Anima Minima Lyotard PDF

Title Anima Minima Lyotard
Author Paolo Rossi
Course Estetica
Institution Università degli Studi Roma Tre
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Summary

Riassunto testo di Lyotard...


Description

Anima minima di Lyotard ( riassunto) Sensus communis Il sensus communis non è l’intellectio communis, il buon senso, l’intelletto proprio della comunicazione attraverso la mediazione del concetto; non è neppure l’intelletto communitatis, l’intelligenza della comunità. Per sensus communis si intende proprio di una comunità inintelligente, che procede, ovverosia, senza intelletto. Si tratta di una universalità senza concetto, di una finalità senza rappresentazione del fine. Il sensus communis è l’altro del concetto. Il sensus communis appartiene quella che a partire dal XVIII secolo è stata chiamata estetica. Non è facile per la filosofia entrare a contatto con il sensus, con l’estetica, lei che vuole sempre pensare secondo la sua regola, persino l’inintelligibile. Il sensus communis non è situato nello spazio e nel tempo di cui si serve l’intelletto per conoscere gli oggetti, ovvero nello “spazio- tempo” della conoscenza e nemmeno nello spazio tempo della sensibilità. Per la comunità scientifica ( cognitiva) le parole universalità, finalità, necessità, si riferiscono a delle categorie applicabili nello spazio-tempo dell’esperienza. Il sensus non dà luogo all’esperienza, intesa in senso kantiano: l’estetica del bello non è l’estetica del vero. Per Lyotard, c’è un giudizio che viene prima del concetto e anche prima dello schema, prima di questa operazione di sintesi che raccoglie la pura molteplicità dei dati in unità apprensibili, offrendole come esperienza alle categorie dell’intelletto. Il sensus communis è un giudizio esente da qualsivoglia regolarità e che svolge una sintesi meramente soggettiva, esclusivamente sentita ( da qui il termine sensus). Questo giudizio non soltanto è indipendente dalla facoltà teoretica, ma anche dall’altra facoltà che è quella della volontà pratica, un giudizio, cioè esente da ogni desiderio: è un giudizio che non ha conoscenza del proprio fine. Si tratta di un piacere prima di qualsiasi desiderio. Esso è la finalità stessa, la quale non ha alcun fine davanti a sé. Si tratta di una finalità istantanea, non mediata neppure dalla forma diacronica del senso interno, ovverosia dal nostro ricordare e anticipare. In occasione di una forma, occasione di sentimento, una felicità impreparate anima lo spirito. Una forma, una piccola sintesi di materie nello spazio, fa sensus. Un senso assolutamente singolare, particolare, che è allo stesso tempo anche communis. Il sensus è la riflessione, la facoltà del giudizio riflettente, considerata come un’istanza d sensibilità e non nel suo operare. Si tratta di un’esigenza trascendentale, associata alla conoscenza e alla cooperazione tra la sensibilità e l’intelletto richiesta dalla conoscenza. Il compito di riunire spetta al concetto a/o all’immaginazione riproduttiva, ovvero allo schema, nell’ambito dell’esperienza, ALLA RAGIONE NELLA PRATICA MORALE. Come nel caso dello schema immaginativo, la facoltà di giudizio nella forma del sentimento di piacere e di dispiacere, viene abbassata al rango di un abbozzo della sintesi, si trova a volgere il suolo di semplice precursore della sintesi etica a priori, della condizione della moralità propriamente detta, che non è obbligazione, ma legge, ovvero sintesi tra la tua azione e la libertà universale.

La comunità etica, se esiste non è che un ideale della ragion pratica, una società soprasensibile formata di volontà libere. La comunità etica è mediata da un0Idea della ragione. Il sentimento, secondo Lyotard che può servire da progresso per l’umanità verso il meglio non è il piacere immediato del bello, ma è il sentimento sublime, il quale lungi dall’essere immediato e semplice, è in sé stesso contrastante e richiede la rappresentazione dell’Idea della Libertà e, dunque, lo sviluppo della ragion pura prtatica. Cosa si intende per soprasensibile estetico? Si intende che il sensus communis non è mediato da nessun concetto. La riflessione opera allo stato puro: senza concetto, né legge (idea). E’ la forma che dà luogo alla sintesi soggettiva: il sentimento. L’estetica non ha nulla a che fare con il pubblico, con il politico, e, quindi, non afferisce all’interesse popolare. Il sentimento non è soggetto né ad alcun concetto, né al tempo concepibile come schema. Nel piacere del bello, il sentimento è sufficiente in modo assoluto. Il comune del senso non è inteso nell’accezione di pubblico, o politico: il sensus va difeso dall’antropologizzazione. E’ una capacità dello spirito, questo spirito libero che Kant chiama anima Se il piacere è estetico, esso sarà: a) b) c) d)

Disinteressato e senza concetto; Universale secondo la quantità; Necessario secondo la modalità. ( In opposizione al piacere che provoca un oggetto piacevole). L’arte deriva da questo piacere puro. Per quanto riguarda l’universalità, Kant afferma che si esige il consenso di ognuno nell’attribuzione di un predicato di bellezza. Per quanto riguarda la necessità, che il giudizio di gusto non si dà apoditticamente, come la conclusione di un ragionamento, ma come un esempio di una regola o di una norma del sentimento estetico. Se la necessità non è apodittica, essa può essere solo esemplare, dice Kant. Il che ci obbliga a riflettere su che cosa sia un esempio. Lo stato del soggetto che viene chiamato gusto, piacere o bello, è un paradigma, un modello per sé stesso, il quale come semplice esempio non può essere fissato come ideale pensabile. L’universalità, nel caso del bello, non consiste nell’attribuzione del predicato al soggetto dell’enunciato, cioè all’ oggetto della conoscenza, ma di una universalità soggettiva. In gioco ci sono l’immaginazione e l’intelletto, le quali sono in accordo, nel momento di quel sentimento di piacere. Tale accordo consiste in una proporzione tra l’attività rispettiva delle facoltà che cooperano alla conoscenza. Nella descrizione di questo sensus, Kant nel paragrafo 21 della Critica del Giudizio, ammette che una facoltà sia più adeguata, alla conoscenza in causa, dando un privilegio inatteso alla funzione cognitiva, come se il concetto facesse ritorno nella descrizione del sensus. Il sensus communis è necessariamente presupposto dalla comunicabilità di tale accordo ( tra l’immaginazione e l’intelletto). Ogni individuo empirico è necessariamente la possibile sede di tale eufonia. Attraverso il sensus communis il gusto prepara o favorisce la socievolezza, tuttavia, lo stesso Kant tende a specificare che l’interesse per il bello è indiretto e che è empirico, perché dipende dalla tendenza della società, ma che tuttavia, non ha alcuna importanza per noi.

L’opera artistica ha sempre un interesse mediato, rivolto al talento del suo autore, interesse che non ha nulla a che fare a priori, col sentimento estetico. L’eufonia delle due facoltà sarà tanto più pura quanto più la forma sarà libera dal concetto, e, dunque, indipendente dalle strutture schematiche. Seppure la forma no è sussumibile concettualmente, essa indica un compito possibile alla facoltà delle regole, in quanto eccita l’intelletto . La bella forma quanto più è lontana dal concetto e dallo schema, tanto più essa è libera, in quanto pura. Per sensus communis si deve intendere l’idea di un senso comune a tutti, ossia di una facoltà di giudicare che nella sua riflessione tiene conto nel pensiero a priori del modo di rappresentare di tutti gli altri. Cosa avviene quando il proprio giudizio si paragona a quello degli altri. Kant espone, inoltre, le massime del senso comune: a) Pensare da sé; b) Pensare mettendosi al posto di tutti gli altri; c) Pensare in modo da essere sempre d’accordo con sé stesso. Il comune secondo Lyotard, nella sua interpetazione del giudizio estetico kantiano, è trascendentale. La sua eufonia non può essere preparata, ma può aver luogo solo occasionalmente. Cosa avviene quando paragoniamo il nostro giudizio con quello di tutti gli altri? Il sensus communis è la testimonianza o il segno in seno alla soggettività di un’Idea che si rapporta alla soggettività stessa . E’ l’idea di qualcosa di soprasensibile, di un sostrato soprasensibile di tutte le facoltà. E’ l’idea secondo cui fa parte della natura del soggetto il fatto che tutte le facoltà si accordino per rendere possibile la conoscenza in generale. L’accordo tra le due facoltà: intelletto e immaginazione è una condizione a priori di ogni >, non per il conoscibile ( esperienza) ma per il conoscente. Se l’eufonia sentita singolarmente nel piacere del bello comporta l’esigenza di universalità, facendo appello a un sensus communis, è perché essa è il segno immediato di questa affinità delle facoltà. Il sensus communis a cui fa appello il gusto è il segno di un’Idea che si rapporta al soggetto. Il giudizio determinante ( ossia, scientifico) presuppone da parte del soggetto un’autocoscienza ( l’Io penso) che avviene attraverso il senso interno ( il tempo). Il giudizio riflettente non determina tale unità, ma soltanto un immediato accoppiamento delle facoltà. Tuttavia, tale accoppiamento non è una parificazione, le due parti non formano una coppia, rimangono incomparabili. Le due parti si sfidano, c’è sfida e diffidenza da un lato, confidenza dall’altro. L’intelletto pensa alle forme che l’immaginazione gli offre e quest’ultima è sempre minacciata dalla regolazione che la facolltà dei concetti potrà imporre alle forme. Ma, la congruenza sentimentale DELLE DUE FACOLTà NON GIUNGE MAI ALLA CHIAREZZA DELLA DETERMINAZIONE ( non c’è una regola fissa per cui questa si compie). C’è comunque uno forzo di determinazione, ma se l’intelletto arrivasse a possedere questo fidanzamento, ci sarebbe uno schematismo. Ma, la deduzione delle sintesi determinabili avviene sempre grazie all’Io penso, la determinazione sintetica originaria. L’Io penso è un origine per tutte le sintesi determinanti e determinabili. Ma, non è un origine per le sintesi riflessive, le quali si attuano senza Io penso. Il fidanzamento tra le facoltà, nel momento del bello, avviene sotto la luce della riflessione.

Il piacere del bello non sintetizzandosi, si oblia, anche per questo, ogni piacere relativo alla bellezza è una nascita. L’Io trascendentale estetico non esiste, esiste un pre-Io, un precogito della sintesi interfacoltaria, che non concerne l’io ma la natura. Il soggetto non è presente né come supporto temporale, né come potere di sintesi. Per sensus communis si deve intendere l’Idea di un senso comune a tutti, cioè di una facoltà di giudicare che nella sua riflessione tiene conto nel pensiero ( a priori) del modo di rappresentare di tutti gli altri. Lyotard sostiene che > non è una categoria di cui si possa avere un’intuizione corrispondente nell’esperienza, per Kant ). Il paragone richiesto è eidetico: si tratta di formare un giudizio estetico puro attraverso della variazioni immaginative, come avrebbe detto Husserl. La finalità di questa tecnica consiste nel liberare il bello da ogni attrattiva e ogni emozione empirica. Il bello sarà comunicabile solo se ben purificato. La comunicabilità è la ratio cosgnoscendi della purezza e questa è la ratio essendi di quella. Nel bello si tratta d lasciarsi guidare dal principio di un sostrato d’affinità delle facoltà, che è la natura soprasensibile del soggetto. Il sensus communis rimane solo un’ipotesi, p un analogo, può essere solo oggetto di un’Idea e non di un’intuizione. Questo sensus non è un senso, ma il sentimento del piacere del bello, che non è comune, ma comunicabile per principio.

L’INTERESSE DEL SUBLIME Analizzare l’interesse del sentimento del sublime si tocca un punto nevralgico dell’organismo della facoltà. Il sentimento del bello è un giudizio riflettente , singolare con pretesa universale, immediato, disinteressato. Riguarda solo una facoltà dell’anima che è quella di piacere, o dispiacere. Ha luogo all’occasione di una forma. E’ l’oggetto ad esercitare sullo spirito un’attrazione. Lo spirito prova un interesse all’esistenza di quest’ultimo. TUTTAVIA, IN RAPPORTO AL PIACERE è NECESSARIA UNA DIFFERENZA: tra piacere estetico, dal godimento dell’oggetto. Se l’oggetto diletta, può piacere, può essere apprezzato e approvato, esso si chiama piacevole, bello, bello o buono. Tuttavia, l’oggetto per essere oggetto di un piacere estetico puro deve essere da parte del soggetto un qualcosa a cui si accorda un favore e la stima. Solo il favore accordato al bello è un piacere disinteressato e libero. Il bello è un piacere che >, a detta di Kant. Kant afferma che la socievolezza viene a realizzarsi attraverso il gusto, in quanto esso comporta l’esigenza di essere condiviso da tutti. Il favore puro non può essere l’inclinazione, altrimenti il bello sarebbe il piacevole e non vi sarebbe piacere estetico.

Il piacere soddisfa un’inclinazione, che è quella del desiderio, implica che vi era una mancanza e l’attesa che venga saziata. Il gusto non attende nulla per aver luogo, se obbedisse a una finalità non si sarebbe in grado di produrre il concetto del suo fine ( la bellezza). Un piacere ha luogo senza soddisfare, né deludere alcunchè. Lyotard sottolinea la differenza che Kant si preoccupa di fare nella Terza Critica tra la facoltà del sentimento del piacere e dispiacere ( che attiene al campo estetico) e la facoltà di desiderare ( che attiene al campo morale). Tuttavia, si tratta di stabilire un collegamento tra il potere di conoscere e il potere di volere. L’unità tra i due diversi poteri sembra assolutamente preclusa. Tuttavia, anche il sentimento del bello celerebbe un interesse, ma un interesse intellettuale, non empirico. Anche il bello ha come interesse di realizzare ciò che la legge morale prescrive, Si tratta di un interesse intellettuale perché è congiunto all’oggetto che la ragion pratica prescrive alla volontà di realizzare, il bene.

Questo potrebbe colmare gli abissi dell’eteronomia delle facoltà tracciata da Kant. Questa azione è detta di IPOTIPOSI: quella di mettere in vista qualcosa che corrisponde analogicamente a un oggetto invisibile. E’ il caso dell’oggetto di un’Idea della ragione, impresentabile di per sé nell’intuizione, ma di cui si può presentare un analogon intuitivo, ossia un simbolo. La bellezza potrebbe essere quindi il simbolo del bene morale: ossia, a fare bene sentire, si fa bene morale. Rappresentare il dato secondo il bello, si moralizzerà l’ethos individuale o quello collettivo, il politikon. Tuttavia, kant continua mantenere una riserva specifica riguardo alla conclusione di tale analogia: si può sostenere “ come il bello, cosi il bene”, e non “ bello, dunque bene”. Si riferisce alla purezza della loro formazione, non dipendono da nessun interesse empirico. Il bello nella sua formazione pura e non contaminata rispecchia un’Idea di bene pura, di cui ne diviene, per questo simbolo. Oltre all’illusione che il bello possa identificarsi col bene morale, bisogna fugare anche un’altra illusione: quella di pensare che il bello possa rispettare l’idea di perfezione di qualcosa. Questa tesi lebniziana viene contestata da tutta la filosofia kantiana. Ma, anche il tentativo da parte di Nietzsche di ridurre etica e politica a forme, a creazioni artistiche è assolutamente errato, se si vuole procedere secondo un concetto kantiano. L’impalcatura analogica tra bene e bello è lontana dall’avere l’assetto di un vero e proprio ponte. La differenza tra bene e bello consiste nel fatto che: è il concetto, quello di legge, a ispirare il sentimento morale, una forma immaginativa ( non concepibile concettualmente) a essere l’occasione del gusto. Nella moralità è la volontà a essere libera, mentre nel gusto è l’immaginazione che è libera. Il bene è legato a un interesse, ma questo non precede il giudizio morale, ne è prodotto. Ossia, il giudizio pratico non si fonda su alcun interesse, ma ne produce uno; la legge non è sottomesse all’interesse della volontà al bene, ma lo impone ( viene prima). La legge attrae immediatamente la volontà mediante l’obbligazione, senza rispetto a un oggetto. Essa non può prescrivere alla volontà se non la prescrizione stessa: il suo dictum è un comandamento senza oggetto. La legge non è n oggetto, ma tuttavia essa prescrive di agire. Essa induce interessi per oggetti, giudicati capaci di far esistere questo bene. L’agire morale ha un’analogia con l’agire estetico –per Kant- in quanto accordano entrambi un interesse immediato per l’oggetto.

La sola differenza è che l’interesse estetico è libero, mentre, l’interesse etico si basa su leggi oggettive. In ambito estetico, un interesse non può che essere disinteressato: si tratta del favore, in cui l’approvazione non è imposta su alcun interesse: né dai sensi, né dalla ragione.

L’interesse risulta nell’etica, nell’estetica inizia il disinteresse, ecco perché, per Lyotard in realtà l’analogia, se analizzata è del tutto improbabile. Mentre nel gusto non c’è alcun interesse, ma l’immediatezza del sentimento, nell’etica questo interesse c’è. Cero, si tratta di un interesse secondo, ma secondo perché si deduce dalla concezione della legge. In realtà, dice Lyotard la parentela tra bello e bene esiste in relazione all’argomento teleologico, ossia al principio di “fine” del bello e del bene. Lo spirito non è interessato al bene, ma la legge morale glielo intima e quindi diventa interessato a realizzare atti di tal natura. ( Atti che hanno il fine del bene in sé). Lo spirito non è interessato al bello, ma il fatto che esso abbia luogo nel completo disinteresse del giudizio riflessivo puro, offre l’occasione allo spirito di esplicarsi attualmente. In entrambi i casi, rispettivamente il fine del giudizio ( estetico) e dell’atto morale è, nel primo, il bello; nel secondo, il bene, senza fini empirici. Il modello dell’attuazione disinteressata del bello è la natura ( paesaggi, tramonti); l’arte è pura e bella solo se produce >. La ragion pratica trova interesse al piacere disinteressato suscitato dalle bellezze naturali; un interesse etico per un disinteresse estetico. Com’è possibile che queste facoltà dello spirito divengano atti dello spirito e come è possibile scegliere tra l’azione dell’intelletto piuttosto che quella della volontà o del gusto? Si stabilisce attraverso l’interesse. Nella seconda Critica Kant pone la differenza tra la ragion pratica e la ragione speculativa e questo primato non può essere intrinseco, non si può dimostrare che l’uso pratico della ragione sia più giusto e vero dell’uso teorico della ragione: ovvero, che ci sia una migliore presa ontologica. L’uso di una facoltà è come la trasformazione del suo volere trascendentale in atti dello spirito, come la sua produzione il suo consumo. Questa trasformazione è sorretta da un interesse: l’interesse p un principio che contiene la condizione alla quale viene promosso l’esercizio di questa facoltà. L’interesse caratterizza tutti gli esseri ragionevoli, esso è il movente della volontà, in quanto è rappresentato attraverso la ragione. I concetti di: movente, interesse e massima possono caratterizzare solo gli esseri finiti.

Quando lo spirito è interessato dall’attuazione di una delle sue facoltà, è interessato ad essa, è il suo movente razionale, bisognerà che esso sacrifichi qualche altro interesse non ragionevole, razionalmente impuro. L’interesse razionale deve essere negoziato dall’essere finito, che non è un santo. La ragion pratica è interessata alla sua attualizzazione: lo è per il fatto che è pratica, perché comporta nella forma imperativa della sua legge, la necessità della sua realizzazione. > è la sua prescrizione allo spirito pratico, il che significa semplicemente attualizzami. Il primato nell’interesse appartiene alla ragion pratica. Il motivo dell’egemonia del pratico non si deve al fatto che solo l’etica dà allo spirito un accesso necessario., tramite l’obbligazione, vale a dire la legge morale. Ma, che ogni interesse è in sé stesso pratico. Anche l’interesse trascendentale ( uso speculativo della ragione) attesta una sorta di bisogno: quella di attualizzare la facoltà. Una sorta di voler essere facoltario. Ma, questo volere essere facoltario diviene tale soltanto nel momento in cui lo spirito immerso nel mondo degli interessi empirici, gli presta attenzione. Questa è la condizione dell’attualizzazione del potere facoltario, considerato nella prospettiva di un essere ragionevole, pratico e finito. Ma, ciò che attualizza la conoscenza e che dà impulso alla ricerca scientifica, ciò che ne ...


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