Analisi Libri PDF

Title Analisi Libri
Course Letteratura spagnola 
Institution Università degli Studi di Salerno
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Analisi di alcuni libri per l'esame di lett Spa 3...


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DON JUAN TENORIO – ZORRILLA (Parte della trama) : La prima parte dell’opera si svolge a Siviglia in una notte di Carnevale. Lì un anno prima Don Juan Tenorio e Don Luís Mejía scommisero su chi dei due avrebbe sedotto più donne e lì ora si incontrano per decretare il vincitore. Don Juan risulta trionfatore, ma tra le sue innumerevoli conquiste manca la figura di una novizia. Ecco una nuova scommessa: non solo Don Juan sedurrà una novizia (Doña Inés de Ulloa) ma aggiungerà a questa conquista quella della fidanzata di Don Luís, Doña Ana de Pantoja. In una sola notte Don Juan usa carisma, fortuna e spavalderia per vincere la sfida, ma di fronte alla bella Doña Inés sembra cedere per la prima volta alla forza del sentimento. Sopraggiungono Don Luís, assetato di vendetta, e Don Gonzalo, padre di Doña Inés, che profondamente offeso vuole soddisfazione. Invece di combattere, Don Juan supplica Don Gonzalo di concedergli la mano della figlia. Al suo rifiuto Don Juan li uccide entrambi e fugge abbandonando Doña Inés, ormai orfana. Trascorsi cinque anni, Don Juan ritorna a Siviglia IV - Il «Don Juan Tenorio» Col Tenorio, Zorrilla e il romanticismo spagnolo raggiunsero un particolare momento di grazia: il primo riuscendo a combinare l'abilità tecnica conseguita in quasi un decennio di attività teatrale con una disciplina e una sensibilità cui non erano estranei vari modelli barocchi e romantici; il secondo, addivenendo per la prima e unica volta a un vero sistema, in cui quasi tutti i motivi caratteristici trovano una loro composizione e funzionalità. Il Don Juan Tenorio, «drama religioso-fantástico», rappresenta una svolta nella vicenda del teatro romantico che, dopo essersi interessato per anni alla storia -sia pure con i limiti che siamo andati accennando- si volgeva nuovamente al patrimonio tradizionale di leggende filtrate nella letteratura, imboccando così, a distanza di diversi anni, la strada percorsa dai primi drammaturghi. Quella che saliva alle scene il 27 Marzo 1844 era dunque un'ennesima refundición, il cui intento di sostituirsi totalmente [216] ai modelli era esplicitamente dichiarato dall'autore. Secondo un noto racconto dello stesso Zorrilla, egli sarebbe stato indotto alla composizione del Tenorio dal felice esito di unarefundición compiuta l'anno precedente: La mejor razón la espada, elaborata sul modello de Las travesuras de Pantoja di Moreto. Era convinto dell'opportunità della nuova impresa soprattutto perché del tema del Don Giovanni esisteva soltanto «una mala refundición de Solís (leggi: Zamora) que era lo que hasta entonces se había representado bajo el título de No hay plazo que no se cumpla ni deuda que no se pague o El Convidado de piedra», che tutti gli anni si metteva in scena il giorno dei Defunti. «Mi plan -soggiunge Zorrilla- en globo, era conservar la mujer burlada de Moreto (leggi: Tirso), y hacer novicia a la hija del Comendador, a quien mi Don Juan debía sacar del convento, para que hubiese escalamiento, profanación, sacrilegio y todas las demás puntadas de semejante zurcido». (371) Di là da quella certa irritazione che sempre accompagnò Zorrilla ogni volta che, da vecchio, trattava del Don Juan Tenorio, è tuttavia evidente che il suo intento era stato quello di inserire il mito tradizionale in un contesto e in una prospettiva differenti da quelli finora in voga: ancora una volta il Siglo de Oro offriva uno spunto che l'autore ottocentesco si affrettava a raccogliere per confutarlo e ricominciare «ex novo». A tal punto Zorrilla intendeva innovare che, mentre in La mejor razón la espada, aveva seguito da vicino il testo del modello limitandosi a modifiche nella direzione di una maggiore credibilità, ora interviene con trasformazioni profonde, tanto che le opere di Tirso e di Zamora appaiono ormai lontanissime, mentre acquistano ampio spazio i temi [217] suggeriti dalla sensibilità contemporanea. Si può infatti agevolmente constatare, anche sul semplice piano della trama, come l'opera di Zorrilla, anziché riprendere la tematica dei modelli, accumuli in sé numerosi motivi che il teatro romantico spagnolo era andato elaborando attraverso un decennio. Non è certo arduo trovare antecedenti per le scene iniziali, ambientate in carnevale (La Conjuración de Venecia); per il rapimento dal convento (El Trovador);per l'episodio in cui il padre della fanciulla amata continua a negarne la mano nonostante l'umile atteggiamento del pretendente (Don Álvaro); per il motivo, di un plazo che si sta paurosamente avvicinando (e qui è superfluo fare riferimenti); per il banchetto macabro che conta esempi nei vari banchetti tragici o turbolenti (Doña María de Molina, Don

Fernando el Emplazado -in questo caso assai vicino, se si pensa che il re è colto dalla morte nel mezzo di un banchetto- El Rey Monje; oltre, naturalmente, i modelli primi di Tirso e di Zamora); per il motivo del satanismo, che abbiamo visto serpeggiare in vari drammi precedenti; per le scene ambientate nel «panteón», dei cui antecedenti già si è trattato; per i vari suoni con valore suggestivamente evocativo, di cui pure già si è fatto cenno. (372) Più ancora legano quest'opera alla produzione romantica quel clima vago e ambiguo (realmente fiabesco nonostante l'ingenuo tentativo di offrirgli una collocazione storica) che forse mai era stato raggiunto in modo così efficace nell'ultimo decennio. [218] Alla luce dunque di tanti antecedenti di motivi, di ambientazione e di tonalità dominanti, il Don Juan Tenorio potrebbe bene essere assunto come il punto di approdo del teatro romantico spagnolo; il momento in cui, come dice il Llorens, si conclude un ciclo letterario, degnamente invero, e si sgombra pertanto il terreno per esperienze di altro genere. (373) Ma il fatto nuovo, che colloca quest'opera al di sopra di tutte le altre esperienze teatrali di quegli anni, è -come si accennava all'inizio- la rigorosa funzionalità che i vari ingredienti vi assumono, sbarazzandosi da ogni forma di gratuità e di provvisorietà che li aveva spesso caratterizzati in precedenza. Al contempo, temi già profondamente sentiti e intelligentemente sfruttati trovano finalmente una loro chiara collocazione contestuale e una soluzione anche sul piano, per così dire, esistenziale. L'esempio maggiormente significativo è offerto da quel tema centrale del tempo che non solo trova infine uno sbocco nella prospettiva ottimistica che l'amore ne permetta il definitivo superamento ma che, nel corso di tutta l'opera, si combina con i temi dell'amore, della verità, del mistero, oltre che con certi tipici suoni, in uno stretto rapporto di reciprocità. Tutto il dramma è un succedersi di plazos: si apre su di una scadenza che sta spirando, opportunamente sottolineata dal rintocco delle ore; intesse le peripezie della prima parte su di un'altra scadenza, quella stabilita dalla scommessa e tragicamente troncata da un colpo di pistola; da ultimo, si conclude con l'angosciosa scadenza finale di morte, condanna o redenzione, che rintocchi funebri e musiche celesti accompagnano nelle sue varie fasi. Il plazo non è più allora un espediente ma diviene l'anima dell'opera, come già lasciava vagamente intuire il Don Álvaro, ma con maggiore assiduità e chiarezza. Anzi, secondo un certo abile gioco di rispondenze, a un plazo a lo humano, futile e peccaminosa causa dell'azione, nella prima parte, corrisponde, nella seconda, un plazo a lo divino che rappresenta il fine a cui tendono questa parte e, insieme, l'intera vicenda. Ma il tema del tempo naturalmente non si esaurisce in questi spunti, quantunque essenziali: una fitta trama di richiami tende a ricordarne la presenza allo spettatore e a sottolinearne la portata e il significato. Quando, nella scena XII del I atto, Don Juan racconta le sue gesta e descrive i cinque giorni e un'ora da lui dedicati a ciascuna delle sue settantadue conquiste annue («Uno, para enamorarlas, / otro para conseguirlas ecc.»), non è difficile avvertire, sotto il tono beffardo ed esibizionistico, la monotonia di un gesto infinitamente ripetuto e insieme un senso angoscioso del tempo, di cui Don Juan sente l'incalzare al punto da esserne indotto a bruciare le tappe e a consumare in un periodo effimero la sua avventura d'amore senza gioia. Quando, poco dopo, la nuova scommessa mette come posta la vita (DON LUIS: Pues va la vida. DON JUAN: Pues va), ci si accorge che essa supera i limiti della semplice scapestrataggine e diviene quasi il simbolo di quella perenne scommessa sulla vita, terrena e ultraterrena, in cui si identifica la concezione esistenziale di Don Juan. Come, peraltro, si avverte subito dopo, quando Don Diego, memore di Tirso ma forse più ancora del Bretón di Don Fernando el Emplazado, gli dice: [220] te perdono de Dios en el santo juicio. Cui Don Juan risponde: Largo el plazo me ponéis, richiamandosi certamente al tema tirsiano del «¿Tan largo me lo fiáis?», ma aggiungendovi subito quel suo vivo, imperterrito senso esistenziale che si esprime nelle parole:

como vivió hasta aquí vivirá siempre Don Juan. Nell'atto III, dopo la lotta affannosa col passar delle ore che aveva caratterizzato l'atto precedente, l'arrivo del protagonista, preannunziato dal «toque de las ánimas» e dalla descrizione incalzante di Brígida («Las nueve dan. / Suben..., se acercan..., señora..., / ya están aquí»), giova, nonostante il facile effettismo, a ricordare il legame di Don Juan con l'ossessivo correr del tempo. Nella seconda parte, il sentimento del tempo diviene l'essenza e la ragione stessa dei vari episodi, talvolta esplicitamente richiamato attraverso l'impiego di simboli come la clessidra o i rintocchi funebri. Ma prima di esaminare quest'aspetto in maniera più particolareggiata, sarà opportuno cogliere i rapporti del tema del tempo col tono vago e fiabesco nonché con altri temi, come l'amore e la verità; rapporti che, strettissimi nella seconda parte, si delineano in modo abbastanza consistente già nella prima. Occorre anzitutto porre mente al fatto che la vicenda si apre su di una scommessa conclusa e che l'azione della prima parte sgorga, come si è accennato, da un'altra scommessa, ossia da uno dei più tipici espedienti cui ricorre la fiaba per addivenire al possesso di una verità, solitamente di ordine morale. Anche la scadenza nel tempo è motivo ricorrente nelle scommesse delle fiabe: fratelli o amici o [221] rivali devono, entro un certo tempo, raggiungere determinati risultati: alla scadenza si rivelerà chi sia il migliore o il più degno. Poiché tema della scommessa, nella fattispecie, è la conquista amorosa, si può dire che, fin dall'inizio, tempo, amore, toni fiabeschi e ricerca della verità appaiono legati da stretti vincoli. Naturalmente ci si muove ancora su di un terreno viscido e incerto, di fronte a un' interpretazione spesso beffarda e stravolta dei valori tradizionali ma non perciò si può negare che le tematiche fondamentali siano state ormai gettate. D'altro canto, le varie peripezie successive otterranno lo scopo di sublimare i sentimenti di Don Juan: non dimentichiamo che la scommessa profanatrice lo condurrà all'amore purissimo di Doña Inés. Dopo il vortice del grande gioco cui dà luogo Don Juan incalzato dalla scadenza imminente, la comparsa di Doña Inés rappresenta un momento di calma in senso spaziale e temporale. La scelta del convento, ossia di un tipico «interno» romantico, come sfondo per l'atto III, e del palazzo sul fiume cui si accede solo per via d'acqua, ossia di un simbolo idillico-fiabesco, per l'atto IV, hanno una loro precisa funzionalità in questa direzione. In entrambi i luoghi non solo è cessato il movimento turbinoso degli atti precedenti, ma anche il tempo sembra acquistare una sua irreale immobilità. L'amore insomma, di cui Inés è la portatrice e l'emblema, si manifesta come atemporalità, mentre l'angoscia esistenziale di cui Don Juan è l'interprete si realizza soprattutto come coscienza di una dimensione temporale costantemente presente e aggressiva. Per questo si può affermare che quando Zorrilla, nel rielaborare il modello tirsiano, sostituisce al monologo di Tisbea -così ricco di richiami rustici e piscatorii (eredità dell'arcadia rinascimentale)due descrizioni di Inés (fatte rispettivamente da Brígida in II, 9 e dall'Abadesa in IV, 1) in cui predominano i riferimenti al convento, diretti o indiretti, (374) non rende solo un tributo a una certa moda diffusa dallo Chateaubriand, ma compie una scelta di simboli particolarmente efficaci a esprimere quella dimensione di intemporalità in cui vive l'ingenua fanciulla. In quest'ambiente suggestivo si consuma la conversione di Don Juan all'amore che ha, come primo risultato, il superamento della chiusa solitudine -di Don Juan stesso e di Inés- e l'apertura a un dialogo così intensamente comunicativo da far ritenere che anche il dramma romantico dell'incomunicabilità abbia trovato finalmente il suo approdo e la sua composizione. Nella famosa escena del sofá, quasi a simboleggiare l'avvenuto contatto delle anime, Don Juan si esprime con un linguaggio improntato a mitezza e a tenerezza, ossia col linguaggio proprio del mondo di Inés, secondo la descrizione che di lei appunto avevano fatto Brígida e l'Abadesa; si serve pertanto di immagini ora di stampo idillico come «apartada orilla», «sencillos olores», «campesinas flores» ecc., che ricordano le espressioni «lirio gentil», «embalsamadas brisas» del discorso dell'Abadesa; ora situate nel campo semantico della mansuetudine, come «paloma mía», «manso aliento», «gacela mía» ecc., che richiamano «pobre garza enjaulada» di Brígida e «mansa paloma» dell'Abadesa. Parallelamente Inés sembra copiare Don Juan prorompendo in toni appassionati e

veementi («mi cerebro enloquece / y se arde mi corazón») fino a esclamare nel più totale disprezzo delle convenzioni: «o arráncame el corazón / o ámame, porque te adoro». Ma in questo modo si realizza pure la definitiva mitizzazione del protagonista. Intendiamoci: già nel I atto Don Juan aveva assunto lineamenti fiabeschi, sia nella spaventosa, totale -e perciò assurda- negatività dei valori [223] che lo contraddistingue, sia nella descrizione delle iperboliche vicende da lui affrontate che, poste per scritto, acquistano una maggiore mitica lontananza. Ma dal momento in cui incontra Doña Inés diviene una somma di atteggiamenti contraddittori che lo rendono suggestivamente sfuggente. Dinanzi a Doña Inés e, poco dopo, a Don Gonzalo, coesistono in lui, di una coesistenza in fondo non drammatica e perciò tanto più ambigua -una coincidentia oppositorum-l'amore puro e la scommessa blasfema, l'umiltà angelica e la superbia diabolica, infine l'amore e l'odio. (375) Ma soprattutto Don Juan ha arrestato per un momento la sua corsa futilmente turbinosa: partecipe anche lui di quel clima di pace e di immobilità, trova nell'amore un primo, provvisorio superamento del tempo: poi sopraggiungeranno il pistoletazo e la estocada e Don Juan sarà ricacciato nella sua consueta dimensione spazio-temporale nell'attesa che spiri quell'altro plazo a lo divino di cui si occupa la seconda parte. La quale si apre su di una scenografia abusata, quella del panteón, che tuttavia perde, anch'essa, il valore di un espediente ad effetto per acquistare una sua intima giustificazione contestuale. Il panteón, massiccio simbolo temporale, è ora il naturale sfondo su cui Don Juan gioca la sua ultima scommessa, la cui posta è la salvezza eterna: per questo l'ambiente deve logicamente richiamare idee di morte ma non deve suggerire immagini macabre: «no debe tener nada de horrible», avverte la didascalia. Sul tutto grava un'atmosfera stagnante, da cui è avvolto lo stesso protagonista, passato definitivamente dall'azione alla meditazione; assenza di movimento anche temporale, come già negli ultimi atti della parte precedente, ma non [224] vera intemporalità: l'idea del tempo incombe, suggerita da tanti sepolcri, ma appare come sospesa in quell'innaturale equilibrio fra morte e vita che è continuamente suggerito prima dal colloquio fra Don Juan e i morti, poi dalla comparsa della Sombra de Doña Inés, la morta-viva, e della statua parlante di Don Gonzalo, poi ancora dalla surreale situazione di Don Juan morto che si crede vivo, infine da una serie di minuziosi rilievi che il lettore di Zorrilla ben conosce e che tutti tendono a suggerire l'idea di una tale sospensione. (376) Così, fin da quando si leva il sipario, lo spettatore si sente immerso in un clima ambiguo, di un'ambiguità -se si passa la contraddizione- particolarmente impegnata, come quella che oscilla fra morte e vita, fra realtà e visione. In nome di questo clima e dell'intensa problematica che sta alla base di esso, Zorrilla riesce a introdurre nel teatro romantico quel «meraviglioso» che l'Alfredo aveva tentato timidamente di affrontare e che era stato subito vigorosamente respinto. Zorrilla si premunì contro gli eventuali attacchi e, sia nel caso della Sombra sia in quello dell'Estatua, lasciò che una voluta incertezza tenesse gli spettatori perplessi sull' interpretazione dell'avvenimento come fatto reale o come visione dettata dalla mente sovreccitata di Don Juan; ma in questo modo ottenne, insieme all'approvazione del pubblico, l'effetto suggestivo di cui si è parlato. (377) [225] Contemporaneamente creava spazio per l'inserirsi del motivo della verità, la cui ricerca afferra impetuosamente Don Juan che, immerso nel misterioso gioco di realtà e di apparenze, di vita e di morte, vorrebbe scoprire il volto genuino del mondo che lo circonda. Dapprima, nel colloquio con la Sombra della scena IV (una sorta di escena del sofá trasferita a lo divino), poi nel soliloquio successivo, Don Juan si dibatte in una serie di interrogativi senza vera risposta o di risposte che generano altri interrogativi. Tuttavia, poiché, per raggiungere la verità, non può fare assegnamento sulle sue sole forze, ecco che Zorrilla affida all'intervento soprannaturale il compito di indicargli la via: alla statua di Don Gonzalo spetterà soprattutto di «enseñar la verdad». Si potrebbe dire che anche sotto questo profilo l'opera di Zorrilla raccolga e porti alle estreme conclusioni le premesse e le esperienze dei drammaturghi precedenti: quell'ansia di verità che aveva caratterizzato tante opere teatrali, quel problema del vero che era l'ossatura di tante indagini critiche sembrano qui trovare il loro sbocco

nella verità eterna che la Statua ha il compito di trasmettere. E si potrebbe aggiungere che in questa vuelta a lo divino si incontra finalmente il vero allacciamento alla tradizione del Siglo de Oro, di cui viene in tal modo intuita e ripresa l'istanza più profonda, la sete metafisica. All'ombra di Doña Inés è invece affidata la missione di farsi portatrice dell'ultimo plazo: l'amore, come già negli Amantes de Teruel (ma con una prospettiva ultraterrena sconosciuta all'opera di Hartzenbusch) si presenta così come l'unica forma di superamento del tempo: la Sombra è infatti anche colei che, porgendo la sua mano salvatrice, aiuta Don Juan a spiccare l'ultimo balzo verso l'eternità. Mentre si compie la redenzione di Don Juan, si conclude anche il ciclo evolutivo del personaggio femminile: di grado in grado, dalla vittima amorfa delle tragedie neoclassiche [226] si era passati all'eroina romantica che lotta con forza e dignità pari a quella dell'uomo per giungere ora ad attribuirle la funzione di mediatrice fra l'umano e il divino. Ma prima di condurre il suo protagonista a questo momento finale, Zorrilla lo colloca in una situazione, ancora, di estrema ambiguità e di estrema tensione; si può anzi affermare che l'ambiguità dominante in tutta la seconda parte del dramma trovi una sua sanzione definitiva nell'atto terzo. L'incertezza, che per tanto tempo ha dominato, fra sogno o apparenza e realtà trova qui una sua suggestiva spiegazione nell'identificazione di entrambi: Don Juan è vivo e morto, può assistere al proprio funerale e pentirsi e trovare ancora il tempo per guadagnarsi la vita eterna. Scompaginate le categorie del tempo e dello spazio, la vicenda si libra ora in un mondo surreale in cui gli opposti possono assurdamente coesistere. È la coesistenza di un solo istante, perché poco dopo una «música dulce y lejana» e una «luz de aurora» annunziano la salvezza di Don Juan e, con essa, il ritorno all'ordine primitivo; ma in quell'istante il romanticismo spagnolo ha forse raggiunto la sua vetta. (378) NOZZE DI SANGUE – LORCA: Nozze di sa...


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