Antonio Rosmini - Filosofia della Politica PDF

Title Antonio Rosmini - Filosofia della Politica
Course Filosofia morale
Institution Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale
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riassunto utile per esame di rosmini antonio...


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Antonio Rosmini-Serbat Antonio Rosmini-Serbati è stato uno dei maggiori esponenti della filosofia italiana dell’Ottocento. Egli nasce sul finire del XVIII secolo, il 24 marzo 1797 a Rovereto, città trentina di vivaci tradizioni culturali ai margini dell’impero asburgico. Oltre ad essere considerato uno dei maggiori filosofi italiani dell’Ottocento, Rosmini è anche il fondatore dell’Istituto della Carità e un protagonista attivo della vita religiosa e civile del suo tempo, in particolare durante gli anni del Risorgimento italiano. Rosmini, infatti, è vissuto tra il periodo della Restaurazione e del Rinascimento, essendo morto nel 1855. L’itinerario umano ed intellettuale di Rosmini si inserisce, infatti, in un contesto storico, politico e culturale molto ampio, che esercita su di lui una grande influenza. Sul piano storico e politico, lo scenario è dominato dai grandi eventi della Rivoluzione francese (1789-1799) e del periodo napoleonico, ai quali segue, dopo il Congresso di Vienna del 1815, una lunga fase di Restaurazione, segnata da varie ondate rivoluzionarie, che in Italia culminano nel 1848-1849 con la Prima guerra di indipendenza ed il successivo ritorno dell’egemonia asburgica sulla Penisola. Sul piano culturale, Rosmini:  Da un lato si pone di fronte alle sfide del sensismo e dell’illuminismo  Dall’altro al criticismo di Kant e ai grandi sistemi dell’idealismo tedesco, da Fichte ad Hegel. Complessivamente, il filosofo elabora una risposta che cerca di raccogliere e di sciogliere i nodi problematici del suo tempo nel solco della grande tradizione cattolica. Nel pensiero del Rosmini vi è un riferimento alla cultura della Restaurazione = il movimento culturale di reazione alla Rivoluzione francese e alle novità e sconvolgimenti che hanno portato ad un riassetto europeo. Rosmini è un pensatore molto originale ed importante per la filosofia italiana, anche se non è molto conosciuto a livello internazionale. Egli comincia ad interessarsi alle tematiche politiche intorno ai primi anni ’20 dell’Ottocento. Questi primi interessi politici danno luogo a dei primi scritti e schemi di trattazioni politiche che, successivamente, egli rielabora. Essi troveranno sistemazione e pubblicazione, anche se non integralmente, insieme ad altri saggi, in uno scritto apposito intitolato “Filosofia della Politica” nel 1837.

La Filosofia della Politca – Antonio Rosmini Parte II: La società ed il suo fine Proemio Antonio Rosmini afferma che la Filosofia applicata alla Politica si solleva a investigare quei principi immutabili ed universali, dai quali aiutata la mente del saggio, giudica rettamente di tutto ciò che può influire a bene o a male della civile società. Per società civile egli intende lo Stato o, più in generale, la società politica. Questi grandi principi che dirigono il giudizio dei sapienti nel valutare il valore di qualsiasi cosa che abbia virtù di modificare lo stato del corpo sociale, vengono chiamati da Rosmini «criteri politci». Ogni cosa che può causare qualche modificazione buona o rea allo stato sociale può essere considerata come una forza che, applicata alla società civile, le dà una spinta, muovendola o nella direzione del suo legittimo fine, o nella direzione contraria. Nel primo caso si tratta di una forza benefica, che tende a migliorare la condizione sociale. Nel secondo caso si tratta, invece, di una forza malefica che tende ad allontanare la società dal suo fine legittimo e ad avvicinarla alla sua distruzione. Il grado di potenza che ha in sé una tal forza sono dunque anche i gradi di valore politico positivo o negativo di essa.  Ovvero i gradi di valore che ella ha a vantaggio del progresso sociale, ovvero del sociale deterioramento. È chiaro, quindi, che i criteri politici di cui parla Rosmini non sono altro che «altrettante regole, secondo le quali è necessario misurare il valore o positvo o negatvo di tutte le forze che incitano e muovono la società civile». Il saper poi misurare in modo appropriato le forze che incitano e muovono la società civile, conduce a prevedere fino a un certo segno l’avvenire della società stessa. I criteri politici, dunque, contengono nel loro seno l’arte preziosa della politica previdenza. Inoltre, le forze che muovono la società, quando sono in potere del governo, diventano altrettanti mezzi di governare. I criteri politici, dunque, sono ancora altrettante regole secondo le quali si deve misurare il valore dei mezzi governativi. Il che mostra che questi criteri riassumono in sé stessi tutta la grande arte del reggere le nazioni. Antonio Rosmini sostiene che i criteri politici possono essere ripartiti in 4 classi. Egli definisce la Politca come «l’arte di dirigere la società civile verso il suo fine, mediante quei mezzi che sono di appartenenza del governo civile». Ora  Questo movimento che si deve dare alla società può assomigliare al

movimento di un corpo che vuole togliersi dal posto in cui si trova e condursi in un altro. E l’arte governativa, sotto questo aspetto, può definirsi una “meccanica sociale”. Il meccanico che vuole spostare un masso da un luogo ad un altro deve riguardare a 4 cose e calcolare bene ognuna di esse, affinché gli riesca felicemente l’operazione: 1- Innanzitutto, deve considerare il luogo in cui gli è imposto di spingere il masso; 2- Deve porre attenzione alla natura, alle forme e al peso del masso che deve trasportare; 3- Gli conviene calcolare le forze degli argani e di tutte le altre macchine che ha a disposizione e che può applicare al masso; 4- Deve conoscere a pieno le leggi del movimento. Ciò che studia il meccanico per eseguire l’operazione di cui si parla è dunque:    

Termine del moto; Natura della cosa da muoversi; Forze da applicarsi alla medesima; Leggi del moto.

Altrettante sono, appunto, le considerazioni che deve fare la mente che viene incaricata di dirigere la società civile: 1- Innanzitutto, ella deve conoscere il fine legittimo per il quale la società civile fu istituita e al quale ella deve essere spinta; 2- In secondo luogo, deve conoscere la natura stessa della società, ovvero la sua naturale costituzione; 3- In terzo luogo, deve calcolare le forze atte a muovere la società e quali appartengono alla natura delle cose, quali all’arte, quali siano quelle di cui il governo debba e possa disporre, quali quelle che entrano da se stesse a turbare la sua azione; 4- Infine ella deve meditare le grandi leggi del movimento o progresso sociale. Perché invano si vorrebbe muovere utilmente la società oppugnando o contraddicendo alle leggi naturali, secondo le quali ella si muove. Ciascuno può ben accorgersi che a questi quattro capi o argomenti di altrettante nobilissime teorie si riduce finalmente quant’è lunga e larga l’arte politica. E questi stessi capi sono le quattro fonti di quelle regole supreme che costituiscono la logica politca, secondo le quali si può valutare con esattezza il valore dei mezzi di governo e che Rosmini ha nominato “criteri”. Poiché le regole di cui parliamo devono essere dei principi universali ed immutabili; e i principi dotati di tali caratteri non possono avere altrove la loro base, se non nella

natura delle cose (in ciò che è essenzialmente, e però uguale sempre). Ora anche nella società umana, in tutte le sue vicissitudini e alle sue incessanti fluttuazioni, si scopre qualcosa di immutabile e di costante. Lo si scopre nel fine della società, nella sua natura, nei suoi moventi e nelle leggi del suo procedere. Cosicché se noi mettiamo da parte ciò che varia nel fine della società civile, nelle forze che la muovono e nella serie dei suoi andamenti e se consideriamo solo ciò che vi è di invariabile e di necessario, giungiamo a trovare il fondamento di quei principi universali di cui siamo alla ricerca e con i quali possiamo poi far ragione di tutti gli elementi variabili che appaiono negli infiniti imprevisti e capovolgimenti delle società politiche. Era necessario premettere queste cose, al fine di rendere chiaro lo scopo di questo scritto. Questo scritto non è altro che un frammento della Filosofia della Politica, come pure fu un frammento della stessa scienza lo scritto pubblicato dal Rosmini prima di questo con il titolo di: “Sommaria Cagione per la quale stanno o rovinano le umane Società”. Ma il frammento che stiamo studiando costituisce il gran corpo della Filosofia Politica? E che relazione ha con il frammento che lo precede? Tanto “La società ed il suo fine”, quanto lo scritto sulla sommaria cagione dello stare e del cadere delle umane società, sono rivolti a trattare della prima delle quattro classi di criteri politici enumerate da Rosmini. Entrambi gli scritti, cioè, trattano di quei criteri che si deducono dalla considerazione del FINE della società politica. Se la società politica viene considerata nel suo movimento (nel quale è perpetuamente fluttuante e ora si avvicina al suo fine, ora se ne allontana) sarà facile accorgersi che la perfezione ultima (ovvero l’ideale della società) non viene mai raggiunta da essa per quanto vi si avvicini incessantemente. Allo stesso modo la società, allontanandosi dall’ideale della sua perfezione e venendo di continuo deteriorandosi, non arriva mai a toccare l’estremo opposto del suo completo deterioramento, se non forse allora che ella si discioglie. Così la perfezione della società (cioè il fine da essa impeccabilmente ottenuto, da una parte) e la distruzione della medesima possono essere considerate, secondo Rosmini, come due LIMITI fra i quali ondeggia perpetuamente irrequieto, e ogni corpo sociale è incessantemente agitato. Nel libro pubblicato sulla cagion sommaria per la quale stanno o rovinano le società, Rosmini considera il movimento che la società fa a ritroso del suo fine: movimento

che la conduce finalmente a perire. Dalle considerazioni fatte su questa specie di movimento, Rosmini deduce il criterio del doversi distinguere all’interno della società quell’elemento sul quale ella regge se stessa, al fine di munire questo elemento contro ogni rischio, anche a costo di sacrificare se faccia bisogno ogni vantaggio accidentale. Rosmini accenna anche come questo elemento sostanziale, mediante il continuo procedere della società, cambi di luogo. In questo modo Rosmini considera il fine della società rispetto al suo LIMITE INFERIORE. Ma lo stesso fine si può e si deve considerare anche relativamente al suo LIMITE SUPERIORE = cioè all’ideale di perfezione di essa società. Ed è questo che Rosmini intende fare con quest’opera. La società che Rosmini prende ad oggetto del suo ragionamento è quella civile. La società civile non è altro che una società speciale. Tuttavia, troppo spesso la società civile viene confusa con la società umana o con l’umana socievolezza (= ovvero con la società presa genericamente ed in astratto). Da tutte queste società e da tutti questi modi di concepire la società bisogna distinguere la società civile ed il suo concetto. Ciononostante è impossibile ragionare in modo appropriato dell’associazione civile, se non si considerano prima i caratteri comuni a tutte le associazioni e se non si stabilisce ciò che forma l’essenza della società umana in generale. Rosmini afferma che la materia che abbiamo alla mano si divide in due parti. Bisogna prima porre in chiara luce le nozioni generali della società; pronunciarne l’essenza unica ed immutabile in tutte le speciali associazioni; investigare il fine comune di tutte o il fine essenzialmente sociale; e poi indicare, finalmente, le deviazioni che la società, presa in universale, è solita fare da questo fine, come pure descrivere il suo diritto andare verso questo fine medesimo. Successivamente, bisogna applicare i principi stabiliti alla società civile e al suo fine speciale.  Questa applicazione somministrerà dei criteri sicuri, con i quali giudicare quali siano i buoni e quali i mezzi dannosi di governare; quali debbano essere le vedute proprie di un eminente uomo di stato, quali le illusioni, i sofismi e gli errori in una parola a cui possono soggiacere i pubblici reggitori. La sorte dei popoli è una cosa troppo importante e sacra. Dunque nessuna fatica e nessuna meditazione profonda deve sembrare eccessiva in una materia in cui un solo errore decide della moralità, della dignità e della felicità di molte generazioni umane. Purtroppo questa scienza è stata lasciata fino ad ora senza principi assoluti. Gli uomini erano abituati ad attingere le proprie opinioni politiche o dagli ignobili istinti

dei propri interessi individuali, o dai meri fatti presi materialmente, o dalle nozioni imperfette ed esclusive che godono nei diversi tempi del favore popolare e sono successivamente impalmate e ripudiate dalle menti calde e limitate, che formano il nerbo dei partiti dai quali gli astuti traggono il loro profitto. Nell’infinito numero di coloro i quali scrissero di politica, ben radi sono coloro che non fossero ispirati da un partito o da interessate prevenzioni. Quanto ai più moderni, il loro difetto nasce da quella stessa popolarità che ostentano e che sarebbe pure un pregio sublime se non la considerassero come il mezzo attraverso il quale acquistarsi gloria. Un pregio sublime è quella popolarità che ha per scopo quello di istruire il popolo, dato che il difetto delle idee popolari è per lo più quello di essere vaghe, senza limiti e senza contorno. Ma vi è anche un’altra popolarità. Una popolarità che consiste non nel dare al popolo delle idee esatte e ben definite, ma nel prendere dal popolo le sue stesse idee così come esso le concepisce: poche, semplici, indefinite, esclusive, imperfette; e avvolgendole in un mare di parole e di frasi che sembrano essere chiare e dire molto ed invece non dicono nulla. Questa popolarità bastarda, come la definisce il Rosmini, non è che una bassa adulazione della plebe. A questa falsa e perniciosa popolarità si deve attribuire la scarsità di libri che siano scritti con rigore e con ordine scientifico in materia politica. Gli scrittori dovrebbero costituire una scuola di verità e di virtù e rendersi popolari nel vero e nobile senso della parola, in modo che tutto il popolo sia invitato ed allettato a questa scuola. Gli scrittori devono abbassarsi al popolo con la chiarezza e la semplicità dello stile, non con l’imperfezione del pensare: possa tutta la moltitudine leggere ed intendere quanto legge. Ma allo stesso tempo ella trovi nelle sue letture ammaestramento, si renda più riflessiva e modifichi le proprie idee e opinioni verificandole, confrontandole, determinandole ed ampliandole. Trovi, se si vuole, anche diletto e passioni. Ma il diletto che trova le venga dalla luce della verità che penetra le menti, dalla dolcezza della modestia e della benevolenza che informa i cuori; le passioni la portino all’eroismo della virtù e la sottraggano alla cieca e turbolenta servitù del vizio. Oh popolarità degna di ogni encomio! Oh popolarità santa, che solleva gli scrittori al grado di maestri e di padri del genere umano! Questa sublime missione non si compie certamente da quelli che si avviliscono col rendersi umili seguaci di quella plebe di cui potrebbero e dovrebbero essere i condottieri.

Conviene confessare, però, che una dottrina esatta non può rendersi popolare tutto ad un tratto. Prima ella deve trovarsi questa dottrina. Subito dopo averla trovata, deve discutersi fra pochi, e solo quando essa esce lucida, ben provata e stabilita, dalla discussione dei dotti, ella si può comunicare al popolo senza pericolo. Questa comunicazione del sapere al popolo è l’opera di una speciale classe di scrittori sommamente benemeriti del pubblico avanzamento: ella è opera lieta e splendida a cui non manca la mercede di una riconoscenza universale. Ma questi scrittori che infondono nel popolo una dottrina sicura, accurata ed utile non possono essere quegli stessi che l’hanno pensata, discussa e stabilita con scientifico rigore da principio. Benché le forze dell’uomo sono limitate. Il trovare e lo stabilire scientificamente una dottrina di pubblico vantaggio è opera ancor più difficile e più meritoria dell’altra; ma ella è più modesta e quasi segreta. Solo il ristretto numero di quelli che vivono di pensieri e di studi e che agitano fra di loro le questioni quando sono ancora oscure, ancora vestite di ruvida scorza, di vocaboli tecnici dei quali si coprono fino a che stanno nell’officina della scienza, conoscono la grandezza e l’arduità del travaglio che si vien facendo intorno ad esse: il popolo nulla ne vede, e quel poco che ne vede, siccome strano il dileggia. Ma questo duro e lento lavoro che i dotti fanno nelle tenebre, egli è pure quello che deve somministrare la preziosa materia a quegli scrittori, a quei libri che leggeranno poi tutti e che tutti applaudiranno: siccome colui che si abbrevia la vita respirando l’aria corrotta e mefitica dei profondi meati di una miniera d’oro, al gioielliere che ne lega poi gioie brillanti e ne forma luccicanti monili, che tutti ammirano or fra le bionde trecce di vaghe donzelle, or pendenti al candido collo di fidanzate e di spose. Rosmini afferma che con l’opera presente intende far divenire la scienza sociale finalmente una scienza vera e propria, la quale (secondo Rosmini) potrebbe un giorno esser condotta a tale rigore di formule e a tale evidenza di dimostrazioni, da disgradarne le stesse discipline matematiche.

LIBRO PRIMO: LA SOCIETÀ CAPITOLO I: DE’ VINCOLI DELL’UOMO COLLE COSE E COLLE PERSONE L’uomo ha dei rapporti con le cose e con le persone. I rapporti appartengono all’ordine ideale. Ma oltre ai rapporti, l’uomo stringe altresì tanto con le cose che lo circondano, quanto con le persone, dei VINCOLI effettivi che appartengono all’ordine della realtà. I rapporti necessari ed immutabili costituiscono altrettante leggi, che devono essere

rispettate dall’uomo. I vincoli  non sono altro che dei fat che o si trovano conformi alle leggi, o si trovano difformi ad esse. Essi sono arbitrari (cioè né positivamente voluti, né positivamente proibiti dalle leggi). Questi ultimi fatti, posti dall’uomo quasi si potrebbe dire praeter legem, e costituenti altrettanti vincoli effettivi, danno l’origine nell’ordine delle idee a nuovi rapporti dell’uomo con le cose e con le persone con cui si è avvincolato, e perciò a delle nuove leggi. I rapporti più semplici ed universali che ha l’uomo con le cose e con le persone si riducono a quelli di mezzo e di fine. Le cose hanno verso l’uomo il rapporto di MEZZO e le persone hanno verso l’uomo il rapporto di FINE. Da questi due rapporti fondamentali discendono tutte le leggi morali, che devono dirigere il contegno dell’uomo verso le cose e verso le persone. «L’uomo deve far uso delle cose come di altrettanti mezzi al proprio fine».  Prima legge, che dirige la sua condotta verso le cose. «L’uomo deve trattare le persone come fine, cioè come aventi un proprio fine».  Seconda legge, che dirige la sua condotta verso le persone. L’uomo è egli stesso una persona, e perciò in questa seconda legge si comprendono anche i doveri che l’uomo ha verso sé stesso. A questi due rapporti di mezzo e di fine corrispondono nel fatto dei vincoli effettivi. Infatti l’uomo ha la facoltà di avvincolare e unire a sé stesso un infinito numero di esseri, sia che appartengano alla categoria delle cose, sia che appartengano a quella delle persone. L’uomo avvincola ed unisce a sé tutte le cose che sono fuori di esso e che gli possono servire a qualcosa. Le fa sue, fa su di esse i suoi insegnamenti: così egli stabilisce un VINCOLO DI PROPRIETÀ. L’uomo avvincola ed unisce a sé anche le persone, e sé stesso ad esse. Ma questa congiunzione propria delle persone è interamente diversa da quella dell’uomo con le cose: l’uomo non considera le persone come quelle che gli possono prestare del vantaggio, nel qual caso non le distinguerebbe dalle cose; ma come quelle in compagnia delle quali egli può godere dei vantaggi che gli prestano le cose. Così, le persone unite fra loro vengono ad avere una comunione di beni e tutte insieme sono un fine solo: le cose non sono che dei mezzi a quel fine che tutte le persone hanno in comune.  Questo è un VINCOLO DI SOCIETÀ. Il VINCOLO DI PROPRIETÀ ha per base l’utlità della persona che si lega con le cose. Il VINCOLO DI SOCIETÀ ha per base la benevolenza scambievole delle persone che si

legano insieme. Questi due vincoli sono...


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