Ariosto & Tasso PDF

Title Ariosto & Tasso
Course Storia della lingua italiana
Institution Università degli Studi di Macerata
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riassunto della vita di Ariosto e Tasso...


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ARIOSTO: VITA: Ludovico Ariosto nasce nel 1474 dal conte Niccolò, nobiluomo al servizio della corte degli Estensi, e da Daria Malaguzzi Valeri. Il padre, cercando di avviarlo alla carriera giuridica e alla vita presso l’ambiente di corte, lo costringe a studiare diritto presso lo Studio di Ferrara. Nel 1494, Ariosto tuttavia abbandona gli studi per dedicarsi alle lettere, guidato dal monaco Gregorio da Spoleto, che lo introduce alla filosofia neoplatonica, allo studio di Marsilio Ficino e alla conoscenza degli autori classici (Orazio, in particolare). In questi anni, Ludovico stringe i primi contatti con Pietro Bembo, autore che sarà poi rilevantissimo con le sue Prose della volgar lingua nelle diverse stesure dell’Orlando furioso. Il servizio presso gli Estensi: Nel 1500 muore il padre e il giovane Ludovico, in qualità di figlio maggiore, si trova obbligato ad occuparsi della famiglia, composta da quattro fratelli e cinque sorelle; per garantire la loro sicurezza economica, diventa uomo di corte presso gli Estensi. Dal 1501 al 1503 è capitano della rocca di Canossa e, a partire dal 1503 fino al 1517, è al servizio come segretario del cardinale Ippolito d’Este (1479-1520). Si tratta di un periodo infelice per Ariosto, combattuto tra la vocazione letteraria e i doveri di uomo di corte, che lo coinvolgono spesso in missioni diplomatiche o in compiti amministrativi. Il cardinale verrà infatti presentato dal poeta stesso nelle Satire come un uomo avaro e poco amante della poesia e delle lettere, che tratta il suo segretario come un cameriere, a cui affida compiti abbietti e anche missioni pericolose 1. Tra le diverse missioni, Ariosto viene inviato a Roma nel 1509, per richiedere invano l'aiuto di Giulio II(1443-1513) contro Venezia, e nell'anno successivo per far revocare (ancora una volta infruttuosamente, e pure con gravi rischi personali) la scomunica del duca di Ferrara Alfonso, schieratosi contro Roma e la Lega Santa. Anche la terza missione, nel 1512, è infelice, ma anche questa volta Ariosto e il duca riescono a sottrarsi alle ire del pontefice. Nel 1513 muore papa Giulio II e viene eletto papa Leone X (1475-1521), da cui il poeta si reca in cerca di una sistemazione nella città pontificia, senza avere risultati effettivi, ma solo una modesta parrocchia presso Faenza. Sulla strada di ritorno, in una sosta a Firenze, conosce Alessandra Benucci Strozzi, di cui si innamora e che sposerà nel 1527. Gli ultimi anni: Nel 1522 Ariosto viene nominato governatore della Garfagnana, regione da poco entrata sotto il dominio estense, e quindi assai complessa da gestire. Nel 1525 il poeta rientra a Ferrara, dedicandosi alla revisione del Furioso, alla composizione delle restanti Satire (fino a un numero complessivo di sette) e alla pace nella contrada di Mirasole, dove Ariosto trascorre gli ultimi anni, prima di spegnersi nel luglio del 1533. ORLANDO FURIOSO: L’Orlando furioso è un poema cavalleresco in ottave di Ludovico Ariosto, iniziato nel 1503-1504 e pubblicato per la prima volta a Ferrara nel 1516 in quaranta canti. Il poema viene poi pubblicato in altre due edizioni (1521 e 1532), con modifiche linguistiche e poi con l’aggiunta di altri canti, che portano il totale a quarantasei canti. L’Orlando furiososi presenta come la prosecuzione delle vicende dell’Orlando

innamorato di Matteo Maria Boiardo e, più in generale, del ciclo bretone e del ciclo carolingio. La trama, molto articolata e stratificata, ruota attorno a tre filoni principali: gli amori di Orlando, Angelica e Rinaldo (e, di conseguenza, di tutti gli altri personaggi del poema cui alludono le “donne” e “gli amori” del primo verso del poema), la guerratra l’esercito cristiano di Carlo Magno e i Mori (“i cavallier” e “le arme” sempre citati nel primo verso), il motivo encomiastico per la casata ferrarese degli Estensi, sviluppato attraverso le figure di Bradamante e di Ruggiero. La trama del Furioso si presenta come un organismo assai complesso ed articolato, per voluta scelta dell’autore; sulla vicenda principale della guerra tra Franchi e Mori e della follia di Orlando si innestano infatti una molteplicità di vicende secondarie, che sviano, dilatano e ritardano il corso naturale degli eventi. Il tutto è però sempre controllato con abilità dal narratore, che incastra una storia nell’altra in un “gioco” tanto sfaccettato quanto affascinante. L’argomento bellico, tipico della tradizione del poema epico e cavalleresco, incomincia con l’invasione della Francia e l’assedio di Parigi da parte del re saraceno Agramante, che inizialmente sembra aver la meglio sull’esercito cristiano di Carlo Magno, anche grazie all’aiuto del grande guerriero Rodomonte, e di Marsilio, re di Spagna, e Manfricardo, re tartaro, suoi alleati. I due paladini più importanti dello schieramento cristiano, Orlando e Rinaldo, si perdono infatti dietro alla bellissima Angelica, e gli infedeli possono così penetrare a Parigi. Il ritorno in campo di Rinaldo costringe però i saraceni alla ritirata ad Arles e poi alla sconfitta in una battaglia navale. Caduta anche Biserta, capitale del regno d’Africa, le sorti della guerra sono affidate ad una sfida tra i tre migliori guerrieri mori (Agramante, Gradasso e Sobrino) e i tre campioni cristiani (Orlando, Brandimarte e Oliviero) sull’isola di Lampedusa. Orlando sbaraglia i nemici e assicura la vittoria a re Carlo Magno. La tematica sentimentale è spesso intrecciata con quella militare, tanto da condizionare in più occasioni lo sviluppo delle battaglie e i duelli tra i singoli cavalieri. Tutto ha inizio durante l’assedio di Parigi; Angelica, ambita sia da Orlando che da Rinaldo, è affidata da re Carlo a Namo di Baviera, con la promessa di darla in sposa a chi si dimostrerà più valoroso nello sconfiggere i mori. La fanciulla riesce però a fuggire, inseguita da molti guerrieri di entrambi gli schieramenti. La ragazza, dopo alcune traversie, incontra un giovane fante saraceno ferito, il bellissimo Medoro, di cui si innamora e con il quale fugge in Catai. Orlando, giungendo in seguito nel bosco sui cui alberi la coppia aveva inciso scritte che celebravano il loro amore, impazzisce e si dà alla devastazione di tutto ciò che incontra. Il paladino, con la mente offuscata dalla gelosia, si aggira per la Francia e la Spagna, fino ad attraversare lo stretto di Gibilterra a nuoto. Nel frattempo il guerriero Astolfo, dopo aver domato un ippogrifo, vola sulla Luna, dove ritrova in un’ampolla il senno perduto di Orlando. Dopo aver attraversato l’Africa e aver compiuto mirabili imprese, Astolfo fa odorare l’ampolla a Orlando, che torna in sé e rientra in combattimento. Altri amori “secondari” sono quelli tra Zerbino e Isabella e tra Brandimarte e Fiordiligi. La terza linea narrativa, quella encomiastica, riguarda Ruggiero, guerriero saraceno, e Bradamante, sorella di Rinaldo. I due, che si amano ma che sono continuamente divisi dal susseguirsi degli eventi e delle battaglie, sono presentati come i capostipiti della famiglia d’Este, che, per via di Ruggiero, discenderebbe così addirittura dalla stirpe troiana di Ettore. L’amore tra i due è innanzitutto ostacolato dal mago Atlante, che vuole evitare le nozze tra i due perché sa, in seguito ad una profezia, che Ruggiero è destinato a morire se si convertirà alla fede cristiana e sposerà Bradamante. Il guerriero viene quindi

imprigionato in un castello incantato creato appositamente dal mago. Ruggiero è poi trattenuto sull’isola della maga Alcina, che lo seduce con le sue arti di strega. Liberato da Astolfo da un secondo castello magico, Ruggiero può recarsi con Bradamante in Vallombrosa per convertirsi e sposare l’amata, ma il tutto è ulteriormente rimandato dalla guerra con i saraceni. Concluse le ostilità, si scopre che Bradamante è stata promessa a Leone, figlio di Costantino ed erede dell’Impero romano d’Oriente. Dopo un duello tra Bradamante e Ruggiero (che combatte sotto mentite spoglie per non farsi riconoscere), Leone rinuncia a lei, così che si possa finalmente celebrare il matrimonio. Rodomonte irrompe però al banchetto nuziale, accusando Ruggiero d’aver rinnegato la sua fede; il capostipite della dinastia degli Estensi, dopo un acceso duello, lo uccide Lo stile dell’Orlando Furioso e le tre edizioni del poema Intorno a questi tre nuclei narrativi, ruotano vicende e personaggi minori e digressioni, abilmente intrecciati tra loro e con le storie principali secondo la tecnica dell’entrelacement, che serve appunto ad “intrecciare” vicende, tempi, spazi e personaggi del poema, stuzzicando l’attenzione del lettore (o dell’ascoltatore) del poema e favorendo il progredire delle vicende. A condire il tutto c’è poi l’ ironia ariostesca, che, secondo un atteggiamento già visto nelle Satire, riporta ad un senso di misura le passioni e gli eventi umani, su cui spesso cala un divertito giudizio d’autore. Costante è la ricerca dell’equilibrio e dell’armonia, valori tipicamente rinascimentali da cui traspare pure la visione del mondo di Ariosto e la sua ricerca, evidente anche nelle vicende autobiografiche, di un’esistenza tranquilla da dedicare agli affetti famigliari e alla letteratura. La ricchezza delle fonti ariostesche (dalla tradizione dei poemi cavallereschi e dei cantari medievali sino ai modelli classici di Omero, dell’Eneide di Virgilio o della Tebaide di Stazio, senza dimenticare le Metamorfosi ovidiane) si riflette in uno stile limpido ed elegante, che porta l’ottava narrativa al massimo delle sue possibilità espressive 1. Fondamentale, dal punto di vista stilistico, è anche il processo di revisione del poema che impegna Ariosto per tutta la vita. Da un lato (tra 1518-1519 o tra 1521-1528, secondo la critica) Ariosto lavora ai famosi Cinque canti che sviluppano la storia del noto traditore Gano di Maganza e di alcune imprese secondarie di Ruggiero, e che poi non saranno inseriti nel poema definitivo. Dall’altro, le modifiche sostanziali sono quelle tra le tre edizioni del 1516, 1521 e 1532. Dal punto di vista contenutistico, la rielaborazione più significativa è quella tra seconda e terza versione del poema, in cui il numero complessivo dei canti passa da quaranta a quarantasei, con l’aggiunta di una serie di episodi 2 che hanno come effetto principale quello di collocare l’impazzimento di Orlando al centro del poema e di sviluppare meglio il tema encomiastico. Dal punto di vista linguistico, centrale nelle tre revisioni è evidente la regolarizzazione verso il toscano letterario, sull’esempio delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, per eliminare soprattutto le forme e le espressioni più “basse” e popolareggianti e per dare maggior omogeneità stilistica possibile al Furioso. PROEMIO: Il proemio (ottave 1-4) del poema è un luogo fondamentale che Ariosto sfrutta per sottolineare tanto la continuità quanto l’originalità del suo lavoro rispetto alla tradizione cavalleresca, sia in relazione all’Orlando innamorato di Boiardo sia ai cicli bretone (o arturiano) e carolingio. Il poema si apre con la protasi, cioè appunto la parte d’apertura dei poemi classici in cui era esposta la materia del canto. Si veda a proposito la prima ottava.

Il primo verso espone, con disposizione a chiasmo, la tematica amorosa (collocata agli estremi del verso: “Le donne [...] gli amori”), che costituisce uno dei grandi motori dell’intreccio, e la tematica guerresca(individuata dai due termini centrali: “i cavallier, l’arme”). Entrambi i temi sono ripresi al v. 2 da analoghe espressioni (“le cortesie, l’audaci imprese”), dove il poeta sottolinea che è lui il responsabile della composizione (“io canto”). L’ottava successiva rappresenta poi una sintesi rapidissima della vicenda e della sua originalità (v. 2: “cosa non detta in prosa mai, né in rima”), cui si associa l’invocazione alla Musa (vv. 5-8), che per il poeta assume la fattezze della donna amata, Alessandra Benucci. Dopo il proemio, le ottave restanti del canto (5-81) danno avvio alla storia, sfruttando la bellezza di Angelica, che ha fatto innamorare di sé sia Orlando sia Rinaldo, che se la contendono. L’incipit della quinta ottava (vv. 1-2: “Orlando, che gran tempo inamorato | fu de la bella Angelica [...]”) si riaggancia a tutta la vicenda narrata nell’ Orlando innamorato, e precede lo scoppio delle ostilità tra cristiani ed infedeli. Quando l’esercito cristiano ha la peggio in battaglia, Angelica ne approfitta per fuggire in un bosco dove incontra Rinaldo che ha perduto il cavallo. Viene soccorsa dal saraceno Ferraù che attacca il paladino cristiano in difesa della ragazza, che prosegue la sua fuga. Ma entrambi i guerrieri si gettano poi all’inseguimento della donna. Durante la fuga, la donna si ritrova in un bosco paradisiaco, che rappresenta il classico locus amoenus della tradizione letteraria (ottave 34-38). Giunge così il moro Sacripante, che viene ingannato dalla donna, la quale vuole sfruttarlo per raggiungere il Catai. Compare però Bradamante, vestita di un’armatura bianca, che inizia a duellare con il nemico, e ne uccide il cavallo. Prima che il canto si chiuda, si intravede in lontananza Rinaldo. CLORIDANO E MEDORO: In questo canto gli eventi si svolgono intorno ai personaggi di Cloridano e Medoro, esponenti dell'esercito pagano, che piangono la morte del loro amato Dardinello, a cui non è stata data una degna sepoltura. Medoro, seguito poi da Cloridano, decide quindi di recarsi presso gli accampamenti dell'esercito cristiano in modo da poter dare alle spoglie dell'amico una degna sepoltura. I due amici riescono a introdursi nell'accampamento nemico nel cuoredella notte, approffittando dell'ebbrezza dei membri dell'esercito subito dopo i festeggiamenti per la vittoria e riescono ad uccidere tantissimi nemici. In seguito i due si recano nel campo di battaglia e grazie alla lucedella luna finalmente riescono a trovare finalmente il corpo di Dardinello, caduto in battaglia, il quale è completamente abbagliato da una luce molto chiara. Cloridano e Medoro a questo punto si caricano il corpo dell'amico defunto in spalla cercando per lui un degno luogo di sepoltura. Sfortunatamente il mattino successivo Zerbino, rientrando nell'accampamento, si accorge della presenza dei due nemici, per cui inizia a cercarli insieme a tutti gli altri cavalieri. Il canto si conclude con Cloridano che si mette in salvo, lasciando il carico che aveva sulle spalle, pensando che la medesima cosa faccia anche l'amico Medoro. LA CONDANNA DELLE ARMI DA FUOCO: Il passo è la conclusione dell'episodio che occupa l'intero canto IX ed ha come protagonisti Orlando e Olimpia, la figlia del duca d'Olanda: questa, promessa

sposa di Bireno duca di Selandia, ha rifiutato le nozze col figlio di Cimosco, malvagio re negromante di Frisa che per vendetta ha invaso l'Olanda e fatto prigioniero Bireno. Cimosco è in possesso di una micidiale arma da fuoco, una specie di archibugio che gli consente di vincere ogni nemico, così Olimpia (che è riuscita a sfuggirgli) invoca l'aiuto di Orlando come cavaliere errante. Il paladino (che cavalca un destriero diverso da Brigliadoro) giunge a Dordrecht, la città olandese in cui è trincerato Cimosco, e lo sfida a duello con il patto che se sarà vinto dovrà liberare Bireno: Cimosco accetta pensando di uccidere facilmente Orlando grazie all'archibugio, ma il paladino riuscirà a vincerlo e, una volta venuto in possesso del micidiale ordigno, lo distruggerà gettandolo in fondo al mare. Il cuore dell'episodio è ovviamente l'espediente narrativo dell'archibugio, arma del tutto anacronistica al tempo dei paladini che il re-negromante Cimosco usa per sconfiggere tutti i nemici e impadronirsi del regno d'Olanda: si tratta ovviamente di uno strumento di morte che dà un ingiusto vantaggio a chi lo usa e, soprattutto, annulla ogni concetto di cavalleria, dal momento che anche gli uomini malvagi possono usarlo per sconfiggere i nemici e non richiede particolare abilità, essendo sufficiente dar fuoco all'innesco per scatenare una potenza spaventosa. La caratterizzazione che l'autore dà dell'arma e di chi la utilizza (in questo caso Cimosco) è del tutto negativa, specie nella scena in cui il malvagio re si apposta come un cacciatore che attende il cinghiale e si prepara a sparare contro Orlando che arriva ignaro e si salva solo perché Cimosco fallisce il colpo e uccide il cavallo di Orlando, nell'occasione un ronzino diverso da Brigliadoro. Particolarmente efficace la descrizione della detonazione dell'arma, paragonata al fragore di un tuono che fa tremare le mura e il terreno, mentre poco oltre la furia di Orlando che si rialza e corre verso il suo nemico è accostata all'esplosione causata da un fulmine, con riferimento ancora allo sparo dell'archibugio. Ariosto intende polemizzare contro le armi da fuoco che si stavano diffondendo nelle guerre del Cinquecento e che ormai stavano facendo tramontare l'ideale di cavalleria, come è evidente nelle dure parole con cui Orlando getta l'archibugio in fondo al mare chiamandolo "maladetto... abominoso ordigno" e affermando che è stato prodotto dal diavolo nell'inferno, in cui intende ricacciarlo; la sua visione del problema è piuttosto realistica, anche più di quella di Machiavelli che, invece, sottovaluta la portata delle artiglierie nelle guerre LA FOLLIA DI ORLANDO: Mentre Orlando sta affrontando in duello il saraceno Mandricardo, che lo aveva sfidato per vendicare l’uccisione del padre, il cavallo di quest’ultimo, imbizzarritosi, fugge nella foresta, costringendo Orlando ad inseguirlo per due giorni. Fino a quando giunge in uno splendido spiazzo (che diverrà travaglioso albergo e crudo, empio soggiorno) con fiori, alberi, sui quali vede incisi i nomi di Angelica e Medoro intrecciati insieme. Orlando cerca di ingannare sè stesso per non cadere nella disperazione: si sforza di credere che sia un’altra Angelica o che Medoro sia il soprannome datogli da lei. Errando, in preda al rifiuto di accettare la realtà, giunge all’entrata della grotta, dove Medoro ha inciso l’epigramma del suo amore per Angelica: scritto in arabo, lingua che Orlando conosce; la legge più volte fino a crollare. Ritorna in sé e pensa che qualcuno vuole infamare Angelica, imitando bene la sua grafia. Orlando giunge alla capanna del pastore che aveva ospitato Medoro ferito e

Angelica, e anche qui le pareti erano piene di scritte. Il pastore, vedendolo triste, gli narra una bella storia d’amore, quella di Angelica e Medoro. A questo punto non è più possibile tenere lontana la verità e Orlando, raggiunta una parte di bosco solitaria, grida e urla, manifestando il suo dolore. Tutta la notte cammina nel bosco e all’alba si ritrova all’epigramma di Medoro: sguaina la spada, taglia gli alberi, getta terra nella fonte, fino che, stanco e afflitto, cade sull’erba, dove rimane fermo senza cibo e dormire per 3 giorni. Il quarto giorno, agitato dalla pazzia, si leva l’armatura, e nudo comincia la sua furia distruttrice, i pastori che hanno sentito tutto vanno a vedere cosa è successo. Ma qui Ariosto interrompe la narrazione per non infastidire il lettore a causa della lunghezza. SATIRA III: Scritta nel 1518 pochi mesi dopo essere passato dal servizio del cardinale Ippolito a quello del duca Alfonso d'Este, la satira (indirizzata ad Annibale Malaguzzi che gli chiedeva notizie) svolge una serie di riflessioni, ironiche fino a un certo punto, sull'ansia di molti uomini nel ricercare onori e ricchezze, salvo poi ritrovarsi col classico pugno di mosche in mano in quanto la "ruota di Fortuna" gira in modo instancabile e quasi mai compensa in modo adeguato chi spera in essa. Molto meglio una vita modesta che sa accontentarsi di piccole cose, foss'anche una "rapa" cotta in casa propria e preferibile a cibi raffinati ottenuti grazie al servizio dei potenti, perché (detto con mediocrità oraziana) le ricchezze non valgono la pena che danno per conquistarle. Nella finzione della satira Ariosto risponde al cugino Annibale Malaguzzi, ansioso di sapere come si trovasse al servizio del duca Alfonso dopo la rottura col cardinale Ippolito, e paragona se stesso ironicamente a un "rozzone" (cavallo da soma) che mal sopporta di essere cavalcato da qualcuno: il servizio come uomo di corte pesa al poeta ed egli si dice costretto ad accettarlo per mancanza di denaro, essendo il primo di dieci fratelli e appartenendo a una famiglia non ricca, per cui piuttosto che mendicare gli conviene accettare di lavorare per il du...


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