Cap 5- Equilibrio di potenza PDF

Title Cap 5- Equilibrio di potenza
Author Diego Musolesi
Course Relazioni internazionali
Institution Università degli Studi di Firenze
Pages 15
File Size 402.3 KB
File Type PDF
Total Downloads 87
Total Views 142

Summary

Download Cap 5- Equilibrio di potenza PDF


Description

L’equilibrio di potenza (teoria realista) Il concetto di equilibrio di potenza (balance of power) è stato utilizzato nella pratica delle RI ancora prima che i diplomatici e intellettuali ne offrissero una concettualizzazione, ancor prima che questo concetto fosse definito. La prima apparizione di questo concetto sembra provenire addirittura dall’Iliade. Demostene lo ha poi ripreso per spiegare le relazioni internazionali dell’antica Grecia. È poi entrato a far parte dell’uso della diplomazia con l’esperienza diplomatica italiana, entrando nel vocabolario della politica internazionale. Ne fecero uso i Medici a Firenze, e ancor prima Macchiavelli ne faceva uso per descrivere la situazione di bilanciamento degli stati italiani nel ‘400. La prima apparizione del concetto di equilibrio di potenza all’interno di documenti ufficiali risale al 1713 con il trattato di pace di Utrecht. Da lì in poi, è stato sempre utilizzato nella storia della diplomazia europea dei secoli successivi. A livello internazionale è stato spesso usato come sinonimo di politica di potenza. In realtà già negli anni ’60, diversi studiosi notavano che il modello della balance of power è un modello basato sulla sovranità degli stati e sull’assenza di un governo mondiale, in condizione quindi di anarchia. Queste sono in effetti le caratteristiche distintive del sistema interstatale europeo dopo il trattato di pace di Wesfalia del 1648. L’uso di questo concetto ha dunque avuto luogo sin da epoche non recenti, ed è stato utilizzato in molti contesti doversi in rifermento a condizioni diverse del sistema internazionale. Martin White, studioso fondatore della scuola internazionale, ha identificato nella letteratura internazionalista 9 diversi usi del concetto di equilibrio di potenza: - 1. Un’uguale distribuzione di potenza; - 2. Il principio secondo cui la potenza dovrebbe essere ugualmente distribuita; - 3. La distribuzione di potenza esistente qualsiasi distribuzione di potenza (status quo) - 4. le grandi potenze si rafforzano in modo uguale a spese di quelle deboli; - 5.la nostra parte dovrebbe avere un margine ulteriore di forza sufficiente a prevenire il pericolo di una distribuzione ineguale di potenza; - 6. (mantenere) un ruolo speciale nel conservare un’uguale distribuzione di potenza; - 7. (mantenere)un vantaggio speciale nell’attuale distribuzione di potenza; - 8. Preponderanza; - 9. Un’intrinseca tendenza della politica internazionale a produrre un’uguale distribuzione di potenza. La balance of power avrebbe però un significato molto preciso che si riferisce alla Condizione del sistema internazionale nella quale nessun attore, da solo o tramite alleanza, può dominare tutti gli altri. Per verificarsi questa situazione c’è bisogno di due condizioni: - perché ci sia equilibrio di potenza non è necessario che i vari attori siano dotati di risorse perfettamente uguali, ma è necessario che la distribuzione di potenza sia diffusa in modo che l’attore più forte non sia in grado di sconfiggere tutti gli altri insieme, perché in tal caso la situazione sarebbe squilibrata in suo favore; - una distribuzione diffusa della potenza non è sufficiente perché si verifichi un equilibrio, questo perché c’è bisogno che gli attori del sistema adottino delle politiche di bilanciamento Quindi se la potenza è diffusa ma gli attori invece che allearsi col più debole contro il più forte, si alleano con il più forte contro il più debole, ciò significa che stanno spostando l’equilibrio da una parte attuando una politica di bandwagoning (salire sul carro del vincitore), anziché una politica di balancing che invece stabilisce un equilibrio di potenza.

Quindi perché ci sia, l’equilibrio di potenza ha bisogno di queste due condizioni: che la potenza sia diffusa e che gli attori adottino politiche di bilanciamento alleandosi con gli stati più deboli. Ci possono essere alleanze di forti e deboli contro forti, forti contro forti, ma non di forti e forti contro deboli. Se infatti un attore forte potesse trovare ulteriore forze per via diplomatica, ci potrebbe essere uno squilibrio e un gruppo di attori potrebbe dominare tutti gli altri o addirittura eliminarli: a quel punto verrebbe meno l’indipendenza degli stati e quindi l’anarchia del sistema internazionale con l’istituzione di un sistema gerarchico guidato da un governo mondiale. Questo sistema potrebbe non piacere a tutti gli altri stati perché perdere l’indipendenza significherebbe essere minacciati nella propria sicurezza interna, nella propria stabilità, nella propria libertà. Per questo motivo nella letteratura internazionalista come nella pratica diplomatica, si è sempre ritenuto che mantenere un equilibrio di potenza nel sistema fosse una condizione di assoluta importanza. Gli effetti dell’equilibrio di potenza:  il sistema internazionale rimane plurale e anarchico in quanto non riescono ad emergere egemonie così forti da dominare l’intero sistema, rendendolo gerarchico.  gli attori principali (stati) tendono a sopravvivere, anche quando sono piccoli e poco potenti, in quanto –qualora fossero minacciati da stati più forti –sono facilitati nel trovare alleati per una difesa comune 

ci saranno meno guerre, o almeno meno grandi guerre, in quanto se nessuno può dominare gli altri, si genererà una situazione di mutua deterrenza L’ultimo punto è anche il più importante per le relazioni internazionali: se infatti si confrontano due coalizioni di attori bilanciate, si crea una forte incertezza circa l’esito di un eventuale conflitto: non si sa chi vincerà la guerra. Quindi, nel caso in cui per un attore vincere una guerra non è così scontato, si applica il principio della deterrenza per cui quell’attore è trattenuto dall’iniziare la guerra. In sostanza, come anche sottolinea Bobbio, la teoria dell’equilibrio di potenza non è una teoria della fine della guerra, cioè del passaggio dallo stato di guerra potenziale allo stato di pace definitivo, bensì una teoria della continuazione dello stato di tregua, ovvero del non passaggio dello stato di pace inteso come tregua allo stato di guerra: non passaggio reso inevitabile non più dalla fine della guerra ma dalla sua perenne possibilità. È quindi la possibilità che non si vinca la guerra, a mantenere gli attori del sistema in uno stato di tregua permanente. Quindi questa teoria non vuole sostenere di poter giungere ad uno stato di pace definitivo; lo spettro della guerra rimane sempre presente vista la condizione anarchica del sistema, ma essendoci un bilanciamento tra gli attori si tenderà meno a ricorrere al conflitto. Equilibrio di potenza e realismo L’equilibrio di potenza è un insieme di teorie e assunti che deriva essenzialmente dal filone del realismo, e ne condivide dunque gli assunti centrali, in primo luogo la visione ciclica della storia per ci può essere progresso in altri settori –ma nel campo della politica internazionale ci sono leggi eterne e immutabili, che ricorrono nelle varie aree geografiche ed epoche storiche. L’equilibrio di potenza è una teoria con la quale è possibile interpretare la guerra del Peloponneso del V secolo a.C. con le stesse categorie della guerra fredda. Gli studiosi dell’equilibrio di potenza sostengono che possono esserci momenti in cui il sistema internazionale è più pacifico e momenti in cui c’è

maggiore conflittualità. Essi comunque considerano i momenti di pace precari e provvisori, mentre il passaggio allo stato di guerra è sempre possibile. Assunti centrali dell’equilibrio di potenza Gli studiosi di questa teoria condividono alcuni assunti che sono centrali:  Lo stato come attore principale della scena internazionale  La condizione anarchica del sistema internazionale che rende possibile l’equilibrio di potenza  L’enfasi sulle questioni di sicurezza e sopravvivenza degli stati La presenza di questi fattori, limitano quelli che dovrebbero essere i benefici da attività quali la cooperazione, l’interdipendenza economica e le istituzioni in regimi internazionali. Limitano quindi l’efficacia di questi principi del liberalismo Un altro aspetto che hanno in comune realisti e studiosi dell’equilibrio di potenza è quello di considerare il comportamento degli stati come dovuto alla loro posizione nella gerarchia di potenza (soprattutto militare) del sistema internazionale. Quindi il fatto che uno stato abbia un regime fondamentalista religioso piuttosto che autoritario o democratico, non cambierà la sua tendenza a comportarsi nell’arena internazionale sempre nello stesso modo, e cioè secondo il potere di cui dispone. Un ulteriore aspetto riguarda il fatto che questa teoria si basa su fattori oggettivi rappresentati dall’interesse nazionale che è definito sempre in termini di potere e di potenza. Questa è la posizione dei teorici dell’equilibrio di potenza che è spesso sovrapposta a quella dei realisti. In realtà i realisti hanno sviluppato diverse visioni di questo concetto, e in particolare intorno alla domanda su come si crea l’equilibrio di potenza nel sistema internazionale. Esistono 2 punti vista principali, a cui va sommato quello della SI. I 2 punti di vista principali sono: Visione volontarista: l’equilibrio emerge volontariamente come frutto di esplicite scelte da parte delle principali potenze. Sono gli stati a scegliere di adottare politiche di bilanciamento per fare in modo che si crei equilibrio di potenza Visione spontanea: l’equilibrio tende a verificarsi spontaneamente a causa di logiche sistemiche che prescindono dalla volontà degli stati. Gli stati dunque tendono automaticamente al bilanciamento e l’equilibrio di potenza dipende da logiche sistemiche quali l’anarchia internazionale che mettono fuori causa la volontà. La visione volontarista ha caratterizzato il realismo classico dalla seconda GM fino agli anni 70, propria di studiosi come Morgenthau, ma anche George Kennan e Kissinger. Questi studiosi hanno predicato l’equilibrio di potenza come una linea guida di politica estera degli stati, e dunque una politica estera prudente e di bilanciamento. Essi non considerano automatico l’emergere dell’equilibrio di potenza. Kaplan ha delineato quelli che sono, secondo lui, i tre principi fondamentali della politica estera degli stati, da seguire per avere l’equilibrio:  Gli stati dovrebbero cercare di aumentare le proprie capacità pacificamente, se possibile, con la forza, se necessario  Gli stati dovrebbero opporsi a qualsiasi stato o coalizione di stati che cerchi di assumere una posizione di dominio sul sistema o che cerchi di sovvertirlo secondo principi organizzativi sovranazionali lesivi dell’indipendenza dei singoli stati. Gli devono quindi opporsi a qualsiasi tentativo egemonico, e soprattutto devono opporsi a chi cerca di sovvertire il sistema

internazionale cambiando il principio ordinatore e trasformandolo da anarchico a gerarchico Gli stati in guerra dovrebbero fermarsi prima di eliminare lo stato avversario e dovrebbero permettere agli stati sconfitti di essere reintegrati nel sistema in modo da poterli utilizzare in future coalizioni. Secondo questa visione dell’equilibrio di potenza, la decisione delle potenze vincitrici contro Napoleone di reintegrare la Francia nel concerto d’Europa, dopo le guerre napoleoniche, è stata vista positivamente. Mentre il modo in cui è stata trattata la Germania al termine della prima guerra mondiale con il trattato di Versailles, è stato visto molto negativa: la Germania infatti è stata esclusa dal sistema internazionale e non poteva partecipare alla SDN, gli sono state imposte condizioni di resa durissime, e inoltre il fatto che fosse esclusa da sistema internazionale ha fatto sì che non potesse essere utilizzato in nessuna coalizione, e ciò ha eliminato un importante attore dallo scenario europeo e mondiale dell’equilibrio di potenza. In ultima battuta, tutte queste condizioni hanno poi favorito l’ascesa della Germania nazista, ovvero l’ascesa di una potenza che voleva sovvertire l’ordine esistente e quindi l’equilibrio di potenza. Studiosi SI ed equilibrio di potenza Un discorso a parte merita il pensiero degli studiosi della SI in relazione all’equilibrio di potenza. gli studiosi SI adottano una posizione intermedia tra realismo e liberalismo. Essi ritengono che ci sia la possibilità che gli stati condividano delle regole di comportamento anche se queste non sono formalizzate e anche in assenza di un governo mondiale. Essi vedono l’insieme degli stati come una società di stati in cui ci sono norme condivise da tutti i membri. L’equilibrio di potenza per gli stati, sarebbe una norma generalizzata di condotta, un modo di condurre la politica estera che corrisponde al bilanciamento. Per gli studiosi SI, se la norma viene rispettata la stabilità internazionale è garantita. Gli stati cercano anche di operare all’interno del diritto internazionale, questo però succede quando esiste una società di stati, cioè quando gli stati condividono norme e valori. Quando invece ci sono stati che non condividono ne valori né norme con gli altri stati, l’equilibrio di potenza viene meno: in assenza di norme condivise di comportamento gli stati si comportano secondo lo stato di natura Hobbesiano, puntando ad una reciproca posizione. Visione sistemica (realismo strutturale) Questa visione è tuttora la più diffusa ed è quella che è stata maggiormente analizzata nelle RI. La visione sistemica è tipica del realismo strutturale, soprattutto nel pensiero di Waltz. Secondo K. Waltz il sisitema internazionale è composto dalle unità (stati) e dalla struttura nella quale gli stati operano. Ogni struttura politica è composta di tre elementi: il principio ordinatore che è anarchico, la differenziazione funzionale delle unità che è assente vista l’anarchia che obbliga al self- help, e la distribuzione delle capacità (potenza) tra le unità. Nella concezione del realismo strutturale è sufficiente che gli stati in anarchia vogliano sopravvivere perché si manifesti una tendenza all’equilibrio del sistema. È il principio del self- help per cui gli stati devono fare tutto da soli, che li induce sempre a schierarsi sempre con il più debole contro il più forte. Quindi ad adottare politiche di balancing anziché politiche di bandwagoning. Nella figura si hanno due situazioni diverse: da una parte abbiamo lo stato C che ha 10, lo stato A che ha 6 e lo stato B che ha 5. Se lo stato A vuole sopravvivere deve necessariamente allearsi con B contro C; se infatti si alleasse con C, insieme distruggerebbero agevolmente B, poi però resterebbe solo con C che ha 10 e non avrebbe nessuna ragione per non attaccarlo e distruggerlo. Quindi per Waltz, basta che A voglia sopravvivere perché si allei con B contro C, attuando una politica di 

balancing: questo è il comportamento naturale degli stati che deriva dall’anarchia del sistema

e dal principio del self-help. la seconda situazione è quella del bandwagoning che secondo Waltz è un comportamento molto improbabile negli stati, perché porterebbe di fatti all’autodistruzione. In questo caso infatti A e C si coalizzano, distruggono B, ed A può avere dei vantaggi nel breve periodo. Poi restando solo con C, andrebbe inesorabilmente incontro alla distruzione. Per Waltz la politica del “salire sul carro del vincitore”, è molto improbabile, e gli stati che la attuano non sono razionali in quanto non badano alla propria sopravvivenza. La teoria del domino Questa teoria prevede, in particolari situazioni, comportamenti diversi da quelli descritti dal Waltz. Alcuni studiosi ritengono che in alcuni contesti potrebbe esserci una prevalenza di comportamento del bandwagoning. Basta un piccolo cambiamento nella distribuzione delle capacità, basta che una grande potenza ottenga qualcosa in più delle altre perché si inneschi un effetto a catena che porti gli altri stati nella stessa direzione di quella potenza, salendo di fatto sul carro del vincitore: da qui la teoria del domino. Dunque in alcuni casi, una piccola variazione nella distribuzione del potere, ha degli effetti molto importanti. L’instabilità è molto frequente in questo tipo di sistema. Non ci sono molti casi storici in cui si sono verificati comportamenti simili, però un esempio può essere quello degli USA che si sono ostinati a rimanere a lungo in Vietnam perché temevano l’effetto domino: se il Vietnam fosse scivolato nella sfera di influenza sovietica, questo sarebbe successo a catena per tutto il sud est asiatico. Il Vietnam non era uno stato strategicamente rilevante per gli USA, ma acquisiva importanza nel momento in cui sarebbe potuto essere l’inizio di un domino che avrebbe potuto interessare gran parte del sudest asiatico. Ad un certo momento però nei policy circles americano (circoli di politica estera) si è incominciato a sostenere che il Vietnam fosse sostenuto dalla Cina, soltanto perché quest’ultima temeva la presenza USA in quella regione del mondo. Se gli USA si fossero ritirati, la Cina non li avrebbe piò visti come un potenziale sfidante e sarebbe venuta a meno quella politica estera che l’ha spinta ad allearsi con Vietnam contro gli USA. Il ritiro USA, ha infatti disteso in rapporti tra Pechino e Washinton, e gli USA ci hanno anche guadagnato perché si è allentato il sodalizio tra URRS e Cina; inoltre l’effetto domino da molti previsto in caso di vittoria dei vietcong, non si è materializzato.

Quindi sostanzialmente la teoria del domino e più teoretica che reale. Alcune volte però gli stati si ostinano a condurre un certo tipo di politica estera proprio perché temono questo effetto domino nella politica internazionale: cioè temono che perdendo una piccola parte del sistema, poi si inneschi una reazione a catena per cui lo vanno a perdere interamente. La flessibilità negli allineamenti La letteratura internazionale si è spesso interrogata sul quale sia il tipo di sistema internazionale che garantisce maggiore stabilità e minore conflittualità: se i sistemi bipolari o i sistemi multipolari. Anche nello studio dell’equilibrio di potenza ci si è chiesti in quale tipo di sistema è più facile ottenere una condizione di equilibrio. In entrambe le sue visioni, sia quella volontarista che quella spontanea dell’equilibrio, si sottintende che gli stati si alleino in base alle condizioni esterne, non a quelle interne degli stati, quindi in base alla distribuzione di potenza nel sistema. Dunque le alleanze in queste visioni non dipendono né dalle caratteristiche interne e tantomeno dalle preferenze ideologiche. Quindi la flessibilità negli allineamenti, cioè i cambiamenti nelle alleanze, deve seguire quella che è la distribuzione di potenza nel sistema internazionale. Le alleanze quindi non sono mai stabili: secondo gli studiosi dell’equilibrio di potenza il più stretto degli alleati può diventare il peggior nemico se il suo povere dovesse crescere eccessivamente. Questo è il motivo per cui i teorici dell’equilibrio in fin dei conti credono che le alleanze non sopravvivano alla propria vittoria: quando infatti viene meno la minaccia, viene meno anche la ragione che ha dato vita a quella alleanza. Ad esempio, secondo alcuni storici, la quadruplice alleanza di Napoleone si è inclinata ancor prima della sua definitiva sconfitta, ed anche l’alleanza tra USA e URRS contro la Germania nazista, si è andata rompendo ancor prima che gli alleati arrivassero a Berlino, cioè ancor prima che la minaccia fosse sconfitta. Quando infatti si sono resi conto che Hitler stava perdendo la guerra, allora è diventato meno importante e quindi e venuta meno la minaccia e quindi l’alleanza. Questo è visibile, soprattutto in Italia, nelle alleanze tra i partiti, in particolare quelli di centro sinistra: quando sono all’opposizione, avendo una minaccia comune sono uniti; ma quando devono governare ecco che emergono tutte le incomprensioni e divergenze che li allontanano l’uno dall’altro. Il caso dell’alleanza tra URRS e USA è particolarmente significativo: c’era infatti chi sosteneva che non potevano essere alleati perché guidati da ideologie completamente diverse, da una parte comunismo e dall’altra capitalismo. Questo è stato dunque un ostacolo prima della seconda GM, e anche dopo con la guerra fredda, ma nel momento in cui si è presentata la minaccia nazista quell’ostacolo è stato superato. Quindi per i teorici dell’equilibrio, le considerazioni ideologiche passano sempre in secondo piano difronte ad una minaccia. A proposito è famo...


Similar Free PDFs