Innocente - Trionfo della morte PDF

Title Innocente - Trionfo della morte
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Genova
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Summary

D'Annunzio...


Description

L’Innocente

Romanzo del 1892. Il protagonista è il tipico eroe (anti-eroe) dei romanzi dannunziani.

Tullio Hermil è un ricco e nobile intellettuale, un giovane esteta vittima di una sensualità disperata che lo porta, sentendosi spirito eletto e irrequieto, a tradire ripetutamente la moglie Giuliana. Saranno questi tradimenti continui a spingere la stessa Giuliana tra le braccia di uno tra i più letti scrittori dell’epoca, Filippo Arborio, personaggio nel quale è sin troppo facile ritrovare altri tratti del futuro Vate. Una grave malattia di Giuliana spinge Tullio, disgustato della propria vita, a tentare un riavvicinamento con la moglie. Ma se Tullio, da un lato, scoprirà che il suo onore non potrà essere riabilitato poiché una paralisi permanente impedisce all’Arborio di sostenere il duello riparatore, sarà però la scoperta che la moglie aspetta un bambino, frutto della relazione con l’Arborio, che getterà Tullio in una profonda crisi. Conscio che la propria totale mancanza d’attenzioni ha spinto Giovanna tra le braccia dell’amante deciderà di perdonare la moglie. Il suo odio si dirigerà però verso il bambino che la donna porta in grembo, accolto dalla famiglia di Tullio come il tanto sospirato primogenito ed erede. Mascherando questo tormento, nel protagonista matura, durante i mesi della gravidanza, l’intenzione, con il tacito assenso di Giovanna, di uccidere l’”intruso”. Senza difficoltà dunque Tullio potrà esporre per un’intera notte il neonato Raimondo ai rigori dell’inverno provocandone la morte. Passerà un anno intero prima che Tullio si decida a confessare il delitto. Non lo farà però davanti ad un giudice ma riempiendo le pagine bianche del suo diario. L’Innocente fu accolto in Italia con scarso interesse da parte del pubblico e della critica. Al contrario, vasto ed inaspettato, fu il clamore che raccolse in tutta Europa ed in particolare in Francia. Il distacco dagli schemi che avevano accompagnato la stesura del primo romanzo è evidente. È principalmente l’influenza della narrativa russa di Dostoevskij e Tolstoj ad operare questa svolta, narrativa che stava infatti riscuotendo uno straordinario successo in tutta Europa, successo che non poteva sfuggire ad un attento osservatore delle mode e delle tendenze letterarie come D’Annunzio. Nell’opera di D’Annunzio si fondono infatti i temi più importanti della narrativa russa, dal bisogno esplicito di riconquistare una perduta fratellanza universale alla spietata analisi psicologica di una personalità instabile. Evidenti risultano dunque i punti di contatto con romanzi come Delitto e castigo o I fratelli Karamàzov. D’Annunzio in questo romanzo, memore anche della lezione dei naturalisti francesi, tenterà, con successo, di conciliare questa tendenza con la volontà di osservare dal vero. Per raggiungere questo obiettivo risulteranno fondamentali gli approfonditi studi svolti dall’autore con l’aiuto di trattati di fisiologia e medicina. Come già sottolineato a proposito di Tullio e del suo rivale Filippo Arborio, anche nella protagonista Giuliana ritroviamo diverse caratteristiche delle donne amate da D’Annunzio negli anni in cui il romanzo vedeva la luce. La moglie, Maria di Gallese (sposata con matrimonio riparatore per la nascita di un figlio), e l’amante dell’epoca, Barbara Leoni, forniranno infatti gli elementi principali per costruire il personaggio di Giuliana. Tullio Hermil è in tutto e per tutto un “eroe” dannunziano. Esteta cinico e spietato, seppur combattuto interiormente, si compiace della propria potenza, della possibilità di intervenire nel mondo per plasmarlo e modificarlo senza doverne pagare le conseguenze. Egli infatti in una perfetta impostazione superomistica si pone al di sopra della legge stessa, che non potrebbe mai giudicarlo correttamente. Già nelle poche righe dell’introduzione si palesano dunque i caratteri di questo antieroe dannunziano. Tullio Hermil si pone come una tappa fondamentale nell’evoluzione dei personaggi di D’Annunzio, da Andrea Sperelli, protagonista de Il piacere, a Giorgio Aurispa de Il trionfo della morte. Tullio, rispetto al protagonista del romanzo d’esordio, è uomo più maturo e, per questo, ancora più freddo e cinico ma anche più riflessivo. Anche lo stile risulta più asciutto, il tono è più dimesso, mentre l’intreccio stesso risulta depurato da alcune inserti descrittivi che avevano impreziosito ma anche appesantito Il Piacere. La stessa parola è più libera ed assume una nuova musicalità. Come già nel romanzo d’esordio, anche ne L’Innocente, l’intreccio non è molto approfondito ma lascia più spoazio a riflessioni interiori e ai momenti di dubbio e contraddizioni del protagonista.

Trionfo della morte

Si tratta dell'ultimo della cosiddetta trilogia dei Romanzi della Rosa dopo Il piacere e L'innocente. L'opera fu avviata sempre nel 1889, assieme al Piacere. Esempio di romanzo psicologico e di introspezione della coscienza del protagonista, Giorgio Aurispa, nella cui mente si svolge l'intera vicenda romanzesca. Il romanzo, che apre con un passo dell' Al di là del bene e del male di Friedrich Nietzsche e sviluppa il tema del superomismo così come interpretato dall'allora trentunenne d'Annunzio.

Trama Giorgio Aurispa è un giovane abruzzese, colto e raffinato di nobile discendenza, che ha abbandonato il paese natìo per trasferirsi a Roma, scevro da qualsiasi impiego, grazie all'eredità lasciatagli dalla morte del suicida zio Demetrio. Intesse una relazione con una donna sposata, Ippolita Sanzio, che deciderà poi di abbandonare il marito in favore del protagonista. Il rapporto sentimentale nato tra i due ha quell'intensità violenta e sensuale cara a D'Annunzio, così come lo Sperelli ne Il piacere, e al suo modo decadente di descrivere la passione come opera d'arte. Giunto al paese natìo per incontrare Demetrio, Giorgio dunque scopre che è morto, e che la nobile famiglia vive in disgrazia perché il capofamiglia, suo padre, vive in dissoluzione con una prostituta. Decide di soggiornare allora al mare, nella costa teatina di San Vito Chietino (dove Dannunzio in quel periodo viveva davvero con la sua amante Barbara Leoni), affittando una casa su un promontorio. Ippolita lo raggiunge e la coppia vive felicemente, nonostante Giorgio, nei suoi studi nietzschiani, provi repulsione per la vita ancora pastorale e primitiva abruzzese. Ippolita invece ne è affascinata. Giorgio diventa sempre più irrequieto e malinconico, e la sua follia esplode durante un pellegrinaggio alla Madonna dei Miracoli dove, anziché ad uno scenario di carità cristiana, assiste ad uno spettacolo macabro di malati e poveracci in condizioni disumane. Poiché Ippolita si è mostrata molto meravigliata e attratta dalla vita pastorale locale, Giorgio vede distrutti il suo rapporto ed equilibrio, decidendo il suicidio assieme alla sua amata.

Il superomismo dannunziano Anche qui assistiamo all’eroe dannunziano, malato, debole e gelosamente chiuso in se stesso, per il quale la realtà umana si rivela senza speranza, vuota ed inutile. Persino l' amore per Ippolita alla fine non è capace di dare alcuna consolazione ed al protagonista non rimane altra scelta che quella di porre fine al "mal di vivere" che gli è insopportabile. Il romanzo è uno spartiacque tra l'estetismo dannunziano romano e la nuova filosofia del superomismo di Nietzsche. La prima parte si apre all’insegna del Decadentismo, ossia il culto dell'arte antica, che nella città ha il suo simbolo nel Duomo, e le tristi vicende di degrado della nobile famiglia del protagonista. Il principale nemico del protagonista Giorgio è la dominazione della natura. La morte è un messaggio del destino verso il protagonista, costretto a trovare un nuovo metodo filosofico di risposta. Infatti non prevale più il sentimento di stupore dinanzi ai fenomeni della natura, in cui il protagonista manifesta sensazioni di sublime contemplazione (“panismo”), ma occorre cercare per l'esteta una nuova via di sopravvivenza nel mondo abruzzese ancestrale e primordiale, dove prevalgono la malattia dei poveri e la superstizione popolare verso il diverso. La seconda parte del romanzo è ideale al protagonista per la scoperta del superuomo di Nietzsche in grado di dare giusta forza al protagonista esteta acculturato per poter fronteggiare e dominare i principali nemici, incarnati dalla "fèmme fatale" e dalla selvaggia Natura. Tuttavia l'equilibrio di Giorgio è costantemente minato dalla presenza di rigurgiti popolari di superstizione, come l'episodio del bambino ucciso dalle streghe, dove la conoscenza e la cultura del protagonista non possono nulla. Tali pratiche religiose sono collocate nel contesto naturale culturale abruzzese, contro cui Giorgio deve confrontarsi. Infatti benché lui confidi in Ippolita, la sua compagna, la ragazza è incuriosita dalle tradizioni abruzzesi, portando alla rottura del rapporto amoroso.

I luoghi (facoltativo) Roma per Giorgio e Ippolita non è più una città di pace eterna come lo era una volta. Dalla visione del cadavere di un suicida (all’inizio del romanzo) Giorgio comincia a sviluppare un senso di malessere che non lo fa stare più felice com'era prima. Nemmeno Ippolita con il suo amore riesce a consolarlo. I luoghi dell'Umbria sono molto tetri e piovigginosi, basti ricordare la descrizione che d'Annunzio fa di un albero sbattuto a terra dal vento durante una tempesta. Giorgio e Ippolita di seguito vanno a visitare anche Orvieto e il suo duomo e provano un senso di gioia nel vedere soltanto quella cattedrale in mezzo a tutte le minuscole casupole della città e ai piccoli conventi. Giorgio durante la notte sogna di nuovo quel duomo ma in epoca della contesa tra guelfi e ghibellini. Soltanto il duomo è un baluardo di speranza irraggiungibile. Da allora Giorgio incomincia a ipotizzare che forse la chiave per alleviare i dolori del suo malessere è la fede. L'Abruzzo è il luogo dominante in tutto il secondo libro del Trionfo della morte. Per la precisazione d'Annunzio tratta della collocazione della famiglia originale del nobile Giorgio Aurispa: il borgo medievale di Guardiagrele, alle pendici della Majella, nella provincia di Chieti. Qui d'Annunzio narratore e anche per bocca di Giorgio Aurispa traccia uno stupendo ritratto di Guardiagrele, definendola la regina delle "città di pietra"; la Cattedrale di Santa Maria Maggiore è il baluardo della città, quasi il simbolo, con lo stemma degli Aurispa scolpito nel bianco marmo sopra il portone centrale. Ma D’Annunzio e lo stesso Giorgio hanno un rapporto assai conflittuale con la loro terra natia in quanto è ricca di bellezze naturali, ma ancora piena di contadini rozzi vagabondi o arricchiti assai pieni di pregiudizi, chiusi nelle loro becere tradizioni e assolutamente volgari (i contadini del posto credono ancora a spettri e fantasmi) e sgraziati in qualsiasi cosa facciano, più simili a bestie che a uomini per carattere e abitudini di vita cosi come le anziane del paese, paragonate, dai tratti dei volti, a streghe. Lo spettacolo che si offre agli occhi di Giorgio e Ippolita durante il pellegrinaggio alla Madonna dei miracoli è angoscioso: centinaia di pellegrini si affollano alle porte della chiesa. Altre schiere di donne penitenti sono più indietro a dondolarsi e a pregare piangendo, rigandosi il viso con le unghie e strappandosi i capelli per la disperazione. Poi d'Annunzio passa a descrivere i volti e il fisico della gente: rozzi, grassi, più simili a maiali che a uomini, con la faccia scavata e piena di rughe peggio di scimmie, con le teste pelate ricoperte di croste e di altre piaghe purulente. La scena assomiglia all’Inferno di Dante Alighieri quando i dannati si trovano dinanzi al giudice Minosse. Questa scena segna nell'animo di Giorgio una rottura netta con il suo luogo d'origine, l'Abruzzo, e con tutti i suoi familiari e conoscenze. Nel sesto libro, Giorgio e Ippolita si fanno recapitare da Roma a San Vito un pianoforte affinché possano passare i pomeriggi in allegria. I temi della prima parte del Libro Sesto sono quelli dell'amore sfrenato. Infatti Giorgio ricorda tutte le parti più erotiche del racconto di Tristano e Isotta, dal loro incontro alla loro unione, dalle imprese guerresche compiute da Tristano al suicidio di entrambi. Nella seconda parte del Libro Sesto invece i temi riguardano soltanto la morte. Giorgio chiede insistentemente ad Ippolita cosa farebbe lei nel caso lui morisse e che cosa succederebbe se entrambi per caso si suicidassero o perissero per qualche disgrazia naturale. Ippolita ride e non comprende, pensando soltanto a scherzare. Per rafforzare il tema che perdige la morte, d'Annunzio fa raccontare ad Ippolita alcune sventure accadutele quando era piccola, tra cui una cicatrice che le fece la mamma da piccola picchiandola selvaggiamente dopo un litigio. Giorgio a quei racconti di violenza inaudita prova molto interesse. Ippolita, sempre con il suo fare di bambina giocosa, viene sempre più presa da attacchi epilettici. Giorgio allora riconosce prettamente in lei la Nemica. Quando Ippolita si riprende, Giorgio la porta fuori nella notte a prender un po' d'aria ma non è affatto tranquillo. Un cane nero, simbolo della Morte, gli passa davanti. Giorgio prova paura, ma Ippolita tutt'altro e prende ad accarezzarlo e a canzonare Giorgio, che non vuole avvicinarsi. Questi allora s'infuria e trascina Ippolita verso il precipizio dell'eremo, gettandosi di sotto avvinghiato a lei....


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