Alfieri PDF

Title Alfieri
Author Margherita Martino
Course Italiano
Institution Liceo (Italia)
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Summary

Vittorio AlfieriVita Vittorio Alfieri nacque ad Asti da una famiglia di ricca nobiltà terriera, il 16 gennaio 1749. Nel 1758 entrò nella Reale Accademia di Torino e ne uscì nel 1766. La particolare situazione familiare (dopo la morte del padre, la madre aveva sposato in terze nozze Giacinto Alfieri ...


Description

Vittorio Alfieri Vita Vittorio Alfieri nacque ad Asti da una famiglia di ricca nobiltà terriera, il 16 gennaio 1749. Nel 1758 entrò nella Reale Accademia di Torino e ne uscì nel 1766. La particolare situazione familiare (dopo la morte del padre, la madre aveva sposato in terze nozze Giacinto Alfieri di Magliano), la severa educazione militare e gli obblighi imposti ai giovani nobili del Regno di Sardegna, lo resero intollerante verso le convenzioni sociali, le gerarchie militari e l'assolutismo monarchico. Uscito dall'Accademia, tra il 1766 e il '67 Alfieri iniziò una serie di viaggi in Italia e in Europa, ispirati più da un'«insofferenza dello stare» che dal desiderio di istruirsi. Lontano dall'attività politica e militare, nel 1772 decise di interessarsi al mondo teatrale e letterario. Formatosi secondo i codici culturali del Regno di Sardegna, utilizzò il francese per scrivere le sue prime opere: l'Esquisse du jugement universel (1773) e il Journal (1775). Nel 1775 scrisse e mise in scena la tragedia Antonio e Cleopatra. Gli anni tra il 1775 e il '77 furono fondamentali per la sua scelta letteraria e per l'elaborazione del suo pensiero politico: nel 1777 scrisse «d'un fiato» il trattato Della tirannide, decise di liberarsi della lingua francese e di «spiemontizzarsi», tanto che nel 1778 donò alla sorella tutto il suo patrimonio in cambio di un vitalizio. Cominciò a intraprendere uno studio serrato dei classici italiani e latini e si trasferì a Firenze dove si legò alla contessa d'Albany. In questo periodo lavorò alle tragedie Filippo, Antigone, Polinice, Agamennone e Oreste. Nel 1780 si trasferì a Roma dove cominciò a comporre il Saul. Nel 1783 fece stampare i primi due volumi delle Tragedie. Dal 1785 si stabilì in Alsazia, a Colmar, alternando a questa residenza lunghi soggiorni parigini. Da qui fino al 1792 svolse un intenso lavoro, curando la stesura e l'edizione di varie opere: il trattato Del principe e delle lettere (1789), il poema l'Etruria vendicata (1786), le Rime (1789). Tra il 1787 e il 1789 pubblicò la nuova edizione delle Tragedie e nel 1790 ultimò laVita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso, pubblicata postuma nel 1804. Dopo aver dedicato a Luigi XVI il Panegirico di Plinio a Traiano, fu presente durante le prime fasi della Rivoluzione francese e scrisse l'ode Parigi sbastigliato. Gli ultimi anni della sua vita soggiornò a Firenze studiando il greco e portando a termine la stesura di opere minori come il Misogallo e le Commedie. Morì l'8 ottobre 1803. Ideologia socio-politica -E' un personaggio in pieno contrasto con la generazione precedente, di cui non condivide i valori (illuministici, come l'orgoglio per le scoperte scientifiche e il freddo razionalismo), poiché afferma che tali caratteristiche limitino il “forte sentire”, la violenza emotiva e passionale che costituisce l'essere, soffocando il fervore dell'immaginazione da cui si origina la poesia e non permettendo di vivere a pieno il fascino dell'ignoto che avvolge i temi più profondi dell'essere; questa, inoltre, non può essere sottoposta a controllo razionale, non può legarsi alla misura: l'esaltazione per la dismisura e un'assoluta passionalità sono dunque centrali nella poetica alfieriana. A. rifiuta programmaticamente un sistema valoriale borghese (pragmatico, utilitaristico e razionale) votato solo all'arricchimento capitalistico, opponendovi una visione aristocratica che vede in questa smania per l'accrescimento economico una primaria fonte di corruzione globale che ridurrà quantitativamente il numero di individui capaci di provare forti ideali/passioni. -Anche politicamente egli è erede e distruttore/rinnovatore degli ideali dei lumi (Montesquieu. Voltaire e Rousseau): prova avversione per la tirannide ed è cultore della libertà, ma possiede allo stesso tempo uno sfrenato individualismo ed egocentrismo che lo porteranno ad essere costantemente in contrasto e solitudine rispetto al suo contesto (il Piemonte sabaudo, assolutista e paternalista, ed è per questo che egli fugge per l'Europa, ma ogni volta deve scappare dall'assolutismo monarchico), cosa che accoglierà come privilegio spirituale e superiorità. Definiamo l'individualismo alfieriano come aristocratico, in quanto egli non accoglie, a seguito del rovesciamento della tirannide, un assetto socio-politico borghese verso cui è fortemente critico (v.s.), come non condensa in una fattuale progettazione politica la sua polemica (non vi oppone, dunque, un possibile modello governativo), in quanto ogni forma di potere risulta essere iniqua ed oppressiva; più che una critica ad una specifica forma di governo (a cui si potrebbe porre rimedio con un'alternativa politica) egli porta avanti una guerra al potere in senso astratto e amorfo, in cui si

scontrano sue entità mitiche e fantastiche: bisogno di affermazione dell'io e percezione di forze oscure che ostacolano la prima. Analogamente astratto è il concetto di libertà, in quanto esso non si identifica nel raggiungimento di un determinato assetto sociale; questo perchè A. abbraccia le rivoluzioni al loro primo vagito insurrezionale che distrugge il vecchio assetto, ma poi le ripudia con sdegnosa disillusione quando si arriva alla “pars costruens” del processo rivoluzionario; pensiamo alle quattro odi L'America libera, in cui si esalta un presunta causa motrice del conflitto legata ad un amore per la libertà, a cui si oppone una quinta ode in cui si rende conto del fatto che tutto fosse nato da ragioni materiali (dazi britannici per le colonie), o anche alla Parigi sbastigliata con cui saluta lo spirito antitirannico francese e la presa della Bastiglia, poi rinnegata quando si accorge che la nuova tirannide borghese non propone altro che una falsa libertà, una nuova e maggiormente infame tirannide. -Si delinea così il titanismo alfieriano, una struggente necessità di libertà e grandezza in conflitto con ciò che a ciò si oppone: egli ha un ideale di grandezza eroica sovrumana che lo pone in conflitto con un realtà politico-sociale mediocre da cui si sente fieramente estraneo ed isolato, rifugiandosi in un mondo ideale esasperatamente soggettivo che non si sposa con la cultura razionalistica e sensistica illuminista, ma con quella romantica; in tale aspirazione troviamo una sconfitta in nuce e consapevolezza pessimistica della miseria ed insufficienza umana. Titanismo e pessimismo sono due opposti complementari: dalla necessità di valicare il limite umano nasce il senso di sconfitta ed impotenza derivante dalla coscienza di impossibilità di portare a compimento la propria aspirazione. Da tale ideologia derivano i grandi eroi tragici come il Saul. Opere politiche -Della tirannide breve trattato in cui inizialmente si tenta di definire il concetto di tirannide e la si identifica con ogni tipo di monarchia ove non si rispetta il principio di legalità ed il sovrano è al di sopra delle leggi. Il dispotismo illuminato e riformatore è il peggiore di tutti poiché nasconde la brutalità del potere: preferibile è una monarchia estrema e brutale da cui scaturisce l'insurrezione violenta popolare da cui origina la libertà. Si passano poi in rassegna le basi del suddetto potere: nobiltà, docile strumento, casta militare, opprimente il popolo e la ribellione, e la casta sacerdotale che educa alla cieca obbedienza. Per atomizzarsi dalla massa ridotta in schiavitù l'uomo libero deve ritirarsi dalla vita sociale, compiere un suicidio eroico o uccidere il tiranno. In tale discorso giganteggiano due soggetti: tiranno e uomo libero, simili nell'essere caratterizzati dal titanismo; deduciamo, dunque, una segreta ammirazione di A. anche per il tiranno, nella sua statura superumana di uomo libero. Tale opera è achme della radicale e rivoluzionaria riflessione politica alfieriana, condensata in uno scritto nonostante vi sia la consapevolezza dei tristi tempi che negano ad A. possibilità d'azione. E' per questo che la scrittura diventa triste ripiego determinato dall'impossibilità di agire, attività superiore. -Del principe e delle lettere sono tre libri incentrati sul rapporto poeta-potere assoluto, in cui si inverte il paradigma di Della tirannide e si proclama lo scrivere come attività suprema. Il poeta incarna l'assoluta indipendenza sottraendosi a qualsivoglia funzione sociale per dedicarsi esclusivamente alla poesia, suprema realizzazione dell'essenza umana in quanto nelle lettere si manifesta la dignità eroica dell'uomo; all'azione si preferisce adesso un atteggiamento contemplativo proprio dell'intellettuale umanista separato dalla realtà che si realizza solo nel suo microcosmo fatto di otium letterario; lo slancio rivoluzionario giovanile si è ormai consunto. Alcuni temi giovanili vengono poi completamente rivoluzionati: se nel Della tirannide ci si scaglia contro la nobiltà, qui se ne esalta la naturale superiorità e la loro missione di evangelizzazione di libertà e virtù, e la religione è rivalutata e proclamata come fonte ispiratrice di magnanimità ed alto sentire. -Misogallo è un'opera che mescola prosa e versi e fa derivare il suo titolo dal greco misèin (odiare), a cui unisce l'aggettivo “gallo” che vuol dire francese; chiaramente l'opera si concentra sull'odio per la Rivoluzione, principi illuministici e spirito borghese: A. difende la casta nobiliare e i suoi privilegi (come il diritto di proprietà), oltre che la sua superiorità sociale. Il turbamento dell'ordine sociale ed economico è avversato, così come l'ordinaria distribuzione del potere: solo i nobili devono gestirlo e avere pieni diritti politici, la tirannide monarchica è dunque preferibile rispetto a quella plebeo-borghese (per questo si esaltano le vittorie della coalizione antifrancese). L'odio per la

tirannide francese accresce il patriottismo alfieriano: egli spera che l'Italia risorga “virtuosa magnanima libera ed una”, dopo che con individualismo e sete di libertà si sia rovesciata l'egemonia della nazione rivoluzionaria. L'opera è dunque rilevante poiché vi si delinea l'idea di nazione. La poetica tragica -E' quasi un esercizio ascetico per A., una catarsi da una vita inquieta e vuota, dominata da noia e scontentezza poiché protesa verso l'ignoto, dato che tradizionalmente in essa sin presentano figure umane eroiche in maniera sublime, capaci di incarnare il titanismo alfieriano e le aspirazioni represse dell'autore stesso. La tragedia non era riuscita a farsi spazio nella cultura italiana, essendo un genere sublime e maggiormente difficile; ciò rappresentava una sfida per A. che vi vedeva l'opportunità di affermazione dell'io e acquisizione di gloria. Anche in questo caso egli è polemico verso la tragedia classica francese, ritenuta prolissa e caratterizzata da un eccessivo patetismo sentimentale, troppo ricca di artifici romanzeschi nell'intreccio, monotona e cantilenante per la rima baciata. Mentre per A. la poesia deve nascere da uno slancio passionale e un contenuto sentimentale ardentemente vissuto che deve rispecchiarsi nel meccanismo tragico.che procede dinamico verso la catastrofe senza mai concedersi un'inutile prolissità ed elementi superflui che provocano un crollo verticale dell'interesse. Così come vi devono essere solo personaggi principali entro cui si dispiega il conflitto tragico. Lo stile, diametralmente opposto a quello francese, deve essere anch'esso rapido, conciso ed essenziale per esprimere il calore passionale del nucleo drammatico; perciò vi è prevalenza di parole monosillabiche e un rifiuto per l'andamento cantilenante, a cui si oppone uno stile duro, aspro e antimusicale con continue variazioni di ritmo date da pause, fratture, inversioni nella costruzione sintattica ed enjambements, oltre che dalle parole monosillabiche. -Al contempo A. mostra ossequio verso la forma classica e le norme tradizionali, rispettando l'unitarietà di tempo (non si supera l'arco temporale delle 24h), luogo e spazio aristotelica, così da placare il turbamento interiore del poeta con ordine e disciplina, attuando una catarsi, e risponderealle necessità di una struttura tragica tesa, rapida ed incalzante. Questa necessità di disciplina si riflette anche nel modus operandi alfieriano; nella Vita spiega come la stesura di una tragedia si articoli in tre fasi “respiri”: ideare (soggetto della tragedia, distribuzione schematica dell'azione, definizione dei personaggi, tutto lasciandosi condizionare dall'entusiasmo dell'intuizione e il tumulto di pensieri e di affetti suscitato dal tema), stendere (scrivere integralmente i dialoghi in prosa obbedendo all'impeto denza condizionamenti), verseggiare -ripetuto più volte per effettuare un labor limae- (trasporre in versi, endecasillabi sciolti, verso tragico per eccellenza, e selezionare la materia con riposato intelletto). Vediamo che nel processo creativo si passa dall'impeto irrazionale al disciplinamento rigoroso di tutto. Da un lato A. è erede della dottrina platonica che vede la creazione poetica come frutto dell'entusiasmòs irrazionale, dall'altro della tradizione aristotelico-oraziana del classicismo che vuole che la poesia sia frutto del controllo razionale dell'ispirazione. -Elitaria come quella oraziana è la destinazione dell'arte: egli non fece recitare di norma le sue opere nei teatri pubblici, ma in rappresentazioni private, tra una ristretta cerchia di amici aristocratici, poiché egli rifiutava il frivolo e volgare teatro contemporaneo, gli incapaci ad interpretare i suoi eroi attori e il pubblico mediocre ed insensibile alle sue grandi tematiche. Un teatro degno, per A. può vivere solo in un regime libero, con un popolo libero con nobili virtù civili come quello grecoromano, non in una realtà invilita ed indegna. Perciò egli si rivolge ad un teatro futuro di un'Italia nazione rinata in cui vi sia autenticità nella socialità e predominanza di virtù pubbliche, in cui il teatro potrà svolgere un'alta funzione civile. Gli uomini dovranno perciò essere liberi, forti, generosi, virtuosi, insoffernti alla violenza, patrioti, consapevoli dei propri diritti, retti, magnanimi ed appassionati. Saul è una tragedia rappresentante la figura di un eroe nuovo, abnorme poiché intimamente lacerato tra due opposte passioni e dal cuore perplesso; è un eroe maledetto su cui grava il peso della colpa che lo atomizza dal mondo degli uomini e lo porterà ad una sconfitta totale, dato che con orgoglio luciferino, tensione al titanismo e all'individualismo, egli valica i limiti imposti da Dio all'uomo e lo sfida portandolo alla collera e macchiandosi di ybris. Saul è l'eroe che incarna l'inquietudine preromantica, con il suo titanismo e la sua ribellione all'ordine metafisico del cosmo. Il conflitto con

il trascendente rappresenta una novità per la tradizione tragica alfieriana, sempre centrata sull'immanente e sullo scontro individuo-volontà, ma anche una condicio sine qua non per il meccanismo targico. Ciò non vuol dire che A., figlio dei lumi, abbia un sentire religioso autentico: la religiosità è sentita solo soggettivamente da Saul, il quale crede di essersi meritato la phtonos ton theon e per questo cade in uno stato di profondo turbamento; tuttavia il conflitto sta nell'intimo di Saul, Dio è la proiezione del suo animo e della sua psiche, del suo senso di colpa derivante dal titanismo e dalla distruzione da lui seminata nel campo di Israele che si trasforma in coscienza della finitudine umana, senso di caducità e sfiducia. Il Saul è quindi la condensazione della crisi dell'individualismo eroico e titanismo alfieriano, conseguente alla scoperta del limite umano. Un'altra nota moderna dell'opera sta nell'interiorizzazione del conflitto tragico (tradizionalmente invece vi era il conflitto eroe-forze esterne): tutto si svolge nel perimetro della psiche dell'eroe, tanto che la tragedia stessa è imperniata sull'indagine di questo cono d'ombra fatta di pulsioni contrastanti, in cui si vive una crisi identitaria ed una scissione dell'Io (tanto che nella prima scena del secondo atto Saul stesso dichiara di vivere una vita orribile). Il titanismo/tensione superumana è quindi fiaccata da senso di impotenza, manie, sospetti ed incubi. Il tratto in analisi è manifesto nel rapporto con David, altro tema dominante dopo lo scontro con Dio: Saul non entra in rotta di collisione con il David reale, ossequioso, ma con un David immaginario creato dalla sua psiche e che lo assilla; abbiamo una scissione di David: il David reale eroe esemplare (per lealtà, coraggio e religiosità), e il David costruito dalla follia del re, antagonista del titanismo e proiezione anch'esso dell'anima di Saul, come Dio; tra questi due personaggi vi è uno stretto legame: David è il mezzo attraverso cui Dio mostra la phtonos ton theon a Saul, concedendogli il trono. Ma David non è che il Saul giovane in armonia con Dio e non internamente lacerato, per questo il re prova verso lui amore (per la sua intrinseca positività) ed odio (perchè è ciò che lui non potrà mai più essere, quindi una minaccia). Tutto è dunque una lotta con l'Io. La tragedia si configura come un monologo, i dialoghi non sono altro che discorsi del re con se stesso: gli altri personaggi sono proiezioni delle sue manie; tuttavia ciò non vuol dire che il Saul sia un testo lirico, in quanto non vi è solo conflitto individuale, ma conflitto tra forze diverse. “Alfieri trae il soggetto del dramma dalla Bibbia, dalla storia della morte del re Saul nella guerra contro i Filistei.Saul è il re scelto da Dio per salvare Israele, per mano del profeta Samuele. Ma presto si ribella al volere di Dio, compiendo diversi atti empi, peccando di superbia. Il nuovo campione di Israele scelto da Dio è David, un giovane pastore, cosa che suscita la gelosia di Saul. I sentimenti del re verso il giovane sono ambigui, da una parte invidia e gelosia, dall'altra ammirazione. Inoltre David stringe amicizia con il figlio del sovrano, Gionata e diventa sposo della figlia, Micol. Lo sfondo della tragedia è la guerra tra Israele e i Filistei, presso i quali David è costretto a rifugiarsi. David durante la guerra torna in Israele per aiutare il suo popolo, nonostante il rischio di essere ucciso da Saul. Il sovrano infatti desidera mettere a morte il giovane, ma dopo un colloquio con lui si convince ad affidargli il comando dell'esercito.La comparsa di un sacerdote che annuncia l'incoronazione di David e la condanna di Saul da parte di Dio, porta l'empio sovrano al delirio. Il sacerdote viene fatto uccidere e David è costretto a fuggire nuovamente. Saul in un incubo terribile prevede la sua morte e la sconfitta del suo esercito. Il figlio Gionata viene ucciso nella battaglia, i Filistei vincono. Infine Saul, ritrovata la lucidità, rimpiangendo di aver cacciato David e comprendendo la realtà dei fatti, decide di uccidersi”. Mirra E' una tragedia ispirata dal mito greco che si dispiega in un ambiente familiare-borghese; essa è distante dalla tematica politico-eroica alfieriana e tratta una materia psicologica scabrosa, ma in maniera sobria e delicata, fatta di innumerevoli allusioni a trapassi psicologici complessi; l'umanità qui dipinta è un'umanità semplice di nobiltà spirituale e debolezza che mostrano la miseria esistenziale: il conflitto è in seno alla coscienza, Mirra è dilaniata tra passione e legge morale, accettata indiscutibilmente; lo stesso conflitto interno lo abbiamo trovato nel Saul, tuttavia lì si dispiegava sempre all'interno di un campione umano eccezionale. “La Mirraè una tragedia composta nel 1784. La fonte della tragedia, a cui si rifà, Alfieri è il libro X delle Metamorfosi di Ovidio, che tratta appunto dell'amore incestuoso di Mirra per il padre Ciniro.

Mirra consumerà questo amore, anche per vendetta della dea Venere. Infine la donna, fuggita in Arabia per la vergogna, verrà trasformata in pianta, e cioè la mirra. Alfieri toglie dalla trama tutti gli elementi fantastici, mitologici e religiosi, lasciando l'amore di Mirra - che non viene consumato- sul piano dei desideri: una passione innegabile che anima la protagonista. Scelta operata probabilmente per la scabrosità della vicenda per l'epoca. Il dramma è trasferito, quindi, sulla sfera psicologica senza che venga nominata, tranne all'ultimo, la colpa che segnerà la protagonista. In questa tragedia contano molto le pause, i silenzi e i gesti. Attraverso la forza emotiva dei silenzi, l'autore riesce a svelare la passione e la catastrofe che riguardano la protagonista. Personaggio significati...


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