Montale - poesie - ….. PDF

Title Montale - poesie - …..
Course Lettere Moderne
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Analisi di alcune delle poesie più famose di Montale...


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Parafrasi – LIMONI MONTALE

Ascoltami, i poeti laureati si muovono solamente tra le piante dai nomi poco adoperati: bossi, ligustri, acanti; io, da parte mia, invece, amo le strade che sfociano nelle fosse piene d'erba, dove nelle pozzanghere metà seccate i ragazzi acchiappano qualche anguilla isolata; io amo le vie che seguono le sponde delle strade e discendono a impennarsi tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti tra gli alberi i limoni. Meglio se gli strepiti degli uccelli si fermano all'interno del cielo azzurro; si ascolta più chiaro il fruscio dei rami nostri amici, che sono nell'aria ferma che sembrano muoversi e i sensi di questo profumo che non sa staccarsi da terra, mentre nel nostro petto sentiamo una dolcezza inquietante. Qui, quasi come un miracolo, non c'è la guerra mentre le nostre passioni risultano deviate; qui anche a noi poveri tocca la nostra parte di ricchezza ed è il profumo dei limoni. Vedi, in questi silenzi nei quali le cose si abbandonano e sembrano vicine quasi a farci conoscere il loro ultimo segreto, talvolta noi ci aspettiamo di trovare un errore che la natura compie per farci capire qualcosa, il punto morto del mondo, e un anello di una catena che si rompe e quindi ci apre un varco; il filo da sbrogliare che finalmente ci mette nel mezzo di una verità; lo sguardo indaga intorno l'ambiente, indaga accorda e scompone nel profumo che si sparpaglia quando il giorno sta per finire e questi sono i silenzi nei quali si vede in ogni ombra di un uomo che si allontana qualche divinità che appare però disturbata. Ma l’illusione manca e il tempo ci riporta nelle città affollate dove il cielo azzurro è visibile solamente a pezzetti nell'alto tra gli spazi lasciati liberi dagli edifici; la pioggia si riversa sulla terra, la noia dell'inverno aumenta sopra le case, la luce si fa sempre più rara e l'anima sempre più triste. Quando un giorno da un portone che è chiuso male tra gli alberi di un cortile ci si mostrano i limoni di colore giallo, e il gelo del cuore si disfa, allora nel petto irrompono numerose, come in uno scroscio, le canzoni di questi limoni e le trombe d'oro della luce solare.

Analisi del testo

Metrica: il componimento è formato da quattro strofe di versi liberi, molti dei quali sono endecasillabi e settenari; la rima è libera, talvolta vi sono delle rime al mezzo. Montale afferma nella prima strofa di non essere un poeta laureato,

incoronato dalla critica o depositario di un ruolo di maestro. Per spiegare la propria diversità, egli confronta il paesaggio da lui prediletto con quello dei poeti laureati. Mentre costoro preferiscono piante dai nomi ricercati, a lui piace parlare di alberi comuni, come i limoni, nei loro ambienti quotidiani: i fossi, le pozzanghere, le viuzze, i ciglioni. La seconda strofa e la terza strofadescrivono il paesaggio in cui crescono i limoni e in cui il poeta si sente a proprio agio: un paesaggio silenzioso e deserto, attraversato da viottoli di campagna. Qui all’improvviso, può accadere il miracolo: può apparire una presenza rivelatrice, si può incontrare il segreto dell’Essere. Allora l’uomo ritorna in una sorta di età felice, quando nel mondo si aggirava qualche disturbata Divinità (v.36). La quarta strofa evidenzia il carattere passeggero di questa illuminazione: il tedio invernale rende amara l’anima, allontana lo stato di grazia. Eppure non tutto è perduto: il finale della poesia ripropone la possibilità del miracolo, legato all’improvvisa scoperta dei limoni oltre il portone di qualche cortile cittadino. Il primo verso «Ascoltami, i poeti laureati» è un'invocazione che polemicamente si rifà a D'Annunzio; è chiara infatti l'allusione alla “Pioggia nel pineto” che inizia con «Taci». Nel verso 22 abbiamo di nuovo un esordio polemico con D'Annunzio, in quanto Montale dice «Vedi», rifacendosi a «Odi» nella “Pioggia nel pineto”. "I limoni" è la poesia che apre la sezione "Movimenti" della raccolta Ossi di Seppia ed è stata scritta tra il 1921 e il 1922; questa poesia è la prima della sezione d'apertura che si intitola con una metafora musicale. Come sappiamo la musica era molto gradita a Montale e molte delle sue poesie ricalcano propriamente delle composizioni musicali. Questa poesia fondamentalmente è un manifesto, in quanto Montale dichiara, attraverso questi versi, il suo modo di scrivere, il suo modo di fare poesia in contrapposizione agli altri poeti e agli altri letterati; è evidente la polemica nei confronti di D'Annunzio.

Parafrasi – NON CHIEDERCI LA PAROLA MONTALE

Non chiederci la parola, che definisca con precisione sotto tutti gli aspetti, il nostro animo privo di certezze, e a lettere che lo chiariscano rendendolo luminoso come il fiore dello zafferano: perduto in mezzo ad un prato polveroso. Ah l'uomo che se ne va' sicuro, d'accordo con se stesso e con gli altri. E la sua ombra non viene toccata che dal sole nel periodo più caldo dell'estate; proiettata su un muro privo di intonaco. Non domandarci la formula che possa rivelarti nuove prospettive di

conoscenza del mondo, bensì una distorta sillaba secca come un ramo. Solo questo possiamo dirti oggi, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Schema metrico: tre quartine formate da versi di varia lunghezza e con rime ABBA, CDDC, EFEF. La rima D è imperfetta perché ipermetra (amico/canicola). Il componimento è costruito con una struttura circolare. Le strofe 1 e 3 si corrispondono simmetricamente: il primo verso è costituito da un ottonario + un settenario, il secondo è un doppio settenario, gli ultimi due sono endecasillabi; esse si oppongono perciò alla strofa 2, che si presenta con quattro versi disuguali, rispettivamente di 10-9-12-11 sillabe. Temi: un paesaggio di aridità e di solitudine – il vuoto dei valori e la mancanza di certezze - l'errore di chi presume di aver capito tutto e di essere padrone della propria vita – il ruolo della poesia: testimoniare la crisi. La prima strofa mette in contrapposizione due modelli di poesia:  da una parte il modello della poesia retoricamente intonata dei poetivati ottocenteschi;  dall'altra parte, i poeti della nuova generazione caratterizzati da un animo informe: essi perciò non possono offrire una parola risolutiva (al v. 9 Montale riprenderà il concetto, parlando di formula che mondi possa aprirti): infatti un animo informe non si lascia facilmente definire dalle parole. Dunque la poesia non può avere una funzione consolatoria, non può più fornire immagini belle ma fini a se stesse, come il fiore splendido di colori in mezzo a un prato polveroso dei vv. 3-4. I versi di Montale offriranno al lettore solo sillabe – neanche parole – storte e secche (il contrario del fiore lietamente colorato). La seconda strofa presenta la satira dell'uomo che procede sicuro per la sua strada, nonostante i turbamenti della storia. L’immagine ha almeno due valenze. Anzitutto una chiara valenza politica (si ricordi che il componimento fu scritto nel 1923): la poesia montaliana divenne all'epoca un punto di riferimento per chi negava il fascismo e i suoi sterili dogmatismi; Ma l’immagine dell’uomo-ombra ha un valore anche esistenziale: neppure chi crede di essere agli altri ed a se stesso amico è preservato, in realtà, da un destino di lacerazione e di fallimento. Il poeta invece lo sa; egli è, per ora, l’unico consapevole del male di vivere, come Montale riassumerà in un altro osso breve della medesima serie. Nella terza strofa sono rimasti famosi i due versi finali:

Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Non è più il tempo, dice Montale, dei miti consolatori o dei facili ammaestramenti; dobbiamo prendere coscienza della crisi storica in atto e della debolezza dell’arte stessa. Sul piano tematico, la prima e la terza strofa affrontano il medesimo argomento, sottolineato dall'identico incipit negativo (Non chiederci la parola che / Non domandarci la formula che), mentre la seconda strofa presenta l’immagine (falsamente positiva) dell’uomo che se ne va sicuro. Dal punto di vista dello stile, la lirica procede con un ritmo meditativo, da ragionamento in versi. Per enunciare la propria verità (la persuasione che non esiste alcuna verità certa) il poeta utilizza un linguaggio prosastico. Rinuncia perciò alle immagini poetiche, o ne fa poco uso. Una delle metafore presenti nel testo è il "croco /perduto in mezzo a un polveroso prato": un fiore solitario, che cresce nel deserto del mondo, e che richiama il fiore della ginestra leopardiana. Poetica è anche l’immagine della "storta sillaba e secca come un ramo", una delle più intense espressioni dell’aridità montaliana.

Figure retoriche

Enjambements: vv. 3-4 (croco/perduto); 7-8 (canicola/stampa). Metafora: "lettere di fuoco" (v. 2). Similitudine: "risplenda come un croco" (v. 3).

Parafrasi – MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO MONTALE

Trascorrere il pomeriggio pallido e assorto, vicino a un muro d’orto che brucia; ascoltare tra i pruni e gli sterpi il verso dei merli, il fruscio dei serpenti. Nelle screpolature del suolo oppure sulla pianta della veccia, studiare le file delle formiche rosse, quelle file che si interrompono e poi si intrecciano in cima a minuscoli mucchi di terra. Osservare tra le fronde degli alberi il movimento

in lontananza del mare che sembra fatto a scaglie, mentre si sentono gli scricchiolii delle cicale sui colli privi di vegetazione. E camminando nel sole che acceca sentire con triste meraviglia come tutta la vita e le sue sofferenze non è che un camminare a fianco un alto muro con sopra dei cocci aguzzi di bottiglia La poesia "Meriggiare pallido e assorto" è stata scritta da Eugenio Montale probabilmente nel 1916 e fa parte della raccolta Ossi di seppia. È forse una delle più famose del poeta ed ha come protagonista il paesaggio della Riviera ligure di levante, che si individua molto bene in questo testo e che Montale conosceva benissimo, anche perché trascorreva le vacanze nella casa paterna di Monte Rosso, una delle Cinque terre. Da notare anche la fortissima capacità di oggettivazione poetica che comunica con il lettore attraverso il consueto mezzo del correlativo oggettivo.

Analisi del testo

Metrica: La poesia si compone di tre quartine e di una strofa di cinque versi di differente lunghezza, con la prevalenza del novenario. Lo schema delle rime è a piacere; si trovano alcune rime baciate (della prima e terza strofa), altre rime alternate (seconda strofa), una rima ipermetrica (v. 7). Nelle prima tre strofe (parte descrittiva) sono fissate le diverse sensazioni che il poeta prova in un caldo "meriggiare" di luglio, sensazioni che dipendono non solo dal paesaggio riarso e aspro della sua Liguria, ma soprattutto dalla gran calura che snerva il corpo e dall'ora particolare del mezzogiorno. Nel magico silenzio di quell'ora meridiana, in cui ogni battito di vita sembra fermarsi, il poeta avverte "schiocchi di merli, frusci di serpi" mentre con gli occhi segue "le file rosse di formiche" e i palpiti lontano delle onde del mare. Sono fremiti di vita nella immobile sonnolenza del mezzodì. Nella quarta strofa (parte riflessiva) sono espresse le considerazioni del poeta sull'esistenza umana: vivere – per Montale – è come camminare lungo una muraglia invalicabile, irta di cocci aguzzi di bottiglia, che assurgono a simbolo delle difficoltà insormontabili della vita. Meriggiare è una poesia in cui si possono riconoscere quasi tutte le caratteristiche della poetica di Montale. Innanzitutto rivela la sensibilità

musicale del poeta: ogni parola è stata scelta perché entri in un rapporto sonoro con le altre (rime, consonanze, giochi di suono...) o perché evochi un'atmosfera con il suo suono onomatopeico. Poi questa poesia ci offre molti esempi di concentrazione di significati in poche parole, tipica dello stile di Montale. Già il primo verso "Meriggiare pallido e assorto" è una metafora che riesce a descrivere con tre parole sia un momento della giornata sia l'atteggiamento con cui il poeta vive quel momento. Infine, da questi versi si può dedurre qual è il concetto di poesia secondo Montale. Per cui fare poesia significa cercare la verità: non il ragionamento, ma le sensazioni e le immagini poetiche possono aiutare gli uomini ad intuire il significato della vita; la sensibilità poetica dà talvolta delle vere e proprie rivelazioni, momenti in cui la verità appare come un lampo. L'uso dei verbi all'infinito, che reggono la struttura del componimento (meriggiare, ascoltare, spiar, osservare, palpitare, sentire, seguitare) contribuisce a oggettivare le azioni descritte (non si fa riferimento all'autore ma è un concetto universale) e a dare un senso di continuità. Figure retoriche

Allitterazioni: della "r": (vv. 2-4; 6-7). Allitterazioni: del gruppo "tr". (v. 11). Onomatopee: "schiocchi" (v. 4); "fruscii" (v. 4); "scricchi" (v. 11).

Parafrasi -SPESSO IL MALE DI VIVERE MONTALE

Ho spesso incontrato il malessere: era torrente che incontra un ostacolo nel fluire, l'accartocciarsi di una foglia, rinsecchita dal calore, un cavallo caduto per la fatica. Non ho conosciuto altro bene all'infuori della condizione miracolosa che dà origine allo stato di superiore indifferenza: era una statua nella sonnolenza del mezzogiorno, una nuvola e un falco che vola alto. Parafrasi discorsiva:

Durante la mia vita ho avuto molte volte l'occasione di conoscere il male: si è manifestato nel ruscello che gorgoglia come un lamento, nella foglia secca, nel cavallo caduto a terra. Non ho conosciuto altro bene al di fuori di quello della realtà negata: e questa indifferenza l'ho conosciuta nella statua di pietra, nella nuvola e nel falco che vola verso l'alto. Analisi del testo

Metrica: sono due quartine di endecasillabi tranne l'ultimo (un settenario doppio), a rime incrociate (ABBA), ma l'ultimo verso rima con il primo della I quartina ed è ipermetro. Temi: l'universalità del dolore, connaturato alla vita stessa - l'indifferenza come antidoto al male di vivere. La lirica famosissima, è tra quelle che più esplicitamente esprimono il doloroso senso dell'esistere che caratterizza un po' l'opera di Montale. La prima quartina dichiara inizialmente il tema fondamentale: il male di vivere (v.1). Esso viene espresso con tre immagini: 1. 2. 3.

il ruscello impedito nel suo libero scorrere; la foglia che inaridisce per la calura e si accartoccia su di sé; il cavallo caduto (stramazzato dice il poeta).

Anche la seconda quartina comincia (vv. 5-6) con un'affermazione: quel poco di bene (precario bene) che è concesso agli uomini coincide con la divina Indifferenza. Altre tre immagini vengono a illustrare tale affermazione: 1. 2. 3.

la statua; la nuvola; il falco che volteggia in cielo.

Figure retoriche

Allitterazione, suoni aspri e duri = "era il rivo strozzato che gorgòglia" (v. 2), "era l'incartocciarsi della foglia/riarsa" (vv. 3-4), "era il cavallo stramazzato" (v. 4), "e il falcoalto levato" (v. 8). Enjambement: vv. 3-4; 5-6; 7-8. Anafora: "era" (vv. 2-3-4-6-7) FORSE UN MATTINO ANDANDO PARAFRASI

Forse un mattino, camminando nell’aria limpida e secca, girandomi, vedrò compiersi la rivelazione: vedrò, stordito come un ubriaco, il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me. Poi, come se fossero su uno schermo, di colpo prenderanno posto gli alberi, le case, i colli, per ricostruire l’inganno consueto della realtà. Ma sarà troppo tardi; e io me ne andrò in silenzio, mantenendo il mio segreto, tra gli uomini che non si voltano. Forse un mattino andando in un’aria di vetro – Analisi La scoperta del nulla che pervade la realtà si presenta come un’epifania, una rivelazione improvvisa, attraverso il gesto spontaneo di voltarsi mentre si sta camminando. Dunque la realtà e l’esistenza, dietro il loro aspetto superficiale, nascondono il vuoto: tutto ciò che appare – «alberi case colli» – è un «inganno». Questa rivelazione provoca nel poeta «terrore» e smarrimento, perché tutto ciò in cui egli crede viene meno. Dopo l’improvvisa epifania, tutto torna com’era, ma il poeta ha una nuova consapevolezza: egli ha scoperto il segreto che sta dietro ogni cosa (il “voltarsi indietro” è segno di un atteggiamento insicuro rispetto alle apparenti certezze dell’esistenza) e questo lo renderà per sempre distinto dagli altri uomini, coloro che «non si voltano» perché ancorati alle loro (false) sicurezze. Gli “uomini inconsapevoli” sono ricorrenti nell’opera montaliana: sono gli stessi ai quali il poeta faceva riferimento in Non chiederci la parola («l’uomo che se ne va sicuro / agli altri e a se stesso amico / e l’ombra sua non cura») e in Ti libero la fronte dai ghiaccioli («e l’altre ombre che scantonano / nel vicolo non sanno che sei qui»).

Montale, Eugenio-"La speranza di pure rivederti"

La poesia è composta nel 1937. Lo stesso Montale chiarisce l’occasione autobiografica che ha ispirato questa poesia. Utilizzando lo pseudonimo di Mirco per parlare si sé, Montale racconta di un pomeriggio d’estate in cui si trovava a Modena e passeggiava assorto nel pensiero dell’ amata lontana e assente. Mirco vide un vecchio trascinare due cani che non riusciva ad identificare, pertanto, si avvicinò e chiese al vecchio che cani fossero. Questi, con tono secco e orgoglioso, rispose che non erano cani, ma sciacalli. Mirco pensò che Clizia (pseudonimo utilizzato per la donna amata) amava gli animali buffi, e che la vista di quei due sciacalli al guinzaglio l’avrebbe divertita. Quindi,

insinuò che i due animali fossero stati inviati da lei, come per confortarlo, ma considerò anche l’idea che essi fossero invece un segnale del fatto che la presenza della donna si stava dileguando per sempre. Da quel giorno Mirco non poté evitare di associare la città di Modena all’idea di Clizia e dei due sciacalli. Ogni volta che si verificavano simili episodi, la sua ferita ne traeva beneficio. Una sera, Mirco scrisse i primi sette versi del mottetto su un biglietto del tranvai; in seguito sostituì il punto che chiudeva l’ultimo verso con due punti, perché sentiva la necessità di aggiungere un esempio che fosse anche una conclusione. Il miracolo è costituito dalla possibilità di un ritorno della donna amata, non nella vita reale, ma nell’immaginazione e nei sentimenti. Il tema è la possibilità che in un presente di assenza, in cui il poeta soffre per il distacco dall’amata, quest’ultima possa farsi di nuovo viva attraverso un avvenimento insolito. E inoltre presente l’idea della realtà come apparenza e rappresentazione soggettiva (tratta dalla filosofia di Schopenhauer) in cui è possibile che si insinui un “barbaglio”, cioè un segnale che voglia comunicare un messaggio. Però, c’è anche il dubbio che questo miracolo non sia vero. I versi sono endecasillabi e settenari e il lessico è piuttosto semplice e essenziale. Il poeta contempla due idee opposte: infatti, lo “schermo d’immagini” che costituisce la realtà potrebbe rivelare al poeta che la donna amata sta svanendo per sempre, oppure inviargli dei segnali che però non sono chiari, ma devono essere interpretati. La poesia si chiude con l’episodio dei due sciacalli al guinzaglio, un ricordo intimo e lontano.

Ti libero la fronte dai ghiaccioli – Parafrasi Ti libero la fronte dal ghiaccio che hai raccolto attraversando le nubi alte e gelide; hai le penne lacerate dalle bufere; il tuo sonno è interrotto da sussulti.

È mezzogiorno: nel perimetro della finestra appare l’ombra scura di un nespolo, in cielo resiste un sole che non trasmette calore; e gli altri uomini che svoltano nel vicolo non sanno che sei qui. Ti libero la fronte dai ghiaccioli è una nota poesia di Eugenio Montale, fu composta nel 1940 e pubblicata per la prima volta sulla rivista La Ruotanello stesso anno; entrò a far parte della seconda edizione delle Occasioni (1940), nella sezione Mottetti. Centrale è il tema del visiting angel, la donna “salutifera”, portatrice di salvezza: essa si identifica con Irma Brandeis (nelle poesie Clizia), la studiosa americana che Montale incontrò nel 1933 a Firenze e con la quale intrattenne una relazione fino al 1938, anno in cui ella tornò in America a causa delle leggi razziali. I...


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