Vittorio Alfieri sintesi vita e opere PDF

Title Vittorio Alfieri sintesi vita e opere
Author j'adore Chanel
Course Letteratura italiana
Institution Università della Calabria
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Summary

Riassunto della vita e opera dell'autore dal testo di Giulio Ferroni....


Description

Vittorio Alfieri La vita Nacque ad Asti il 16 gennaio 1749, dalla famiglia della ricca nobiltà terriera. Sin dagli anni dell’infanzia si rivelò in lui una tendenza alla malinconia e alla solitudine, unita ad una volontà forte e caparbia. Studiò alla Reale Accademia di Torino; uscitovi compì numerosi viaggi per l’Italia e l’Europa. E’ l’Europa dell’assolutismo e nel giovane la tirannide monarchica provoca reazioni esasperatamente negative. Quasi nulla di ciò che vede gli piace, per lo più prova insofferenza, sdegno e repulsione. Ciò che affascinano sono i paesaggi desolati, orridi e selvaggi. Ritornato a Torino, conduce una vita oziosa da giovin signore, chiuso in una solitudine inerte che ingigantisce la sua scontentezza e la sua inquietudine. La depressione è accresciuta da un tristo amore, una relazione con la Marchesa Gabriella Tunetti, che è causa di dolore. Nel 1722 fonda una sorta di società letteraria. Nel 1774 inizia, sempre in francese un Journal, dove si rispecchia il momento più acuto e disperato della sua crisi. Nel 1775 avviene la sua conversione. L’anno prima aveva abbozzato una tragedia Antonio e Cleopatra, dimenticandola subito dopo. Ritornatogli in mano il manoscritto per caso, scopre la somiglianza con la propria relazione amorosa con la Turinetti, da cui scaturisce il suo avvilimento, e quella di Antonio e Cleopatra, e si rende conto di come proiettare i propri sentimenti nella poesia costituisca l’unico mezzo per trovare un superamento dei propri tormenti, una catarsi. Viene, successivamente, rappresentata a teatro la tragedia ed ebbe subito molto successo; così scorge la sua vocazione di poeta tragico. Compie altri e si innamora della contessa Albany e trova in lei il degno amore. Lo scoppio della Rivoluzione eccita il suo spirito antitirannico, ma presto gli sviluppi del processo rivoluzionario suscitano in lui riprovazione e disgusto, per quella che ritiene una falsa libertà. Muore a Firenze l’8 ottobre 1803.

I rapporti con l’illuminismo L’insofferenza verso il razionalismo scientifico Egli ripudia il culto della scienza, ha orrore per l’evidenza gelida e matematica. La filosofia del lumi mirava ad un’equilibrata regolamentazione razionale della vita passionale ed affidava alla ragione un’ineliminabile funzione di guida e direzione degli impulsi profondi. Alfieri si ribella decisamente a questo controllo razionale, innalza l’uomo al di sopra della sua stessa natura; l’orgoglio illuministico per le scoperte scientifiche, visto come inizio di un radioso futuro di progresso per l’umanità, gli è del tutto estraneo. Anche lo sviluppo economico è vesto da lui come negativamente, solo l’incentivo al moltiplicarsi di una massa di gente meschina e arida, incapace di alti ideali e forti passioni. Resta freddo all’idea della diffusione dei lumi: l’estensione della cultura gli pare inutile a mutare gli schivi in uomini liberi. La trasformazione per lui può avvenire solo grazie alle passioni, all’entusiasmo. Di conseguenza, a temi centrali dell’illuminismo come al cosmopolitismo oppone lo sdegnoso isolamento della propria individualità; al filantropismo, oppone il culto di un’umanità eroica.

Le idee politiche Individualismo alfieriano E’ l’ambiente in cui nasce che gli producono un’avversione e un’insofferenza insanabili; da questo ambiente angusto e soffocante Alfieri fugge, ma ovunque si scontra con il clima opprimente dell’assolutismo monarchico. L’odio contro la tirannide, che è il punto centrale di tutta la sua riflessione, non è la critica di una forma particolare di governo, colto nella sua specificità storica e giuridica, ma il rifiuto del potere in sé, in assoluto e in astratto, in quanto ogni forma di potere è iniqua e oppressiva, possedendo una facoltà limitata di nuocere.

La libertà astratta Anche il concetto di libertà, che egli esalta contro la tirannide, non possiedono precise connotazioni politiche, economiche giuridiche.

Titanismo e pessimismo Nel pensiero di Alfieri non si scontrano propriamente due concetti politici, tirannide e libertà, ma due libertà mitiche e fantastiche, entrambe proiezioni di forze che nascono in definitiva all’interno di Alfieri stesso: da un lato il bisogno di affermazione totale dell’io, dall’altro la percezione di forze oscure che si oppongono a questa espansione, la minano e la corrodono. Il titanismo alfieriano si delinea come un’ansia di infinita grandezza e di infinta libertà che si scontra con tutto ciò che la limita e l’ostacola: il conflitto con la realtà politica e sociale mediocre, l’estraneità al suo secolo, lo sradicamento, la solitudine sprezzante e sdegnosa, l’inquietudine, la malinconia, ma anche la volontà tesa verso un ideale di grandezza eroica quasi sovraumana. Titanismo e pessimismo sono due facce della stessa medaglia.

Le opere politiche DELLA TIRANNIDE Breve trattato Della Tirannide, steso di getto nel 1777 pervaso da un premente impeto passionale. Inizialmente Alfieri si preoccupa di definire tirannide, identificandola con ogni tipo di monarchia che ponga il sovrano al di sopra delle leggi, e conduce una critica veemente contro l’ideale settecentesco del dispotismo illuminato e riformatore: le tirannidi, a suo avviso, velano la brutalità del potere, tendono ad addormentare i popoli; quindi sono preferibili quelle estreme e oppressive perché, con i loro intollerabili abusi, suscitano il gesto eroico dell’uomo libero. Lo scrittore poi esamina le basi su cui si appoggia il potere tirannico, e le individua nella nobiltà, nella casta militare e nella casta sacerdotale. Alfieri affronta il modo di comportarsi dell’uomo libero sotto la tirannide: per non farsi contaminare dalla generale servitù, questi potrà rifarsi alla vita sociale, chiudendosi nella più totale solitudine, potrà ricorrere al gesto eroico del suicidio, oppure potrà uccidere il tiranno.

Nel discorso alfieriano si delineano due figure gigantesche, il tiranno e il liber’uomo, molto simili tra loro in quanto entrambe tese all’affermazione assoluta della loro individualità superiore, al di là e contro ogni limite; per questo oltre che nei confronti dell’uomo libero, si può cogliere una segreta ammirazione anche per il tiranno, che ,sia pure nella sua negatività, viene a incarnare l’affermazione di una volontà possente, assoluta, illimitata ed assume una statura superumana. A suo modo, anche il tiranno è uomo libero perché la sua volontà non conosce vincoli.

Il panegirico di Plinio a Traiano e Della virtù sconosciuta Nel Panegirico Alfieri vagheggia un principe che spontaneamente depongono il potere, facendo dono della libertà ai cittadini e guadagnandosi così eterna gloria. Nel dialogo Della virtù sconosciuta, dedicato alla memoria dell’amico senese Francesco Gori Gandellini, sviluppa un tema toccato nella Tirannide, la necessità per L’uomo libero, al fine di non essere contaminato dalla servitù dominante, di ritirarsi in sdegnosa solitudine. Qui però non compaiono gli atteggiamenti combattivi e infiammati che caratterizzano il trattato giovanile.

Del principe e delle lettere L’opera è costituito di tre libri e portato a termine solo nel 1786, dedicati ad esaminare il rapporto tra lo scrittore ed il potere assoluto; ora proclama la superiorità assoluta dello scrivere su ogni altra forma di attività. Il poeta incarna l’ideale di assoluta indipendenza, si sottrae ad ogni funzione sociale e si dedica esclusivamente alla poesia, che è la suprema realizzazione dell'essenza umana. Solo nelle lettere di manifesta la libertà, la dignità eroica dell'individuo. Ritiene che maggiore grandezza si richiede ad inventare e a descrivere una cosa che non a eseguirla e il poeta per cantare l'eroe, deve essere eroe egli stesso. In tal modo, Alfieri recupera la figura tradizionale dell’intellettuale. Nella Tirannide lo scrittore scagliava una violenta requisitoria contro l’aristocrazia e la casta sacerdotale considerate come pilastri del dispotismo monarchico; ora invece esalta la naturale superiorità dei nobili, la cui missione è farsi promotori di libertà e virtù e rivalutata la religione come ispiratrice di magnanimità e di alto sentire, che si manifestano nei santi, da venerare come uomini sommi e sublimi.

Alfieri e la rivoluzione francese:il Misogallo È la rivoluzione francese a precipitare la crisi ideologica di Alfieri: si ridimensionano gli astratti entusiasmi giovanili e vengono alla luce i caratteri aristocratici del suo

libertarismo. In un primo tempo aveva guardato positivamente la rivoluzione, poi si chiude in un atteggiamento di acredine esasperata, ritenendo che quei rivoluzionari borghesi contaminino con la loro bassa avidità di potere e ricchezze il purissimo ideale di libertà, e che alla libertà vera ne sostituissero una falsa. Il Misogallo è un'opera dall'impianto curioso, che mescola insieme prosa e versi. Essa esprime un odio furibondo contro la Francia, che in realtà è odio contro la Rivoluzione, contro i principi illuministici e lo spirito borghese che essa sta diffondendo in Europa. In questo atteggiamento emergono posizioni che vengono addirittura a collinare con la reazione monarchica e leggittimistica alla Rivoluzione: Alfieri difende i privilegi della casta nobiliare, soprattutto il diritto di proprietà, ribadisce il ruolo subalterno del terzo stato, respinge con sdegno ogni turbamento dell'ordine dei diritti politici e l'esercizio di potere. Quest’odio contro la Tirannide francese acuisce il suo seno patriottico e lo porta ad auspicare che proprio l’avversione contro la Francia e il suo dominio politico e culturale possa spingere il popolo italiano ad assumere una coscienza nazionale, a difendere la propria individualità e la propria libertà. L'opera assume quindi anche un carattere profetico e il poeta assume le vesti del vate di una rinascita italiana.

Le satira e le commedie L’acre polemica contro la realtà contemporanea compare anche nelle Satira, scritte in terzino tra il 1786 e 1797. Tornano certi temi della riflessione giovanile, ma rovesciati di segno. Nei Grandi il poeta riprende la polemica antiaristocratica, ma la indirizza solo su aspetti marginali, la frivolezze e l'ozio. La plebe e La sequiplebe, sono una requisitoria durissima contro la gente nuova, la borghesia emergente, a cui Alfieri non riconosce alcun diritto di non quello di restare al proprio posto e di obbedire e contro il sistema democratico e il principio di sovranità popolare. Nell’Antireligioneria il poeta difende De la religione contro la critica voltairiana, affermando la necessaria importanza della religione nella società. Nella Filantropineria condanna gli ideali umanitari dell’Illuminismo, irridendo l’egualitarismo e la pretesa di estendere i diritti umani e civili a settori infimo dell'umanità. Nel Commercio scaglia una violenta requisitoria contro lo spirito mercantile, in nome di un ideale di aristocratica magnanimità. Insomma, nelle Satira si manifesta

l'opposizione di Alfieri allo spirito del secolo, si suoi orientamenti democratici, egualitari, filantropici, pregressisti. La delusione e la crisi degli ideali si esprime ancora più radicalmente nelle sei Commedie. Qui si assiste al rovesciamento totale dell'antico ideale eroico, poiché vengono messe a nudo le autentiche motivazioni dell'animo umano. Nascono le quattro commedie politiche, L’uomo, I pochi, I troppi, L’antidoto, che sono una satira allegorica delle verie forme di governo, rispettivamente quello monarchico, quello oligarchico e quello democratico, a cui si contrappone infine L’antidoto, una forma alternativa che per Alfieri deve essere un governo misto che contemperi tutte e tre le altre forme. Tuttavia lo scrittore esclude sempre la plebe dalla vita politica e la regala ad una condizione di sudditanza, in quanto l'elaborazione delle leggi spetta esclusivamente all’aristocrazia. Nella Finestrino la satira si fa morale, ed è rivolta a denunciare la matrice autentica dell’operosità umana in tutti i settori, saggista su un campionario di umanità che comprende re, eroi, fondatori di religione, filosofi, letterati. Le commedie sono testi mediocri, che rivelano un poeta ormai stanco, chiuso in un'amara, scontrosa cupezza. Più felice è forse il Divorzio, una satira di cicisbeismo, collocata in ambienti borghesi e nella società contemporanea, che offre qualche vivace battuta comica e sarcastica, ma presenta anch'essa aspri delle altre commedie.

La poetica tragica Le ragioni della scelta tragica I principi che ispiravano il lavoro di composizione delle tragedie furono enunciati da Alfieri in vari scritti: la Risposta dell'autore, le Note, il Parere dell'autore ed infine la Vita, che è essenzialmente la storia della sua vocazione alla poesia tragica. Su questi testi si può ricostruire l’idea alfieriana della tragedia.

La struttura della tragedia alfieriana Alfieri si colloca in posizione polemica nei confronti della grande tragedia classica francese. Secondo il poeta alla base dell’ispirazione vi deve essere uno slancio passionale il calore di un contenuto sentimentale ardentemente vissuto. Il meccanismo tragico deve avere l'impronta di questo calore, senza mai essere interrotta da indugi e rallentamenti, come nelle tragedie francesi, che determinerebbero la caduta

d'interesse. Per questo vanno banditi elementi superflui e personaggi secondari non dispendabili. Lo stile deve essere rapido, conciso, essenziale capace di esprimere tutto il calore passionale del nucleo drammatico. Le battute sono brevi, veri e propri prodigi. Vuole evitare la cantilena francese e punta su uno stile duro, aspro, antimusicale. Alfieri rispetta le unità aristoteliche di tempi, luogo e azione. Ma non c'è un'adesione estrinseca alle regole. Nella Vita spiega che l'elaborazione di ogni tragedia si articola in tre momenti, tre respiri: ideare, stendere, verseggiare. La prima forse consiste nell'ideare il soggetto della tragedia; la seconda nello scrivere per intero i dialoghi in prosa; verseggiare significa stendere i dialoghi in versi, ma anche selezionare con riposato intelletto i materiali in primo tempo buttati giù con impeto. Alfieri non fece di norma recitare le sue tragedie nei teatri pubblici e le destinò solo a un pubblico di amici. Ciò nasceva da un rifiuto del rifiuto contemporaneo, ritenuto frivolo e volgare.

L’evoluzione del sistema tragico Prime tragedie: tensione eroica e pessimismo Nelle prime tragedie risalenti al 1775-77, si proietta il sogno di grandezza sovraumana, lo slancio titanico di affermazione dell’io al di là di ogni limite e ostacolo. Ma contemporaneamente, già nel primo sistema tragico, si profila lo scontro con una realtà ostile che soffoca quello slancio e si manifesta in un amaro sentimento del vivere, in una concezione pessimistica e scettica dell’uomo, che insiste sulla sua miseria, sulla sua impotenza e insufficienza. Nel Filippo, sotto le vesti del sovrano spagnolo del Cinquecento Filippo II, compare per la prima volta il mito del tiranno, quale sarà subito delineato nel trattato Della Tirannide, immagine polemica di un potere che esercita una feroce, mostruosa oppressione. Filippo è la prima incarnazione tragica dell’individualismo alfieriano, del suo bisogno di grandezza sovraumana insofferente di ogni limite. Con Polinice la scelta del mito classico libera l’ispirazione alfieriana dalle esteriori motivazioni politiche, lasciando a nudo il significato simbolico e metafisico. La successiva Antigone costituisce un ideale secondo momento della tragedia stessa. Vi viene approfondito il tema del fato come simbolo di un’assurda negatività del vivere. Antigone è la vittima predestinata e colpevole. In lei si manifesta una diversa vocazione dell’eroico, non l’individualistica affermazione di sé, ma il rifiuto sdegnoso

di una realtà che contamina, il ristabilimento attraverso la scelta della morte, della propria assoluta purezza. Nell’ Agamennone affiora invece in piena luce il motivo dell’umana debolezza. Centrale è Clitennestra, la moglie adultera di Agamennone che fa uccidere il marito dell’amante Egisto. Con il personaggio dell’eroina l’individualismo titanico di Alfieri mostra le sue crepe e si rivela come egli sia non solo il poeta dell’io eroico e il celebratore di superuomini, ma presenti un fondo di sfiduciato pessimismo. Tragedia gemella Agamennone è l’Oreste, che riprende lo stesso mito. Anche Oreste, figlio di Agamennone a cui tocca vendicare il padre, non afferma la sua libera, sicura volontà, ma è vittima di una forza interiore che lo trascina quasi inconsapevolmente al delitto e al matricidio, in un crescendo di ossessioni, incubi e deliri. Questa prima crisi dell’individualismo è superata con Virginia. L’ideologia eroica assume vesti decisamente politiche e si proietta nei personaggi di una mitizzata Roma classica. L’azione è una celebrazione della virtù romana. Con la Virginia si conclude una prima fase della produzione tragica alfieriana. Dopo si apre il periodo di sperimentazione. Con La congiura de’ Pazzi, Alfieri abbandona il mito classico, assumendo una materia moderna, rinascimentale. E’ anche una tragedia di libertà, ma, se nella Virginia la virtù dell’eroe trionfava, qui va incontro alla disfatta. Il trionfo della libertà era possibile solo nella Roma antica. Meno interessanti sono le successive Don Gorizia, Maria Stuarda e Rosmunda, di ispirazione più letteraria, che presentano intrecci complessi e un gusto per l’intrigo romanzesco. Con L’Ottavia Alfieri ritorna al mondo classico, ma si allenta la tensione eroica che era propria del primo ciclo. Compaiono nuovi temi: la debolezza umana, la pietà, la commozione. Nel Timoleone il poeta riprende nuovamente la tematica politica della libertà. Timoleone uccide il fratello tiranno di Sparta per dare la libertà alla patria. Più che due uomini, nella tragedia si scontrano due enti astratti, uno con la volontà di assoluto dominio, l’altra con quella di assoluta libertà. Con la Merope, incentrata su un’eroina infelice, Alfieri torna ai temi patetici ed elegiaci.

La crisi definitiva dell’individualismo eroico Nel Saul l’esasperato individualismo alfieriano e il vagheggiamento di una titanica, suprema grandezza eroica entrano definitivamente in crisi. Il vecchio re d’Israele, alla vigilia dello scontro con i Filistei, sente tutto il peso dell’umana insufficienza e

debolezza. Disperato Saul cerca di reagire a questo senso di sconfitta con un estremo gesto di ribellione a Dio, nella speranza di riaffermare la sua volontà titanica contro le forze che l’ostacolano, ma subito assume coscienza della vanità del tentativo e va incontro deliberatamente alla morte, vista come unica forma di liberazione dal suo tormento. Con Saul Alfieri giunge alla consapevolezza della reale miseria della condizione umana. Il titano orgoglioso scopre la sua intima debolezza, il suo destino di sconfitta; il nemico non è più al di fuori di lui, ma al suo interno. Dopo il SAUL, il poeta tace per due anni: sono anni tormentosi, di sofferenza e dolore. Nasce nel poeta la necessità di rapporti umani, di solidarietà nel dolore. Nell’Agide torna l’eroe di libertà, ma in una configurazione nuova, che non vede più sogni smisurati di potenza senza limiti, ma sublime generosità, dedizione, sacrificio di sé, non più individualistica solitudine. Anche in Sofonisba non dominano più passioni individualistiche ma amore, amicizia, reciproca solidarietà, mitezza e pietà per i vinti. Questo nuovo orientamento di fare tragedia, trova la sua massima espressione in Mirra; l’argomento è tratto dal mito classico, ma la vicenda si svolge in un interno familiare, in un’ambiente borghese. L’eroina nutre una passione incestuosa verso il padre. Questa passione la corrode e pian piano la porterà alla morte. La novità sta che al centro non c’è il titano, con la sua febbre di grandezza, ma un’umanità più semplice, in cui si rivela la miseria universale del vivere. Con Mirra il conflitto si trasferisce nel profondo della coscienza umana, tra la passione travolgente che nulla può soffocare, e la legge morale che l’eroina accetta senza residui. L’eroe non è più una figura gigantesca e monolitica, ma intimamente contrastata e perplessa. La crisi ideologica si manifesta ancora nell’ Alceste seconda, un rifacimento della tragedia di Euripide, tutti cent...


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