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Title 2 modulo introduzione antropologia evoluzionista
Course Psicologia dello sviluppo
Institution Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma
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Corso di Laurea in Psicologia, Scienze e Tecniche psicologiche (L-24)

Corso di Antropologia culturale: Definizioni, Origini, Teorie, Esponenti principali

Università degli Studi Niccolò Cusano

Docente: Cristiana CARDINALI

Corso di Antropologia culturale MODULO II

Contenuti del corso CREDITO 2 Origini antropologia culturale ...........................................................................................3 La teoria evoluzionista.......................................................................................................4 La teoria dell’evoluzione naturale di Charles Darwin .......................................................4 L’evoluzionismo in Antropologia ....................................................................................7 Lewis Henry Morgan: l’antropologia evoluzionista in America .....................................11 I sistemi di classificazione della parentela ......................................................................12

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Corso di Antropologia culturale MODULO II

CREDITO 2

Origini dell’Antropologia culturale L’antropologia culturale viene riconosciuta come disciplina accademica e autonoma nella seconda metà dell’800, nel contesto dell’Inghilterra vittoriana (la regina Vittoria fu Imperatrice dal 1837 al 1901). La Gran Bretagna si impose come la maggiore potenza industriale, coloniale, militare e politica. Durante questo periodo la Gran Bretagna si impadronì dell’intera India, estese il proprio controllo su gran parte dell’Africa, ma anche del Medio Oriente, il Sudest asiatico e l’America meridionale. La Gran Bretagna era, allora, all’avanguardia. La percezione di una società in continua ascesa tradotta nel concetto di progresso, concretizzato dai molteplici sviluppi scientifici e tecnici della rivoluzione industriale; la crescente fiducia nelle potenzialità del mondo capitalistico; le numerose espansioni territoriali che vedevano L’Inghilterra la prima potenza mondiale; un evidente sviluppo materiale e il crescente miglioramento delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione europea rinforzarono l’immagine di un cammino univoco e cumulativo come modalità per conoscere e comprendere le società. L’ideologia del progresso divenne, nella seconda metà dell’Ottocento, maggioritaria ed egemonica e questo fu decisivo in quanto andò ad investire tutti gli ambiti della società e anche quello della ricerca scientifica, predisposta a una lettura in termini di evoluzione basata su leggi naturali dei diversi campi fenomenici. Già nel 1859, la pubblicazione de L’origine della specie di C. Darwin aveva veicolato in maniera decisiva un ideale evoluzionistico in formazione, che trovò la sua massima espressione all’interno della biologia, ma più tardi anche in tutti gli altri campi del sapere.

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La teoria evoluzionista Nel corso del XIX secolo, la teoria dell’evoluzione delle specie conobbe una notevole diffusione in vari ambiti di studio, tanto che la maggior parte degli uomini di scienza cercarono di dimostrare che i fatti osservati o riferiti si integravano nelle grandi sequenze evolutive che essi avevano precedentemente costruito. Possiamo definire il modo di procedere degli evoluzionisti come «ipotetico-deduttivo», piuttosto che «induttivo», e si può parlare di una vera e propria teoria evoluzionista che mira a delineare la storia dell’umanità e le differenze che dividono le società del pianeta, e a scoprire il ruolo delle varie istituzioni all’interno delle società. Prima di analizzare il contributo degli antropologi alla teoria evoluzionista, è necessario prima soffermarsi su colui che per primo formulò la teoria dell’evoluzione delle specie, ovvero Charles Darwin.

La teoria dell’evoluzione naturale di Charles Darwin Darwin nacque a Shrewsbury nel 1809 in una famiglia di brillanti intellettuali. Sin dall’infanzia, Darwin si dimostrò un collezionista appassionato e la sua passione si rafforza a Cambridge grazie all’aiuto del professor John Stevens Henslow, grazie al quale Darwin riesce a partire per una spedizione scientifica in America latina, a bordo dell’ormai celebre Beagle. Durante questo viaggio di cinque anni (1831-1836), di cui ci ha lasciato il racconto e che sarà determinante per la sua carriera scientifica, Darwin si rivela un eccellente osservatore, capace di stabilire legami tra le sue osservazioni più disparate. Sulle isole Galapagos ritrova specie animali che esistono sul continente sudamericano ma, cosa straordinaria per il giovane Darwin, si differenziano dalle specie continentali per alcuni dettagli. Ad esempio le iguane del continente sudamericano si differenziano da quelle dell’arcipelago: sul continente, le iguane salgono sugli alberi e si cibano di foglie; al contrario, sulle isole vulcaniche e rocciose dove la vegetazione è rada, le iguane si nutrono di alghe e resistono alle terribili onde rimanendo aggrappate alle rocce grazie a unghie straordinariamente lunghe e potenti. Le tartarughe rappresentano un caso ancor più rilevante, dal momento che alle isole Galapagos sono svariate volte più grandi rispetto a quelle del continente. Inoltre, quelle che vivevano su isole aride avevano un collo molto più lungo e una curvatura del carapace così pronunciata

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da permettere al collo di sollevarsi quasi in verticale, per poter raggiungere la vegetazione là dove si trovava, cioè sui rami dei cactus e degli alberi. Prima di Darwin la maggior parte dei biologi considerava le specie naturali come raggruppamenti fissi ed eterni creati da Dio e ogni singola specie di piante e animali possedeva le stesse caratteristiche della coppia originaria (opinione fissista o creazionista). Darwin compie una vera e propria rivoluzione, rimettendo in discussione l’idea della creazione divina e affermando che alcune specie non sono affatto fisse dal momento che possono nascere da altre specie per poi evolversi e mutare nel tempo. Darwin era, quindi, convinto che ogni specie naturale non fosse fissa e che, anzi, potesse trasformarsi in un’altra specie. Idee simili erano già state formulate dallo scozzese Charles Lyell (1797-1875), il quale aveva avanzato l’ipotesi che i processi che lavorano nella trasformazione della crosta terrestre erano di natura identica a quelli che, operando nel passato avevano modellato l’attuale superficie del globo. In Francia Jean-Baptiste De Lamarck (1744-1829) affermò, inoltre, che le specie possono subire delle trasformazioni: esse progrediscono e diventano sempre più complesse. Quindi, secondo lui, tutta la natura sarebbe in cammino verso qualcosa di meglio. Darwin si colloca con i suoi lavori nella stessa linea di pensiero e prosegue la sua riflessione dal 1837 al 1859, quando pubblica L’origine delle specie, uno dei libri più celebri della storia dell’umanità. Dopo aver condotto le sue osservazioni empiriche sulle «variazioni» tra le specie, Darwin si chiese in che modo queste specie siano in grado di trasformarsi ed evolversi. Darwin, per elaborare la sua teoria sull’evoluzionismo, prese spunto dal libro di Robert Malthus, Saggio sul principio di popolazione (1798). Qui Malthus enuncia il principio generale secondo il quale gli organismi viventi producono più «discendenti» di quanti ne possano sopravvivere, quindi tra gli esseri viventi vi sarebbe una tendenza a riprodursi più di quanto non lo permetta la quantità di nutrimento a loro disposizione. Eppure, nonostante la grande capacità riproduttiva degli esseri viventi, le popolazioni adulte tendono a rimanere stabili, generazione dopo generazione. Infatti: Nel regno vegetale e nel regno animale la natura ha profuso con mano generosa i germi della vita, ma è stata relativamente parsimoniosa nel fornire lo spazio e il nutrimento necessari al

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loro sviluppo. La scarsità di spazio e di nutrimento nei due regni costringe alla morte ciò che nasce oltre i limiti previsti per ogni specie. Le specie vegetali e animali si contraggono sotto questa grande legge restrittiva» [Malthus 1977, 14].

Il principio elaborato da Malthus ispirò anche un altro naturalista inglese, Alfred Russell Wallace, il quale scoprì contemporaneamente a Darwin il principio della selezione naturale che spiega il «come» della trasformazione delle specie. Ma con L’origine delle specie, fu proprio Darwin a donare sistematicità a questa teoria. Per Darwin, la teoria dell’evoluzione consiste in un processo attraverso il quale gli organismi che sono capaci di sopravvivere e di riprodursi in un dato ambiente riescono a farlo a spese di altri organismi che sono privi di tale capacità. L’ambiente, sia esso sociale o naturale, muta senza sosta, per cui spetta agli organismi viventi il compito di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente, per questo motivo per sopravvivere essi hanno bisogno di determinate qualità che consentano loro di adattarsi alle nuove condizioni. Gli organismi che sono ben adattati potranno sopravvivere e, nel corso delle generazioni, quella che era una qualità particolare diverrà la caratteristica propria dell’intero gruppo. Con l’espressione «the survival of the fittest» (la sopravvivenza del più adatto), Darwin intende sottolineare che, a sopravvivere attraverso le generazioni, saranno le creature che resisteranno ai cambiamenti esterni, solo i più adatti e quelli meglio adattati sopravvivranno. In ogni stagione e in ogni periodo della vita, ogni organismo vivente deve battersi per sopravvivere e solo i più vigorosi, i più forti e quelli che si saranno meglio adattati sopravvivranno a questa lotta. L’evoluzione va intesa quindi come il cambiamento transgenerazionale che si produce nel momento in cui le forme organiche si adattano ai cambiamenti del loro ambiente. Una conseguenza diretta di questo processo è il fatto che le nuove specie saranno, sempre e in ogni caso, migliori delle forme vecchie e che il processo di evoluzione non porta le specie a raggiungere un maggiore grado di complessità (dalle forme più semplici emergono forme complesse), ma rappresenta anche un progresso, un miglioramento che punta alla perfezione. L’universo si evolve in continuazione e insieme all’ambiente anche le specie si trasformano, evolvendosi in forme sempre meglio adattate che puntano perfezione, dal momento che ogni tappa rappresenta un progresso rispetto a quelle che l’hanno preceduta. Queste osservazioni ci portano a definire l’evoluzionismo come una teoria, non solo del progresso, ma anche dell’ineluttabilità del progresso. 6

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Finora abbiamo fatto riferimento all’evoluzione delle specie animali e vegetali ma Darwin, sempre all’interno de L’origine della specie, espose le sue posizioni riguardo l’evoluzione umana sostenendo che neanche l’uomo sfugge al meccanismo dell’evoluzione. Il ritrovamento delle ossa dell’uomo di Neanderthal e la scoperta dell’uomo di Cro-Magnon nel 1868 avvalorarono ancora di più le convinzioni di Darwin circa l’evoluzione umana, tanto che lo studioso arrivò ad affermare che l’uomo potesse discendere da un mammifero villoso, provvisto di coda e orecchie a punta che probabilmente viveva sugli alberi e abitava il Vecchio Mondo. Anche se, secondo Darwin, esiste una differenza enorme tra l’intelligenza dell’uomo più selvaggio e quella dell’animale più elevato, sentimenti, intuizioni, emozioni e altre facoltà come la memoria, la curiosità, l’attenzione, etc., possono essere osservati allo stato embrionale negli animali e sono soggetti ad miglioramento ereditario, come dimostrato dal confronto tra il cane domestico e il lupo. Quindi anche lo sviluppo delle qualità morali superiori, per esempio l’altruismo, è ugualmente partito da una base selettiva ed ereditaria. Con queste affermazioni Darwin sostenne l’esistenza di una qualche gradazione tra le civiltà e gettò le basi per una concezione evoluzionista delle diverse culture, o di quelle che all’epoca si chiamavano «razze». In seguito saranno soprattutto i successori di Darwin, e in particolare gli antropologi, ad avventurarsi in questa direzione.

L’evoluzionismo in Antropologia Questa importante rivoluzione scientifica, in termini di evoluzione, invase in breve tempo tutte le discipline. Da lì a poco, furono molti gli studiosi che, nel tentativo di individuare e ricostruire degli schemi evolutivi, si preoccuparono di sistemare i popoli e le istituzioni sociali del mondo in sequenze evolutive e di individuare l’origine di quelle stesse istituzioni. Seguendo la prospettiva evoluzionista, infatti, questi studiosi affermarono che, a partire da un’origine semplice, ogni istituzione sia andata gradualmente complessificandosi attraverso il passaggio in vari stadi. Dal momento che l’evoluzione è un progresso, un miglioramento, le forme più avanzate di un’istituzione andavano considerate come superiori alle forme più primitive. È evidente, a questo punto, che si è compiuto un vero e proprio ribaltamento ideologico

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rispetto alla tradizione filosofica: il teorico evoluzionista afferma che la società vittoriana era la più avanzata mentre i teorici illuministi sostenevano che ad essere migliore fosse il selvaggio, considerato fondamentalmente buono. L’idea secondo la quale anche le istituzioni sociali vadano incontro al progresso, indusse i teorici dell’evoluzionismo a ritenere le società occidentali come le più evolute e, di conseguenza, superiori alle altre. Inoltre, dal momento che le istituzioni sociali avevano conosciuto una medesima evoluzione, le istituzioni degli Europei erano le forme più avanzate. Secondo gli antropologi evoluzionisti le società umane doveva passare attraverso le stesse fasi, secondo un cammino uguale per tutti perché tracciato da un’unica legge evolutiva, percorso che ciascun gruppo, però, compie in tempi diversi (più o meno velocemente): questo è il motivo per cui si riscontrano così tante differenze fra le società e le culture umane. Di questo identico percorso che va dal semplice al complesso, i gruppi meno evoluti rappresentano una testimonianza dei primi stadi evolutivi, in sostanza di come era un tempo la nostra stessa società. Sono, in altri termini, “sopravvivenze” delle fasi pregresse dell’evoluzione di tutta l’umanità. Così, la famiglia nucleare, il cristianesimo, la monogamia, la proprietà privata e la democrazia parlamentare, ma anche i criteri morali dell’epoca, erano considerati come le forme più evolute di famiglia, religione, matrimonio, proprietà, organizzazione politica e di valori morali. Poiché le istituzioni più avanzate del tempo si trovavano in Europa, si deduce logicamente che i primi uomini avessero conosciuto istituzioni inverse, ossia la promiscuità sessuale, il politeismo, la poligamia, l’assenza di proprietà e una sorta di anarchia. Si arrivò inevitabilmente a distinguere popoli superiori dai popoli inferiori. Tornando al discorso sulle istituzioni, possiamo affermare che l’antropologia in quanto disciplina autonoma sia nata proprio a partire dalle preoccupazioni tipiche dell’epoca circa le origini delle istituzioni. In effetti, fino a quel momento le scoperte archeologiche avevano fornito un’idea della cultura materiale degli uomini primitivi, quindi sul tipo di alimentazione, sullo sviluppo delle arti e delle tecniche, sui vari tipi di armi utilizzate, ma non avevano fornito informazioni esaurienti sulle istituzioni sociali in quanto si erano disinteressate della famiglia, dei gruppi sociali e dell’organizzazione politica. Fu a questo punto che si avvertì forte la necessità di colmare quei «vuoti» presenti nelle sequenze di sviluppo delle istituzioni sociali cercando di scoprire i riti, le istituzioni politiche e familiari

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dei nostri antenati. Ma in che modo era possibile tutto ciò? Gli studiosi pensarono che, per conoscere i nostri antenati e l’origine delle nostre istituzioni, bastava studiare gli esempi viventi di società primitive, dal momento che esistevano ancora a quell’epoca molte società che somigliavano alle società paleolitiche. Fu così che l’evoluzionismo riuscì a suscitare un nuovo interesse per lo studio delle società primitive, percepite come testimoni dell’umanità nascente. Oltre al concetto di progresso, anche quello di sopravvivenza può essere associato al discorso sull’evoluzione delle istituzioni sociali. Le «sopravvivenze» sono istituzioni, costumi o idee tipiche di un dato periodo le quali, per la forza dell’abitudine, sono sopravvissute in uno stadio più avanzato della civiltà e possono, dunque, essere considerate come prove o testimonianze degli stadi anteriori. In questo modo, gli antropologi evoluzionisti utilizzano queste «sopravvivenze» così come i paleontologi utilizzano i fossili, cioè per riprodurre sequenze di sviluppo. Riassumendo, lo scopo degli antropologi evoluzionisti è quello di rintracciare le origini delle istituzioni moderne considerate come il punto di arrivo del progresso umano e di individuare e definire gli stadi attraverso i quali si evolvono tutti i gruppi umani e le istituzioni sociali da loro create. Secondo la prospettiva evoluzionista lo sviluppo dell’umanità si è compiuto in un’unica direzione in quanto il percorso dell’umanità è determinato dal passaggio dal semplice al complesso, dall’irrazionale al razionale. Bisogna però sottolineare che la teoria evoluzionista, basandosi su un «giudizio di valore», arriva a considerare inferiori tutti popoli che si collocano al fondo della scala dell’umanità. Allo stesso tempo però gli evoluzionisti credono che tutti i popoli, compresi quelli considerati inferiori, possano evolversi e raggiungere uno stadio avanzato. Questa convinzione sarà successivamente invocata dai difensori del colonialismo, che vi vedranno la possibilità per i popoli inferiori di accedere rapidamente agli stadi superiori della civiltà. Alla luce di quanto detto, è evidente come lo scopo degli antropologi vittoriani non fosse quello di studiare questa o quella cultura in particolare, ma piuttosto quello di abbracciare la totalità della cultura umana. Per questo motivo essi possono essere considerati dei veri e propri «antropologi». Per condurre i loro studi essi utilizzeranno un metodo essenzialmente «comparativo», ovvero paragoneranno tra loro le varie istituzioni, ponendo l’accento sulle somiglianze piuttosto che sulle differenze.

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Il metodo comparativo è il pilastro delle ricostruzioni degli antropologi evoluzionisti, perché, confrontando sistematicamente i vari ambiti delle società, è possibile fissare il posto di ciascuna nella scala gerarchica in base al grado di sviluppo manifestato. Gli antropologi evoluzionisti furono quelli che, ricorsero ad un utilizzo esplicito e massiccio della comparazione. Un uso per molti versi criticabile a causa della tendenza che essi mostrarono a decontestualizzare i dati etnografici e a piegarli al loro progetto conoscitivo. I primi studiosi di antropologia, definiti anche “antropologi da tavolino”, basarono, infatti, le loro teorie su dati o materiali raccolti da missionari, viaggiatori, esploratori o figure che entravano in contatto con l’alterità culturale, ma che non erano spinte da progetti di ricerca scientifica.

La comparazione è l'elemento centrale del metodo antropologico

Bisogna, però, sottolineare che i primi antropologi evoluzionisti non devono essere considerati discepoli di Darwin, poiché le loro opere sono state pubblicate più o meno contemporaneamente a L’origine delle specie. Sembra, anzi, che Edward Tylor abbia esercitato una certa influenza sullo stesso Darwin. A partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento si delinearono quattro filoni del pensiero

evoluzionista

in

antropologia: evoluzionismo

unilineare,

universale,

multilineare, più il neodarwinismo. L’evoluzionismo unilineare, in particolare, è quella prospettiva di studi antropologici secondo la...


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