19. Monarchia costituzionale in Inghilterra. Prussia e Russia PDF

Title 19. Monarchia costituzionale in Inghilterra. Prussia e Russia
Course Storia
Institution Liceo (Italia)
Pages 6
File Size 121.8 KB
File Type PDF
Total Downloads 44
Total Views 123

Summary

19. Monarchia costituzionale in Inghilterra. Prussia e Russia...


Description

1

17B. MONARCHIA COSTITUZIONALE IN INGHILTERRA. PRUSSIA. RUSSIA. Il costituzionalismo in Inghilterra Nel Seicento l’Inghilterra, attraverso due rivoluzioni, l’una lunga e sanguinosa (1640-48), l’altra breve e incruenta (1688-89), pur conservando la monarchia giunge a un ordinamento parlamentare. Negli ultimi decenni del Cinque e nei primi del Seicento si ha in Inghilterra, grazie anche all’opera di Elisabetta, un forte sviluppo economico. Se ne avvantaggiano i ceti mercantili e imprenditoriali, la piccola nobiltà terriera (la gentry) e la piccola proprietà borghese (la yeomanry), che beneficiano entrambe della politica della recinzione dei terreni ( enclosures) lasciati fin allora aperti all’uso comune. La rivoluzione scoppia quando i nuovi ceti trovano il proprio cammino sbarrato dall’assolutismo di Carlo I Stuart, che vuol mantenere sotto controllo l’industria e il commercio. “C’era in Inghilterra abbondanza di capitale, che mercanti, yeomen e borghesi volevano investire nell’industria, nell’agricoltura e nel commercio con piena libertà. Ma il governo favoriva gli interessi della vecchia classe fondiaria”. Così Parlamento e monarchia si scontrano, mentre alla sinistra del Parlamento nascono gruppi più radicali, i cosiddetti livellatori (levellers), fautori di democrazia politica e eguaglianza sociale, nemici di ogni recinzione e privatizzazione dei terreni demaniali e “comuni”. Oltre che da problemi economici e sociali, la Rivoluzione nasce anche da processi politici e religiosi, in particolare dalla volontà di difendere le libertà individuali del cittadino insidiate dal dispotismo regio, di ripristinare i diritti sanciti dalla Magna Charta (1215), di affermare i princìpi religiosi puritani. Morta la regina Elisabetta (1603), con cui si estingue la dinastia dei Tudor, in mancanza di eredi diretti la corona inglese passa a Giacomo I Stuart, già re Giacomo VI di Scozia, figlio di Maria Stuart (giustiziata nel 1587 da Elisabetta), piuttosto indifferente sul piano religioso ma convinto assertore del diritto divino dei re e dell’assolutismo; si ha così l’unificazione personale dei due regni. Scoperta e stroncata nel 1605 la cosiddetta Congiura delle polveri , che voleva fare strage del re e dei parlamentari per una restaurazione cattolica, la politica autoritaria di Giacomo incontra la resistenza del Parlamento, sia dei Lords della Camera Alta sia soprattutto della Camera dei Comuni, che cura gli interessi della borghesia mercantile e agraria. Contrastano Giacomo anche i puritani, ostili all’autoritarismo regio e alla gerarchia episcopale della Chiesa anglicana. Giacomo riesce a controllare il paese con un governo personalistico. Nel 21 scioglie il Parlamento e poi evita di riconvocarlo, pur se ciò implica l’impossibilità di decretare nuove imposte, che per antica tradizione solo il Parlamento può autorizzare. Nel 25, morto Giacomo, sale al trono suo figlio Carlo I, difensore dell’anglicanesimo, che accentua le tendenze assolutistiche del padre, imponendo nuove tasse ai sudditi, istituendo due tribunali speciali per reprimere il dissenso politico e religioso, non convocando il Parlamento e perseguitando i puritani. Costoro sono una minoranza religiosa calvinista che afferma la teoria dello “Stato limitato” e del “non conformismo”, cioè il diritto di resistere allo Stato quando esso, invadendo il dominio della coscienza, oltrepassi i propri limiti. Perseguitati da Carlo e in difficoltà durante la guerra civile, molti di essi abbandonano la patria per le terre d’America (Nuova Inghilterra), dove formano tante piccole comunità autonome, libere repubbliche da cui sorgeranno nel 1789 gli Stati Uniti d’America. Carlo continua a governare dispoticamente coi suoi ministri, il conte di Strafford e l’arcivescovo di Canterbury, Laud. Ma nel 28 per assoluta necessità di denaro deve piegarsi a

2

convocare il Parlamento, che sfida il re presentandogli la Petition of Rights (“petizione dei diritti”) dove rivendica la garanzie assicurate alla nazione inglese dalla Magna Charta. Prima rivoluzione inglese (1640-48) I problemi finanziari di Carlo I nel 28 derivano sia dalla guerra che intanto egli ha intrapreso contro la Spagna sia dal sostegno militare da lui fornito agli ugonotti francesi, contro Richelieu, durante l’assedio alla fortezza di La Rochelle e dopo la sua caduta. Dunque Carlo convoca il Parlamento, che suo padre ha sciolto con arroganza nel 21. Il Parlamento richiama il re al rispetto della legge. La Petition of Rights chiede l’osservanza delle “libertà” sancite dalla Magna Charta e poi confermate da Edoardo I ed Edoardo II, in particolare che sia garantita contro l’arbitrio dei funzionari regi l’inviolabilità personale, e che nessun cittadino inglese sia obbligato a fare donativi o pagare tasse se non approvati dal Parlamento. Carlo firma il documento per ottenere il prelievo fiscale di cui ha bisogno, ma in cuor suo lo rifiuta e farà di tutto per aggirarlo. Nel 29 allo scontro in materia fiscale si aggiunge un aspro contrasto in materia politica e religiosa. Carlo I ricorre alla forza: fa arrestare nove membri del Parlamento e lo scioglie. Per 11 anni egli governa senza Parlamento, ma nel 40 un’insurrezione scozzese, dovuta al tentativo di Carlo di imporre la fede anglicana alla Scozia presbiteriana, lo costringe a riconvocarlo, per avere i mezzi per soffocarla. Strappato il voto sull’imposta straordinaria, Carlo scioglie di nuovo l’assemblea 3 sole settimane dopo la convocazione (Corto Parlamento, 13 aprile-5 maggio 40). Ma la guerra di Scozia va male e Carlo deve convocare di nuovo il Parlamento. È il settembre 40, ma stavolta Carlo si trova di fronte un’assemblea rivoluzionaria (Lungo Parlamento, 40-53), che ha un atteggiamento di lotta e lancia con successo un appello perché il popolo opponga la proprie forze all’esercito regio. Nel 42 Carlo marcia sul Parlamento per arrestare i capi dell’opposizione, che però sfuggono alla cattura. Scoppia la guerra civile tra il Parlamento (le “teste rotonde”) e i “cavalieri del re”. La guerra si protrae 5 anni e vede le classi feudali a fianco della corona, mentre città marinare, puritani, borghesia cittadina e piccoli proprietari terrieri (gentry e yeomanry) si schierano col Parlamento. Tuttavia una troppo netta distinzione di forze sociali tra l’uno e l’altro schieramento sarebbe arbitraria. In entrambe le parti sono presenti tutti gli strati sociali e le categorie professionali. Intanto nel 41 è scoppiata anche una rivolta irlandese e cattolica, nell’Ulster, contro i coloni inglesi e non cattolici favoriti dal governatore regio. Il fronte dell’opposizione al re consta di varie correnti politiche e religiose: i moderati, inclini a conservare l’istituto monarchico pur limitandone i poteri; i radicali (puritani) che vogliono abbattere la monarchia e istituire una repubblica; la corrente “estremista” dei livellatori ( levellers), che predica libertà religiosa, sovranità popolare e suffragio universale, e alcune frange di essi, i cosiddetti zappatori (diggers) che hanno idee di proprietà comune e socialismo. A capo delle forze militari del Parlamento si pone un nobile di campagna, membro della gentry, il puritano Oliver Cromwell, che forma un esercito detto “di nuovo modello” (New Model Army), così caratterizzato: convinzione quasi fanatica dei soldati, in maggioranza puritani e contrari all’autoritarismo, di lottare per una causa giusta; disciplina ferrea, nessuna concessione all’indolenza, all’istinto predatorio e a violenze gratuite; soldati pagati nettamente meglio dei normali reparti mercenari del tempo; all’esercito appartiene anche un contingente di cavalleria di nuova concezione detto Ironsides, “fianchi di ferro”, in cui cavaliere e cavallo sono particolarmente protetti e corazzati. Con questo esercito, Cromwell batte le forze della corona a Marston Moor nel 44 e a Naseby nel 45. Carlo fugge e ottiene aiuto dagli scozzesi,

3

che però nel 48 a Preston sono sconfitti da Cromwell. Un’alta corte di giustizia, di cui fa parte Cromwell, condanna a morte il re, che è decapitato il 30 gennaio 49. Per la prima volta nella storia d’Europa una sentenza di morte è pronunciata in nome del popolo verso un sovrano. Dittatura di Cromwell Decapitato Carlo, Cromwell epura il Parlamento degli elementi moderati; si proclama la repubblica ( Commonwealth). Le rivolte di Scozia e Irlanda vengono soffocate. Il potere effettivo non si concentra tanto nel Parlamento quanto nelle mani di Cromwell, che diventa arbitro della situazione, tanto che scioglie il Parlamento (53) e assume poteri eccezionali col titolo di “Lord Protettore della Repubblica di Inghilterra, Scozia e Irlanda”. Il suo governo sopprime i privilegi nobiliari, abolisce la Camera dei Lords, elimina gli statuti e le “libertà” particolari di città e contee per togliere intralci al commercio e promuovere il libero sviluppo delle manifatture. Inoltre il governo Cromwell stimola lo sviluppo della flotta commerciale e avvia la costruzione di una potente flotta da guerra, che protegga l’espansione commerciale inglese su tutte le rotte oceaniche. Questa politica lede gli interessi mercantili della Repubblica delle Province Unite. Infatti gli Olandesi, negli anni in cui lottavano per liberarsi dalla Spagna, hanno creato una vasta rete di traffici, stabilendo scali ed empori in India, Indocina, Africa, Americhe, e svolgendo un intenso commercio per conto terzi quasi in condizioni di monopolio, tanto da meritare il nome di “carrettieri del mare”. Per togliere loro questo lucroso primato Cromwell proclama nel 51 l’ Atto di navigazione, per cui nessuna merce inglese o destinata all’Inghilterra può essere trasportata su navi non inglesi. Colpiti nei loro interessi, gli Olandesi reagiscono. Tra il 52 e il 54 si svolge tra le due nazioni una tremenda guerra marittima (seguita poi da altre due), che termina dopo varie vicende con la sconfitta dell’Olanda, che perde il monopolio fin allora goduto nel commercio dei prodotti coloniali. Nel 54 un’alleanza col Portogallo, tornato indipendente dalla Spagna nel 40, permette alle navi inglesi anche il libero uso del porto di Lisbona. Seconda rivoluzione inglese (1688-89) Morto Oliver Cromwell (58) e successogli il figlio Richard, l’opposizione realista e quella parlamentare rialzano la testa. Richard non è all’altezza del padre, non sa far fronte alla situazione e quindi si dimette dopo pochi mesi (59). Mentre dalle province giungono notizie di agitazioni promosse dai livellatori, non è difficile nel 60 restaurare l’istituto monarchico nella persona di Carlo II Stuart (1630-85), figlio del re decapitato e anch’egli anglicano. Carlo II regna per 25 anni senza convocare il Parlamento; si accosta gradualmente alla politica di Luigi XIV e così indigna gli Inglesi. La frattura tra popolo e corona si aggrava col nuovo re Giacomo II (1633-1701), fratello di Carlo e cattolico. La minaccia di una restaurazione assolutistica e “papista” è tale che i capi del Parlamento rivolgono un accorato appello alla massima autorità della Repubblica delle Province Unite, lo statolder cioè governatore d’Olanda Guglielmo d’Orange (marito di una figlia di Giacomo II, Maria), protestante, perché intervenga a difendere le libertà religiose e politiche inglesi (88). Abbandonato da tutti, Giacomo si rifugia presso Luigi XIV, mentre il Parlamento trasferisce il trono dal ramo cattolico a quello protestante degli Stuart, riconoscendo come sovrani Maria Stuart e Guglielmo d’Orange col nome di Guglielmo III (89). Finisce così la seconda rivoluzione inglese, incruenta, passata alla storia come “gloriosa rivoluzione”. Prima dell’incoronazione i nuovi sovrani prestano un solenne giuramento, impegnandosi con la Dichiarazione dei diritti (Bill of Rights) a rispettare ogni prerogativa del

4

Parlamento e a riconoscergli piena potestà di legiferare. Nasce così la prima monarchia parlamentare della storia. Si afferma anche per la prima volta il sistema bipartitico, per cui si oppongono in civile contesa il partito conservatore ( tory) e quello liberale (whig), espressione della borghesia mercantile. Ormai nella storia inglese contano meno le case regnanti che i due partiti, tory e whig, che si alternano al potere. La restaurazione vanifica le ultime speranze dei livellatori. Si ripristina il potere della ricchezza e dell’aristocrazia; gran parte delle terre confiscate ai realisti durante la guerra civile torna ai vecchi proprietari. Assolutismo degli Hohenzollern Un altro paese destinato a un grande futuro s’affaccia alla scena politica europea: il regno di Prussia. Suo nucleo originario sono l’Elettorato del Brandeburgo e il ducato di Prussia, a cui la Pace di Westfalia aggiunge la Pomerania orientale e l’arcivescovado di Magdeburgo. Questi vasti possessi, privi però di continuità territoriale, sono retti dalla casa di Hohenzollern, nota dai tempi della Riforma protestante, quando Alberto, gran maestro dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici, ha secolarizzato i beni dell’ordine costituendo il ducato di Prussia (1525). L’ascesa della casa continua nel Seicento con Federico Guglielmo (1640-88), detto il Grande Elettore, che partecipa all’ultima fase della guerra dei Trent’anni ottenendo l’allargamento dei suoi domini. Con l’aiuto di 20.000 ugonotti fuggiti dalla Francia dopo la revoca dell’Editto di Nantes, egli avvia il cambiamento del paese da agricolo in industriale. La sua politica è continuata dal successore Federico I (1688-1713), che ottiene la promozione della Prussia da ducato a regno. Con lui Berlino entra nella storia della cultura europea, centro così fervido di vita intellettuale da meritare il nome di “Atene del Nord”. Una politica diversa attua invece Federico Guglielmo I, che gli succede nel 1713. Pur non trascurando l’amministrazione dello Stato, le finanze, l’agricoltura, l’istruzione elementare, non continua la tradizione culturale paterna ma s’impegna ad ammodernare e potenziare l’esercito, per cui passerà alla storia come “il re sergente”. Ai progressi della Prussia corrisponde il declino della Polonia. Estinta la casa degli Jagelloni (1572), la Polonia cade sotto il controllo di poche famiglie magnatizie, che contrastano ogni tentativo di politica statale, riducono il potere dei sovrani e finiscono per portare il paese alla paralisi e alla rovina. Nel Settecento la Polonia subirà tre spartizioni del proprio territorio a favore dei potenti vicini (Prussia, Russia e Austria), fino a scomparire come Stato indipendente nel 1795. Pietro I il Grande (1672-1725) Nel Sei e Settecento la tendenza a organizzare uno Stato accentrato si ha anche, con l’eccezione della Polonia, nei paesi dell’Est europeo, dove però prevale un assolutismo aristocratico-feudale, fondato non sull’alleanza tra corona e borghesia ma tra corona e ceti nobiliari della grande proprietà fondiaria. Questo assolutismo è tipico del regno di Prussia e ha piena espressione nella Russia zarista. La Russia, o Moscovia, fino a tutto il Seicento ha ben scarso peso sulle vicende europee. Dopo la caduta di Costantinopoli (1453) i prìncipi di Mosca si reputano legittimi eredi dell’Impero bizantino. Nel 1547 Ivan IV il Terribile trasforma il principato di Mosca in Impero e si fa incoronare col titolo romano di czar (Caesar). Dal 1613 la corona diviene ereditaria nella famiglia Romanov. Ma la Russia di fine Seicento è ancora un paese arretratissimo, ai margini dell’Europa. Respinta a ovest e a sud, si è espansa verso le immense pianure della Siberia, giungendo fino ai remoti confini della Cina. Rinascimento, Riforma e nascente capitalismo non l’hanno toccata.

5

In Russia il ceto borghese, spina dorsale degli Stati occidentali, è pressoché inesistente, e quasi tutto il potere economico è ancora in mano ai nobili, i boiari, padroni di vastissimi feudi, a cui sono soggetti i contadini ( mugik), che vivono in condizioni simili a quelle dei servi della gleba. Solo a fine Cinquecento lo zar oppone allo strapotere dei boiari la propria autorità, con l’aiuto della potente Chiesa ortodossa. A fine Seicento gran parte del commercio, per non parlare delle professioni liberali, è ancora in mano ad Ebrei e a stranieri: tedeschi, inglesi, scozzesi, olandesi, ugonotti esuli dalla Francia; piccola isola culturale staccata dal chiuso e arretrato mondo circostante. Le cose cambiano decisamente quando nel 1689 sale al trono Pietro I, della famiglia Romanov, noto come Pietro il Grande. Egli vuole imporre alla Russia una svolta radicale, mutarla da paese asiatico in paese europeo. Curiosissimo dei costumi e delle cultura occidentali, compie vari viaggi nei paesi d’Occidente, recandosi in incognito in Germania, Olanda, Inghilterra, Austria. Visita scuole, officine, cantieri navali, lavora persino come carpentiere in un arsenale olandese. Torna in patria con un piccolo esercito di tecnici di ogni nazionalità per trasformare la Russia da paese semibarbaro in paese civile. Ma è difficile far accettare ai boiari, al clero ortodosso, agli alti dignitari di corte, ai suoi stessi familiari un brusco mutamento di costumi e mentalità. Dopo aver represso nel sangue la rivolta degli strelzy, che formano la sua guardia del corpo (1698), Pietro piega la resistenza dei boiari e impone loro il taglio della barba, considerata in Russia segno onorifico; ripudia la zarina sua moglie e la relega in convento; fa morire sotto tortura lo zarevic Alessio, suo figlio ed erede, reo di avversare le novità paterne. Quindi procede con le riforme. Costruisce una burocrazia, un apparato amministrativo e fiscale, scuole, accademie scientifiche, un esercito, una flotta. Scioglie l’assemblea dei boiari ( Duma) e la sostituisce con un piccolo Senato di 9 membri, ligio ai voleri del sovrano; destituisce il patriarca della Chiesa ortodossa e al suo posto nomina un Santo Sinodo sorvegliato da un procuratore dello zar (1721). Per evidenziare il trapasso dalla vecchia alla nuova Russia decide di abbandonare Mosca e stabilirsi a Pietroburgo (“città di Pietro”), nuova città da lui fondata sul Baltico nel 1703 che diventa capitale nel 12. Ma le riforme non mutano la struttura sociale del paese: i boiari conservano potere economico e privilegi, i contadini restano in gran parte servi della gleba. Egemonia russa sul Baltico Trasferire la capitale da Mosca a Pietroburgo è un’aperta sfida alla potenza svedese, che reputa il Baltico un proprio lago. Pietro ha già affrontato gli Svedesi e il loro giovane re Carlo XII nell’ambito della “seconda guerra del Nord”, e ne è stato sbaragliato a Narva nel golfo di Finlandia (1700); ma non rinuncia ai propri progetti espansivi sul Baltico. Allora Carlo XII porta un attacco a fondo. Pietro adotta la tattica di ritirarsi all’interno del paese per attrarre il nemico nell’immensa pianura russa. Carlo si allontana dalle proprie basi e avanza attraverso regioni incendiate dagli stessi abitanti, fino a Poltava, in Ucraina. Qui un ingente numero di uomini lo affronta e ha facilmente ragione del suo esercito decimato e affamato (09). Poltava segna il crollo della potenza svedese, mentre Pietro ottiene dalle due paci di Stoccolma e di Nystadt (20 e 21) gran parte delle terre baltiche già svedesi e il predominio sul Baltico. Impero ottomano ed Europa continentale I Turchi, battuti a Lepanto (1571) desistono per quasi un secolo da altri tentativi in direzione del Mediterraneo, ma concentrano i propri sforzi verso i paesi asburgici, puntando al cuore stesso dell’Europa, Vienna. Nel 1683 un esercito turco assedia la capitale asburgica, ma è affrontato e battuto da forze austriache e polacche riunite sotto il comando del valente Giovanni Sobieski re di Polonia. La vittoria arresta definitivamente l’avanzata turca in

6

Occidente e permette agli Asburgo di recuperare le terre ungheresi e di occupare Transilvania e Croazia. Comincia il declino della potenza ottomana. - FINE...


Similar Free PDFs