizionale, rappresentata dalla divinità Amon, aveva raggiunto vette tali da costringere lo stesso Amenofi a cambiare il suo nome elidendo la parte che rimandava alla divinità Amon. Così Amenofi divenne il faraone Ekhnatòn, in onore della nuova divinità Atòn. Dopo la morte di Amenofi tuttavia pian piano il culto decadde e la religione ufficiale fu ristabilita. Se presupponiamo, dunque, che Mosè era egizio e che introdusse agli ebrei il proprio culto, dobbiamo allora dedurre che questo fosse, con molta probabilità, il culto di Atòn. L’assonanza tra il nome egizio Atòn e la parola ebraica Adonay [mio signore] può essere spiegata in questi termini. Freud partendo dal presupposto che Mosè fosse nobile e altolocato e, quindi vicino al faraone, ipotizza che egli - abbracciando il nuovo culto - costruì su di esso grandi aspirazioni. Ma nel momento in cui Ekhanatòn morì e il culto di Atòn fu

soppiantato dalla religione tradizionale, Mosè vide distruggersi i propri progetti e si sentì tradito dal proprio popolo. Si rivolse allora agli ebrei come alla sua unica possibilità di realizzare le sue ambizioni. Ponendosi alla guida del popolo di Israele, lo iniziò al culto che aveva appreso in quanto adepto del tempio di Atòn, offrendo loro la religione che il popolo d’Egitto aveva aspramente rifiutato e guidando il loro esodo. Altri due particolari inoltre sembrano spingere verso la considerazione dell’origine egizia di Mosè : 1. Mosè non introdusse presso il popolo ebraico soltanto una nuova forma di culto ma anche l’usanza della circoncisione. Lo storico greco Erodoto asserisce con assoluta certezza che nessun’altro popolo orientale fosse avvezzo a questa pratica che, in tal senso, apparteneva quasi esclusivamente al popolo egiziano. Se dunque Mosè non era egiziano ma ebreo, per quale motivo avrebbe dovuto imporre al proprio popolo una pratica che contraddistingueva gli egiziani e che avrebbe loro ricordato nei secoli uno dei momenti più dolorosi della loro storia quale la deportazione in Egitto? È evidente che Mosè abbia introdotto una pratica che a lui ricordava le proprie origini biologiche e che in quanto egizio conosceva alla perfezione. 2. Un altro aspetto che conferma l’ipotesi di un Mosè egizio risiede nel fatto che fosse, si dice, “tardo di lingua”, cioè che soffrisse di un difetto di parola, tale per cui per comunicare con il faraone dovesse servirsi dell’aiuto di un interprete. I testi potrebbero, deformando leggermente i fatti, fare riferimento al fatto che Mosè parlasse un’altra lingua (quella egizia appunto) e che per questa ragione non potesse comunicare con i suoi neo – egizi semiti senza un interprete, almeno all’inizio dei loro rapporti. La morte di Mosè. Freud dedica l’ultimo capitolo del secondo saggio, alla morte di Mosè. Per far ciò si collega alla congettura proposta da Sellin, secondo cui Mosè venne ucciso dal suo popolo con la rivolta di Shittim. Il profeta che proveniva dalla scuola di Ekhnatòn, usava infatti metodi “duri”, impartendo ordini e imponendo la sua fede. Tali metodi non piacquero, tanto che il popolo si ribellò uccidendo il suo tiranno. Sbarazzatosi di Mosè, il popolo si unì ad altre popolazioni da cui acquisì il culto di un dio vulcanico, Yahweh. Sappiamo infatti da Eduard Meyer che gli israeliti giunti in un territorio tra la Palestina, il Sinai e l’Arabia, si fusero ad altre tribù che avevano simile origine e abbracciarono la religione di quest’ultime. Tuttavia il loro dio, Yahweh, era un dio vulcanico e terribile, completamente diverso dal dio Atòn. Di fatto, il dio Atòn era un dio pacifista, sorto in Egitto in un momento di prosperità e che presenziò passivamente alla fine della diciottesima dinastia. Il dio Yahweh, invece, lo potremmo definire un dio con la spada che incitava il suo popolo alla crudeltà verso le popolazioni conquistate e che, quindi, per questo motivo poteva meglio soddisfare le esigenze dell’occupazione violenta che gli Ebrei si accingevano a mettere in atto. Freud spiega che diversi anni dopo l’assassinio di Mosè il popolo si pentì e la figura del Dio mosaico ritornò alla ribalta. Cominciarono infatti ad affacciarsi uomini, non legati a Mosè per discendenza, i profeti, che divulgarono l’antica dottrina mosaica, basata su un culto di una divinità che disdegna i sacrifici e le cerimonie e che predica una vita vissuta solo in nome della fede, della verità e della giustizia. Tali insegnamenti divennero le basi della religione ebraica. TERZO SAGGIO  Mosè, il suo popolo e la religione monoteistica. L’ultimo saggio è interamente dedicato all’analisi della religione monoteistica introdotta dall’uomo Mosè, procedendo da quanto già esposto in Totem e Tabù. Il fine dell’opera in oggetto è proprio quello di riconoscere che le dinamiche psicologiche del singolo sono assimilabili a quelle della collettività. Le motivazioni che portarono al precedente rifiuto del nuovo culto imposto da Mosè e poi al suo ristabilirsi in modo definitivo vengono spiegate in chiave psicologica. Freud spiega che diversi anni dopo l’assassinio di Mosè, i ribelli avessero condannato la loro azione fondando così il concetto di Messia, come speranza per il ritorno di Mosè come Salvatore degli Israeliti. Freud sostiene che il senso di colpa per l’omicidio di Mosè venne ereditato attraverso le generazioni. Ne risulterà il dualismo di fondo della religione ebraica, caratterizzata dall’eterno ritorno del trauma dell’omicidio originario: un gesto dimenticato ma ineliminabile nel senso di colpa dei successori. L’avvento del cristianesimo – spiega Freud – coinciderà con il tentativo di Paolo di rielaborare quel rimosso

all’interno di una nuova religione espiando il peccato originale attraverso la morte del Cristo sulla croce. Dietro al senso di colpa non vi è per Freud solamente l’uccisione del profeta, ma quel trauma per l’assassinio primitivo del padre ripetuto con Mosè e Gesù e da Freud descritto in Totem e tabù (1913). Si trova in questo passaggio storico-antropologico la radice inconscia dell’antisemitismo, di cui l’autore sta vivendo un’ennesima e drammatica riproposizione storica. Il concetto di latenza. Nel primo capitolo, dopo una sintesi del secondo saggio, Freud introduce nell’ analisi concetti tratti dalla psicologia collettiva e dalla psicoanalisi: in particolare, egli vuole ora spiegare la nascita del monoteismo a partire dal concetto di latenza. Secondo Freud infatti nella storia della religione ebraica si assiste ad un periodo di distacco dalla religione di Mosè in cui il monoteismo viene abbandonato. Dal punto di vista meramente psicologico ciò che accadde al popolo ebraico è facilmente spiegabile. Esso, si trovò in poco tempo dinnanzi ad una forma di religione totalmente differente rispetto a tutte le forme di religiosità precedenti. Il culto di Atòn era, innanzitutto, un culto monoteistico, che rinnegava la magia e poneva l’accento sull’etica. Una simile novità, difficilmente poteva essere accolta senza riserve. Questo culto si presentò agli Israeliti, quindi, come uno “shock” uno status nuovo delle cose tale da non poter essere accettato in toto. Ecco perché gli Ebrei ad un tratto si ribellarono a Mosè, quasi fossero dimentichi della libertà ricevuta, e lo uccisero. Solo in un secondo momento, e col passare degli anni (almeno due generazioni) il culto mosaico poté ritornare tra gli Israeliti che nel frattempo lo avevano metabolizzato e quindi accettato. Questo periodo necessario all’accettazione di tutto ciò che in quanto nuovo rispetto alla consuetudine comporta uno stato di shock momentaneo, è chiamato “periodo di incubazione”. Durante questo periodo di accettazione del nuovo, i contenuti della religione mosaica non andarono perduti ma piuttosto rimasero in uno stato di latenza. Il trauma e il ritorno dal rimosso. La religione di Mosè non era scomparsa senza lasciare tracce, ma di essa il popolo ebraico aveva conservato un ricordo sotto forma di tradizione. Il collegamento tra la nascita della religione ebraica e il concetto psicologico di latenza è spiegato attraverso l’analogia con i traumi che caratterizzano la vita dell’individuo: questi traumi possono occorrere fino all’età di cinque anni, dopodiché essi rimangono celati fino alla pubertà per poi eventualmente emergere in forma di nevrosi nell’età adulta. Così come accade per i traumi della storia personale, anche la preistoria della civiltà umana è caratterizzata da traumi che sfociano in determinati fenomeni/nevrosi. Questa intuizione tuttavia non è una novità nella storia del pensiero freudiano: egli infatti aveva avanzato questa ipotesi ben venticinque anni prima in Totem e Tabù, in cui spiegava l’origine delle religioni a partire dall’analisi dell’orda primitiva: nell’antichità l’uomo viveva in piccoli gruppi capeggiati da un maschio robusto e violento; questi accentrava tutto il potere su di sé e lo manteneva con la violenza, eliminando chiunque fosse intenzionato a prendere il suo posto. I figli del capo tribù, stanchi di vedersi sottomessi a questa dinamica, decidono ad un certo punto di unire le forze per spodestare il padre padrone; essi lo uccidono e, secondo il costume del tempo, lo divorano. Dopo l’uccisione del padre e dopo un primo momento di disputa per l’eredità paterna, i fratelli decidono di stipulare una sorta di contratto sociale che permetta loro di vivere in comunità. La memoria del padre sopravvive però presso i fratelli nella forma di un sostituto animale, il totem, che viene venerato come una divinità protettrice della tribù. Gradualmente il totem viene sostituito da figure divine umane e grazie alla comparsa di queste ci possiamo riagganciare al tema cruciale dell’opera, ovvero il ritorno di un solo diopadre, unico e illimitato signore, che emerge come un ritorno del rimosso e come una riproposizione del culto verso un Dio unico. Il senso di colpa. Insieme alla riappropriazione della figura del padre primigenio sotto forma di Dio unico, il popolo ebraico assume su di sé anche il sentimento di colpa per aver ucciso il primitivo padre-Mosè. Nel sentimento di colpa secondo Freud va rintracciata anche l’origine del Cristianesimo con Paolo di Tarso, il quale recupera il senso di colpa e lo converte in peccato originale: un peccato di cui tutti gli uomini sono colpevoli in virtù del primo antico peccato di quell’uomo che uccise Dio. A questo punto Freud fa notare una fondamentale differenza tra ebrei e cristiani sul tema della colpa, differenza che ha determinato secondo lui

anche il successivo sviluppo dell’odio nei confronti degli ebrei: gli ebrei non ammisero mai di aver ucciso il padre primigenio (Dio) mentre i cristiani assunsero la colpa originaria e a partire da questa cercarono di trovare metodi per espiare il peccato originale (uno tra tutti: l’avvento di Cristo, figlio di Dio, il quale morendo assume su di sé le colpe di tutti gli uomini). Il popolo ebraico, che per la seconda volta rinnegò l’assassinio del padre - la prima era stata quella di Mosè - si vide rinfacciare, questa volta, l’uccisione del Messia da tutti i cristiani che gli dimostrarono a gran voce nell’arco della storia di essere colpevole dell’omicidio del loro Dio. L’antisemitismo nei confronti degli ebrei è stato più volte giustificato da questa affermazione, ovvero essere colpevoli di un omicidio, il più atroce quello del padre, quello di Dio. Quest’accusa però è stata spesso lo specchietto dell’allodole per motivazioni molto più profonde e venali. I motivi più profondi dell'odio per gli Ebrei sono radicati in un passato più remoto: -

gli ebrei si spacciavano come il popolo prediletto dal padre; uno dei costumi, quello della circoncisione, ha fatto un’impressione inquietante e sgradevole; ultimo motivo, i popoli che provano odio per gli ebrei divennero cristiani, solo in epoca storica tarda: “tutti questi popoli che oggi hanno il primato dell’odio per gli Ebrei sono diventati cristiani solo in epoca storica tarda, spesso spinti da sanguinosa coercizione. Si potrebbe dire che sotto una sottile verniciatura di cristianesimo sono rimasti quello che erano i loro antenati, che professavano un barbaro politeismo. Non hanno superato il rancore contro la nuova religione che è stata loro imposta, ma l’hanno spostato sulla fonte donde il cristianesimo è loro pervenuto. Il loro odio per gli Ebrei è al fondo odio per i cristiani”.

Tracce mnestiche ed eredità arcaica. Nell’ ultima parte del primo capitolo Freud torna ancora una volta al tema della connessione tra la psicologia in...


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