1. Sonetto \" Trionfo Della Liberta\" Primo Canto PDF

Title 1. Sonetto \" Trionfo Della Liberta\" Primo Canto
Course Letteratura italiana
Institution Sapienza - Università di Roma
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Commento del sonetto "il trionfo della libertà" di Manzoni ...


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LETTERATURA ITALIANA 03 MARZO 2020 SONETTO: “TRIONFO DELLA LIBERTÀ” - ALESSANDRO MANZONI - CANTO PRIMO In questi sonetti manzoniani, letti fin ad ora, emergono le passioni poetiche e politiche del giovane Manzoni fresco di studi del collegio, ma il componimento più maturo e ambizioso di questo periodo è un poemetto intitolato “Trionfo della Libertà”. Un poemetto che riporta alla figura di Francesco Lomonaco, all’esperienza traumatica della fine della Repubblica Partenopea, ci riporta alle vicende della Repubblica Cisalpina costituita nel 1797 finita per mano austriaca nel 1799. Il rientro degli austriaci dura poco perché nel 1800, Napoleone sconfigge le truppe austro-russi e i francesi in questo modo possono rientrare a Milano, l’anno successivo viene siglata una pace, nel febbraio del 1801, la pace di Luneville, nella quale viene ripristinata la Repubblica Cisalpina e questo poemetto manzoniano è un poemetto che si colloca a ridosso di questa vicenda, celebra le conseguenze della pace che risveglia l’entusiasmo dei democratici, dei giacobini e questo poemetto si inserisce in un filone di poesia giacobina che si tiene lontano sia dalla celebrazione di Napoleone, proprio perché Napoleone appare come pericolosamente vicino ai moderati, poco disponibile a sostenere la causa dell’indipendenza e dell’unità e si tiene distante dalle posizioni reazionarie. L’indipendenza e l’autonomia della Repubblica Cisalpina e delle altre repubbliche democratiche, la ricerca di questa indipendenza è l’asse che percorre questo poemetto, che si intitola “Trionfo della Libertà”, quindi un trionfo che da un punto di vista del genere, rimanda ai Trionfi di Petrarca, i trionfi sono delle visoni allegoriche nella quale di succedono dei quadri, si snodano davanti agli occhio del poeta-profeta delle visioni di alto contenuto simbolico e infatti così sono strutturati i Trionfi di Petrarca, che sono in terzine dantesche. Il capostipite di questo genere, del poema-visione è la Commedia di Dante, in particolare una sezione della Commedia ossia i canti finali del Purgatorio nei quali Dante, sulla cima del Purgatorio, nell’Eden, assiste a una processione allegorica nella quale si esprime il significato della storia umana e il rapporto dei massimi poteri dell’umanità l’impero e la chiesa. Dante immagina un carro, con elementi simbolici che si riferiscono a momenti della storia dell’umanità, dal sacrificio di Cristo fino agli eventi drammatici contemporanei al poeta. Il poemetto manzoniano, non a caso, come i Trionfi di Petrarca e come la visione di Boccaccio è in terzine, che celebra il trionfo della libertà rispetto ai suoi oppressori, a coloro che vorrebbero ridurre l’Italia in schiavitù, quindi è innanzitutto la celebrazione della vittoria di Napoleone contro le truppe austro-russe, celebrazione che prende spunto dalla pace di Luneville, quindi torna la pace grazie a Napoleone anche se nel poemetto Napoleone non viene per niente citato, viene però elogiato un generale francese che aveva lottato e perso la vita a Marengo. Napoleone quindi non viene per niente celebrato, questo perché il punto di vista ideologico di Manzoni si situa a metà tra la letteratura encomiastica e la polemica anti-austriaca. La pace di Luneville era stata a Milano, celebrata con una grande festa, una festa di cui rimane un programma che prevedeva sfilate di carri allegorici, spettacoli pirotecnici e la declamazione di alcune poesie alla pace e alla vittoria di Napoleone tra cui un ode alla pace di Vincenzo Monti, questa festa di svolse in aprile nel 1801 e il poemetto di Manzoni, non sappiamo esattamente in quali mesi dell’anno venne composto ma sappiamo che esso venne concluso entro il 1801, entro l’estate del 1801. Il poemetto è diviso in 4 canti, nel canto 1, in concomitanza con l’ascensione della libertà personificata, è rappresentata una visone che il poeta riceve, su modello di quella dantesca , una visone e gli appare la libertà personificata e ai suoi lati, a fiancheggiarla ci sono la pace e la guerra. Successivamente, dopo questa sfilata iniziale, viene l’amore patrio, segue poi lo schizzo di un paesaggio idilliaco che fa da sfondo all’apparizione più drammatica del primo canto, cioè appaiono la tirannia e la religione accoppiate e raffigurate da Manzoni nella loro perversità. La libertà con il suo carro schiaccia la tirannide e la religione. Il linguaggio di questo poemetto è un linguaggio aspro, duro che tende alla deformazione anche espressiva e che deve molto non solo al vocabolario infernale di Dante ma deve molto anche un operetta di Lomonaco, un operetta che si intitola “Rapporto al ministro della guerra, sui fatti della Repubblica Partenopea”, questo rapporto è un resoconto della fine della Repubblica Partenopea. In generale, il Trionfo di Manzoni ha un rapporto ideologia stretto con questo testo di Lomonaco, Lomonaco che in questo tempo era amico di Manzoni era tra coloro che sostenevano la necessità non solo di rifondare

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parecchie repubbliche democratiche e ripristinare la libertà perduta ma di associare, agli ideali rivoluzionari di libertà, uguaglianza, i due valori che ai democratici giacobini stavano più a cuore cioè quello di unità e indipendenza. # “TRIONFO DELLA LIBERTÀ” - CANTO PRIMO Coronata di rose e di viole Scendea di Giano a rinserrar le porte La bella Pace pel cammin del sole, Coronata di rose e di viole, l’accoppiata rose-viole è un accoppiata tradizionale anche se questa coppia floreale che si ritrova in molti testi, viene in questo caso da un verso del “Trionfo dell’Amore” da “Trionfi” di Petrarca. La pace personificata, con questa corona floreale, scendeva a chiudere le porte del tempio di Giano che secondo la trazione classica, restavano chiuse nei tempi di pace (famoso al tempo dell’imperatore Augusto). La pace chiude le porte del tempio e procede verso il cammino del sole quindi venendo da oriente. La pace è la pace di Luneville che l’autore celebra sotto il velo allegorico. E le spade stringea d'aspre ritorte, E cancellava con l'orme divine I luridi vestigi de la morte; Mentre la pace attraversava la sua via, stringeva le spade, le spade non servono più perché non più tempo della guerra e con le sue impronte divine cancellava le tracce di sangue lasciate dalla guerra. La guerra a cui fa riferimento è la battaglia di Marengo dove gli austro russo vengono sconfitti, respinti oltre l’Adige. E la canizie de le pigre brine Scotean dal dorso, e de le verdi chiome Si rivestian le valli e le colline; É primavera anche se la pace di Luneville è del febbraio del 1801 ma qui il topos vuole che il mondo si rinnovi a primavera, è un nuovo inizio, sulla scena della storia romana accade un qualcosa di nuovo, la pace che viene da oriente come il sole che sorge, la stagione è quella primaverile dove le colline si scrollano di dosso le brine e le nevi, il mondo rinasce. Quand'io fui tratto in parte, io non so come, Io non so con qual possa, o con quai piume, Quasi sgravato da le terree some. É primavera, la pace è tornata quando il poeta ha un estasi e non so come, sono stato rapito da una visione, non so dire con quale mia facoltà o con quali ali (interazione divina) non so dirlo ma ritrovai quasi uscito fuori dal corpo, fuori di me, dal mio corpo assorto una visione che ebbi non so dire come. E mi ferì le luci un vivo lume, U' non poteva l'occhio essere inteso, E vinto fu del mio veder l'acume. Una luce intensa mi abbagliò, una luce talmente forte che non riuscivo a fissare lo sguardo e la potenza del mio sguardo fu vinta, oltrepassata dall’intensità della luce, rimasi abbagliato. Questo è un chiaro riferimento a Dante, alla terza cantica (paradiso), in cui Dante gioca su questo tema della luminosità delle sfere celesti che vince il suo sguardo e che quindi non riesce a contemplare cosi tanta luce e rimane accecato.

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Com'uom che da profondo sonno è preso, Se una vivida luce lo percote, Onde subitamente è l'occhio offeso, Le confuse palpebre agita e scote, Nè può serrarle, nè fissarle in lei, Che sua virtute sostener non pote; Come un uomo che è preso da un sonno profondo, e se una luce intensa lo percuote e colpisce le sue palpebre, l’uomo agita le palpebre in maniera confusa, le apre ma visto che stato troppo tempo al buio non riesce a tenere fisso lo sguardo. Così vinti cadevan gli occhi miei, Ma il Ciel forze lor diè più che mortali Da sostener la vista de gli Dei. Il mio sguardo è abbagliato ma il cielo, l’ispirazione celeste da al mio sguardo, la forza di contenere gli Dei. Non cred'io già che fosser questi frali Occhi deboli e corti, o spesso infidi, Cui non lice fissar cose immortali. Forse fu, s'egli è ver che in noi s'annidi Parte miglior che delle membra è donna; Onde come io non so, so ben ch'io vidi. Non so dire se i miei occhi vennero accresciuti nella loro possibilità di vedere, di contemplare l’oggetto o se fu qualcosa di più nobile, l’anima che muove le membra, che mi consentì di accedere alla visione ma in ogni caso so che vidi quello che sto ora per descrivere. Chi mi diede la forza, la virtù di vedere non so dirlo ma so che vidi ciò che ora descrivere. Vidi una Dea: nulla era in Lei di donna, "Non era l'andar suo cosa mortale,” (riferimento a PETRARCA) Nè mai fu tale che vestisse gonna. Vidi una Dea, una dona che non ha eguali, non gli si può paragonare nessuna donna terrena perché il suo andare non era una cosa mortale. Di portamento altera, e quanta e quale Su gli astri incede quella al maggior Dio Del talamo consorte e del natale. Perifrasi per indicare Giunone, la moglie di Zeus, ma anche sorella quindi una donna bella, maestosa e imponente come Giunone colei che fu sorella e moglie del padre degli Dei Nobile, umano, maestoso e pio Era lo sguardo e l'armonia celeste Comprenderla non può chi non l’udìo, (riferimento a DANTE) Sovra l'uso mortal fulgida veste Copre le sante immacolate membra,

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E svela in parte le fattezze oneste. Tessuta è in Paradiso, e un velo sembra; Ma a tanto già non giunge uman lavoro; Oh con quanto stupor me ne rimembra! Questa veste che la donna indossa sembra tessuta in Paradiso, non può essere opera di arte umana ma deve essere opera divina. Siede su cocchio di finissim'oro Umilemente altera, ed il decenne (ossimoro, di cui è piena la poesia stilnovista) Berretto il crine affrena, aureo decoro. Siede su un carro di oro purissimo, la donna è umile e altera non perché è superba ma perché consapevole della sua maestà e delle sue virtù. Sul capo questa donna indossa un berretto, il berretto frigio i giacobini indossavano il berretto frigio nella rivoluzione francese perché il berretto frigio era l’emblema anche dei cesaricidi, degli uccisori di Cesare, dopo la morte di cesare, Bruto insieme agli altri uccisori coniano delle monete su cui è stampato il berretto frigio; simbolo dunque di libertà dal tiranno; simbolo dell’antica repubblica romana re-attualizzato dai giacobini francesi. Stringe la manca la fatal bipenne, E l'altra il brando scotitor de' troni, Onde a cotanta altezza e poter venne La gran madre de' Fabj e de' Scipioni; Sotto cui vide i Regi incatenati Curvar l'alte cervici umili e proni. La fatal bipenne è la lama della ghigliottina, la lama che ha fatto cadere la testa dei re e dei tiranni. La libertà è una libertà che agisce con la forza. Quindi con la mano destra tiene la lama della ghigliottina, mentre con l’altra tiene il brando che minaccia i troni e quindi le monarchie. In virtù degli strumenti, grazie agli strumenti di cui si serve la libertà per affermare il suo domino, divenne grande anche la Roma repubblicana, la madre dei Fabi e degli Scipioni qui ricorda due valorose famiglie della storia della Roma repubblicana, quindi c’è un rapporto tra la libertà riconquistata attraverso la rivoluzione e la Roma antica, è la ri-attualizzqzione di una libertà che il mondo ha già sperimentato ossia quella gloriosa della Roma repubblicana, prima dell’impero. È tipico del linguaggio rivoluzione questo riferirsi agli esempi della storia antica di Roma, della storia repubblicana. Quindi è un nuovo inizio ma allo stesso tempo il mondo inizia ripetendo qualcosa che già è avvenuto in passato, che già l’umanità ha sperimentato durante la storia di Roma repubblicana. Pronte a' suoi cenni, stanle d'ambo i lati Due Dive, dal cui sdegno e dal cui riso Pendon de l'universo incerti i fati. L'una è soave e mansueta in viso, E stringe con la destra il santo ulivo, E il mondo rasserena d'un sorriso. E l'altra è la ministra di Gradivo Che si pasce di gemiti e d'affanni, E tinge il lauro in sanguinoso rivo.

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Al fianco della libertà ci sono due Dee dal cui segno e riso, decidono le sorti del mondo. Quella dalle fattezze dolce e mansueta è la Pace che nella mano destra stringe il ramo d’ulivo, simbolo appunto della pace, e placa il mondo con un sorriso. Gradivo è un nome antico per indicare Marte ossia il Dio della Guerra, quindi l’altra Dea è un ancella di Marte che si nutre di gemiti e di affanni e tinge ogni vittoria di sangue. Due bandiere scotean de l'aure i vanni; Su l'una scritto sta: Pace a le genti, Su l'altra si leggea: Guerra ai tiranni, Due bandiere scuotevano i vanni dell’aria, su una c’è scritto: Pace alle Genti, sull’altra c’era scritto: Guerra ai tiranni. Non c’è la libertà senza l’estirpazione della tirannide e dunque non c’è pace, la pace non può essere celebrata se al contempo non si eliminano i tiranni. Ecco perché al pianto della libertà ci sono la Pace che annuncia pace alle genti, ma c’è anche la Guerra perché la Guerra è necessaria se bisogna consegnare il mondo alla pace, se gli uomini continuano ad essere destati dai tiranni, non può stabilirsi la pace e ne tanto meno la libertà. Tacean al lor passar l'ire de' venti, Che, survolando intorno al sacro scritto, Lo baciavano umili e reverenti, Quinci è Colei, che del comun diritto Vindice, a l'ima plebe i grandi agguaglia, Sol disugual per merto o per delitto, E se vede che un capo in alto saglia, E sdegni assoggettarsi a la sua libra, Alza la scure adeguatrice, e taglia. Qui c’è la rappresentazione della Morte, che eguaglia i destini sia dei nobili sia dei miseri e se vede che qualcuno vuole salire troppo in alto, alza la testa superbamente e usa la sua scure adeguatrice quindi livella le condizioni di tutti gli uomini. E con la destra alto sospende e libra L'intatta inesorabile bilancia, Ove merto e virtù si pesa e libra, Non del sangue il valor, ch'è lieve ciancia E tanto nocque alle cittadi, e nuoce; E sal Lamagna, e 'l seppe Italia e Francia. Tipico attributo della morte, dove si giudicano i meriti e la virtù. La morte ha quindi una bilancia sulla qual si pesano la virtù e i meriti, non il valore del sangue, non conta la nobiltà di sangue ma conta la nobiltà dello spirito. Quella nobiltà di sangue, dice Manzoni, che nuoce ancora perché la nobiltà si attribuisce (…) ne sa qualcosa la Germania, terra di nobili in riferimento alla corte austriaca e lo hanno saputo a loro spese l’Italia e la Francia ora libere, libere dagli abusi del ceto nobiliare perché è arrivata la rivoluzione e ha rimesso le cose apposto. Dolce in vista ed umano, e insiem feroce Quindi era il patrio amor che ai figli suoi Il cor con l'alma face infiamma e cuoce;

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E i servi trasformar puote in eroi, E non teme il fragor di tue ritorte, O Tirannia, nè de' metalli tuoi; Arriva l’Amor Patrio che allo stesso tempo ha un volto umano e feroce, cosa fa l’amor patrio a suoi figli, accede nel cuore dei suoi figli con la sua fiaccola ardente che nutre e alimenta, accende l’animo di ardore, di amore per la patria dei suoi figli. Trasforma i servi in eroi e non teme degli strumenti di tortura o Tirannia e non si lascia intimidire da nulla l’amore della patria se è sincero. Non quella cieca che si chiama sorte Che i vili in Ciel locaro e fecer Diva; E scritto ha in petto: O libertade o morte. D'ogni intorno commosso il suol fioriva, L'aura si fea più pura e più serena, E sorridea la fortunata riva. Tutto intorno il passaggio fioriva, è primavera, con l’apparizione della libertà e delle sue sorelle, la pace e la guerra, il mondo sembra rinvigorirsi. E a color che fuggir l'aspra catena Prorompea sugli occhi, e su le labbia Impetuosa del piacer la piena, Anche ai martiri, coloro che avevano seguito la tirannide, ricevevano beneficio da questo nuovo tempo. Come augel, che fuggì l'antica gabbia, Or vola irrequieto tra le frondi, Rade il suol, poi si sguazza nella sabbia. Quindi s'udian rumor cupi e profondi, Un franger di corone e di catene, Un fremer di Tiranni moribondi: Come un uccello che si libera dalla gabbia e conquista la libertà, si sente come uno spezzarsi di catene, un gemito di tiranni moribondi e con il trionfo della libertà, la tirannide si dilegua e tutto il mondo rifiorisce. Impugnando un flagel d'anfesibene La Tirannia giacevasi da canto E si graffiava le villose gene. E i torbid'occhi si copria col manto; Che la luce vincea l'atre palpébre, E le spremea dalle pupille il pianto, Come notturno augel, che le latébre Ospiti cerca allor che il sole incalza Ne' buj recinti l'orride tenébre.

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La tirannia con l’apparizione della libertà, impugna i suoi serpenti e rannicchiata di lato si graffia in segno di rabbia le goti. La luce appariscente della libertà fa chiudere gli occhi della tirannide, e si rifugia nei luoghi bui come fanno gli uccelli notturni. LETTERATURA ITALIANA 04 MARZO 2020 La tirannia viene accecata e abbagliata dalla manifestazione dell’amor patrio, ricacciata nelle tenebre da questa luce abbagliante che è l’amor patrio che disprezza pur di salvaguardare la libertà dal tiranno. La tirannia non è sola in questa oppressione dei popoli, si serve di un ancella che storicamente l’ancella più valida del potere dispotico nella tradizione della letteratura repubblicana che esalta la libertà, il dispotismo per tenere oppresso i popoli si avvale nella prospettiva democratica repubblicana l’altro grande avversario è la Religione. L’Italia non è libera perché da un lato la chiesa, dice Machiavelli, ha impedito l’unificazione dei territori italiani, delle formazioni politiche italiane che sono rimaste in un stato di frammentazione ma anche perché ha infiacchito quell’amor patrio, l’amore per la virtù per la patria che invece caratterizzava i grandi spiriti dell’antichità, gli eroi dell’antichità perché hanno messo una felicità ultraterrena e Machiavelli dice che in questo modo, ha sbancato l’amore per i beni terreni, la ricerca di una felicità, di un benessere in questo mondo trasferendo questa aspettativa nell’aldilà. Quindi la chiesa è recepita da Manzoni, attraverso questo filone che da Machiavelli risale e arriva fino a Lomonaco, l’idea è che la chiesa agendo sulla morale, trasformando il sentire epico, esaltando le virtù sovrannaturali, ha infiacchito l’amore per la patria e dall’altra parte ha anche ostacolato la formazione di uno stato unitario opponendosi a qualsiasi tentativo da sempre fin dai tempi dei Longobardi, quando Carlo Magno viene chiamato dal Papa per respingere l’invasione. # Evvi una cruda, che uno stile innalza, E 'l caccia in mano all'uomo e dice: scanna, E forsennata va di balza in balza. C’è una donna crudele, a Manzoni appare una donna crudele, che solleva uno stilo cioè un pugnale, questa donna mette il pugnale nella mano di uomo di un uomo e dice: Vai! Uccidi! e poi se ne va furiosa. In questa immagine della Religione avvertiamo la memoria di un verso Parini, “sopra la guerra” (versi 108-114), dove appare la stessa scena quindi la religione che mette il ferro in mano all’uomo e dice: Uccidi!. Nera coppa di sangue ella tracanna, E lacerando umane membra a brani Le spinge dentro a l'insaziabil canna. È un vero e proprio mostro, un mostro infernale e questa rappresentazione ci ricorda Dante, perché questo mostro ricorda Cerbero, Cerbero è il modello di questa immagine. Cerbero è il cane a tre teste che squarta le sue vittime. La stessa cosa fa la Religione che beve da una coppa nera perché il sangue è nero, e facendo a pezzi carne umana la spinge dentro la sua gola insaziabile. E con tabe-grondanti orride mani I sacrileghi don su l'ara pone, E osa tendere al Ciel gli occhi profani. Con mani orribile, “tabe-grondanti” è una formazione manzoniana, una parola che non esiste che sarebbe “grondano putredine”, quindi mani orribili che grondano putredine depone sull’altare i suoi doni profani, le sue offerete cioè le m...


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