Analisi poesie vari autori PDF

Title Analisi poesie vari autori
Author ROBERTA FARALE
Course sociologia comunicazioni di massa - Cantale
Institution Università degli Studi di Catania
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analisi completa poesie con poesia inclusa...


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POESIE D’ANNUNZIO RIMANI – IL VENTO SCRIVE – CANTA LA GIOIA – UN RICORDO – NELLA BELLETTA. RIMANI: Rimani! Riposati accanto a me. Non te ne andare. Io ti veglierò. Io ti proteggerò. Ti pentirai di tutto fuorchè d’essere venuto a me, liberamente, fieramente. Ti amo. Non ho nessun pensiero che non sia tuo; non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te. Lo sai. Non vedo nella mia vita altro compagno, non vedo altra gioia. Rimani. Riposati. Non temere di nulla. Dormi stanotte sul mio cuore… Potremmo definire questa poesia come una supplica d’amore: La poesia inizia con un imperativo: “rimani”; D’Annunzio chiede alla sua amata di rimanere accanto a lui, senza andare via, senza lasciare alcun vuoto  Una richiesta d’amore dettata dalla passione e da un desiderio irrefrenabile. La passione però, durante il sonno e la notte, diventa premura e protezione. “Io ti veglierò, io ti proteggerò”, scrive il poeta, per rassicurare quella donna della sua presenza. Il componimento intero, oltre che una vera e propria supplica, è una grande dichiarazione d’amore. Infatti, ci si abbandona totalmente in quel “Ti amo”, scritto in maniera incisiva: Perché l’amore è totalizzante e ha bisogno di quel fuoco, da tenere sempre acceso, per essere vissuto con la massima intensità; L’amore è protezione, quella protezione che c’è quando c’è fiducia, quando si rimane uniti  D’Annunzio chiede alla sua amata di restare, perché se rimani, non devi temere nulla e potrai dormire sul mio cuore. L’autore comunica il suo sentimento amoroso in modo molto esplicito, dichiarando di amare la donna e di non avere altri pensieri che per lei. IL VENTO SCRIVE: TESTO Su la docile sabbia il vento scrive con le penne dell’ala; e in sua favella parlano i segni per le bianche rive. Ma, quando il sol declina, d’ogni nota ombra lene si crea, d’ogni ondicella, quasi di ciglia su soave gota. E par che nell’immenso arido viso della pioggia s’immilli il tuo sorriso.

PARAFRASI Il vento, con le sue ali, scrive sulla sabbia e i segni lasciati dal vento sulla sabbia sono come le parole da lui scritte in una sua lingua particolare. -> (i segni son indecifrabili perchè parlano il linguaggio del vento; la sabbia è "docile" perchè si piega ai disegni del vento) Quando il Sole scende verso l'orizzonte da ognuno dei segni, da ogni picola ondulazione lasciata dal vento sulla sabbia, si crea un'ombra lieve, come quella proiettata dalle cilia su un viso soave di donna. E pare che nel suo arido (perchè serio) viso si moltiplichi infinite volte (quante le gocce della pioggia) il tuo sorriso.

Il vento scrive è contenuta in Alcyone: è una raccolta di liriche di Gabriele D’Annunzio pubblicata nel 1903, composta tra il 1899 e il 1903 ed è considerato il terzo libro delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi. La poesia è uno degli undici madrigali, dedicati all’estate di Alcyone, formata da due terzine di endecasillabi e da un distico a rima baciata. Il Vate paragona il Vento ad un Dio con le ali, che scrive sulla sabbia con una propria lingua. Quando volge la sera, le ombre lasciate dai segni del vento, sembrano le ciglia di una donna, facendo apparire il sorriso della donna amata, infinite volte, come le gocce di pioggia sulla sabbia. CANTA LA GIOIA: Canta la gioia! Io voglio cingerti di tutti i fiori perché tu celebri la gioia la gioia la gioia, questa magnifica donatrice! Canta l’immensa gioia di vivere, d’esser forte, d’essere giovine, di mordere i frutti terrestri con saldi e bianchi denti voraci, di por le mani audaci e cupide su ogni dolce cosa tangibile, di tendere l’arco su ogni preda novella che il desìo miri, e di ascoltare tutte le musiche, e di guardare con occhi fiammei il volto divino del mondo come l’amante guarda l’amata, e di adorare ogni fuggevole forma, ogni segno vago, ogni immagine vanente, ogni grazia caduca, ogni apparenza ne l’ora breve. Canta la gioia! Lungi da l’anima nostro il dolore, veste cinerea. Potremmo definire questa poesia come un inno alla vita. “Canta la gioia” è un componimento inserito nella seconda edizione della raccolta “Canto novo”, nel 1896. La nota dominante di questa raccolta, la seconda di Gabriele D’Annunzio, è sicuramente la sensualità. Quest’ultima, insieme alla volontà di possesso e di dominio del poeta, si declina in quasi tutti i componimenti, compresa nella poesia “canta la gioia”, nella quale viene raccontata e sviscerata la voglia di vivere appieno le emozioni. Gabriele D’Annunzio parla alla propria amante e le invita ad unirsi a lui in questa celebrazione della vita. Ogni cosa, per il poeta, deve essere goduta, tralasciando il dolore abbandonandosi ai piaceri. Chi si abbandona al dolore, infatti, è considerato schiavo.  La donna a cui si riferisce il poeta è considerata come un ospite privilegiata, cinta di fiori e avvolta in una veste porpora rossa, come il sangue che richiama la vita: Un approccio dionisiaco, che testimonia i primi passi del sommo poeta verso la concezione del superuomo, in grado di ascoltare tutte le musiche e guardare ogni cosa, adorare ogni fuggevole forma fuggendo dal dolore. UN RICORDO:

Io non sapea qual fosse il mio malore né dove andassi. Era uno strano giorno. Oh, il giorno tanto pallido era in torno, pallido tanto che facea stupore. Non mi sovviene che di uno stupore immenso che quella pianura in torno mi facea, cosí pallida in quel giorno, e muta, e ignota come il mio malore. Non mi sovviene che d'un infinito silenzio, dove un palpitare solo, debole, oh tanto debole, si udiva. Poi, veramente, nulla piú si udiva. D'altro non mi sovviene. Eravi un solo essere, un solo; e il resto era infinito. “Un ricordo”, una poesia di Gabriele d’Annunzio, pubblicata nel 1893 nell’opera “poema Paradisiaco“. D’annunzio parla dell’importanza che la memoria e i ricordi hanno nella nostra vita, unendo, come sempre, una grande lirica con una grande profondità d’animo. Ricordare è bello ma, spesso, doloroso. Perciò vale la pena farlo? E che importanza dobbiamo dare a questi ricordi che affiorano nella nostra mente? Che spazio gli diamo nella vita? D’annunzio, con la profondità decadente che l’ha sempre caratterizzato, si interroga sul valore del “ricordo”. Gioca con le parole, coi significati delle stesse e coinvolge il lettore a 360 gradi. Il poeta parla e descrive il ricordo come un’esperienza quasi mistica. La vita scorre e, in uno strato giorno, d’improvviso, tutto si ferma (Era uno strano giorno./ Oh, il giorno tanto pallido era in torno,/ pallido tanto che facea stupore. Il ricordo diventa così stupore, meraviglia. L’incontro con quel ricordo fa sospendere la realtà, fa tacere persino il silenzio, e poi, purtroppo, diventa vano. (Poi, veramente, nulla piú si udiva.) D’annunzio tratta le parole con una delicatezza quasi passionale e ci colpisce e questa diventa l’opera in cui lui sublima ancora di più sensazioni e passioni passate. NELLA BELLETTA: TESTO Nella belletta i giunchi hanno l’odore delle persiche mézze e delle rose passe, del miele guasto e della morte.

PARAFRASI Nella fanghiglia della palude le canne hanno l'odore delle pesche sfatte e delle rose appassite del miele rancido e della morte.

Or tutta la palude è come un fiore Adesso la palude è come un fiore (similitudine) lutulento che il sol d’agosto cuoce, fangoso (ossimoro e sinestesia) che il sole con non so che dolcigna afa di morte. d’agosto cuoce (metafora), con un’aria stagnante e sgradevolmente dolce [satura] di morte. Ammutisce la rana, se m’appresso. Le bolle d’aria salgono in silenzio. La poesia “Nella belletta” fa parte dei Madrigali dell’estate, undici brevi liriche incluse nella quarta sezione di Alcyone (Laudi), accomunate dalla tematica dell’estate che volge al termine. In questa poesia viene raccontato il momento più torrido dell’estate, quando il caldo è talmente elevato da togliere il respiro.

Tra le poesie di Gabriele D’Annunzio, “Nella belletta” si distingue per essere un testo esemplare della cultura e della poetica del Decadentismo per il senso di disfacimento, corruzione e morte che trasmette. In poche righe D’Annunzio, esponente dell’Estetismo, delinea l’ideale decadente che vede la bellezza in ogni forma di vita e di natura, persino nella sua decomposizione e nella morte. Il motivo centrale di questo componimento poetico di Gabriele D’Annunzio è la descrizione di un paesaggio segnato dal disfacimento che segue all’eccessiva maturazione estiva: il Poeta si trova in un angolo di palude che è pervaso da un odore dolciastro di decomposizione che si alza tra il fango e i giunchi e che ricorda quello dei frutti troppo maturi (le persiche mézze) e dei fiori appassiti (le rose passe). Il paesaggio è pervaso da un’atmosfera di decadenza e putrefazione e La palude viene paragonata ad un “fiore lutulento” che, sotto il calore del sole d’agosto, esala un’aria afosa e stagnante, satura di uno sgradevole odore dolciastro; Regna il silenzio e persino le rane si ammutoliscono. Il paesaggio è caratterizzato da un’immobile staticità in cui le bolle d’aria che emergono a fior d’acqua evocano la putrefazione della morte, che segnala l’imminente metamorfosi dell’estate nella stagione autunnale. Il tema è costituito, come in altre liriche di D’Annunzio, dagli effetti inevitabili dello scorrere del tempo e la consapevolezza che tutto tende a finire. POESIE CAPRONI LA GENTE SE L’ADDITAVA – PER LEI – PREGHIERA.

LA GENTE SE L’ADDITAVA TESTO Non c'era in tutta Livorno un'altra di lei più brava in bianco, o in orlo a giorno. La gente se l'additava vedendola, e se si voltava anche lei a salutare, il petto le si gonfiava timido, e le si riabbassava, quieto nel suo tumultuare come il sospiro del mare. Era una personcina schietta e un poco fiera (un poco magra), ma dolce e viva nei suoi slanci; e priva com'era di vanagloria ma non di puntiglio, andava per la maggiore a Livorno come vorrei che intorno andassi tu, canzonetta: che sembri scritta per gioco e lo sei piangendo: e con fuoco.

PARAFRASI Non c'era una sarta più abile di lei, nei ricami e nelle rifiniture, in tutta Livorno. Vedendola, la gente la indicava con meraviglia, e se anche lei ricambiava il saluto il petto le si gonfiava timidamente e le si riabbassava quieto in un sospiro, come il movimento leggero del mare.

Era una personcina semplice e un po' orgogliosa (anche un po' magra), ma dolce e piena di vita nelle cose che la appassionavano; essendo priva di presunzione, ma non di pignoleria, era molto ammirata a Livorno, come vorrei che fossi tu, canzonetta: che sembri scritta per gioco, ma lo sei con dolore e passione.

Questa poesia è tratta Dal libro ‘’IL SEME DEL PIANGERE’’ (1959).

Il vero cuore della poesia di Giorgio Caproni è il libro Il seme del piangere uscito nel 1959 da Garzanti. Il seme del piangere, dedicato alla madre Anna Picchi, l’indimenticabile Annina protagonista del libro, in particolare della sua prima parte. Gli amatissimi “Versi livornesi”, in cui è presente appunto la poesia "La gente se l'additava". FIGURE RETORICHE: L'andamento sintattico è caratterizzato da numerosi enjambement che conferiscono alla poesia un andamento piano e discorsivo. La presenza della similitudine ‘’come il sospiro del mare ‘’ richiama al pensiero del lettore la figura di una donna che, camminando, respira quieta ricordando l'onda del mare, la quale si alza e si riabbassa. Il lessico di Caproni è molto informale, quasi stesse parlando della madre a degli amici, o come se pensasse che la sua canzonetta verrà letta da persone del suo paese. ANALISI DEL SIGNIFICATO: In questa poesia Caproni fa riferimento al Dolce Stilnovo di Dante, in particolare alla poesia Tanto gentile e tanto onesta pare, con la quale viene per l'appunto confrontata la nostra poesia. Anna, per suo figlio, è come la donna angelo degli stilnovisti, "va per la maggiore": la donna non è solo un punto di riferimento per lui, ma apprezzata da tutti, e per questo elogiata. Come la donna stilnovista anche la madre giovinetta passa per strada, incantando tutti ("la gente se l'additava") con il suo saluto ("se si voltava anche lei a salutare"). Non meno stilnovista è la conclusione del componimento: quella di rivolgersi alla propria poesia chiamandola canzonetta, che serve a comunicare al lettore il desiderio che quanto scritto sia il più possibile divulgato, in questo caso per diffondere la lode di una donna che vi è celebrata quasi in modo giocoso, ma in realtà con un profondo affetto da parte del figlio. Il titolo della canzone "La gente se l'additava" indica le numerose lodi che tutta Livorno faceva alla madre, appunto indicandola con meraviglia al suo passaggio. PER LEI: TESTO Per lei voglio rime chiare, usuali: in -are. Rime magari vietate, ma aperte: ventilate. Rime coi suoni fini (di mare) dei suoi orecchini. O che abbiano, coralline, le tinte delle sue collanine. Rime che a distanza (Annina era così schietta) conservino l’eleganza povera, ma altrettanto netta. Rime non crepuscolari, ma verdi, elementari.

PARAFRASI Per Anna, il poeta, vorrebbe parole pure, solite. Parole non raccomandate ma palesi: aperte a tutti. Parole come se fossero il mare e come se avessero il suono dei suoi orecchini. Che abbiano le sue collane il colore dei coralli. Parole che a distanza, dato che Anna era sincera, abbino la stessa eleganza di lei, fatta di un gusto semplice, ma evidente. Parole che non siano deboli, anche se ripetitive. Parole che non trasmettono malinconia e rassegnazione, ma fresche, elementari.

Tratta dal libro ‘’IL SEME DEL PIANGERE’’.

Il verso appartiene alla sezione Versi livornesi del libro poetico Il seme del piangere (1950-1958), che si apre con la dedica ‘’a mia madre, Anna Picchi’’.  E la madre abita tutti i versi, il loro movimento da canzone provenzale e stilnovista, la loro luce, il loro tempo insieme irreale e pulsante di forte, visiva presenza. Una madre fidanzata, Annina, che il figlio, da una lontananza di anni e di epoca, grazie all’incantamento delle rime e dell’“anima leggera”, che è messaggera d’amore, può seguire nelle sue apparizioni livornesi: da passante, nelle uscite mattutine, al ricamo, in bicicletta, tra le amiche, nella sua stanza, nel giorno del fidanzamento, alla stazione in attesa della partenza, nel giorno delle nozze, nel tempo infine della sua sparizione. La madre per il poeta vive nella lingua, che è la sua “forma vera”, il suo respiro; Per questo i versi della poesia che comincia “Per lei voglio rime chiare”, col titolo esplicitamente dedicatario Per lei, pur non essendo tra i più intimi, pur non dicendo di lei, della sua figura leggera e sorridente, se non indirettamente, sono collocati nel cuore del canzoniere.

STRUTTURA: La poesia è strutturata secondo la forma della canzonetta, un genere introdotto dai poeti siciliani nel 13° secolo e caratterizzato da versi di varia lunghezza, organizzati in brevi strofe in rima. Nel componimento di Caproni i versi, scanditi ritmicamente dalla punteggiatura, sono raggruppati per lo più in coppie legate da RIMA BACIATA AABB; Nei versi 9-11 invece viene adottato uno schema a RIMA ALTERNATA ABAB. Il poeta predilige un lessico semplice e orecchiabile, con frequenti allitterazioni che conferiscono al testo una elevata musicalità. La ricerca di uno stile elementare si colloca all’interno di una linea poetica che ritrova le proprie radici culturali nello Stilnovismo: sforzandosi si esprimere il pathos emotivo e l’interiorità di chi scrive attraverso una lingua lieve ed armoniosa  Dunque, l’innocenza stilistica perseguita da Caproni va intesa come uno strumento atto a rappresentare l’autenticità della vita di cui la semplice quotidianità della madre diviene metaforica rappresentazione. LA MADRE: La scelta di rappresentare la vita di una madre negli anni precedenti alla nascita di chi scrive da origine ad una sorta di ‘corto circuito’ temporale tra passato e presente, alterando anche la convenzionale definizione dei ruoli parentali; infatti, in alcuni versi Caproni si autodefinisce ‘’suo figlio, il suo fidanzato’’: in questa rappresentazione Anna emerge come un personaggio fiabesco, piccola e delicata. PREGHIERA: Anima mia leggera, va' a Livorno, ti prego. E con la tua candela timida, di nottetempo fa' un giro; e, se n'hai il tempo, perlustra e scruta, e scrivi se per caso Anna Picchi è ancora viva tra i vivi.

Proprio quest'oggi torno, deluso, da Livorno. Ma tu, tanto più netta di me, la camicetta ricorderai, e il rubino di sangue, sul serpentino d'oro che lei portava sul petto, dove s'appannava. Anima mia, sii brava e va' in cerca di lei. tu sai cosa darei se la incontrassi per strada.

Tratta da ‘’IL SEME DEL PIANGERE’’ (1959) dalla sezione ‘Versi Livornesi’, dedicati interamente alla figura della madre. L’autore, ispirandosi ad una ballata del 300, immagina che la sua anima personificata vada alla ricerca della madre, Anna Picchi, da poco morta. La poesia è una sorta di biografia immaginaria in cui il poeta rievoca la madre ancora giovinetta, quando egli non era ancora nato, servendosi di racconti e fotografie di famiglia  Il poeta prega la sua anima di recarsi a Livorno, la città natale della propria madre, Anna Picchi, e di perlustrarla attentamente alla ricerca di lei, di cui egli vuole sapere se, per caso, “è ancora viva tra i vivi”. L’anima forse riuscirà dove lui ha fallito poiché meglio ricorda la descrizione e i particolari dell’abbigliamento della donna. STRUTTURA: Il linguaggio della poesia sembra solo apparentemente semplice ed ingenuo, ma in realtà è denso di sapienti raffinatezze metriche e timbriche. La sintassi si presenta molto articolata e ricca di inversioni. Il ritmo risulta movimentato e vario; sapiente è il gioco delle rime baciate ed alternate (in alcuni versi sostituite da assonanze) che conferiscono al testo una musicalità lieve; infine sono presenti raffinati effetti fonici e frequenti allitterazioni, cioè ripetizioni di suoni in parole vicine. La poesia, composta prevalentemente da settenari, è formata da due strofe di otto versi e da una di quattro, a rime quasi sempre baciate: Rime baciate: “torno-Livorno”, “netta-camicetta”, “rubino-serpentino”, “portava-appannava”, “lei-darei”. Rime alternate: “scrivi-vivi”. Assonanze: “leggera: candela”, “brava: strada”. Allitterazioni: “timida di notte tempo”, “viva tra i vivi”, “sangue sul serpentino”. La figura retorica che lega molti versi della poesia è L’ENJAMBEMENT, cioè l’eliminazione della pausa alla fine di un verso, la cui ultima parola è in stretto legame sintattico con la prima del successivo, in modo da conferire alla lirica una cadenza pacata, ma dinamica e colloquiale. La figura della madre viene espressa dal figlio poeta attraverso “la camicetta”, “il rubino / di sangue”, il “serpentino d’oro”, il “petto” anelante.

POESIE PASCOLI MYRICAE = IL LAMPO – IL TUONO – TEMPORALE – SOGNO – ORFANO - SERA D’OTTOBRE – NOVEMBRE – MARE – X AGOSTO /CANTI DI CASTELVECCHIO = IL GELSOMINO NOTTURNO. IL LAMPO ED IL TUONO: Il tuono e Il lampo, poste una dopo l’altra nella raccolta, descrivono due momenti contigui: all’apparizione del lampo, segue il fragore improvviso del tuono. Il legame tra i due testi è esplicitato anche dalla ripresa, a incipit de Il tuono, del sintagma «nella notte nera» presente nel verso di chiusura de Il lampo. IL LAMPO TESTO E cielo e terra si mostrò qual era: la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d’un tratto; 5 come un occhio, che, largo, esterrefatto, s’aprì si chiuse, nella notte nera.

PARAFRASI E il cielo e la terra apparvero come erano: la terra affannata, buia, in agitazione; il cielo occupato dalle nuvole, cupo, a pezzi: nel silenzioso tumulto una casa bianchissima apparve all’improvviso e subito scomparve; come un occhio che, grande, stupito, si aprì e si chiuse, nella notte buia.

Il lampo è composto tra 1891 e 1892 inserita nella sezione ‘’Tristezze’’ della 3° edizione di Myricae (1894). La poesia si apre con l’immagine di sofferenza, agitazione ed oscurità che riguarda cielo e terra. Nello sconvolgimento dovuto all’arrivo del temporale, improvvisamente appare agli occhi dell’io poetico una casa bianca, che contrasta con il nero d’intorno e scompare subito dopo, con la rapidità ...


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