Capitolo 5: lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione PDF

Title Capitolo 5: lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione
Author Sofia Rametta
Course Psicologia dello sviluppo
Institution Università degli Studi di Palermo
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Summary

-riflessioni preliminari;
-specificità del linguaggio verbale;
-definizione, prerequisiti e funzioni dello scambio comunicativo;
-gesti comunicativi ed intenzionalità comunicativa;
-sviluppo del linguaggio verbale: modelli teorici;
-il ruolo dell'adulto;
-acquisiz...


Description

CAPITOLO 5: LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE 2. Specificità del linguaggio verbale Tutti gli esseri viventi dispongono di qualche tipo di linguaggio naturale per entrare in contatto con i membri della propria specie, solo l’uomo dispone del linguaggio verbale, uno strumento prodotto dalla facoltà simbolica che consente di creare e usare segni convenzionali. Il linguaggio verbale svolge la funzione di rinvio simbolico a rappresentazioni mentali rendendole condivisibili tra i soggetti. Una peculiare proprietà del linguaggio verbale è la ricorsività o combinabilità potenzialmente illimitata e di tipo arbitrario tra le componenti formali elementari. Comprendere la natura e i meccanismi di acquisizione del linguaggio ha rappresentato da sempre uno tra i più rilevanti oggetti di studio delle scienze umane, questo interesse si colloca in continuità con le riflessioni dei filosofi che tradizionalmente si sono occupati della questione del linguaggio e del suo sviluppo non solo in termini speculativi ma anche in termini descrittivo-esperenziale. A questo proposito sono emblematiche le osservazioni di Agostino d’Ippona che cerca di ricostruire le prime fasi del proprio sviluppo comunicativo e linguistico, indicando come scopo dello sviluppo del linguaggio l’istituzione del complesso legame sociale e culturale. Agostino pone alcune tra le questioni fondamentali su cui ha indagato la psicologia a partire dal XIX secolo: 1. la priorità temporale ed esperenziale sia della comunicazione non verbale rispetto al linguaggio verbale, sia della comprensione rispetto alla produzione delle parole; 2. il cruciale passaggio della comunicazione non intenzionale a quella intenzionale; 3. l’importanza del contesto e dell’adulto nello sviluppo delle abilità linguistiche; 4. l’implicazione delle abilità cognitive; 5. il ruolo di specifici meccanismi riproduttivi dei modelli linguistici adulti. 3. Definizione, prerequisiti e funzioni dello scambio comunicativo Comunicare significa mettere in comune, si possono distinguere 2 concezioni complementari della comunicazione: la prima come scambio interpersonale di qualcosa che preesiste allo scambio, la seconda come costruzione e fondazione della soggettività, frutto di esperienze condivise. Mentre la comunicazione fondata è possibile sulla base di una predisposizione innata a interagire per mezzo di segnali naturali, la comunicazione fondante comporta un’interazione partecipativa e costruttiva di nuove rappresentazioni grazie all’utilizzo di simboli analogici e segni digitali codificati che consentono di dare forma a una mente mediata ed ibrida, ovvero trasformata dal ruolo di mediazione del linguaggio che introduce la cultura nel pensiero umano. La comunicazione si fonda sulla relazione interpersonale così come sulla relazione intrapsichica; è lo scambio comunicativo con gli altri essere umani che consente al bambino di costruire il senso della propria collocazione nel mondo al fine di prenderne parte attiva. Il bambino supera l’iniziale condizione asimmetrica rispetto all’adulto competente grazie alla trasmissione intergenerazionale delle conoscenze e degli strumenti materiali simbolici della cultura di appartenenza soprattutto attraverso linguaggio verbale. A lungo gli studiosi si sono interrogati sull’origine del linguaggio verbale a partire da forme di comunicazione non verbali precedenti e le ipotesi teoriche prevalenti sono due secondo cui il linguaggio: 1. rappresenterebbe il passo finale di un processo evolutivo direttamente specie-specifico dei sistemi di comunicazione non verbali preesistenti e presenti anche in altre specie animali; 2. sarebbe espressione di una facoltà emersa ex novo dall’adattamento di sistemi non primitivamente legati alla comunicazione. Nelle prime fasi dello sviluppo infantile è possibile comunicare con i propri simili grazie a disposizioni comportamentali innate che si attivano automaticamente in risposta a configurazioni di stimoli interni ed esterni con valenza evocativa, al fine di garantire la sopravvivenza. Nel neonato queste disposizioni si manifestano come semplici riflessi che via via si differenziano e specializzano in seguito all’esperienza. Mentre Piaget assume i riflessi come base per lo sviluppo di schemi cognitivi senso-motori, Bowlby li considera precursori di comportamenti comunicativi volti a favorire il contatto sociale e la formazione del legame di attaccamento. Alla costruzione del sistema comportamentale dell’attaccamento concorrono sia le condotte di segnalazione che le condotte di vicinanza: le prime sono azioni-reazioni del bambino per richiamare l’attenzione dell’adulto mentre le seconde consistono nei tentativi di impedire che l’adulto si allontani. Già dalla nascita il bambino è impegnato a preparare, in collaborazione con l’adulto, quel terreno comune di condivisione per la costruzione progressiva dello sviluppo psicologico individuale e di quello socioculturale destinati a incontrarsi e integrarsi soprattutto grazie al linguaggio verbale che svincola gli individui dalla dipendenza del contesto esperienziale. L’interesse selettivo ed elettivo che il bambino mostra verso le altre persone è completamente presente nell’adulto che è biologicamente programmato a reagire in modo specifico con risposte di accudimento ai segnali che provengono dai neonati e dai bambini. Koyama, Takahashi e Mori hanno mostrato una differente sensibilità da parte dei due sessi a queste configurazioni, recenti studi nell’ambito delle neuroscienze hanno confermato la diversa predisposizione di maschi e femmine a reagire ai segnali infantili, evidenziando una maggiore sensibilità del sesso femminile al pianto dei bambini rispetto agli individui maschili. Eleanor Gibson ha mostrato come nell’infanzia i sistemi biologici di base e i comportamenti acquisiti siano sintonizzati con il modo mondo dell’esperienza oggettuale e sociale e come ciò produca adattamenti sempre più differenziati, complessi ed efficaci: è nell’incontro tra le disposizioni dell’individuo e le caratteristiche dell’ambiente che avviene lo sviluppo umano in una prospettiva ecologica. Il bambino effettua i primi scambi

comunicativi attraverso comportamenti non verbali affiancati e supportati ben presto dal linguaggio verbale. Dal momento che la comunicazione non si produce individualmente ma vi si partecipa, il bambino deve apprendere il più precocemente possibile le regole basilari di questa attività condivisa. Preliminare e propedeutica a un uso intenzionale dello scambio comunicativo è la scoperta dei ruoli alterni di emittente e ricevente. Il neonato è selettivamente orientato verso la voce umana e la configurazione visiva dei volti, allo stesso tempo è capace di riprodurre espressioni facciali come l’imitazione dei movimenti della bocca dell’adulto per un innato meccanismo riflesso attivato dai neuroni specchio. In altre parole il bambino si pone sin dalla nascita come partner competente nell’interazione con l’adulto, in grado cioè non solo di assumere il ruolo di ricevente ma anche di emettere informazioni sul proprio stato e sui propri bisogni in maniera spontanea e ancora senza nessuna intenzione comunicativa. A partire dall’alternanza di momenti di attività e passività o nel cosiddetto dialogo tonico tra il proprio corpo a quello della madre, il bambino partecipa ad effettive protoconversazioni in cui sperimenta i primi comportamenti di turn taking e di role taking. La responsività, la coerenza e insieme la flessibilità dei comportamenti della figura materna facilitano questo apprendimento, favorendo la cruciale scoperta dell’intenzionalità comunicativa. Il bambino inizialmente non piange per richiamare l’attenzione della madre ma semplicemente utilizza un mezzo di cui la natura l’ha dotato e che costituisce una vera e propria assicurazione per la sopravvivenza. È l’accorrere della madre che fa scoprire al bambino di poter utilizzare il pianto come mezzo per ottenere qualcosa. Importante per uno scambio interpersonale è il processo dell’interpretazione finalizzato a individuare l’intenzione comunicativa dell’interlocutore: grazie all’interpretazione due intenzionalità possono incontrarsi, riconoscersi e collaborare. Una corretta interpretazione di un messaggio avviene sulla base della condivisione sia di un contesto esperienziale sia di attese reciproche o postulati conversazionali, questa condivisione viene costruita e costantemente verificata insieme agli altri per mezzo del linguaggio verbale che consente non solo di comunicare ma di metacomunicare sugli scambi comunicativi stessi. La costruzione di questa condivisione rappresenta uno dei compiti evolutivi tipicamente umani al cui apprendimento il bambino è impegnato fin dalle prime fasi del suo sviluppo. Negli ultimi decenni sono state studiate le abilità comunicative del bambino in età sempre più precoce nel tentativo di individuare precursori e prerequisiti come possibili fattori di protezione e/o di rischio evolutivo nello sviluppo del linguaggio verbale. L’incremento di studi sui bambini con sviluppo sia tipico che atipico ha evidenziato le specifiche caratteristiche delle prime modalità espressivo-comunicative e la sostanziale continuità tra la competenza comunicativa non verbale e la padronanza del linguaggio verbale. Considerando la sequenza nella comparsa delle funzioni comunicative si osserva che la funzione base è la funzione di contatto o fatica che consente agli individui di segnalare gli uni agli altri la propria presenza, richiamando l’attenzione su di sé. Qualcosa di analogo succede nei primi mesi di vita nello scambio di sorrisi e vocalizzazione tra il bambino e il caregiver; il prototipo dei primi scambi comunicativi bambinoadulto può essere individuato nella sequenza: il bambino sorride, la madre risponde con una vocalizzazione, pertanto la funzione di contatto può essere considerata una metafunzione comunicativa nella misura in cui precede e rende possibili tutte le altre funzioni. Halliday ha descritto il passaggio dal comunicare per fare al comunicare per conoscere, quando il bambino inizia disporre delle parole per la loro specifica valenza simbolica può riferirsi anche a oggetti ed eventi assenti al fine di scambiare informazioni sul mondo. Halliday individua come funzioni imperativo-regolative quelle per agire o pragmatiche, mentre descrittivo-referenziali quelle per apprendere o matetiche. In altre parole il bambino in seguito a ripetute interpretazioni da parte del caregiver dei segnali che spontaneamente emette senza valenza comunicativa intenzionale (messaggi espressivi) scopre che può influenzare l’adulto e pertanto inizia usare dapprima solo i gesti, poi le parole per ottenere quello che desidera (messaggi imperativi). Infine quando scopre l’altro come agente intenzionale e come mente impara richiamare l’attenzione per condividere esperienze sul contesto esterno e sul mondo in generale (messaggi referenziali). Pertanto anche nelle abilità comunicative il percorso di sviluppo procede da modalità autocentrate verso la progressiva conquista dell’individuazione e del decentramento grazie alle quali si possono confrontare, orientare e negoziare bisogni, stati d’animo e punti di vista. 4. Gesti comunicativi e intenzionalità comunicativa Per lo sviluppo delle funzioni comunicative più evolute è necessaria la scoperta della valenza comunicativa del suono e dell’intenzionalità comunicativa. L’intenzionalità comunicativa è implicitamente presente già nell’uso dei gesti comunicativi: gesto richiestivo e gesto dichiarativo. Quando tra i 9 e i 12 mesi il bambino inizia scoprire l’altro come dotato di intenzionalità in analogia con il sé, si realizza la conquista che Tomasello chiama rivoluzione sociocognitiva del nono mese. Questa rivoluzione consiste nel passaggio dall’intento comunicativo all’intenzione vera e propria. In uno studio osservative o sui bambini di 11 ne mesi Carpenter, Nagell e Tomasello hanno mostrato come i bambini di fronte a situazioni nuove e insolite non mimavano tutte le azioni cui erano esposti ma riproducevano solo le azioni dirette a uno scopo, manifestando un’anticipata attenzione all’effetto interessante. Altri studi hanno evidenziato quanto sia cruciale distinguere l’intenzione precedente dallo scopo dell’azione. Frye ha ideato alcune situazioni sperimentali per distinguere sulla base delle reazioni del bambino in situazioni inattese la presenza o meno di intenzionalità nei primi due anni iI bambino che non sa ancora parlare, ma effettua già movimenti controllati delle braccia, inizia a usare gesti associati o meno a vocalizzazioni per comunicare con l’adulto e influenzarne il comportamento. Dapprima esibisce il gesto richiestivo o imperativo che consiste nell’allungare il braccio verso qualcosa che vuole ottenere, successivamente il gesto di indicare il cui fine non è avere un oggetto ma l’attenzione

dell’adulto su qualcosa di interessante (attenzione congiunta). Mentre il gesto per avere svolge una funzione imperativa quello per condividere una funzione dichiarativa ed è considerato un precursore dello sviluppo della Teoria della Mente, vale a dire della scoperta che l’altro, al pari di sé, è dotato di stati interni su cui si può agire per mezzo alla comunicazione. I gesti sono accompagnati da uno scambio di sguardi con la funzione di segnalare all’altro sia che si sta cercando di entrare in contatto con lui sia per controllare l’effetto su di lui del proprio gesto comunicativo. Il gesto indicativo segna l’inizio della cosiddetta interazione triadica io, tu e l’oggetto di interesse. Ricerche longitudinali hanno mostrato che l’uso comunicativo dell’indicare è un predittore dello sviluppo linguistico, in generale e delle competenze grammaticali, in particolare. Tra i 9 e i 12 mesi il bambino inizia a produrre le prime parole con una forma fonetica e con un contenuto che si avvicinano sempre più segni convenzionali del codice linguistico (protoparole) e che sono riconoscibili come tali nella misura in cui si riferiscono con regolarità a precisi oggetti e/o contesti. 5. Sviluppo del linguaggio verbale: modelli teorici Chomsky ha apertamente criticato le tesi di Skinner che sosteneva che linguaggio fosse acquisito per mera imitazione dei modelli linguistici grazie al meccanismo di rinforzo sociale. Secondo Chomsky tale ipotesi non è adeguata a spiegare né la velocità di acquisizione del linguaggio né la creatività linguistica dei bambini che già a 3 anni sono in grado di produrre frasi complesse che non hanno mai udito. Egli considera il linguaggio come parte di una facoltà simbolica più generale, specie-specifica e universale, la cui peculiarità consiste in una capacità combinatoria di unità discrete secondo modelli di grammatica universale generativa. L’abilità linguistica sarebbe pertanto il prodotto dell’attivazione di un dispositivo specializzato, dominio-specifico per il linguaggio, una sorta di grammar box localizzato nel cervello: LAD (Language Acquisition Device). Tra gli studiosi intervenuti nel dibattito Bruner per primo ha avanzato l’ipotesi di mediazione tra i due modelli e ponendo l’enfasi sul ruolo complementare e congiunto delle capacità del bambino e delle strategie interattive dell’adulto. Questo modello teorico, denominato sociocostruttivista, considera sia gli aspetti funzionali del comportamento sia gli aspetti biologicoevoluzionisti della cultura umana. In particolare Bruner ha posto l’accento sul ruolo dell’interazione sociale come specifico sistema di supporto dell’apprendimento del linguaggio: LASS (Language Acquisition Support System). Questo apprendimento sarebbe facilitato dalla condivisione partecipativa di specifiche routine di azione e comunicazione (format) in contesti esperienziali concreti. Bruner sostiene che il linguaggio verbale si è sviluppato nel corso dell’evoluzione allo scopo di dirigere l’attenzione e le azioni comuni, definendo l’attenzione comune come un incontro di menti. La tendenza dell’adulto a commentare l’azione del bambino, a nominare e/o descrivere gli oggetti a cui sta prestando attenzione favorirebbero l’apprendimento del lessico. Altri studiosi hanno rivolto la loro attenzione ai meccanismi innati per l’apprendimento nel lessico e indipendenti da abilità percettive e cognitive quali: 1. l’assunto dell’oggetto intero: una parola udita per la prima volta viene attribuita a un oggetto nella sua globalità; 2. l’assunto tassonomico: una parola appresa viene generalizzata all’esemplare più simile; 3. l’assunto del contrasto: una parola appresa non viene sostituita da una nuova parola utilizzabile per lo stesso referente, ma viene attribuita a un altro referente. L’ipotesi della mediazione è attualmente sostenuta dal recente approccio teorico denominato emergentista o epigenetico che cerca di definire con maggiore precisione processi, meccanismi e tempi dell’integrazione tra fattori innati-genetici e ambientali-esperienziali del comportamento. Circa lo sviluppo del linguaggio, l’adozione di metodi e procedure di indagine delle neuroscienze dimostra che i due tipi di fattori agiscono in maniera complementare in momenti sensibili o critici dello sviluppo. In particolare ogni neonato nascerebbe internazionale essendo dotato della disposizione naturale ad apprendere una qualsiasi delle lingue esistenti al mondo. Benché alla nascita il cervello umano sia in grado di discriminare i circa 800 fonemi che costituiscono le parole di tutte le lingue, questa capacità è transitoria e differenziata per diversi tipi di suoni: a 6 mesi il bambino è predisposto ad apprendere i suoni vocalici della lingua a cui è esposto, 9 mesi i suoni consonantici. Per imparare a parlare bisogna distinguere i 40 fonemi circa della lingua madre dai fonemi di tutte le altre lingue. I bambini sono sensibili alla gamma dei suoni più frequenti nella loro lingua prima di comprendere il significato delle parole, questa finestra temporale rimane aperta più lungo nei bambini esposti a più di una lingua. Col tempo si verifica una graduale riduzione della capacità di discriminare i suoni di altre lingue e dopo i 7-8 anni diventa più difficile imparare una seconda lingua. È possibile conoscere, attraverso la registrazione e l’analisi delle onde cerebrali (rilevazione dei potenziali evocati), se il cervello del bambino si sta sviluppando normalmente o se ci sono anomalie che interferiranno nella comparsa dell’abilità linguistica. Recentemente sono stati evidenziati due meccanismi complementari per l’acquisizione del linguaggio: l’abilità di calcolo statistico-probabilistico del cervello e l’immersione in un universo sociale parlante. Kuhl e colleghi hanno realizzato un elegante esperimento per verificare se l’apprendimento dei fonemi avvenga esclusivamente sulla base di calcoli statistici o se svolgano un ruolo anche le diverse condizioni di esposizione al parlato. Un disegno di ricerca pre-test/post-test ha coinvolto 4 piccoli gruppi di bambini di 9 mesi di madrelingua inglese abitanti a Seattle, esponendoli a diverse condizioni di parlato per 12 sezioni in un mese: 1. un gruppo ascoltava degli adulti che parlavano il cinese mandarino giocando con loro; 2. un gruppo guardava un video in cui delle persone parlavano il cinese tra di loro;

un altro gruppo ascoltava solo una registrazione audio della stessa conversazione tra adulti; un gruppo di controllo interagiva con persone che parlavano inglese. Tutti i bambini sono stati successivamente sottoposti a test psicologici e al monitoraggio delle onde cerebrali per rilevare la capacità di discriminare alcuni fonemi. Dai risultati è emerso che solo il gruppo esposto al parlato cinese dal vivo in situazioni di interazione partecipativa ha avuto prestazioni simili a quelle dei bambini di Taipei di 11 mesi. Né l’esposizione video né quella audio hanno prodotto alcun tipo di apprendimento, pertanto alla luce dei risultati di questo esperimento si può concludere che l’apprendimento del linguaggio non è un processo passivo ma richiede interazioni sociali. Le modalità specifiche dell’interazione linguistica tra adulti e bambini favorirebbero l’apprendimento in quanto comportano un coinvolgimento emotivo che stimola l’attenzione la motivazione. 6. Il ruolo dell’adulto Adulti e bambini collaborano nella costruzione dell’abilità comunicativo-linguistica essendo entrambi predisposti biologicamente a entrare in contatto (intersoggettività primaria) e a cooperare tra loro (in...


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