Riassunto filosofia p DF PDF

Title Riassunto filosofia p DF
Author Eva Donati
Course Filosofia del diritto
Institution Università di Pisa
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Monografia Prof. BELLONI Il testo prende a spunto la filosofia di HOBBES e il concetto schematico di Leviatano, il famoso mostro che priva di diritti i cittadini (o per il quale i cittadini – non fidandosi l’uno dell’altro, decidono e tutti insieme - si privano dei propri diritti) in favore di un bene più grande chiamato SICUREZZA, al fine di meglio interpretare il concetto di FREE RIDER all’interno di un sistema statale. Per FREE RIDER si intende il “corridore singolo (o in singola)”, quindi libero da ogni padrone, che si oppone (non soggiace) alle regole imposte dallo Stato, o dalla società in cui egli vive, sfruttando però tutti i benefici che questo/a offre. In particolare si affronta il tema a partire dall’ultima/ancora attuale discussione sulla necessità dell’obbligo vaccinale, mettendo a confronto il (seppur marginale) rischio delle controindicazioni relative ai vaccini stessi con la cosiddetta “immunità di gregge” attraverso la quale si riduce il rischio di epidemie per le più gravi malattie (quindi se prevalga più l’interesse del singolo che quello della comunità), per finire con il tema della sicurezza urbana o cittadina, garantita ANCHE con la legge 94/2009 (oltre ai patti per la sicurezza del 2007 e la legge sul whistleblowing del 2017, ovvero quella che modifica il rapporto di lavoro all’interno della P.A. – 165/2001), che dispone strumenti di sicurezza ausiliari a vantaggio dei Sindaci al fine di coadiuvare/incentivare i compiti di sicurezza dello Stato centrale. La filosofia di Hobbes (uomo=Leviatano, nel senso che i comportamenti del Leviatano sono quelli che l’uomo stesso esercita), per il quale l’uscita dallo stato di natura avviene solo per superare la paura (incertezza) della sicurezza (e riporla nella certezza del Leviatano) e che si compone di obbedienza preventiva, in virtù dell’istituzione del patto, e obbedienza successiva, che si rinnova con il Leviatano, viene messa in relazione ai seguenti autori (in ordine cronologico) per i citati motivi: MACHIAVELLI: secondo il quale anche il Principe, che in ogni caso può (scegliere di) non rispondere a nessuna volontà di popolo, deve ingraziarsi la benevolenza del popolo stesso offrendo protezione e libertà (intesa come benefici cogenti: lavoro, da mangiare e da bere, legna per il camino). Diversamente da Hobbes, quindi, Machiavelli riconosce che il cittadino non si priva della libertà, ma acquista libertà cedendo i propri diritti al Sovrano, che, seppur severo (fino ad arrivare a mentire o non rispettare le promesse date agli altri sovrani, ma se istituisce leggi e pene, deve farle rispettare per la propria continuità regia) non manca di prodigalità nei confronti del popolo stesso al fine di perpetrare il proprio governo; SPINOZA

arriva anche a specificare meglio di Machiavelli che l’autorità che il Principe/Sovrano/Stato detiene, altro non è che autorevolezza, quindi non è più paura (come sostiene Hobbes), ma riverenza nei confronti di qualcuno che si è meritato di governare (inteso come il massimo rappresentante della volontà popolare, che altro non è che il potente - colui che esercita il potere inteso come “somma di poteri” derivante da ognuno di noi - per merito nostro); in Spinoza quindi non esiste una paura del Sovrano, ma una devozione – rapporto di sudditanza condizionata all’esercizio del potere

nella correttezza dei termini contrattualistici (anche nel contenuto relativamente ai limiti di questo), che però non si esauriscono nella promessa originaria, ma nella promessa istantanea, che quindi rinnova il patto volta per volta; LOCKE

condivide (seppur non esplicitamente lo menziona) il concetto di Machiavelli, in cui libertà e diritti sono pienamente coincidenti, nel momento in cui per libertà si intende quella di godere della proprietà privata, vita, libertà stessa. Tanto più se quella stessa libertà viene garantita dallo stato con l’emanazione di leggi e difesa con l’irrogazione di sanzioni. Addirittura, Locke finisce per condannare la sudditanza tale e quale (ai fini della garanzia della sicurezza, quindi condanna la visione di Hobbes) paragonandola a colui che, avendo paura delle volpi trova scampo fra le fauci di un leone;

BENTHAM

al contrario, pur sostenendo la necessità di una sanzione per mantenere unito il Leviatano hobbesiano, sostiene che il fondamento della filosofia di Hobbes sia sbagliato nella parte in cui acconsente al patto di protrarsi nella durata (e quindi di far permanere in vita lo stesso Leviatano) e ritiene che il contratto non si basi sull’accettazione una volta per tutte le altre in virtù di una promessa fatta una volta e valevole per tutte le altre volte, semmai nell’utilità di rispondere al contratto stesso fino a che questo mi conviene, dopo di che sarò libero di non obbedire più al sovrano;

KELSEN

condivide con Hobbes la (sola) ragione dell’obbedienza successiva per la corrispondenza logica fra il dover essere (sollen) e l’essere (sein), ovvero al rispetto del sollen da parte del sein in termini di coerenza, ai fini di stabilire una validità al sistema giuridico di riferimento. In particolare, Kelsen si riferisce alla creazione di un modello giuridico che sia ripetuto (che faccia da riferimento, quale tendenza) nella vita reale dagli appartenenti a quella stessa società cui è commisurato/creato. E proprio perché è reale (sein) non riuscirà mai ad essere quello che deve essere (sollen) nella mente del legislatore;

TUCKER

che non è un filosofo, ma un matematico, secondo cui la teoria relativa al dilemma dei prigionieri ben si attaglia alla situazione Hobbesiana e del free rider. A e B sono due prigionieri razionali e vengono arrestati dopo una rapina con armi da fuoco. Ad entrambi, che sono d’accordo sul dare la stessa versione dei fatti (cooperazione), viene garantita la possibilità di confessare-non confessare e date 3 regole: confessione di entrambi (non cooperazione fra i due=5 anni ciascuno), confessione di uno solo (non cooperazione di uno solo=graziato a scapito dell’altro, che si prende 10 anni), non confessione di entrambi (cooperazione fra i due, per cui si prendono 1 anno ciascuno). L’utile di gruppo (ovvero rispetto dei patti=cooperazione) corrisponde nella non confessione (per cui la pena sarebbe di un anno), in realtà entrambi decideranno di confessare (utile individuale), pur sapendo di andare incontro ai 5 anni (o zero se l’altro ha rispettato i patti). Ancora in particolare, entrambi si rendono conto in un primo momento che conviene confessare per il guadagno degli 0 anni; ma in un secondo momento, si rendono conto che in ogni caso conviene

confessare, perché non potendo essere sicuri dell’altro, la pena sarebbe inferiore a quella prevista se l’altro ti tradisse effettivamente (quindi nell’assunto che 5 anni sono meglio di 10). Questa teoria, quindi, conferma la filosofia hobbesiana per lo stato di natura, quando non è sicuro e al contrario serve affidarsi ad un Leviatano per il rispetto dei patti “socialmente” utili alla sicurezza. Questo gioco è stato utilizzato per spiegare la Guerra Fredda. Inoltre, il cittadino che decidesse, in costanza di un sistema incentrato al rispetto delle regole, quindi funzionale e “coperto” dalla solidarietà e dalla cooperazione, di sottrarsi alle regole imposte dal suo stesso stato (per il principio per cui più lo stato è efficiente, più vantaggi ottengo nella disobbedienza, perché il sistema è garantito da tutti gli altri), ovvero ritornare a quello stato di natura hobbesiano, sembrerebbe non soggiacere ad alcuna pena (perché lo stato attualmente lo considererebbe, appunto, un free rider, e quindi non meritevole di attenzione, dal punto di vista sanzionatorio – anche se qui tornerebbe ancora il discorso della certezza della pena, tanto cara al Leviatano al fine di scoraggiare la disobbedienza). Ma se il suo esempio dovesse espandersi e influenzare altri soggetti della stessa comunità, verrebbe intaccato il principio dell’immunità di gregge (ovvero della certezza del diritto/pena) e quindi si assisterebbe ad una diminuzione di fiducia (intesa come obbedienza) della cittadinanza nei confronti dello stesso stato. Tanto più che i cittadini ligi si troverebbero difronte ad una doppia (nuova) sudditanza: 1) sudditi di sé stessi, secondo il “dilemma del prigioniero”, potendo scegliere se sottrarsi anch’essi all’obbedienza e subire un calo di sicurezza, oppure continuare a tollerare l’insubordinazione del free rider; 2) sudditi dei free rider, ovvero dovendo subire (doppiamente) anche per i free rider che si sottraggono all’obbedienza. Quindi: non solo lo stato non mi protegge da coloro i quali sono “esterni” alla mia comunità; ma lo stato non mi protegge neanche contro coloro i quali minacciano la comunità dall’interno. Proprio nel 2009, in piena crisi finanziaria (ovvero dei suoi effetti diretti alla cittadinanza), in situazioni diffuse di criminalità “spicciola”, l’aumento dei furti nelle case e degli scippi e la consequenziale richiesta di aumentare le tutele derivanti dalla c.d. legge sulla legittima difesa hanno portato il Legislatore a introdurre lo strumento della sicurezza urbana fra le competenze del Sindaco, nell’ambito della legge 267/2000 degli Enti Locali. Con questo strumento, il Sindaco ha il potere di organizzare e coordinare un sistema alternativo di pubblica sicurezza, diretto (preferibilmente) da associazioni costituite da ex appartenenti alle Forze dell’Ordine, con il fine di coadiuvare e segnalare alle forze dell’ordine eventuali situazioni di disagio e di sicurezza urbana. Da molti, questa legge è stata vista come un’implicita ammissione dello Stato di non poter garantire la sicurezza di “tutti”, ma solo di “molti”, consentendo a chi può/deve di dotarsi autonomamente di sistemi di vigilanza c.d. attiva; così come Hobbes sosteneva il ritorno allo stato di natura nel momento in cui il contratto con il sovrano non sarebbe stato più utile al cittadino privato (nel senso di privazione). Precedentemente la tutela della condizione di sicurezza a livello locale era stata promossa (e anche creata) dall’Anci e dal Ministero dell’Interno con i Patti per la sicurezza, sulla base delle Ordenanzas de convivencia di provenienza spagnola, come strumento idoneo a “garantire una crescente capacità di risposta all’aumentata

sensibilità” relativamente allo strumento della criminalità c.d. diffusa. In realtà, non tanto è aumentata la criminalità diffusa, quanto la sensazione, da cui l’aumento della richiesta di sicurezza da parte di quel cittadino, NON free rider, che non è in grado di difendersi da solo (o pretende il rispetto del patto contratto). Ancor di più, questo strumento ha consentito a quel cittadino volenteroso, di sottomettersi ancora – nuovamente – al contratto con lo stato per permettere – agevolmente – allo stato di esercitare la sua obbligazione, aderendo a quelle ronde. Da questo punto di vista, lo Stato ha ottenuto un triplo vantaggio: 1) aumento “effettivo” della sicurezza, dovuto all’aumento della vigilanza, quindi dell’effetto deterrente; 2) aumento della partecipazione “attiva” alla sicurezza del sistema; 3) meglio individuare coloro che abitualmente sono dediti alla disobbedienza. Nell’ambito della filosofia di Hobbes, dove tutto era/è incentrato alla preservazione del bene vita, tutto ciò si somma ai continui attacchi al bene vita a cui oggigiorno assistiamo, non ultimo il caso delle gemelle cinesi (approvato e condotto dal Massachussettes Institute of Technologies) con dna modificato per resistere all’HIV. Allora il quesito è se e quanto noi cittadini saremo sicuri della difesa del bene vita tramite il rispetto del diritto o se e quanto saremo sicuri di obbedire al diritto stesso. RALLENTA LA CRESCITA DELLA CRIMINALITÀ PREDATORIA SOPRATTUTTO PER I FURTI IN ABITAZIONE E LE RAPINE Fonte: Ministero dell’Interno, dati SDI; Istat, Indagine sulla Sicurezza dei cittadini

FILOSOFIA DEL DIRITTO La materia tratta l’interrogazione a cui l’individuo si sottopone riguardo due quesiti: 1) Perché obbedire alla legge? 2) Quando una legge è giusta? Le risposte possibili (originali) sono altrettante, con le varie declinazioni ed evoluzioni:

GIUSNATURALISMO 1) La legge è giusta se segue le leggi di natura (diritto inteso come ordinamento) Giusnaturalismo Antico 2) La legge è giusta perché razionalmente non può essere diversamente (diritti intesi come singoli) Moderno

GIUSPOSITIVISMO La legge è giusta se creata con i dettami della legge stessa; se viene dalla ragione; se non viene influenzata dalla morale

NEOCOSTITUZIONALISMO 3)

Dipende, la legge è (stata) giusta nel tempo in cui è (stata) valida

I SOFISTI, LEGGE DI NATURA E LEGGE DELLA CITTÀ I primi autori sono i Sofisti, che a partire dal ragionamento e dalla retorica, cominciano ad indagare nella (breve) storia partendo dal presupposto politico loro attuale, quindi la Polis greca, ambiente in cui la democrazia la fa da padrona e la comunità è alla base della vita sociale. Il clima sociale è sereno e prospero. In realtà i sofisti individuano diverse soluzioni: Callicle sostiene che la legge giusta da seguire sia quella di natura e che la legge (si sarebbe detto successivamente) positiva avrebbe dovuto rispettare i dettami di essa. Per cui il più forte sul più debole, il migliore sul peggiore e via dicendo; Hippia, a rafforzare questo concetto, sostiene che la legge positiva, istituzionalizzando la schiavitù, ha tradito il diritto naturale. Trasimaco invece ritiene che la giustizia sia quella che promana dal più forte e siccome l’uomo greco è sociale, allora costituirà uno Stato (Polis) dalla sua maggioranza e quindi la maggioranza=Stato costituito sarà l’espressione della forza (naturale). Trapela l’essenza di giustizia, come domanda morale, tipica del giuspositivismo, pur essendo nel giusnaturalismo. SOCRATE E LE LEGGI Primo esponente di rilievo della filosofia del diritto, con la maieutica è riuscito a sviluppare i primi concetti per rinvenire la verità. Socrate infatti aspirava alla verità perché conoscendola, l’uomo è portato a perseguirla; di conseguenza l’ingiustizia è misconoscenza della verità. La posizione di Socrate è a metà fra il giusnaturalismo e il giuspositivismo, in quanto ammette l’esistenza di diritti innati che però devono essere contemperati con la legge positiva, e in caso di dubbio, prevale quest’ultima. La storia di Socrate si conclude con la condanna per eresia, in quanto nella sua ricerca per la verità, la divinizzò così tanto da trascurare l’adorazione delle divinità classiche e per questo fu condannato. Rifiutò la proposta di evasione di un suo allievo (vista come disobbedienza alla legge); accettò ugualmente la condanna (quindi giuspositivismo), anche se la riteneva ingiusta (giusnaturalismo) per questioni morali, ovvero: 1) Perché non si risponde ad un’ingiustizia (condanna) con un’ingiustizia (evasione, quindi illegalità); 2) Meglio subire un’ingiustizia che compierla; 3) Nella ricerca della verità, quindi del giusto, non bisogna perseguire il proprio bene ma quello della società, quindi se la società (intesa come il giudice, espressione della legge che la società ha accettato) mi ha condannato significa che è bene per la comunità; 4) Non ci si ribella alla società che ci ha allevati, ovvero 5) si è riconoscenti e si paga il controprezzo per il bene che si è ricevuto (pacta sunt servanda, Grozio) dall’appartenenza alla società.

PLATONE TRA GOVERNO DEGLI UOMINI E GOVERNO DELLE LEGGI Platone e il suo Iperuranio rappresentano la (prima) svolta nella filosofia del diritto, in quanto, inserendosi in un periodo di transizione nel governo della Magna Grecia, accompagna le modifiche storiche con cambiamenti di pensiero paralleli. Infatti, in Platone si riconosce un pensiero giovanile, uno intermedio e uno maturo in cui cambia la sua prospettiva e il suo approccio alla definizione di legge, progredendo da un clima di sfiducia ad uno di assoluto abbandono alla validità della legge. Il clima politico è abbastanza vivace, guerra del Peloponneso, trenta tiranni, scontri con Sparta per il predominio della Grecia, quindi di conseguenza incertezza di sicurezza e ordine pubblico. Platone si rifugia quindi in un mondo (Iperuranio) dove tutto è perfetto e la realtà che si vive ogni giorno altro non è che la brutta copia di quella. Il concetto di Legge in Platone si sviluppa attraverso i Dialoghi “La Repubblica”, “Il politico”, “La legge”, in una crescita di fiducia. Nel “La Repubblica” Platone disegna un modello politico ideale in cui i cittadini potevano scegliere se aderire alla classe sociale dei Sapienti, Operai e Soldati e convivere armonicamente in una medesima civiltà in cui il raggiungimento della felicità avveniva spontaneamente dall’esercizio dei propri compiti, ovvero se ognuna delle classi avesse adempiuto ai propri doveri, sarebbe stata sicura di ottenere i benefici di sicurezza e felicità (accordo indiretto, ma convivenza forzata). In questa situazione, la legge non esiste, ovvero è ininfluente alla realizzazione della felicità=giustizia, perché questa è data dall’armonica realizzazione dei propri compiti che ogni cittadino spontaneamente sceglie. Platone viaggia verso la Sicilia per proporre questo modello di città, ma viene fatto schiavo da Dioniso (il Vecchio e il Giovane) e rinuncia. Ne “Il politico” cambia la prospettiva platonica della comunità. Adesso Platone ammette l’esistenza di una legge, generale, a fare da contorno e linea guida per i sapienti, che guidano e indirizzano la comunità. La critica che viene rivolta alle leggi concerne proprio il loro carattere troppo generico e astratto e che mal si adatta al caso concreto, eppure Platone riconosce che la legge stessa serve a delimitare il potere del governante (con tendenza degenerativa) nel dualismo fra Tirannia e Monarchia; Democrazia e Demagogia; Aristocrazia e Oligarchia. Infine, nel dialogo “Le leggi” Platone perviene alla concezione matura ove la legge funge da indirizzo e governo della città; in particolare in ogni legge deve essere riportata la finalità nelle premesse, a fine educativo perché la comprenda e si attenga ad essa; il ruolo dei sapienti non è più di governo ma legislativa, ovvero la loro sapienza deve essere infusa nella redazione (tipo Senato nel Foro romano). ARISTOTELE E IL GOVERNO DELLA LEGGE Aristotele è uno scienziato (del tempo), uno studioso, un saggio. Sviluppa la sua idea a partire dal concetto di società dell’uomo, che egli considera come “animale sociale, politico” per natura. Antropologia: Infatti, Aristotele prende esempio dalla realtà (pragmatismo) per delineare i contorni della legge generale. L’ambito dell’uomo è la polis e non può vivere allo stadio isolato. L’uomo arriva nella polis dopo un crescendo di “ambiti sociali” a partire dalla famiglia, il clan, la tribù, a conferma della sua tendenza alla socialità, all’interazione con altri soggetti al fine di ritrovare il bene comune, fino ad affermare che l’uomo al di fuori della polis non avrebbe raggiunto lo stato di coscienza di sé. L’uomo e lo Stato, quindi, hanno la stessa finalità, ovvero perseguono gli stessi interessi nell’interesse della comunità stessa. A differenza di Platone, che nel Dialogo “La Repubblica” dipinge l’uomo come un individuo che necessita degli altri per raggiungere il proprio obiettivo di felicità=giustizia tramite un accordo con gli altri uomini, Aristotele sostiene che l’uomo non ha bisogno di alcun contratto per il raggiungimento della felicità=giustizia, perché si riconosce nella società in cui vive e che automaticamente persegue quel fine. L’organizzazione dello stato secondo Aristotele può essere ricompresa in 3 forme fondamentali Platone), il cui il discrimine fra buono e cattivo governo è rappresentato dall’intenzione del

governante. I governi però sono guidati dalle leggi, a cui anche i governanti sono sottoposti nell’esercizio legislativo, e dall’obbedienza, anche da parte dei cittadini, che verrà spontanea in q ua n to r it r ov e ra nn o l a b on t à d e ll e le g gi a pa r ti r e d a ll a lo r o f i na l it à ( b en e comune=felicità=giustizia). Pertanto, la legge è quell’elemento comune a governanti e governati che permette il rispetto delle regole comuni e garantisce l’esercizio del governo tramite il potere limitativo de...


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