9. L\'ispettore generale, Serena Prina PDF

Title 9. L\'ispettore generale, Serena Prina
Author Giulia Saletti
Course Letteratura russa II
Institution Università degli Studi Roma Tre
Pages 2
File Size 125.8 KB
File Type PDF
Total Downloads 30
Total Views 115

Summary

Rissunto analisi di S. Prina sull'opera di Gogol, per esame di Letteratura russa II (prof.ssa L.Piccolo)...


Description

“L’ispettore generale” (N. Gogol) INTRODUZIONE di Serena Prina: “Il teatro di Gogol” La produzione teatrale di Gogol fu realizzata in un arco di tempo molto breve, tra il 1832 e il 1836, anche se successivamente lo scrittore continuò a rielaborare i testi maggiori fino all’inserimento dell’edizione delle Opere del 1842. Si concentrò il suo interesse per il genere, e la commedia fu la forma ideale per l’espressione di una comicità senza pari nella storia del teatro russo. L’interesse di Gogol per il teatro si radica nella sua infanzia (il padre era un drammaturgo dilettante). Il primo accenno alla stesura di un’opera teatrale è contenuto in una lettera del 1832: “(…) questa commedia non mi voleva uscire dalla mente, ma fino a questo momento non ho ancora scritto nulla (…), ma all’improvviso mi sono bloccato, quando ho visto che la penna andava a toccare certi punti che la censura non avrebbe lasciato passare per nulla al mondo”. Di questa prima opera, dal titolo “Un Vladimir”, ci son rimasti alcuni frammenti sparsi e una traccia di trama: il protagonista, il funzionario pietroburghese Barsukov, sogna di ricevere l’ordine di San Vladimir. Oltre al legame evidente con il racconto “Le memorie di un pazzo”, questo ci introduce in una precisa dimensione del teatro gogoliano, quella del non-evento posto al centro della trama, intorno al quale ruota l’azione scenica: un matrimonio che non verrà celebrato, un ispettore generale che non è mai arrivato, un facile guadagno al gioco che non verrà incassato. Un aneddoto, quindi, che potrebbe esaurirsi in una banale comicità da farsa, ma che invece in Gogol si dilata fino ad assumere dimensioni metafisiche, dove il comico prevale, ma dove comunque si intravede l’essenza tragica della visione gogoliana del mondo. I formalisti avrebbero detto “la messa a nudo dell’artificio”, in quanto mai, nel suo teatro, Gogol tenta di rendere credibile l’equivoco centrale. Partiamo dalla particolare concezione dello spazio in Gogol, dalla necessità di creare una dimensione spaziale chiusa all’interno della quale far agire i suoi personaggi: il microcosmo è per lui essenziale (nel titolo di una delle sue più celebri raccolte di racconti, Mirgorod, è sintetizzata questa idea di fondo dell’universo gogoliano: Mir= mondo, Gorod=città), e lo è in forma duplice: da un lato dal punto di vista universale, in quanto espressione di una difesa estrema dell’individuo da un “esterno” incontrollato e distruttivo, e dell’altro dal punto di vista storico-sociale, legato alla realtà russa della prima metà dell’800. L’emblema di questa concezione dello spazio è il cerchio magico all’interno del quale si rifugia il filosofo Chuma Brut, protagonista del racconto “Vij” (terzo racconto di Mirgorod), per proteggersi dai mostri venuti a prenderlo. Così la cittadina dell’”Ispettore generale” diventa un luogo mentale, dal quale “non si raggiunge nessuno stato straniero nemmeno se si cavalca per tre anni”; Podkolesin si trova intrappolato in una stanza-prigione e la locanda sarà la dimensione chiusa dei Giocatori. In questo spazio delimitato arriva dall’esterno una carrozzella con a bordo un signore e il suo servo, incipit per eccellenza della scrittura gogoliana: da Mirgorod (la raccolta si apre con l’arrivo dell’autore nell’universo dei “Proprietari di vecchio stampo” e si chiude con l’allontanarsi dello stesso nella “Storia del litigio dei due Ivan”) alle Anime morte, la carrozzella, nella sua forma di trojka, dà davvero il là alla narrazione, e la conclude: tra un arrivo e una partenza si racchiude la trama, e il finale è sempre aperto. Indubbiamente, il viaggio era un motivo dominante dell’esistenza di Gogol, che ne aveva fatto la ragione stessa della propria esistenza. Tra il 1836 e il 1848 nella sua biografia troviamo un impressionante elenco di luoghi visitati, ma tra i quali, ad eccezione di Roma, è impossibile individuare una vera e propria meta. La frenesia del movimento tramutò quindi i luoghi geografici i elementi di una geografia interiore e diventò l’espressione di un’inquietudine profonda (interluoghi). Certo, il viaggio dei personaggi gogoliani è anche un viaggio nella realtà grottesca della Russia di Nicola I, questi personaggi sono rozzi e volgari burocrati, che portano le caratteristiche peggiori del genere umano: ma riescono a eludere il rischio della caricatura, e per quel che riguarda il teatro, della farsa. Tra l’arrivo e la partenza sulla scena gogoliana dominano la paura (L’ispettore generale), l’angoscia (Il matrimonio) e la noia (I giocatori). L’ispettore generale è considerata la commedia incentrata sul gusto per la rappresentazione che caratterizza tutta la produzione di Gogol. Il protagonista Chlestakov si lascia trascinare dal piacere della menzogna e si abbandona alle fantasia più sfrenate: trentacinquemila corrieri sfrecciano per le vie di Pietroburgo alla sua ricerca, gli ambasciatori delle potenze europee giocano a carte con lui e gli si spalancano dinnanzi le porte del palazzo dell’imperatore. Fino a quel momento, nel teatro europeo, il primato dell’arte della manipolazione attraverso la rappresentazione di una realtà immaginaria spettava allo Iago di Shakespeare: ed ecco che Otello fa capolino nel bel mezzo del IV atto, con un

effetto comico dirompente. Maria Antonovna non capisce le parole di Chlestakov, in quanto qui si parla di qualcosa che appartiene a un’altra donna, in un’altra opera. Ma, al di là della componente comica, nell’Ispettore generale tutti hanno paura: il podestà, i burocrati della città, lo stesso Chlestakov. È una paura viscerale, legata a ragioni pratiche di sopravvivenza, ma è anche una paura metafisica, legata a ragioni esistenziali più profonde. La superficie comicogrottesca si lacera e lascia intravedere il sostrato tragico che la sostiene, il terrore di passare su questa terra senza lasciare una traccia. E non a caso Gogol la affida a un personaggio che non ha quasi nemmeno diritto allo status di individuo, Dobcinskij, che si agita frenetico per il palcoscenico con gli occhi sbarrati e la battuta sempre troncata a metà. Si introduce così nella commedia un altro motivo molto importante per Gogol, ovvero quello della discendenza. Secondo il procedimento tipico del teatro gogoliano, è proprio attraverso il personaggio che maggiormente esprime la comicità pura che si insinua nel testo l’elemento tragico, e toccherà a Dobcinskij chiedere a Chlestakov di legittimare la nascita del suo primogenito, generato al di fuori del matrimonio. La maggior parte degli eroi gogoliani è senza figli (o ha figli che non sono suoi); l’unico che all’inizio del racconto è il fiero padre di due giovani cosacchi, Taras Bulba, alla fine li perderà entrambi. L’idea della progenie diventa ossessione e persino Cicikon nelle Anime Morte arriva a pensare amaramente, dopo essere scampato a un tentativo di linciaggio, “sarei scomparso come una bollicina sull’acqua, senza lasciare traccia, senza discendenti (…)”. I figli sognati sono cloni il cui destino non è vivere vite autonome e piene, ama essere la testimonianza tangibile che il padre è stato, è che di lui su questa terra è rimasto un segno. L’ansia dell’accoppiamento e della riproduzione pervade ovviamente “Il matrimonio”, con il suo corollario di orrore del femminile sessuato, e che culmina nella raffigurazione della bellissima fanciulla del racconto “Vij” (Mirgorod), tramutata in un cadavere che si erge al cospetto del protagonista. Agafja Tichonovna è certamente molto diversa dalla strega del vij: è quella che viene definita una “donna belloccia”; matura zitella, Agafja Tichonovna vive con stupore e voracità l’esperienza del desiderio e nel suo vaneggiare l’uomo ideale mette ancora una volta in crisi l’identità dell’individuo. Si insiste molto sui nasi in questa commedia sul matrimoio, che rimanda all’omonimo racconto grottesco “Il naso” (Racconti di Pietroburgo), dove il protagonista maggior Kovalev, che tra i suoi progetti include anche un possibile matrimonio, si sveglia un mattino privo del naso, che fa la sua comparsa nel racconto in forma umana, nei panni di un Consigliere di Stato. Nel racconto, il parallelismo tra l’organo olfattivo e quello riproduttivo maschile è immediato: ma nel racconto le tensioni legate alla castrazione si stemperano nell’atmosfera surreale e nella componente onirica che pervade il testo; nella commedia esplodono invece nella fuga del promesso sposo attraverso un’uscita irrituale. Il mostro che occhieggia dietro la superficie puramente comica dei Giocatori è invece quello forse più temuto dallo scrittore: la noia. Inaspettatamente echeggia la parola skuka (=noia), termine chiave nell’universo di Gogol, che non a caso aveva concluso la sua principale raccolta di racconti (Racconti di Pietroburgo) con la celebre frase “Che noia a questo mondo, signori!”. La noia era il senso di un vuoto spirituale avvertito in tutta la sua devastante pesantezza, era la percezione dell’insensatezza dell’esistenza, e nei finali delle tre commedie la noia vive il suo trionfo. Si torna infatti all’inizio, tutto è cambiato, nulla è avvenuto e nulla avverrà mai. Per opporsi a questo senso del vuoto Gogol aveva colmato la pagina di ogni possibile invenzione narrativa, retorica e lessicale. Le sue pagine si erano popolate di dettagli minimi, apparentemente realistici, di personaggi colti nell’atto di voltarsi per strada al passaggio di una carrozza, di bimbi nati, cresciuti e diventati adulti nello spazio di una riga (si pensi alla fulminea comparsa e uscita di scena del figlio del locandiere Vlas, nell’Ispettore generale)....


Similar Free PDFs