Eugenio Montale PDF

Title Eugenio Montale
Course Lingue e letterature moderne
Institution Università degli Studi di Palermo
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Eugenio Montale e la sua poetica...


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LA TRIADE DEL PRIMO ‘900: SABA, UNGARETTI E MONTALE

EUGENIO MONTALE Ossi di seppia  è importante perché appare una poesia nuova. Da un punto di vista formale M. fa cozzare l’aulico col prosastico: da un lato una poesia aulica, ricercata e sostenuta ma allo stesso tempo con improvvisi abbassamenti prosastici. La sua poesia è sempre ragionativa, non si limita a scrivere impressionisticamente stati d’animo, ma abbiamo portato avanti un ragionamento. Modelli di questa raccolta sono Sbarbaro e Gozzano, anche nella poesia di Gozzano trovavamo un discorso argomentato che nasceva dall’osservazione delle piccole cose di ogni giorno. Ossi di seppia deve relazionarsi alla poesia italiana del 900, dominata dal modello dannunziano, e Montale lo attraversa fino a liberarsene. Il titolo Ossi di Seppia ci rimanda all’osso di seppia che nel mare è nel suo habitat, in armonia con la natura, ma quando viene gettato sulla spiaggia resta come rottame scarnificato, abbandonato, e così è anche per l’uomo. L’osso di seppia rappresenta la contraddizione del vivere umano. Nella vita dell’uomo c’è la tendenza al mare, ma il destino reale dell’uomo è legato alla terra. Libro costruito in un’architettura narrativa diviso in sezioni, sembra quasi raccontare una vicenda. Montale vuole raccontarci la fine dell’armonia con la natura, perduta nel corso della modernità. Ossi è un tentativo dell’io lirico di portare acanti un rapporto con la natura e col mondo che resta però frustrato. Troviamo una costante attesa del miracolo, c’è una costante ansia di speranza e di trovare adesione con la natura, troviamo una sorta di attesa del miracolo. La poesia “I limoni”  è un manifesto poetico, nei limoni Montale si contrappone alla poesia di D’Annunzio. Egli contrappone ai poeti laureati che hanno un ruolo sociale e che fanno una poesia particolare una poe-sia nuova, il correlativo oggettivo è nell’immagine dei limoni. M. conosce i limiti ontologici dell’uomo che non appartiene solo all’io lirico, ma appartiene a ogni uomo. Il male di vivere non è una generica tristezza del poeta, ma è un senso del limite umano quasi esistenzialista che connota tutti gli uomini, dalla concezione di questi limiti viene il male di vivere. Questo viene espresso attraverso una serie di immagini e oggetti emblematici, anche se si tende verso il miracolo. Dunque, da un lato abbiamo la consapevolezza che i limiti bloccano l’uomo, ma dall’altra parte c’è un tentativo di cercare un significato, un miracolo per superare le barriere. Montale gioca su questa oscillazione che si esprime attraverso alcune contrapposi-zioni: terra/ mare. Terra arida, calda, secca – mare altrove. Montale si rifà a Eliot quando parla appunto di terra desolata, anche in Montale ci ritroviamo dinnanzi a un paesaggio arido e desolato, ed è qui ce può nascere la resistenza dell’uomo dalla sua angoscia esistenziale per resistere al male. In ossi abbiamo diversi emblemi di questa resistenza al male: esempio agave sullo scoglio, la pianta che cresce laddove il terre-no è completamente brullo e resiste sulle rocce vicino al mare. La poesia di Montale ha un’espressione particolare: è un modo di scrivere che non usa l’analogia e il simbolo come Ungaretti. AL procedimento simbolico egli oppone quello allegorico che è razionale. Gli oggetti e le situazioni concrete che entrano nella sua poesia sono comprensibili perché sono spiegate, c’è un’argomentazione che avanza ogni poesia. Correlativo oggettivo, in molti dicono che lo riprende da Eliot, ma in realtà i due ci arrivano per strade diverse. Montale dice che è una serie di immagini, situazioni e oggetti che rappresentandoli nel loro disporsi sulla pagina uno accanto all’altro si caricano di un significato forte creando una catena di correlazioni sulla quale il poeta proietta o uno stato d’animo o una particolare condizione ontologica.

SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO Ossi di seppia (Torino, Piero Gobetti Editore 1925). Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l'incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza: era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato. IL titolo coincide col primo verso. Abbiamo due strofe, due quartine di endecasillabi a esclusione dell’ultimo verso che è un doppio settenario. È interessante il fatto che se guardiamo la prima e la seconda abbiamo i due punti e due enjambement in entrambe e costituiscono un elemento di simmetria. Montale ha oggettivato il male di vivere, lo ha incontrato, addirittura personificato. La poesia di Montale è una poesia degli oggetti, Montale rappresenta una sequenza di situazioni oggettive emblematiche disposte a catena. Ci viene presentato un immaginario desolato, desertificato e arso, che linguisticamente e musicalmente viene trasmesso dalle r e z. In questa descrizione vediamo una sorta di climax (abbiamo da una parte il rivo, l’acqua, elemento della natura e dall’altro lato la foglia del regno vegetale e il cavallo del regno animale) , ma anche triplice anafora (era, era, era), poi abbiamo una serie di termini come “gorgoglia” che vengono ripresi dal 7 canto dell’inferno in cui compaiono parole analoghe. Le occasioni 1939  Anno in cui vengono stabiliti i patti d’acciaio tra Mussolini e Hitler, sta per esplodere la seconda guerra mondiale. Raccolta dedicata a Clizia, divisione in 2 sezioni. Nella prima sezione vengono estrapolati temi dalle raccolte precedente e abbiamo varie figure femminili come Dora Marcus e temi dell’oblio. La seconda sezione “Mottetti” ci presenta poesie più raccolte, molto brevi. Protagonista è Clizia. La terza è una sorta di poemetto che si rifà a Foscolo e all’opera de “Le Grazie”. LA cultura e il mito dell’umanesimo diventano tema fondante, troviamo anche il tema della bufera e sappiamo che si sta avvicinando la guerra. La quarta sezione ha le poesie più complesse e argomentate. Le occasioni sono quelle da cui sorge la poe-sia, dalla seconda sezione troviamo un tu che non è più il lettore, ma spesso volentieri è una figura di donna. La poesia di montale è dialogica perché si rivolge sempre a un tu. Clizia è una figura della mitologia greca ci accorgiamo che è una donna che amava talmente apollo per essere poi trasformata in un girasole. La vicenda della metamorfosi di Clizia ci è descritta da Ovidio. Clizia diventa figura allegorica, ed è allegoria di alcuni valori che resistono: i valori della cultura di un mondo che si sta avviando verso la guerra, il tu a cui si rivolge il poeta è quello della cultura che fa resistenza al male. Clizia ci ricorda una donna-angelo, ma è un angelo moderno dalle penne lacerate che sconta sulla sua essenza tutto il dolore del mondo, e al contempo Montale non è religioso, quindi l’allegoria della donna angelo è svuotata di ogni valore religioso. Al valore religioso si sostituisce quello della cultura, delle lettere. In Le occasioni tro-viamo un allegorismo umanistico.

NUOVE STANZE, (Le Occasioni) Poi che gli ultimi fili di tabacco al tuo gesto si spengono nel piatto di cristallo, al soffitto lenta sale la spirale del fumo che gli alfieri e i cavalli degli scacchi guardano stupefatti; e nuovi anelli la seguono, più mobili di quelli delle tue dita. La morgana che in cielo liberava torri e ponti è sparita al primo soffio; s’apre la finestra non vista e il fumo s’agita. Là in fondo, altro storno si muove: una tregenda d’uomini che non sa questo tuo incenso, nella scacchiera di cui puoi tu sola comporre il senso. Il mio dubbio d’un tempo era se forse tu stessa ignori il giuoco che si svolge sul quadrato e ora è nembo alle tue porte: follia di morte non si placa a poco prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo, ma domanda altri fuochi, oltre le fitte cortine che per te fomenta il dio del caso, quando assiste. Oggi so ciò che vuoi; batte il suo fioco tocco la Martinella ed impaura le sagome d’avorio in una luce spettrale di nevaio. Ma resiste e vince il premio della solitaria veglia chi può con te allo specchio ustorio che accieca le pedine opporre i tuoi occhi d’acciaio.

A MIA MADRE (Montale 1942, “La Bufera e altro” 1556) Ora che il coro delle coturnici ti blandisce nel sonno eterno, rotta felice schiera in fuga verso i clivi vendemmiati del Mesco, or che la lotta dei viventi più infuria, se tu cedi 5 come un’ombra la spoglia (e non è un’ombra, o gentile, non è ciò che tu credi)

chi ti proteggerà? La strada sgombra non è una via, solo due mani, un volto, quelle mani, quel volto, il gesto d’una vita che non è un’altra ma se stessa, solo questo ti pone nell’eliso folto d’anime e voci in cui tu vivi; e la domanda che tu lasci è anch’essa un gesto tuo, all’ombra delle croci.

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Analisi  Anche Montale scrive una poesia alla madre morta. Questa poesia è una delle prime

poesie scritte di Montale, risalente al 1942, periodo in cui infuriava la Seconda guerra mondiale. Si colloca, quindi, dopo la poesia di Ungaretti, ed esce in un libro importantissimo di Montale che si chiama “ La Bufera e altro” (il cui titolo ‘Bufera’ allude alla Seconda guerra mondiale, mentre ‘altro’ a tutto quello che viene dopo) , pubblicato nel 1956, che raccoglie sia poesie precedenti ovvero scritte durante la guerra, sia delle poesie scritte nel periodo successivo alla guerra, ovvero negli anni del boom economico. Si tratta di una poesia complicata da un punto di vista sintattico e lessicale. La poesia di Ungaretti, è una poesia molto simbolica; la poesia di Saba è una poesia molto narrativa che usa parole quotidiane, all'apparenza semplice alla parafrasi; la poesia di Montale, a differenza, è una poesia più complessa perché in tutte le sue poesie viene sviluppato un ragionamento, hanno un andamento meditativo, viene fatta una sorta di argomentazione. Abbiamo 15 versi ma i periodi sintattici sono soltanto due: il primo è una grande domanda che arriva fino a ‘chi ti proteggerà?’; il secondo, invece, è un'affermazione che nell’ultima strofa lascia il campo ad una sorta di riflessione finale. La poesia è stata scritta dopo la morte della madre che muore nell'autunno di pochi mesi prima. “Ora che il coro delle coturnici ti blandisce nel sonno eterno, rotta felice schiera in fuga verso i clivi vendemmiati del Mesco, or che la lotta dei viventi più infuria, se tu cedi come un’ombra la spoglia (e non è un’ombra, o gentile, non è ciò che tu credi) chi ti proteggerà?”  Le coturnici sono degli uccelli che migrano in autunno. Abbiamo l’immagine di questo coro, questa schiera felice, di coturnici che si alzano in volo, che accompagna la madre nel sonno eterno, che va in fuga volando verso i climi, verso le colline vendemmiate del Mesco, che è una zona delle Cinque Terre (in Liguria in cui Montale ha passato la sua infanzia). C'è una contestualizzazione, il poeta ci stanno delle precise coordinate: ‘ora’ e ‘or’. Ci sta dicendo l'esatto cronotopo (intreccio di spazio e di tempo) in cui si è verificata la morte della madre: la madre è morta quando in cielo c'erano le coturnici che migravano andando via e quando i clivi del Mesco erano vendemmiati, siamo quindi in autunno. Il primo ‘ora’ ci introduce la situazione/vita privata, quando è morta la madre (in autunno nella loro casa nelle Cinque Terre). Però a questo ‘ora’ si contrappone e si associa ‘or’ che rappresenta la vita pubblica. ‘Or che la lotta dei viventi più infuria’  siamo in piena seconda guerra mondiale. Quindi il primo ‘ora’ ci dà la cornice privata, mentre il secondo ‘or’ invece ci immette in una cornice esagitata, drammatica, che è quella della Seconda guerra mondiale. Questi versi ci dicono delle cose importanti: la madre ha ceduto il proprio corpo, come se fosse un'ombra però il poeta tra parentesi, subito inserisce quella che è la sua visione del mondo.

In questo gentile abbiamo un richiamo ad un coro dell'Adelchi in cui la gentile è proprio Ermengarda prima di morire, quindi in un certo senso ci richiama ad una visione religiosa come quella di Ermengarda, di Manzoni e della madre del poeta. Questi primi 8 versi sono occupati interamente da una lunga, e a tratti contorta sintatticamente, frase interrogativa. In questo interrogativo ‘chi ti proteggerà?’ c'è proprio un affetto filiale molto forte: il figlio sente di dovere proteggere la madre, adesso che si ritrova sola, senza il corpo, chi la proteggerà, chi si prenderà cura di lei. “La strada sgombra non è una via, solo due mani, un volto, quelle mani, quel volto, il gesto d’una vita che non è un’altra ma se stessa, solo questo ti pone nell’eliso folto d’anime e voci in cui tu vivi”  questa strada sgombra, vuota, non è una via, non porta da nessuna parte, non è la strada che porterà la madre verso l'eterno, verso il paradiso, non è una via verso qualcosa di altro. Il termine ‘ombra’ ci porta subito ad una concezione religiosa della vita (abbiamo visto il muro d'ombra anche in Ungaretti), come se la vita fosse soltanto un'ombra che anticipa un compimento che ci sarà dopo, nell'aldilà cristiano. La madre di Montale era molto religiosa quindi ha ceduto il suo corpo, come se fosse semplicemente una ombra, nella credenza di incontrare Dio, che ci sarà un'altra vita, ma il poeta ha una visione e una credenza differenti e dice alla madre che il suo corpo non è un'ombra, che non è come crede, non esiste nulla dopo la morte, a rimanere sono solo due mani e un volto, quelle specifiche mani e quello specifico volto della madre. L’essenza della madre e quel suo essere era la cosa importante, quei gesti appartenevano alla vita della madre e non erano prefigurazione di un'altra vita, di una vita eterna, ma erano solo quella specifica vita. Solo questa concretezza, anche del tuo corpo, pone la madre, adesso che è morta, nell’eliso. L’eliso è il paradiso, nell'antichità si pensava che le anime dei buoni andassero nell’eliso. Eliso, però, qua è scritto in minuscolo, mentre normalmente si scrive in maiuscolo, è proprio la situazione opposta a quella che abbiamo visto in Ungaretti, non si tratta di un Eliso con la maiuscola, di un paradiso, ma si tratta di un eliso terreno e concreto. È nella memoria dei vivi che la madre ora resta, ella continua a vivere soltanto nella memoria di chi l'ha amata e continua a vivere proprio nella sua concretezza, per le sue mani, per quel suo volto, per quella cosa che ne faceva una persona unica. Non potrà continuare a vivere in un aldilà, l'unica forma di sopravvivenza è nell’eliso della memoria di chi resta. Qua c'è anche una concezione foscoliana, Foscolo nei Sepolcri dice che questa corrispondenza d'amorosi affetti/sensi con i morti rivive soltanto grazie al ricordo dei vivi, quindi, abbiamo una visione della vita assolutamente materialistica. “e la domanda che tu lasci è anch’essa un gesto tuo, all’ombra delle croci”  La madre è fortemente radiosa, quindi il poeta dice che la domanda religiosa, l'aspirazione ad un'altra vita che la madre ha lasciato è propriamente una sua caratteristica, fa parte del suo carattere, così come il fatto che fosse religiosa, è un gesto suo all'ombra delle croci. Questo ‘all'ombra delle croci’ richiama l‘idea del cimitero, ma le croci di cui si parla sono anche le croci della guerra. L'unica ombra che c'è, non è l'ombra della vita terrena, ma è l'ombra delle croci, viviamo in un'epoca punteggiata di croci. Dal punto di vista della struttura quello che colpisce è la suddivisione in strofe: anche qui abbiamo un verso a scalino seguito, dopo la parentesi, da un rigo bianco che isola domanda. Successivamente c’è un altro rigo bianco che isola gli ultimi due versi che si aprono anch’essi con una domanda. Dal punto di vista delle rime abbiamo: rotta-lotta, ombra-sgombra, stessa-essa, cedi-credi; mentre Coturnici-clivi è un’assonanza (= rimano le sillabe finali ma non c'è una precisa identità di lettere, c'è, invece, un'identità solo delle vocali). Per quanto riguarda i tempi verbali: qua è tutto nella dimensione del presente; mentre nelle altre poesie, come in Saba, c'era sempre un’oscillazione tra presente e passato. Fatta eccezione per la domanda che, invece, apre verso il futuro, come segno di preoccupazione e di inconsapevolezza verso ciò che avverrà in futuro. Altra cosa interessante è l’uso degli aggettivi determinativi (quelle mani, quel volto) che hanno un'evidenza molto forte perché sono scritti in corsivo e ci danno proprio il senso dell'unicità della persona, ma allo stesso tempo ci accorgiamo che anche la sua concretezza si è come allontanata nel tempo. Il coro delle coturnici sembra accompagnare, col suo cinguettio, la madre verso il sonno eterno ci ricorda un po’ il coro degli angeli.

L'immagine iniziale del sonno eterno: il poeta immagina che la morte sia un sonno eterno, una eterna perdita di coscienza, un’eterna dimenticanza, un'eterna inconsapevolezza, poiché la cosa che caratterizza il sonno è proprio l'inconsapevolezza, il fatto che uno non è presente a sé stesso, allora lui immagina la morte come una mancanza totale di consapevolezza. Da un punto di vista sonoro ci sono tantissime rime e assonanze interne, è molto complessa come tipo di poesia. C’è una mescolanza di suoni che vanno verso dei suoni più aridi, come quelli delle R, con una alternanza verso dei suoni più leggeri, più aerei come quelli della L, le liquide mostrano un allargamento della sonorità del verso. Queste tre poesie riproducono l’immagine della madre in modo del tutto diverso: in Saba abbiamo un approccio psicanalitico e quasi mortifero perché la conclusione della poesia è che la madre è morta e che il poeta vuole morire, questa sensazione di morte si percepisce ogni volta che il poeta pensa alla madre. In Ungaretti, invece, c'è la vita eterna, la situazione è al contrario: il poeta immagina di morire ed è proprio nel momento in cui muore che si ricongiunge con la madre e riprende a vivere in un'altra dimensione. Nella poesia di Montale viene completamente negata qualsiasi e visione religiosa della vita, tant’è che il cuore ideologico di questa poesia è contenuto in questa parentesi isolata, tra il verso a scalino e il verso bianco, in cui viene negata con grande forza la visione religiosa della madre. Caproni, poeta della linea sabiana, quando la madre muore, nel 1950, lui pubblica nel 1957 una raccolta che si chiama “Il seme del piangere”, in cui per tutta la raccolta lui immagina la madre che è morta, lui la fa rinascere attraverso la poesia e la immagina nella sua giovinezza per le strade di Livorno, la città in cui abitava. Con Caproni abbiamo ancora un diverso atteggiamento perché abbiamo una madre che viene descritta come se fosse viva, giovane, ancora prima della nascita del poeta, piena di allegria, di vitalità, anche se sappiamo che è morta. È interessante che il titolo di questa raccolta “Il seme del piangere” è tratto dal purgatorio, da uno degli ultimi canti, il trentunesimo, in cui Dante con Virgilio incontra Beatrice, è felicissimo di incontrarla ma ad un certo punto si volta e si accorge che Virgilio, che è stata la sua guida per il l'inferno e per il purgatorio se n'è andato, perché da questo momento in poi la sua guida sarà Beatrice e non più Virgilio. Nel momento in cui Dante si volta e vede che Virgilio non c'è ha un momento di scoramento, si sente perso, comincia a piangere, allora Beatrice lo rimprovero dicendogli “basta con giù il seme del piangere”, non devi piangere, devi guardare avanti perché adesso avrai un'altra strada di fronte a te. Aver intitolato “ Il seme del piangere” una raccolta tutta dedicata alla madre morta, Anna Picchi, ci fa capire che in fondo quello che cerca di fare il poeta in questa raccolta è quello di seguire l'invito di Beatrice: supera il dolore, attraversalo, ma superalo per andare avanti. Proprio per superare il dolore lui mette in scena delle poesie in cui la figura della madre rivive non da morta, ma nella sua vitalità.

L’ultimo Montale: Satura  Dopo questa raccolta abbiamo un periodo di silenzio fino agli anni 70 con una raccolta rasoterra dove i linguaggi settoriali e la lingua di tutti i giorni confluiscono insieme. Il titolo Satura ci rimanda alla satira, è una poesia satirica nei confronti della realtà in cui il poeta vive. La lingua è piena di intertestuale, si cita spesso il primo montale e ci sono rimandi a testi vari. Temi: A Clizia si...


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