Capitolo 9 Kring A.M., Johnson S.L., Davison G.C., Neale J.M., Psicologia Clinica PDF

Title Capitolo 9 Kring A.M., Johnson S.L., Davison G.C., Neale J.M., Psicologia Clinica
Author Nadia Garzetti
Course Psicologia Clinica
Institution Università degli Studi di Padova
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Description

CAPITOLO 9 – SCHIZOFRENIA La schizofrenia è una psicosi caratterizzata da pensiero disorganizzato, in cui le idee non sono collegate fra loro in maniera logica; percezione distorta; difficoltà a focalizzare l’attenzione; mancanza di espressività emozionale; alterazioni comportamentali. Queste persone possono isolarsi dagli altri e dalla realtà quotidiana, spesso per crearsi un mondo fatto di strane convinzioni (deliri) e di allucinazioni. È una vasta disgregazione dell’esistenza. I sintomi pervadono ogni aspetto dell’individuo: cosa pensa, cosa prova e come si comporta. Interferiscono quindi con la possibilità di avere un’occupazione stabile, di vivere in maniera indipendente e di avere relazioni strette con altre persone. I tassi di abuso di sostanze sono elevati, probabilmente riflettono un tentativo di placare i sintomi. Vi è anche un alto tasso di suicidi, la percentuale di andare incontro al suicidio è 12 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Queste persone hanno anche maggiore probabilità di morire per qualunque altra causa. Nei maschi la prevalenza della malattia è dell’1%, leggermente superiore rispetto a quella delle femmine. Può esordire nell’infanzia, ma solitamente compare nella tarda adolescenza o nella prima età adulta, di norma prima negli uomini e poi nelle donne. Tipicamente ci sono episodi acuti e, tra un episodio e l’altro, sintomi meno gravi, ma comunque debilitanti.

QUADRO CLINICO La gamma dei sintomi è ampia, sono spesso divisi in 3 dimensioni: positiva, negativa e disorganizzativa.



Sintomi positivi

Comprendono eccessi e distorsioni, come allucinazioni e deliri, spesso caratterizzano gli episodi acuti. Deliri  sono convinzioni contrarie alla realtà dei fatti e nutrite malgrado le evidenze che le contraddicono. Ad esempio pensare che le persone ci detestino e che stiano complottando contro di noi, ascoltando le nostre conversazioni in modo da screditarci. Si inizia ad aver paura anche di amici e si controllano che non ci siano microspie nella stanza in cui siamo. Deliri di persecuzione sono stati rilevati nel 65% di un ampio campione transnazionale. I deliri possono anche assumere diverse altre forme, come:  







Inserzione del pensiero: la persona pensa che pensieri a lei estranei vengano posti nella sua mente da una fonte esterna, ad esempio con un microchip. Diffusione del pensiero: la persona crede che i suoi pensieri vengano trasmessi o diffusi, così che ne vangano a conoscenza anche gli altri. Ad esempio un uomo mentre cammina pensa che i passanti sentano ciò che pensa La persona crede che sentimenti o comportamenti siano controllati da una forza esterna, ad esempio può pensare che sia sotto il controllo di segnali emessi dai ripetitori della telefonia mobile. Deliri di grandezza: la persona manifesta un senso esagerato della sua importanza, del suo potere, delle sue conoscenze o della sua identità. Ad esempio possono credere di gestire la direzione del vento con le mani. Idee di riferimento: incorpora eventi ordinari all’interno di un sistema delirante e legge un significato personale nelle più comuni attività altrui. Ad esempio possono pensare che frammenti di conversazione si riferiscano a loro, che se vedono una persona più volte significa che sono sorvegliate.

I deliri sono presenti in più della metà dei soggetti schizofrenici, ma sono presenti anche in persone con disturbo bipolare, disturbo depressivo maggiore con caratteristiche psicotiche e disturbo delirante.

Allucinazioni e altri disturbi della percezione  Le persone con schizofrenia riferiscono che il mondo appare loro diverso o anche irreale. Ad esempio possono sentirsi bersagliati da informazioni e non riuscire a sentire e guardare la tv allo stesso tempo. Le distorsioni più drammatiche della percezione sono le allucinazioni, esperienze sensoriali in assenza di stimoli ambientali. Esse sono più spesso uditive (presenti nel 74% dei casi) che visive. La voce sentita può essere estranea che ripete i loro pensieri, oppure possono esserci voci che litigano o che fanno commenti sul loro comportamento. Sono esperienze sgradevoli o anche spaventose. Le allucinazioni in cui la voce proviene da una persona estranea sono le più sgradevoli, rispetto a quando la voce proviene da una persona conosciuta. Alcuni studiosi pensano che chi ha allucinazioni acustiche operano un’attribuzione erronea percependo come altrui la propria voce, studi svolti con gruppi di controllo sani, hanno dimostrato che le persone con allucinazioni hanno, in effetti, una maggiore probabilità di attribuire a una fonte estranea registrazioni della loro stessa voce. Studi di neuroimaging hanno rilevato che, in concomitanza con la percezione di voci, c’è una maggiore attività nell’area di Broca (implicata nella produzione del linguaggio) e nell’area di Wernicke (implicata nella comprensione del linguaggio), potrebbe esserci quindi un problema di connessione tra queste due aree. Una metanalisi su 10 studi di brain imaging ha trovato che l’attivazione più intensa era nelle aree del cervello associate con la produzione dell’eloquio. Deliri e allucinazioni però non sono specifici solo di questo disturbo, quindi la diagnosi di schizofrenia non dev’essere fatta basandosi solo su questi.



Sintomi negativi

Consistono in deficit comportamentali come diminuzione della motivazione (abulia), delle relazioni sociali (asocialità), del piacere (anedonia) e dell’espressione delle emozioni. Questi sintomi perdurano oltre l’episodio acuto e hanno effetti profondi sull’esistenza dei soggetti. Sono importanti per la prognosi, perché sintomi negativi coincidono con una bassa qualità della vita. Abulia  anche detta apatia, è una mancanza di motivazione e un apparente disinteresse per le consuete attività quotidiane o un’incapacità di portarle a termine (lavoro, scuola, hobby...). Passano la maggior parte del tempo a non far nulla. Come confermato da uno studio, sono meno motivati a essere autonomi, acquisire nuove conoscenze/abilità, essere lodati dagli altri, ma sono più motivati del gruppo di controllo a ridurre la noia. Livelli uguali di motivazione riguardavano le relazioni con gli altri e l’evitare un esito negativo (critica). Asocialità  gravi compromissioni nei rapporti sociali. Hanno pochi amici, scarse abilità sociali e sono poco interessati a stare assieme agli altri. È possibile che non tengano alle relazioni con i familiari, amici o partner, anzi preferiscono stare da soli. Quando sono con altri tendono a relazionarsi solo in modo superficiale e per breve tempo e possono apparire distaccate e indifferenti. Anedonia  perdita d’interesse per l’esperienza del piacere o una diminuzione di tale esperienza. Si riferisce a due tipi di esperienze piacevoli: il piacere consumatorio, quello esperito nel qui e ora, e il piacere anticipatorio, quello che ci aspettiamo o prevediamo che ci derivi da eventi o attività futuri. Persone con schizofrenia sembrano avere un deficit nel piacere anticipatorio, ma non di quello consumatorio. Immaginano un minore piacere nelle attività ma quando poi le svolgono ne traggono piacere come il gruppo campione sano. Appiattimento dell’affettività  mancanza di manifestazione delle emozioni. Si manifesta fissando il vuoto, con i muscoli del viso immobili, gli occhi privi di vita, un tono di voce piatto e incolore, senza guardare chi sta parlando. È diffusa nel 66% dei casi. L’appiattimento riguarda solo l’espressione manifesta, non l’esperienza interiore della persona, che non è affatto impoverita. Oltre 20 studi hanno dimostrato una

minore espressività nel volto degli schizofrenici, in corrispondenza di emozioni di normale o maggiore intensità rispetto alle persone senza disturbo. Alogia  riduzione significativa della quantità di eloquio. Es. rispondono ad una domanda con una o due parole, senza fornire dettagli. Se gli si chiede di dire un’esperienza felice dicono “sposarsi”, sena aggiungere altro. Questi sintomi sono più facilmente compresi se ricondotti a due ambiti: l’ambito della motivazione e del piacere (motivazione, socialità, esperienza emozionale) e l’ambito espressivo (espressione e verbalizzazione di emozioni).



Sintomi disorganizzati

Comprendono l’eloquio e il comportamento disorganizzati. Eloquio disorganizzato  anche detto disturbo formale del pensiero, si riferisce all’incapacità di organizzare le idee e di parlare in modo che un ascoltatore possa comprendere. Immagini descritte e i frammenti di pensiero non sono tra loro connessi, è difficile comprendere l’interlocutore. L’eloquio è reso confuso da ciò che viene chiamato allentamento dei nessi associativi o deragliamento, in cui si ha difficoltà a rimanere in argomento. L’eloquio disorganizzato non è associato a problemi nella produzione del linguaggio, ma a problemi delle funzioni esecutive, ossia il problem-solving, abilità nel cogliere operazioni semantiche, la capacità di pianificare e quella di operare associazioni tra pensieri ed emozioni.

Comportamento disorganizzato  le persone possono avere inesplicabili attacchi di agitazione, esibire un abbigliamento inconsueto, comportarsi in maniera sciocca, ammassare generi alimentari o raccogliere pattume. Esse sembrano perdere la capacità di organizzare e rendere conforme agli standard collettivi il proprio comportamento. Hanno anche difficoltà nello svolgere attività nella vita quotidiana. Nel DSM-5 una sua manifestazione è definita catatonia. Le persone possono gesticolare continuamente, mettendo in atto sequenze con dita, mani e braccia, peculiari e complesse che spesso appaiono finalizzate ad uno scopo. Alcune persone manifestano un insolito incremento del livello complessivo di attività, con molta agitazione negli arti, eccitazione e un grande dispendio di energia simile a quello delle manie. All’estremo opposto vi è l’immobilità catatonica, le persone assumo e mantengono posizioni inconsuete per periodi di tempo molto lunghi. Gli arti delle persone catatoniche possono anche presentare la flessibilità cerea, ovvero mantengono per lunghi periodi di tempo la posizione di un arto nel modo in cui viene posizionato da un’altra persona. Il sintomo della catatonia può associarsi anche ad altri disturbi e condizioni mediche, oggi si riscontra meno, grazie ai farmaci che agiscono con efficacia su queste anomalie del movimento e della postura.

LA SCHIZOFENIA E IL DSM-5 Come il DSM-IV-TR, anche il DSM-5 richiede almeno sei mesi di sintomi continuativi perché si possa arrivare alla diagnosi del disturbo. In questi sei mesi ci deve essere almeno un mese di episodio acuto, o fase attiva, definito dalla presenza di almeno due di questi sintomi: deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato e sintomi negativi. Questi requisiti servono per escludere dalla diagnosi di schizofrenia le persone con un breve episodio psicotico e che poi recuperano rapidamente. Il DSM-5 ha eliminato i sottotipi di schizofrenia perché si sovrapponevano e fornivano poche informazioni differenti sul trattamento o sulla prognosi. La schizofrenia fa parte del capitolo del DSM-5 intitolato “Disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici”. Altri due disturbi psicotici che compaiono in questo capitolo sono il disturbo schizofreniforme e il disturbo psicotico breve. I sintomi del disturbo

schizofreniforme sono gli stessi della schizofrenia ma durano solo da 1 a 6 mesi. Il disturbo psicotico breve dura da un giorno ad un mese ed è spesso causato da uno stress di estrema gravità, come un lutto. I sintomi per la diagnosi di questi due disturbi devono essere almeno due tra: allucinazioni, deliri ed eloquio disorganizzato. Il disturbo schizoaffettivo consiste in una combinazione di sintomi della schizofrenia e dei disturbi dell’umore, per la diagnosi è richiesto un episodio depressivo o uno maniacale. Il disturbo delirante prevede angoscia da persistenti deliri. Possono essere deliri di persecuzione o di gelosia, di grandezza o di erotomania (convinzione di essere amati da una persona estranea) e deliri somatici.

EZIOLOGIA DELLA SCHIZOFRENIA 

Fattori genetici

I risultati attualmente a nostra disposizione indicano che la schizofrenia è geneticamente eterogenea, ossia i fattori genetici possono variare da caso a caso, ciò si riflette sul fatto che la schizofrenia è eterogenea nei sintomi.

Ricerche di genetica del comportamento: Gli studi su famiglie, gemelli e adottati sostengono la tesi che la schizofrenia abbia una base genetica. Studi sulla famiglia  i parenti di persone con schizofrenia sono maggiormente a rischio e il rischio aumenta via via che il rapporto genetico con la persona sofferente diventa più stretto. Inoltre, i soggetti nella cui storia familiare è presente schizofrenia manifestano un maggior numero di sintomi negativi, il che suggerisce che i sintomi negativi abbiano una forte componente genetica. Uno studio esamina l’incidenza cumulativa della schizofrenia e del disturbo bipolare tra persone tra persone che avevano uno, due o nessun genitore biologico incluso in un trattamento per schizofrenia o disturbo bipolare. La più alta incidenza di schizofrenia sia aveva tra i figli con due genitori ricoverati per schizofrenia, seguivano i figli di un genitore con disturbo bipolare e uno con schizofrenia e infine c’erano quelli con un solo genitore con schizofrenia. Ci potrebbe essere un una qualche vulnerabilità genetica condivisa tra disturbo bipolare e schizofrenia. È da tener presente che tra parenti non si condividono solo i geni, ma anche esperienze di vita. Studi sui gemelli il rischio per i gemelli monozigoti (44,3%) è maggiore di quello dei gemelli dizigoti (12%), ma comunque molto inferiore al 100%, ciò significa che la componente genetica non è la sola causa del disturbo. I sintomi negativi hanno una componente genetica più forte rispetto ai sintomi positivi. Anche nei gemelli fattori ambientali condivisi e non, potrebbero spiegare una certa quota del maggiore rischio di sviluppare schizofrenia. Fischer sostiene che il gemello non portatore di schizofrenia sarà portatore sano di geni a rischio per il disturbo. In effetti la differenza di ereditabilità del disturbo tra figli di monozigoti con schizofrenia e tra figli di monozigoti senza schizofrenia è del 3%. Studi su adottati  si studiano soggetti con madre biologica con schizofrenia, ma adottati da genitori sani, per eliminare gli effetti derivanti dal crescere a contatto con un portatore del disturbo. Heston realizzò uno studio di follow-up su 47 individui adottati da genitori senza schizofrenia, ma nati da donne con schizofrenia e come gruppo di controllo scelse 50 bambini sani affidati a mamme con schizofrenia. A nessuno dei partecipanti del gruppo di controllo venne diagnosticata, mentre nel gruppo sperimentale si presentò nel 10,6% dei casi.

Studi su famiglie ad alto rischio  prendono avvio da uno o due genitori biologici con schizofrenia e seguono i figli longitudinalmente per al fine di identificare quanti di questi sviluppino la schizofrenia e quali tipi di fattori neurobiologici e comportamentali infantili siano predittivi dell’insorgere del disturbo. In uno studio i partecipanti ad alto rischio erano 207 giovani con madri con schizofrenia, i partecipanti a basso rischio erano simili ai soggetti ad alto rischio sotto tutti gli aspetti tranne il fatto di avere la madre malata. Quando i figli furono adulti vennero sottoposti ad un follow-up e dei partecipanti ad alto rischio a 15 fu diagnosticato il disturbo, mentre per il gruppo di controllo non ci furono casi. Un altro studio, il New England Family Study, ha evidenziato che i figli di un genitore con un disturbo dello spettro della schizofrenia avevano probabilità sei volte maggiori di sviluppare a loro volta un disturbo di quel tipo entro i 40 anni d’età. Inoltre, i figli di genitori con psicosi affettiva avevano probabilità 14 volte maggiore di svilupparla a loro volta. Ricerche di genetica molecolare  servono per capire quale pattern genetico influisce sullo sviluppo del disturbo. La predisposizione per la schizofrenia non viene trasmessa da un gene singolo, inoltre è stato dimostrato che numerosi geni comuni sono associati sia con la schizofrenia sia con il disturbo bipolare. Gli studi di associazione cercano di individuare specifici geni associati alla schizofrenia e di stabilire la frequenza della co-concorrenza di uno o più geni specifici, di un particolare tratto e comportamento. Sono stati trovati tre geni: DTNBP1, associato alla schizofrenia, e COMT e BDNF, associati ai deficit cognitivi associati alla schizofrenia. Il gene chiamato DTNBP1 codifica una proteina detta disbindina che si trova in tutto il cervello, ma non si conoscono ancora bene le funzioni. Il gene sembra esercitare un impatto sui sistemi dei neurotrasmettitori dopamina e glutammato, in sistemi implicati nella schizofrenia. In uno studio post mortem si è visto che i soggetti schizofrenici risultano avere meno disbindina rispetto alle persone sane nella corteccia frontale, temporale, ippocampo e nelle strutture del sistema limbico. Altre ricerche hanno evidenziato che il gene COMT è associato ai processi cognitivi di controllo che fanno capo alla corteccia prefrontale. Numerosi studi hanno dimostrato che le persone con schizofrenia hanno deficit nei processi cognitivi di controllo che comprendono pianificazione, memoria di lavoro e capacità di problem solving oppure hanno alterazioni della corteccia prefrontale. Il gene BDNF ha un polimorfismo, detto Val66Met, la persona può avere 2 alleli val, 2 alleli met o uno per tipo. La memoria verbale è risultata essere migliore in coloro che avevano due alleli val. vi sono stati anche insuccessi nel tentativo di replicarne l’associazione con la schizofrenia, inoltre questi geni non compaiono negli studi di associazione genomica. Ciò riflette l’enorme eterogeneità genetica associata alla schizofrenia. La ricerca sulla patogenesi della schizofrenia si è avvalsa anche di studi di associazione genomica (GWAS) per identificare mutazioni rare, ovvero modificazioni di un gene che avvengono in modo casuale. Quando si parla di una CNV (copy number variations) si parla di un numero anomalo di copie di uno o più segmenti di un gene. In diversi campioni di persone sono stati trovati sono stati trovati 50 CNV rare, tre volte più comuni in soggetti con schizofrenia rispetto a quelli senza, però anche in quelli con schizofrenia erano presenti solo nel 20% dei casi, quindi probabilmente ci sono altre cause genetiche. Queste variazioni sono associate all’attività del neurotrasmettitore glutammato e delle proteine che promuovono l’appropriato posizionamento dei neuroni nel cervello durante lo sviluppo cerebrale. Sono stati condotti studi GWAS anche sulla sequenza di geni, per identificare polimorfismi di singoli nucleotidi (snp) associati con la schizofrenia. È emerso che gli snp associati alla schizofrenia sono associati anche al disturbo bipolare, questo, assieme agli studi su famiglie, suggeriscono che vi sia una comune vulnerabilità genetica per entrambi questi disturbi. Tre punti importanti vanno considerati riguardo a queste mutazioni: sono tutte molto rare, solo un piccolo numero di persone che presenta queste mutazioni rare ha la schizofrenia, esse non sono specifiche della schizofrenia. Questi risultati confermano da un lato l’eterogeneità genetica della schizofrenia, dall’altro la tesi secondo cui persone con schizofrenia non necessariamente presentano gli stessi fattori genetici quali elementi che

contribuiscono al disturbo. L’attuale ipotesi è che la vulnerabilità genetica per la schizofrenia potrebbe essere riconducibile a numerose mutazioni rare.



Ruolo dei neurotrasmettitori

La teoria dopaminergica  la schizofrenia sarebbe associata a un eccesso di attività del neurotrasmettitore dopamina, infatti i farmaci efficaci al trattamento del disturbo riducono l’attività dei sistemi dopaminergici. I ricercatori hanno osservato che i farmaci antipsicotici, oltre che alleviare i sintomi della schizofrenia, producono effetti collaterali che assomigliano ai sintomi del...


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