A perdita d\'occhio - Riassunto Scienze dell\'Educazione PDF

Title A perdita d\'occhio - Riassunto Scienze dell\'Educazione
Author Elisabetta Auguadro
Course Scienze dell'Educazione
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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Summary

bello...


Description

A perdita d’occhio I rischi di uno sguardo che non si presenti al proprio guardare sono quelli non solo della perdita del proprio interlocutore ma della possibilità stessa di avere presentimenti di sé, di sentirsi di fronte a sé come soggetto che interpella e chiama, insieme a quello dell’altro, il SENSO di sé. Imparare a guardare è difficile e sarà la sfida di un rischio inattuale, controcorrente. Di fronte a un poter vedere che conosce le più avanzate forme di fedeltà visiva, di riproducibilità dell’osservazione, controllo, precisione e al cospetto di una società non più solo dello spettacolo ma della visibilità stessa, tornare a vedere nel SEGNO del silenzio si configura come una proposta rischiosa, rischiante. Ma il pensiero dello sguardo e la sua pregnanza relazionale non possono non interrogarsi sull’etica del guardare e sulle possibilità di una pratica e di una filosofia educativa che si rivolga al SAPER GUARDARE. Non intravedere un' immediata possibilità di poter spendere i contenuti del sapere in modo utile e vantaggioso è uno degli ostacoli che incontra ci apprende, ora. Lo sguardo che si muove per AMORE DEL SAPERE non cerca strade per arrivare a verità, ma percorre sentieri di innamoramento e meraviglia. Il dominio conoscitivo e UTILITARISTICO impedisce alle cose di manifestarsi secondo la loro VOCE. La voce delle cose è nello spazio intermedio in cui lo sguardo e le cose si incontrano per CO-NASCERE insieme. E per poter nascere nello sguardo, dobbiamo imparare che esiste una zona d’ombra (di buio o silenzio) da cui noi e altri proveniamo e di cui conserviamo sentimenti e ricordi che continueranno ad affacciarsi a noi. La CECITA’ dello sguardo sarà allora l’infanzia del linguaggio, quell’imparare a conoscere e riconoscere i luoghi e i modi dei nostri innamoramenti con le cose e con gli altri. Non si sa cosa accada in un luogo tanto intimo come quello interno del vedere. Lo sguardo è un incontro di movimenti. Quel che produce nasce da dinamismi che si sfiorano, si penetrano, si sfuggono, si fissano e si cercano. E’ dalla collaborazione di tali forza che lo guardo conasce con le cose. Quando CONOSCERE diviene frutto della propria capacità di guardare sarà possibile accedere nuovamente a quello spazio vasto in cui il mondo era INFANTE senza limiti, senza nomi e perciò dotato di infinite possibilità. I miti, come le immagini, fanno riaccadere non l’evento, ma la sua POSSIBILITA’ di poter essere esperienza di MERAVIGLIA. La meraviglia non è in se oggetto di conoscenza. E’ la sua possibilità di esser riprodotta che è fonte inesauribile di sapere e di piacere insieme. La direzione intensa dello sguardo di stupore è immaginabile in quei momenti in cui le cose accadono PER LA PRIMA VOLTA. pensiamo al FUOCO che nasce da un’invisibilità olimpica e da un’invisibilità della materia. Avere tra le mani una pietra focaia che per un altro elemento di mondo può produr scintilla è come poter far accadere l’invisibile, attraverso un gesto che METTE AL MONDO perché connette parti già esistenti. Chi ha accesso a tale tipo di transito, tra NON ANCORA e ADESSO, è il poeta: colui che fa, che agisce, che sfrega le parole come pietre focaie, che connette mondi per farne corpo che sente e significato lontano. Il mondo, guardato, acquista un corpo ma al contempo il mondo era già da prima qualcosa che mi attraversava, di cui già sentivo la presenza. In questo orizzonte gestuale dello sguardo, il soggetto che ne deriva vive in relazione.

Quel luogo intimo che sparisce alla vista, può farsi strumento di un unisono attraverso il recupero di quel corpo che sente, che ha un punto di vista e di esperienza e che trova dimora nelle parole del mondo. Perché percepisce che le immagini sparse e itineranti di fuori sono distribuite in quei luoghi profondi che abbiamo dentro di noi e non sappiamo ancora. La paura di PERDERSI attraverso gli sguardi rappresenta un timore profondo ma perché gli spazi interni possano risuonare e aprirsi lo sguardo richiama apprendimento per portarsi su una postura poetica inattuale e si-lente che farà riacquistare VOCE POETICA AGLI OCCHI. Lo smarrimento sarà il primo passo per riappaesarsi e riposarsi nella possibilità di dire e raccontare quanto conoscere significhi PARTECIPARE. E’ interessante che per render più appetibile un libro si dica che è il più letto. Quasi che lo sguardo, proprio o di altri, agisca come una pelle che ci può toccare o che ci anticipa permettendoci piacere, la presenza dell'altro. E’ come se lo sguardo attivasse possibilità di contatto che mettono in circolo esperienze che non sono e non possono essere solo le nostre. Hanno un passato una comunanza. La prospettiva di una PEDAGOGIA DEL SENSO SOSPESO intende proprio permettere lo sguardo di riposare e di riposarsi di prestare orecchio a nuove eventualità di esperienza . Il nostro sguardo potrà inoltrarsi nella sua opzione poetica di farsi racconto, divenire visionario, di produrre un silenzio che si vede e si sente attraverso le parole, di percorrere miraggi per rendere inedito anche il pensiero più visto. Le cose più vicine, alla luce del vederle altrimenti o non vederle più, faranno diventare l'ovvio una vera e propria categoria filosofica di stupore e meraviglia. educare lo sguardo significa permettere di sperimentare quanto esso sia un evento poetico e creativo: stupore e meraviglia si dischiudono con le cose declinandosi in una direzione, in un atteggiamento di garbo e in gesti di delicatezza. Ma perché lo sguardo apprenda dall'ovvio, occorre l'esercizio di un'attenzione OTTUSA: aperta cioè a una visione ampia di ciò che sfugge alla presa e che richiede di spostarsi, di sporgersi. Inoltrandosi in quelle zone di opacità che rendono l'orizzonte in-stabile e in continua trasformazione. Interroghiamo il film: "Lo sguardo di Ulisse" d Angelòpoulos. Il protagonista della pellicola è un regista, che compie un viaggio di ritorno in Grecia, alla ricerca di tre pelli-cole girate dai fratelli Manakis andate perse all'inizio del XX secolo. Il film mostra un andamento che invita lo sguardo stesso dello spettatore a divenire contemplativo. Il film non mostra l'orrore jugoslavo, i conflitti bellici entreranno nello spazio del visibile attraverso poesie per gli occhi questo ci appare attraverso i giorni in cui nel paese manifesta la nebbia: non possiamo vedere possiamo ascoltare, intuire, immaginare. Il protagonista vive la ricerca delle tre pellicole che hanno tenuto a battesimo lo sguardo della Grecia, come una possibilità di futuro: senza quei fotogrammi pare impossibile la sua stessa esistenza come uomo e come artista. Nella fine c’è l’inizio. Il protagonista riavvolge la storia: “Quando tornerò avrò vestiti di un altro uomo, il nome di un altro uomo. Se mi guarderai, incredula dirai: “tu non sei lui”, ed io ti mostrerò i segni e tu mi crederai. Ti parlerò degli alberi nel giardino, dell'angolo della finestra che rimane alla luce della luna e dei segni del corpo e dei segni dell'amore. Quando andremo tremanti nella

nostra stanza, tra parole d'amore, io ti racconterò il viaggio per tutta la notte. E nelle notti successive, tra un abbraccio e quello dopo, tra le parole d'amore, la storia di tutta l'umanità, la storia che non ha mai fine.” il raccontare ricapitola la fine, riprende l'inizio. Le prime immagini della Grecia torneranno a uno sguardo incredulo, che non le riconoscerà se non per segni se non per appartenenze. Il riconoscimento avverrà nella possibilità del racconto stesso. La trama si tesse intorno alla mancanza che è anche l'origine della ricerca che spinge al viaggio. Ulisse viaggia e cerca. Lo fa anche nel poema di Pascoli, " l'ultimo viaggio" qui che si incontrerà sarà però denso di disillusione e silenzio. Silenzio che troverà sostanza nella voce negata delle sirene. Nell'approdo finale è senza vita sull'isola di Calipso. La domanda di disvelamento di Ulisse rimane senza risposta. Le sirene non cantano, Calipso nasconde. Nello sguardo di Ulisse che cerca, la risposta non si dà a vedere. Analizziamo i film di W. Wenders, Lisbon Story: E’ ambientato a Lisbona, il protagonista è un regista Friedrich, che per ritrovare il sapore del Cinema, voleva rappresentare la città nella sua totalità urbana, nel suo essere corpo vibrante. Ma la sua immagine incontra e si scontra con i limiti dello schermo della telecamera la sua vita, che è la sua possibilità di essere vista e vissuta, non si fa rinchiudere nelle inquadrature. Che di-ritto ha la CULTURA DELLA SOGGETTIVITA’ di impadronirsi, con il proprio punto di vista, con la tecno-logia, col proprio linguaggio, e con la propria tradizione cinematografica, di un luogo che è e potrebbe rima-nere oltre i confini dell'esperienza? la risposta è nella nebbia di Angelòpoulos, è nel silenzio delle sirene di Pascoli, le parole del fonico di Lisbon Story. Il viaggio. La storia per mare, spezza le certezze immutabili della terra, bagna e asciuga il corpo come fa con il pensiero. Confonde le frontiere del senso, libera l'immaginare, fa ritrovare allo sguardo non solo il movimento, ma la ricerca che è desiderio. Tra mito ed epica, che diventano di riferimento per il dinamismo narrativo che le attraversa i cui effetti si fan-no sentire nel senso profondo dell'avventura, di esistenza e di libertà che lo sguardo permette e promette, troviamo Ulisse ed Edipo. Se in Edipo sapere e vedere si fondono mostrando il lato oscuro è il punto cieco del conoscere, in Ulisse accadde qualcosa di più complesso allargando la visione fino a comprendere l'autore stesso dell'Odissea, Omero. Cogliendo come allegorici il valore simbolico dei due principali tratti attribuiti tradizionalmente a Omero: la vecchiaia e la cecità. I due poemi venivano raccontati a voce da aedi o cantori. Dovevano ricordare a memoria vicende e passaggi del racconto, scene e discorsi, ambientazioni ed emozioni. Momenti di oralità riconducibili sia alla tradizione dei cantori sia alla trasmissione culturale e pedagogica delle opere stesse. i bambini imparavano a memoria i testi del ciclo e epico per apprendere norme di carattere valoriale, ovvero relazionale ed etico. Il confluire di più voci nel testo omerico non toglie affatto autorialità all'ipotesi di un unico redattore ma a corrobora il senso di un'opera che viene riconosciuta come fondante per la cultura occidentale in quanto ne è l'espressione: il racconto omerico, è parola viva, corpo vibrante del parlare e come tale ha sempre a che fare con la parola altrui.

La questione della paternità , la " questione omerica" è un po' fuori posto: chi parla di qualcosa non ho mai prescindere da quel che altri hanno detto su quello stesso argomento. Chi parla non lo fa come fosse il primo uomo al mondo. Lo fa in un universo popolato di Eco, di risonanze a cui inevitabilmente si connette. E’ a partire dalle Muse che si fonda la polifonia e il dialogismo che permettono alle voci di moltiplicarsi e alla parola dimostrare quanto sia già stata detta e all'immagine quanto sia già stata vista. Le Muse sono invocate, sono chiamate, ma tacciono. Pensano, conoscono, meditano. Hanno un nome che connette insieme racconto, il -mythos- e il chiudere gli occhi, il tacere, il -mueo-. Omero trasforma ciò che la musa vede in un racconto udibile, visibile. La musa vede con oggettività e con memoria: quindi quel che canta e dice è storia vera, nei minimi dettagli. Il canto poetico suscita la visione. Quel che Omero non ha visto deve trovare supporto mnemonico: un racconto realistico perchè popolato da elementi udibili e visibili. Il tramite e il traduttore di un tale ricco universo è uno scrittore cieco: è uno scrittore che non ha visto ciò che racconta, ma che lo ha ascoltato, lo ha immaginato. Il suo sguardo rimane celato, nascosto nella storia. Si tratta di uno sguardo ogni volta possibile, sempre e ancora muto e silenzioso. Uno sguardo velato. lo sguardo velato, richiama l'introduzione alla vista e alla conoscenza dei misteri. Il momento di silenzio imposto alla vista da un velo permette l'inizio di una nuova visione, così come accade quando ci vengono chiusi gli oc - chi da qualcuno che vuole mostrarci una sorpresa. La cecità di Omero trattiene anche noi sulla soglia del visibile dell'udibile, mostrandoci la possibilità del farsi della storia insieme alla possibilità dell'esperienza della meraviglia e del pensiero. Nell'Iliade Omero aveva chiesto alla Musa di cantare dell'ira funesta di Achille. Nell Odissea, invece, dell'uomo multiforme. Ulisse attraversa un poema la cui metafora sembra proprio essere la cecità e le sue diverse forme. Dello sguardo di Ulisse possiamo cogliere l'itineranza, lo sporgersi sul rischio dell'ulteriorità. Ulisse conosce perché va incontro, si avvicina assaggia, ascolta, osserva, tocca. Percorriamo uno di questi avvicinamenti per esplorare gli aspetti che connettono la simbolica della cecità con quella della conoscenza, della cultura e del rapporto con il diverso. E’ il caso dell'incontro di Ulisse e il Ciclo-pe. Ulisse e i suoi compagni giunti nell'isola dei Ciclopi, si addentrano nell'antro di Polifemo e vengono sorpresi dal mostro. Ulisse chiede ospitalità in nome di Zeus, ma Polifemo non si cura delle leggi divine e in tutta risposta uccide e divora due compagni di Ulisse. Ulisse i suoi compagni preparano un tronco d'ulivo, arroventandone la punta, e al ritorno di Polifemo gli offrono del vino particolarmente forte. Lui ne beve in maniera smoderata e loro lo accecano conficcandogli, con torsioni e decisione, il bastone nell'occhio. Questo occhio gigante, terribile per il suo potere di controllo, spaventa ora non per capacità visive, ma per il RUMORE. "Cigola e frigge". L'indomani Ulisse e i suoi, scapperanno dall'antro nascondendosi sotto le pecore, per evi-tare di essere intercettati dal gigante che le tasta a una a una sul dorso per controllare che Ulisse e i suoi non gli sfuggano.

Ulisse giunto alla nave, svela a Polifemo il suo vero nome: verso di lui si leverà la maledizione del Ciclope che invoca Poseidone perchè l'eroe di Itaca non ritorni in patria se non dopo aver perso tutti i compagni al prezzo di infinite sofferenze. Questa è la trama ma a livello meta-visivo accade di più. Accade che Ulisse approdi sull'isola dei Ciclopi con una previsione, con informazioni precostituite: prima ancora di aver incontrato Polifemo, Ulisse illustra la sua personalità con preconcetti e prenarrazioni. dice tutto quello che sa, prima ancora di conoscere. Anche Polifemo possedeva una precomprensione di Ulisse: gli era stato profetizzato da Telemo, che sarebbe stato accecato da Ulisse, e che la cecità sarebbe arrivata con il vino. Ma Polifemo non vede Ulisse, vede un uomo che si nasconde e rende invisibile il proprio nome. Questa è la prima azione di acciecamento che Ulisse compie contro Polifemo. La seconda avviene quando Ulisse e i suoi compagni si nascondono sotto il ventre degli arieti, e li sottraggono a Polifemo. L'astuzia di Ulisse e il suo modo di agire sulla natura del Ciclope appaiono come strumenti del portare o non portare a visibilità. Tali strumenti si esplicitano nell'abilità dialettica di Ulisse, ovvero nella sua proprietà linguistica di nominazione o non nominazione. La grossolana e grottesca immagine di un mostro che grida che Nessuno lo sta accecando, ha l'effetto di portare il nostro sguardo in scena e di osservare lo scambio tra il guardare di Ulisse e il guardare. Ulisse viaggiatore del pensiero, parla con le stesse parole i contenuti del pensiero. La sua voce ha il segno della multiformità. Polifemo non solo ha un occhio circolare e unico, Ma è letteralmente " molte parole" o "parole dette ad alta voce". La sua voce ha il segno della quantità e dell'esorbitante. Lo sguardo di Polifemo non riconosce in Ulisse la propria personale previsione di sventura. E lo sguardo di Ulisse non conosce altro, in Polifemo, se non quel che si aspettava. Nel chiamare a gran voce nessuno, noi sentiamo che la cecità è la principale protagonista di quel che si sta compiendo nella grotta. Omero è cieco ma ci fa vedere benissimo perchè rende il concetto e il suo dato più invisibile e impalpabile, azione. Polifemo beve in grandi quantità e indistintamente il vino è meros, puro non è diluito. Polifemo è sregolatezza, il suo sguardo è immediatezza, non incontra norme nè ordine. Ulisse acceca Polifemo nel momento in cui è nello spazio più privato dello sguardo, quello onirico, quello del sonno in cui ciascuno abita il proprio mondo. Omero ci ha portati nel suo mondo di cecità, e lì possiamo imparare la Paideia dell'attenzione: la impara Polifemo che, abbandonato al suo dolore e alla sua solitudine, apprende dove dirigere la propria rabbia. Quando Ulisse gli urlerà della nave il proprio nome, Il Ciclope misurerà la forza indirizzando un enorme mas-so verso l'imbarcazione dei Troiani. Questo arriverà alla nave creando un'onda che riconduce Ulisse al punto di partenza. Subito ripartiranno e quando si troveranno a distanza maggiore Ulisse urlerà ancora il proprio nome. Polifemo misurerà la distanza con una proiezione stavolta non sufficiente e anzi il suo gesto darà slancio ai remi dei nemici, portandoli lontano.

Per imparare a vedere altrimenti bisogna imparare a rendere lo sguardo obliquo, capace di far entrare in campo il soggetto e insieme la sua prospettiva. La fiducia è uno sguardo iconico, è la fiducia in un Ulisse vedente e insieme viaggiante. Il suo punto di vista è portato dalla cecità di Omero, a spostarsi, a riposizionarsi, ad at-traversare culture e a incontrare mondi. Il tipo di pensiero che Ulisse mette in opera nel rapporto con il gigante non attiene solo al logos, quindi al pensiero lineare. Il sapere di Ulisse muove i passi di Metis, una divinità femminile, generatrice di Atena: la Metis è capacità di sguardo alternativo, di diversa visione, di soluzione altra. E’ quella che permette la nascita di modalità collaborative, di stratagemmi e astuzie. Lo abbiamo visto nei diversi incipit di Iliade e Odissea: nel primo si dà avvio a un canto della forma e della forza, nel secondo si entra nell'intelligenza umana e nelle sue forme eventuali, nelle sue pluralità di manifestazione. L'evento dello sguardo di Ulisse è evento che permette l'ontologia del presente in quanto racchiude in se' quel che Metis permette, ovvero la dialettica di diversi sguardi → retrospettivo, introspettivo, eterospettivo, prospettivo. Entrambi i loro sguardi hanno esercitato una “contemplazione monarchica”. Entrambi i loro gesti si sono mossi verso la padronanza dello spazio, del senso e della carne dell’altro, colpendo il nemico nelle sue più grandi fragilità: la misura minore del corpo che non poteva fuggire (di Ulisse) e la dismisura delle abitudini, che ha condotto a un sonno profondo e vulnerabile Polifemo. L'andirivieni tra stare e andare compone le mosse di un soggetto plurale che grazie alla propria natura imprevedibile e cangiante, che sa adattare lo sguardo a ciò che incontra, racchiude in sé la possibilità di tenere insieme il diverso. Ulisse apprende dallo sguardo: la sua è una pratica del saper vedere. Coglie il richiamo di ciò che si mostra, attraverso un'evidenza eccedente. Questa può avere le forme della bellezza o le fattezze della mostruosità, di ciò che richiede operosità dello sguardo per essere colto. Ciò che attrae lo sguardo di Ulisse è l'oltrepassamento, il vedere altrimenti. Quando egli sente raccontare la propria storia presso l'isola dei Feaci, si commuove e sente che la propria soggettività non è un'idea metafisica, ma è l'esito dei rapporti che ne costruiscono il ritratto. In quel momento si SENTE (raccontato).

Ulisse sa anche che le Sirene potrebbero raccontargli vicende a lui note. L'arrivo all'isola delle creature misteriose è preceduto da un silenzio irreale: tutto sembra fermarsi, anche il vento nelle vele. Tutto è preludio di ascolto. Per non perdersi nel territorio in cui avrebbero condotto le loro voci, Ulisse chiude con la cera le orecchie dei suoi compagni e si fa legare all'albero della nave, incatenando, il desiderio eventuale di perdersi, ma non quello di inoltrarsi in quel canto. Rispetto alle Sirene, l'attesa di Ulisse non è di contenuto, quanto di piacere. Egli conosce già gli argomenti di cui parleranno. Così come sapeva già le proprie vicende narrate dai Feaci. Il piacere della conoscenza non deriva dalla soddisfazione di una curiosità in quanto tale, ma dalla partecipazione al su...


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