BROD UND WEIN - Analisi dell\'elegia Brod und Wein di Friedrich Hölderlin PDF

Title BROD UND WEIN - Analisi dell\'elegia Brod und Wein di Friedrich Hölderlin
Author Emanuela Parini
Course Letteratura tedesca
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Analisi dell'elegia Brod und Wein di Friedrich Hölderlin...


Description

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Brod und Wein

È una poesia che appartiene al genere dell'elegia, un componimento dal tono di lamento e per l'assenza degli dei che hanno lasciato il mondo dopo aver convissuto insieme agli uomini durante l'antichità. È un'elegia sui generis che si rifà alla concezione di elegia di Schiller. Ci sono all'interno di questo testo evidenti somiglianze con un'altra elegia di Schiller ma è un'elegia sui generis anche per il tono: contiene forti elementi innodici e si avvicina al genere di tirambo -> riti nell'antichità Essendo un'elegia segue quella che è la forma tipica del genere: composta da strofe (9) le quali sono a loro volta formate da distici elegiaci. Abbiamo nove distici elegiaci per ciascuna strofa tranne che nella settima, strofa in cui l'assenza di un distico segnala un momento chiave della poesia nonché un importante momento di riflessione poetologica. All'interno di questa elegia si concepretizza la concezione triadica della filosofia della storia tipica di Hölderlin. Non si tratta del primo titolo dato a questo componimento: si chiamava Der Wine Got, con un esplicito riferimento a Dioniso. Questo titolo invece rimanda da una parte al sacramento religioso dell'eucarestia, dall'altra anche ai doni lasciati dagli dei dopo la loro scomparsa quasi come pegno di un loro ritorno ma abbiamo anche, attraverso pane e vino, un rimando agli antichi Dei. Vediamo una unione sincretismi a di divinità e cristianità. È quindi presente un processo produttivo fra moderno e antico che è alla base della poetica di Hölderlin. Hölderlin vede all'interno di questa elegia il presente come un momento di passaggio fra epoche degli dei, in quella in cui erano presente è un futuro prossimo in cui questi dei potranno tornare. E Importante è anche la dedica, An Heinze, dedica è esplicita per Heinze, uno scrittore coevo di Hölderlin di una generazione più vecchia, l'autore di un romanzo che ispirò Hölderlin stesso nella sua stesura di Hyperion. Questa prima strofa è incentrata sulla descrizione della sera e della notte che cala. Abbiamo nei primi tre distici, una descrizione della sera in una cittadina. Un momento di tranquillità quando, terminati i lavori del giorno, la città e i suoi abitanti iniziano a riposarsi. Questo riposo è caratterizzato dalla presenza del verbo ruhen. Esistono anche dei riferimenti al Dio Dioniso (fiaccole, uva). Si tratta di una sorta di contemplazione dell'io lirico che prosegue nei tre distici seguenti in una sorta di idillio immaginato e segnato con parole come "gli amanti", "l'aria che imbruna". La dimensione del ricordo e quindi molto importante. Negli ultimi tre distici abbiamo invece l'arrivo di questa estranea fra gli uomini che è la notte, che arriva, apre poi alla riflessione dell'io lirico all,interno delle strofe successive. Anche in questa prima strofa possiamo trovare quella che è una divisone triadica che segue quel principio di mutamento dei toni tipica della poesia Hölderliniana. I primi sei versi costituiscono quello che è il tono Naïf perché abbiamo una vera descrizone. I versi principali, quindi la seconda triade di versi, creano un idillio immaginario e corrispondono al tono ideale di astrazione ideale. Gli ultimi tre distici hanno questo annuncio di arrivo della notte con un tono eroico che apre a quella che è la riflessione del poeta. Riflessione del poeta che si compie all,interno della notte. L'io lirico si abbandona a quella che è la notte e si lascia andare a una meditazione filosofica sul carattere della notte. Descritta come la sublime che è molto più paurosa/difficile anche da viver rispetto al giorno consapevole ma anche assolato. Abbiamo una presenza di un dich, un appellativo al tu di questa poesia (che può essere Heinze o il lettore). Abbiamo questa notte che mette anche paura, che nel suo essere sublime in ogni caso è meno cara del giorno è questa notte diventa qui il momento di assenza degli Dei. Viene descritta come un momento che perdura. Questo momento è il momento di mancanza degli Dei, un'epoca che sta durando troppo a lungo. In quelle che sono negli ultimi due distici troviamo una

sorta di Unione degli opposti: invocazione alla notte che dona l'oblio ma anche una memoria sacra. Un oblio che deve essere superato da una memoria dell'epoca in cui gli dei erano presenti nella vita degli uomini. Questa opposizione della notte stessa, l'oblio è anche causato dal dolore ma che permette che si tenga viva la memoria, trova poi espressione all'interno della terza strofa, in cui, seguendo il punto chiave del viaggio immaginato, si esplica un invito ad andare in Grecia. Un'esortazione a tornare al vecchio mondo antico della Grecia antica dov'è gli dei erano presenti. L'io lirico, che si cala sempre più nella notte, decide si darsi a quella che descrive come un'estasi che è anche religiosa, ossia all'evocazione del mondo greco nella notte. L'invito a recarsi idealmente in Grecia è introdotto da questa esortazione Su vieni!, invito che vuole portare a guardare verso l'aperto e a cercare ciò che è proprio. La ricerca di ciò che era propria della grecità e di ciò che è proprio dell'uomo moderno e che ritrova nel mondo antico. Vi è anche un rapporto dialettico fra modernità e antichità. Questo invito viene fatto a Heinze ma anche a tutti coloro che leggono la poesia è viene fatto anche perché ognuno si vede assegnata una propria misura: esiste per tutti un tempo comune in cui si vive, che ci definisce ma in ogni caso, ognuno di noi ha un suo tempo individuale che attraverso la riflessione permette a figure come i poeti di trascendere i l tempo in cui vivono e di recarsi in altri tempi come l,io lirico che invita a andare nell'antica Grecia. L'idea che questo viaggio sia reso possibile dalla poesia è segnalato da questa "follia giubilante" che ricorda il thopos poetico ritornando alla sobria ebrezza della poesia. Sino ai primi sei distici abbiamo questo invito al viaggio che in realtà non sappiamo dove si andrà a collocare. Nell'ultimo verso vi è una prima indicazione implicita ma diretta al dio Dioniso. È un simbolo del futuro possibile e anche ritorno degli dei. Queste prime tre strofe preparano a quella che è l'evocazione del giorno greco che si ha all'interno delle successive tre strofe. Abbiamo quindi le tre strofe incentrate sul mondo della notte, della modernità all'interno delle quali il poeta invita a un viaggio immaginato verso l'antichità greca che si va a concretizzare nella descrizione del giorno greco che si apre con la quarta strofa. Nella quarta strofa abbiamo una descrizione diatica del mondo greco, dove però gli dei sono ancora assenti e vengono invocati. L'io lirico, sospinto dalla riflessione, librandosi sulle ali della sobria ebrezza, evoca il giorno greco, l'antica Grecia e procede a evocare, invocare quella che è la manifestazione degli dei. Grecia che viene appellata come "Grecia felice, casa di tutti i celesti" e peraltro descritta e immaginata come una sala addobbata a festa per attendere gli dei. L'io lirico si chiede dove sono i templi, dove sono i canti, dov'è la gioia data dagli dei. Vi è l'attesa degli dei all'interno del mondo greco antico. Abbiamo nuovamente una definizione è un rimando di luogo: Delphi. Abbiamo quindi da parte dell'io lirico invocazione degli dei stessi. Questa invocazione viene ripetuta da una modulazione lenta che aumenta quella che è la volontà e la gioia del,attesa degli dei da parte dell'io lirico. Nell'ultimo distico abbiamo quella che è l'annunciazione dell'arrivo degli dei. L'arrivo degli dei va a scacciare le tenebre e la notte e a portare il giorno greco, il giorno degli dei. È talmente forte questo giorno che inizialmente questi dei giungono inavvertiti perché sono troppo lucenti e abbaglianti. Questa annunciazione degli dei che si compie realmente, quindi il reale arrivo degli dei si trovi esattamente nella metà perfetta della strofa all'interno di quello che è il quinto distico. Ci troviamo esattamente a metà della poesia. L'arrivo degli dei e la loro percezione degli uomini si configura come una sorta di momento apice. Potremmo è dare a una struttura piramidale come quella della tragedia. Qui giungiamo a un culmine in cui gli dei si manifestano e percepiti dagli uomini. Tutto ciò che è presente e che esiste diventa un tutt'uno. Abbiamo questa sorta di rimprovero velato agli uomini. Nel momento in cui gli dei sono presenti e danno la felicità agli

uomini, essi sono talmente occupati a coltivare la loro felicità che non riconoscono la presenza del divino. Affinché si possa celebrare la presenza di questi dei, gli uomini devono far nascere parole che sono come fiori. All'interno di questa strofa, che si configura come acme della poesia, abbiamo questa presenza immaginata degli dei, del loro arrivo nel mondo, una suggestione che presto, alla fine, porta a una riflessione sull'immagine di una umanità che vive in maniera pacifica e vive anche in maniera produttiva grazie alla presenza degli dei. Per essere degni di questa presenza degli dei i popoli di dispongono emulandosi. Si arriva alla fine dell'epoca greca e alla fine degli dei. Vi è un salto temporale. L'invito fatto nella terza strofa che ha portato all'immaginazione di questo giorno greco nell'antichità qui si interrompe e dopo questo excursus evocativo nell'antichità si torna a quello che è il presente. Si torna al mondo degli dei. In tutta questa desolazione vi è una consolazione presente nell'ultimo distico. Si parla qui di quella che è la venuta dell'ultimo degli dei, l'ultimo Dio che ha segnalato la fine dell'epoca degli dei ma che al tempo stesso ricopre il ruolo di consolatore e come una sorta di mediatore e annunciatore di una nuova epoca divina. Questa ultima figura prese figura d'uomo (rimando all'incoronazione del Cristo) e terminò la festa celeste. Il Cristo e l'ultimo Dio di quell'epoca ma anche il consolatore degli uomini. Con la fine della sesta strofa si chiude il secondo trittico di strofe. Nel primo abbiamo la notte, l'invito al viaggio in Grecia. All'interno della quarta e della quinta abbiamo questo viaggio immaginato all'interno della Grecia antica, l'arrivo degli dei, il ricordo della meraviglia dell'antichità greca e a partire dalla metà della sesta strofa abbiamo la fine dell'epoca degli dei. Torniamo alla situazione di partenza, di una notte, quella contemporanea al poeta che vede l'assenza della speranza nel ritorno degli dei. Le ultime tre strofe costituiscono al ritorno all'epoca contemporanea e realizzano una sorta di sintesi. Nel mondo in cui gli dei sono assenti si apre ora una speranza del loro ritorno. All'interno di questa strofa abbiamo quella che è una descrizione, presa di coscienza del fatto di vivere in un mondo contemporaneo senza dei. Vi è una forte riflessione poetologica segnalata dal fatto che la strofa si apre con l'invocazione, rivolgendosi al dedicatario della poesia. L'io lirico da una lettura quasi positiva dell'assenza degli dei, questo fatto in cui sottolinea gli dei come poco sicuro è da leggere attraverso il verbo risparmiare, come il fatto che gli dei si siano dovuti ritrarre perché solo a periodi l'uomo sostiene la pienezza divina. Vi è qui di l'idea che a un periodo di presenza degli dei vi sia un periodo di assenza che sia in grado di re innescare il recesso culturale di meraviglia e felicità che si descrive nelle tre strofe precedenti. Vi è anche una breve descrizione la ritorno della notte dopo il giorno Greco, una notte piena di stenti dove gli eroi del tempo crescono in culle di bronzo inteso come culle di ferro. Nonostante questo periodo di grande dolore, l'io lirico lascia e si chiede. Si pone una domanda fondamentale su quella che è la missione del poeta e il compito della poesia. A questa domanda implicita giunge quella che è la risposta dell'amico, del letterato. Il distico qui mancante ha nella sua assenza una doppia funzione: da una parte segnala questo tempo di privazione in cui manca qualcosa e in secondo luogo pone l'accento su quella che è la funzione, il compito del poeta, un compito insostituibile che anche se pare superfluo è di assoluta importanza. All'interno della penultima strofa abbiamo quella che è una migliore presentazione dell'ultimo degli dei (il Cristo), che comparso per ultimo è un genio placido che non solo fu l'ultimo degli dei presente ma che nella sua funzione di consolatore, nel segno che era venuto e che sarebbe ritornato ha lasciato alcuni doni agli uomini che possono guardare, di cui possono godere e attraverso essi possono sentire ancora la presenza degli dei. I doni sono anche quelli indicati nel titolo della poesia

ovvero il pane e il vino. Con pane e vino si riapre l'idea del sincretismo religioso, come gli elementi dell'ultima cena cristiana ma anche come elementi che ritornano a quella che è la mitologia antica. Questi doni fanno pensare che gli dei ci sono stati ma che al tempo giusto ritorneranno. Si tratta di attendere quindi, di aspettare, di avere fiducia perché gli dei torneranno. Il compito del poeta è quindi cantare il dio del vino (un ulteriore rimando a Dioniso) nell'attesa del loro ritorno. L'ultima strofa si apre con una descrizione relativa a Dioniso. Esso concilia giorno e notte e da anche una possibilità di un nuovo giorno. È lui presente nelle stelle, nei pini, nell'edera, rimane la traccia degli dei fuggiti. Attraverso i suoi doni (in questo caso il vino) lascia una traccia degli dei fuggiti per una base della fiducia del futuro. I primi tre distici vanno a parlare di Dioniso, focalizzandosi. Successivamente vi è focalizzazione sulla figura del Cristo. Questa seconda triade di distici sposta l'attenzione sul Cristo. Nelle restanti queste due figure si uniscono diventandone una sola. Si ha un'ultima visione in cui vi è l'evocazione di questo possibile ritorno di Cristo e Dioniso che vengono ad annunciare un nuovo giorno degli dei. L'ultimo distico parla di questo dolce sonno del titano. Questa elegia si chiude con tono di speranza e non di lamento. Una speranza che deve essere mantenuta viva dai poeti e questo carattere dialogico che porta avanti l'idea di doversi rivolgere ai lettori e a chi vuole accogliere la poesia per poter mantenere viva la speranza. Abbiamo da una parte questa affermazione del compito dei poeti e dall'altra la concretizzazione del compito della poesia....


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