Berkeley - Riassunto Filosofia PDF

Title Berkeley - Riassunto Filosofia
Author Marinella Spinelli
Course Storia Della Filosofia 1 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Summary

George Berkeley (1685-1753) Un empirista contro l’empiristaIl pensiero di Berkeley è un pensiero che si muove in due direzioni: da un lato radicalizza la concezione cartesiana di conoscenza, per cui noi conosciamo le idee, le quali coincidono con gli oggetti della nostra mente; dall’altro lato prov...


Description

George Berkeley (1685-1753)  Un empirista contro l’empirista Il pensiero di Berkeley è un pensiero che si muove in due direzioni: da un lato radicalizza la concezione cartesiana di conoscenza, per cui noi conosciamo le idee, le quali coincidono con gli oggetti della nostra mente; dall’altro lato prova ad utilizzare le armi del razionalismo e dell’empirismo per combattere le loro conseguenze. L’obbiettivo è quello di impedire al razionalismo cartesiano e all’empirismo lockiano di sfociare nell’illuminismo scettico, irreligioso e ateo della sua epoca. La sua opera quindi si genera dal razionalismo illuministico della sua epoca: l’interesse filosofico si coniuga con una profonda motivazione apologetica che lo oppone ai deisti e ai libertini, e al contempo si oppone agli scienziati che ammettono l’esistenza della materia fuori dalla mente. Per Berkeley la verità dell’empirismo è l’idealismo, cioè la riduzione dell’oggettività del mondo della soggettività delle idee -> se il mondo rimanesse esterno rispetto alle nostre idee ci sarebbe sempre qualche pensatore irreligioso che ne negherebbe l’esistenza, solo nella nostra mente esso resta al sicuro. In questa posizione antimoderna, Berkeley, si mostra radicalmente moderno.

 I principi della conoscenza: la filosofia come indagine generale sul conoscere Il pensiero di Berkeley è motivato da una preoccupazione apologetica e religiosa -> la finalità della sua indagine è la distruzione dello scetticismo dal momento che costituisce la base dei quelli che, per Berkeley, sono i mali della sua cultura: deismo, irreligione e ateismo. Questi tre mali possono essere combattuti solo attraverso l’indagine critica sullo statuto e sui prìncipi della conoscenza, che ci permetterà di individuare le cause dei suddetti mali -> egli, dunque, è convinto che, la filosofia debba declinarsi come indagine sulla natura del conoscere, sui suoi limiti e sulla legittimità dei princìpi che essa assume come propri. In questa indagine a nulla vale giustificare la ragione affermando che le difficoltà del conoscere dipendono dall’oscurità degli oggetti o dell’innata limitatezza della mente umana -> l’origine dello scetticismo va rintracciato nella modalità errata con cui le questioni filosofiche vengono affrontate a partire da preconcetti o da falsi principi, tra questi il principio secondo cui esisterebbero nozioni astratte, ossia idee generali. La convinzione che la mente sia capace di concepire idee generali è l’origine di quasi tutti gli errori, ed essa è l’origine di quella che, secondo Berkeley, è la principale contraddizione: la tesi secondo cui, fuori dalla mente, esiste una sostanza estesa.

 La critica dell’astrazione Berkeley critica la dottrina dell’astrazione: quella secondo cui, la mente umana, osservando ciò che è comune a più idee particolari, può affermare idee generali attraverso l’esclusione di ciò che le differenzia. Nell’introduzione al “Trattato sui principi della conoscenza umana” esemplifica questa dottrina attraverso le idee generali di estensione e colore -> osservando che in tutte le estensioni particolari c’è qualcosa di comune assieme a qualcosa di peculiare che le distingue le une dalle altre, la nostra mente isola ciò che è comune formandosi un’idea massimamente astratta dell’estensione -> allo stesso modo, osservando che i colori hanno

qualcosa che li accomuna, pur essendo tutti diversi gli uni dagli altri, la mente si forma l’idea astratta di colore, che non è determinata da questo o quel colore, ma del colore in generale. Secondo Berkeley, invece, la mente umana può pensare solo idee particolari: non è possibile avere un’idea generale di colore o di astrazione, senza pensare quel colore o una determinata estensione -> la possibilità di concepire idee astratte supera le capacità della mente umana. Per argomentare questa tesi, distinguiamo due diversi tipi di astrazione: 1. Astrarre vuol dire considerare come separate le cose che possono esistere separatamente; 2. Astrarre vuol dire concepire come separate quelle cose che non possono esistere separatamente. Ora, al pensiero umano, è dato astrarre solo nel primo senso: la mente può rappresentare separatamente solo ciò che può, effettivamente, esistere separatamente -> ma poiché nella realtà non può esistere un colore che non sia questo o quel colore, e non può esistere un’estensione che non sia un’estensione determinata, l’affermazione dell’esistenza di idee universali astratte è inammissibile.

 Le idee come segni Ma se non si danno idee generali astratte, come si spiega che la mente possa tuttavia prescindere dalla singolarità delle idee particolari? Per sfuggire a questa aporia sostiene che le idee particolari assumono un valore universale o generale solo quando esse vengono assunti come segni di altre idee: per operare una generalizzazione non serve postulare l’esistenza di un’idea generale, basta assumere un’idea particolare come segno capace di denotare tutte le altre idee appartenenti allo stesso genere -> quindi, per Berkeley, l’universalità o la generalità delle idee astratte è determinata dalla sola funzione semantica che la mente attribuisce loro, e non dal riferimento a qualcosa di esistente come universale. All’origine dell’idea che esistono le idee generali, c’è l’erronea credenza che l’uso generale delle parole implichi l’esistenza di idee generali -> il nesso tra le due cose non ha giustificazione, per almeno due ragioni: 1. In primo luogo, perché la possibilità di generalizzare può essere spiegata anche solo ammettendo che le parole denotino idee particolari caricate di funzione semantica generale; 2. In secondo luogo, perché l’esperienza comune attesta che non a tutte le parole corrispondano idee specifiche. Quello che ne consegue è un nominalismo rigoroso: le idee particolari sono sufficienti, da sole, a rendere conto della conoscenza e di conseguenza ogni entità universale si rivela superflua.

 Esse est percepi: l’immaterialismo L’introduzione al “trattato sui principi della conoscenza umana” si chiude con un’indicazione metodologica: nell’indagine sulla conoscenza umana, non ci si deve soffermare sul linguaggio e sulla parola, ma sulle idee che la mente scopre di avere in sé, e che costituiscono i suoi veri e propri “oggetti” -> quindi, proseguendo, si soffermerà sugli effettivi oggetti da prendere in esame, nel conoscere: si tratta o di idee effettivamente impresse ai sensi, o di idee percepite prestando attenzione alle passioni e alle operazioni della mente o, infine, di idee formate con l’aiuto della memoria e dell’immaginazione, componendo, separando.

Berkeley, quindi, ribadisce ancora la sua adesione alla gnoseologia empirista: non c’è nulla che non derivi dall’esperienza -> al contempo, formulando questa tesi, riduce le cose alla conoscenza che la mente ha attraverso le idee. Le cose sono collezioni di idee: ogni senso fornisce alla mente un’idea del proprio oggetto, e la mente, abituata a percepire con coerenza e costanza, attribuisce i nomi a ciò che siamo soliti chiamare cose. Questa tesi non ha solo un valore gnoseologico, ma anche metafisico: l’essere delle cose si identifica con il loro essere percepiti -> di conseguenza, abbiamo una riformulazione della tradizionale nozione di “esistenza”. L’esistenza non designa l’essere delle cose in quanto sussistono al di fuori della mente, ma esprime la possibilità che esse costituiscono l’oggetto attuale di idea o di percezione -> questa riduzione dell’esistenza delle cose all’essere percepite, che Berkeley chiama esse est percipi, vuol dire che le cose non possiedono alcun essere oltre a quello percepibile dalla mente: ciò equivale a dire che la materia non esiste e non può esistere; a livello metafisico, dunque, afferma un immaterialismo, cioè la negazione dell’esistenza della materia -> agli occhi di Berkeley, la convinzione che esistano cose materiali è contraddittoria. Si incorrerebbe in contraddizione anche se si volesse considerare le cose come “modelli” o “archetipi” delle nostre rappresentazioni, poiché tali modelli o sono percepibili da noi, oppure non sono percepibili, per cui non possono essere né conosciuti né paragonati alle idee. Infine non possiamo neanche pensare che la materia costituisca il sostrato inconoscibile delle qualità percepite dalla mente -> ciò vorrebbe dire postulare qualcosa di cui non si può neppure dimostrare l’esistenza, e che in quanto tale non può costituire il correlato extramentale delle idee -> secondo Berkeley l’affermazione dell’esistenza della materia si fonda su un uso illegittimo dell’astrazione, per cui le cose non sono altro che idee -> di conseguenza non ha più ragion d’essere la distanza tra qualità oggettive e soggettive, poiché tutte le qualità o sono soggettive o non esistono. In conclusione, non vi è altra sostanza al di fuori dello spirito.

 Realtà e origine delle idee: le idee non sono chimere ma cose La dottrina di Berkeley, riguardo la riduzione delle cose al loro essere percepite, susciterà delle critiche, di cui lo stesso era consapevole, però, ai suoi occhi, l’immaterialismo non solo non comporta le conseguenze scettiche che gli saranno imputate, ma è l’unica dottrina in grado di neutralizzare lo scetticismo, questo perché confuta la distinzione tra idee e cose. Coloro che, infatti, attribuiscono alle cose un’esistenza extramentale saranno costretti a intendere la conoscenza come una conformità tra ciò che la mente percepisce immediatamente (cioè le idee) e ciò che sussiste al di là della percezione (cioè le cose) -> in questo modo essi ammetteranno che la conoscenza umana non ha a che fare con le cose in sé stesse, ma solo con le loro immagini -> quindi, nell’ipotesi esaminata esiste sempre qualcosa che la mente umana non riesce a percepire, mentre nell’ipotesi di Berkeley, le cose sono solo idee e vengono percepite completamente. Ciò che, secondo Berkeley, riduce le cose a fantasmi, non è il suo immaterialismo, ma il materialismo tradizionale: esso identifica l’essere delle cose con il loro essere percepite, facendolo coincidere con le idee, questo esclude lo scetticismo: dal momento che la natura delle idee consiste nel loro essere percepite, in esse non può darsi nulla che resti sconosciuto, quindi le idee non sono immagini o copie delle cose, coincidono con esse: le idee sono cose reali.

Tuttavia, riconosce alle idee una consistenza ontologica non significa che esse dipendano dalla mente, esse possono comunque essere definite esterne -> le idee sono nella mente, ma non sono della mente: pur sussistendo in essa, le si impongono dall’esterno, e la stessa mente le percepisce come indipendenti da sé -> questa esteriorità garantisce la loro identificazione con le cose. Detto questo aggiungiamo che, la mente, può distinguere le idee di cose dall’immaginazione e dalle finzioni: mentre le idee di cose si impongono alla mente, forzandole a pensare ciò che esse manifestano, le immaginazioni e le finzioni sono governate dal suo arbitrio: la mente può scegliere di immaginare o meno, è libera di comporre in tutti i modi le sue idee, ma non può impedirsi di percepire ciò che vede -> le idee di cose, dunque, si distinguono dalle altre, perché hanno una forza coattiva: la mente non ha alcun potere su di esse -> oltre a ciò le idee di cose si distinguono dalle immagini e dalle finzioni perché sono più vivide, coerenti e regolari di queste ultime, un ordine e una coerenza che l’immaginazione mai potrebbe riprodurre. Ma se l’essere delle idee sta nel loro essere- percepite dalla mente e se, al tempo stesso, esse non dipendono dalla mente, che pure le percepisce, ma le si impongono, su cosa si fonda la loro realtà?

 Dio come origine delle idee Per risolvere questo problema, bisogna sviluppare un’indagine sull’origine delle idee, la quale arrivi a mostrare la causa esterna di esse rispetto alla mente. Innanzitutto: le idee non possono essere causate da altre idee: esse sono essenzialmente passive, cioè il loro essere consiste nel solo esser-percepite -> allo stesso modo le idee non possono essere causate neppure dalla materia poiché è contraddittorio ammettere una sostanza materiale esterna alla mente -> quindi, esse devono essere causate da una sostanza spirituale. Questa sostanza non può essere la mente umana, poiché, pur essendo in grado di manipolare le idee non può decidere se sentire o non sentire le cose o le idee che le si presentano: questo dimostra che esse le provengono dall’esterno e non dipendono affatto dalla sua volontà -> constata la passività della mente umana la sola causa possibile è Dio. Dio è una sostanza spirituale, cioè una mente che si serve del linguaggio della natura per significare le sue proprie concezioni e comunicarle alla nostra mente -> questo, però, non vale solo per le idee considerate in sé, ma anche per la connessione e l’ordine che le lega reciprocamente -> quando si parla delle “leggi della natura” non si devono intendere le leggi proprie delle cose esistenti in natura fuori di noi, ma solo delle regole e dei metodi con i quali Dio produce nella nostra sensibilità le serie ordinate e coerenti di idee che costituiscono l’esperienza. Identificando in Dio la causa delle idee e la fonte dell’ordine con cui esse vengono suscitate nella mente, l’immaterialismo trova infine il suo fondamento ultimo: la causalità divina si rivela la sola istanza capace di garantire alla realtà quella oggettività e quella coerenza che la distingue dalle finzioni e la rende irriducibile all’arbitrio dell’immaginazione -> con ciò si dichiara sconfitto lo scetticismo.

 Religione, moralità, sapienza metafisica Nella seconda metà degli anni venti, il pensiero di Berkeley, cambia direzione verso una connotazione apologetica, che lo porta ad impegnarsi nella difesa della religione cristiana contro deisti, atei e libertini, le cui dottrine costituiscono una minaccia per il contenuto dottrinale della religione, quanto per i fondamenti della vita morale.

Nel passaggio a questa seconda fase si nota anche un mutamento di natura metodologica: prima si trattava di confutare i fondamenti dell’ateismo e dell’irreligione, ora si tratta di criticare le conseguenze e i loro effetti in ogni ambito della vita umana. l’opera che incarna meglio questa seconda fase si intitola “Alcifrone, ossia il filosofo minuto”: questo è uno scritto dialogico inteso come un’apologia della religione cristiana contro i liberi pensatori, definiti appunto “filosofi minuti” -> quello che viene rimproverato ai deisti e agli atei è che loro hanno tentato di minare i fondamenti della morale e di distruggere i valori su cui poggia la convivenza civile -> sembra che l’unico scopo dei filosofi minuti sia quello di cancellare i princìpi di tutto ciò che è grande e buono dalla mente dell’uomo, scardinare l’ordine civile. La critica dell’Alcifrone è rivolta in particolare a Mendeville e Shaftesbury: 1. A Mendeville, autore di una “favola delle api”, viene contestato il fatto di aver concepito la verità come puro nome, sotto il quale l’uomo nasconde il suo naturale egoismo, e di aver stabilito uno stretto legame tra il vizio e la prosperità della nazione, con la conseguente negazione del nesso tra verità e virtù; 2. A Shaftesbury, viene contestato il fatto di aver negato la reciproca appartenenza di morale e religione e di aver ridotto il senso morale al livello del sentimento, ma Berkeley si oppone a questa dottrina, per lui, il tentativo di concepire la morale separata dalla religione non può che condurre alla corruzione e al vizio, poiché sottrae l’agire umano al timore delle pene e alla speranza dei beni ultraterreni, mentre ridurre la morale a sentimento porta a negarne l’universalità . Poi l’Alcifrone, porta il suo mirino sul deismo, del quale non accetta la riduzione della religione positiva (fondata sulla rivelazione) a religione naturale (fondata sulla sola ragione), con la negazione della centralità della rivoluzione cristiana -> anche in questo caso la motivazione è di ordine etico: la religione naturale non è in grado di costruirsi realmente come il fondamento della vita morale e della socialità. Con il tempo la preoccupazione apologetica si avvicina sempre più al neoplatonismo, testimonianza ne è lo scritto “Siris” -> partendo dallo studio dei benefici dell’acqua di catrame giunge a formulare una concezione metafisica del mondo che presenta molte assonanze con il neoplatonismo rinascimentale e con la filosofia alchemica -> secondo la Siris il principio della realtà, che si configura come una catena di esseri intermedi tra la mente divina e le creature, è l’etere, una sostanza sottilissima che manifesta il potere di Dio -> dunque anche qui ribadisce l’assoluta centralità di Dio come mente e provvidenza che governa la realtà....


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