Caso rainbow warrior e caso gabcikovo nagymaros PDF

Title Caso rainbow warrior e caso gabcikovo nagymaros
Author Alessia Petrone
Course Diritto internazionale
Institution Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
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CASO RAINBOW WARRIOR (NUOVA ZELANDA vs. FRANCIA)

La sentenza tratta delle cause di esclusione dell'illiceità, vale a dire di quelle circostanze la cui sussistenza è suscettibile di far venir meno l'elemento oggettivo dell'illecito internazionale, costituito dall'antigiuridicità della condotta. In particolare, oggetto della sentenza era la sussistenza di circostanze atte a giustificare la violazione da parte della Francia degli obblighi previsti in un accordo bilaterale con la Nuova Zelanda nel quale erano state individuate le misure da prendersi da parte della Francia a titolo di riparazione per l'illecito costituito dal sabotaggio della nave Rainbow Warrior, di proprietà dell'associazione Greenpeace, nel porto di Auckland in Nuova Zelanda in relazione allo svolgimento degli esperimenti nucleari francesi nell'atollo di Mururoa. In particolare, contestandosi alla Francia un inadempimento all'obbligo di mantenere al confino in un atollo del Pacifico i due agenti francesi esecutori materiali dell'atto, si discuteva se le ragioni di salute addotte dalla Francia per giustificare il rimpatrio anticipato dei due agenti potessero integrare una delle cause di esclusione dell'illiceità contemplate dal Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati (v. tra i testi normativi di riferimento generale). Il Tribunale arbitrale, escluso che le circostanze addotte dalla Francia potessero qualificarsi in termini di forza maggiore, mancando all'evidenza il requisito della presenza di una forza irresistibile ed anche quello dell'impossibilità assoluta di adempire all'obbligo violato, ed ugualmente che potesse ricorrere lo stato di necessità, non essendo in pericolo nella specie un interesse vitale dello Stato nel suo insieme, ha ammesso invece la tendenziale configurabilità nella specie dell'estremo pericolo, per essere in pericolo se non già la vita quantomeno l'integrità fisica dell'organo dello Stato. Il Tribunale arbitrale ha nondimeno affermato che l'invocabilità dell'estremo pericolo come causa escludente l'illiceità del rimpatrio anticipato dei due agenti era da ritenersi subordinata da una parte al riconoscimento della gravità delle circostanze di carattere medico ad opera della controparte, e, dall'altra, al ristabilimento della situazione originaria, con la riconduzione dei due agenti al confino una volta cessate le esigenze, e all'esistenza di uno sforzo condotto in buona fede allo scopo di ottenere il consenso della controparte alla sospensione temporanea dell'esecuzione dell'obbligo violato.

Caso Gabčíkovo-Nagymaros Il caso vede protagonisti La Repubblica di Ungheria e la Repubblica Cecoslovacca. Le due repubbliche nel 1977, sotto l’influenza (soprattutto economica) dell’URSS, concludono un trattato internazionale per la costruzione di un sistema di dighe sul Danubio. Nel progetto originario si prevedeva un sistema di dighe per la produzione idroelettrica, oltre che gestire fenomeni di esondazione (frequenti in quella zona) e la gestione delle acque. I due stati avrebbero dovuto sostenere in parti uguali le spese. Il sistema, nelle intese originarie del trattato, sarebbe dovuto essere un sistema integrato unico di dighe nei pressi delle località di Gabčíkovo (Cecoslovacchia) e Nagymaros (Ungheria). I lavori iniziano l’anno seguente, nel ’78, ma nel 1983 le parti decidono di rallentare i lavori per difficoltà economiche (da entrambi i lati). Nel ’89 decidono di accelerare i lavori. A fronte di proteste della popolazione, però, qualche mese dopo il governo ungherese decide di sospendere i lavori. La Cecoslovacchia decide allora di studiare delle varianti al progetto iniziale e in particolare elabora la cd. “variante c” che prevede la costruzione di un canale artificiale su cui sarà possibile la costruzione di altre dighe (il sistema richiedeva necessariamente una pluralità di dighe per funzionare), tutte in territorio cecoslovacco, per poi rimettersi nel canale principale del Danubio. È importante specificare che in un tratto il fiume Danubio segna il confine tra i due stati, anche se a sud di Bratislava il fiume si divide in alcuni canali. Il problema è che la sottrazione del 70% del flusso di acqua dal corso principale del Danubio avrebbe comportato mutamenti al territorio, visto che parte della flora si era sviluppata proprio a causa delle frequenti esondazioni. L’Ungheria protesta contro la costruzione della “variante c”, ma nonostante tale opposizione la Cecoslovacchia continua la progettazione. Il 19 maggio 1992 l’Ungheria notifica formalmente il recesso dal trattato. Il 15 ottobre 1992 la Cecoslovacchia inizia i lavori per la realizzazione della variante c. Nel 1993 la Cecoslovacchia si scioglie e nascono la repubblica ceca e la repubblica slovacca. Le parti interrogano quindi la corte internazionale di giustizia. Le questioni oggetto di controversia sono: -

Accertare se l’Ungheria abbia o meno violato il trattato del ‘77 con l’interruzione dei lavori Accertare se la Cecoslovacchia abbia violato il trattato con la realizzazione della “variante c” Accertare l’efficacia o meno della notifica di recesso dal trattato da parte dell’Ungheria Accertare che la Repubblica Slovacca sia il legittimo successore della Cecoslovacchia nel trattato

A seguito un’analisi dei singoli punti e i pareri espressi in merito dalla CGI.

Punto 1 L’Ungheria tenta di giustificare il suo inadempimento allegando un cd. “stato di necessità ecologico”. Affermava che gli studi ambientali che la avevano spinta a concludere il trattato erano errati, e che in realtà la realizzazione del sistema di dighe avrebbe comportato un gravissimo impoverimento della biodiversità. Affermava quindi di non poter continuare i lavori per tutelare l’ambiente. La Slovacchia contesta facendo presente che tutti gli studi su cui l’Ungheria basa questo punto sono studi di parte. “Nessuno può invocare lo stato di necessità come causa di esclusione dell’illiceità di un atto non conforme ad uno dei suoi obblighi internazionali se non quando tale atto: a. deve costituire l’unico mezzo per proteggere un interesse essenziale contro un pericolo grave ed imminente; b. non leda gravemente un interesse essenziale dello stato o degli stati nei confronti dei quali l’obbligo sussiste, oppure della comunità internazionale nel suo complesso.” (progetto di articoli per lo stato di necessità internazionale, utilizzato dalla CGI come codificazione di una norma consuetudinaria) La Slovacchia contesta l’imminenza del pericolo, oltretutto secondo la Slovacchia l’Ungheria poteva comunque realizzare progetti (costosi, ma comunque realizzabili) per bypassare il problema, faceva notare inoltre che nonostante il progetto alternativo sia costoso è comunque da preferirsi all’illecito. La corte afferma che comunque la tutela dell’ambiente è un interesse essenziale dello stato, ma nega che vi sia un grave ed imminente pericolo e conferma la possibilità per l’Ungheria di realizzare opere alternative. Punto 2 L’Ungheria afferma che il progetto originale è stato disatteso per poi realizzare un secondo progetto gestito solo dalla Slovacchia. Le ragioni della Cecoslovacchia sono: 1. Principio di applicazione approssimativa 2. Dovere di mitigare il danno 3. Anche se la corte ravvisasse un illecito nella condotta della Cecoslovacchia,sarebbe da intendersi come contromisura. Il principio di applicazione approssimativa è quando l’esecuzione degli scopi di un trattato diventa impossibile (per l’inadempimento di una parte) bisogna provare a realizzare il medesimo obiettivo

in modi diversi per giungere allo stesso risultato che si sarebbe raggiunto se tutte le parti fossero state adempienti. (controverso in dottrina) La corte nega l’applicazione del principio perché lo scopo del trattato era di portare vantaggi economici ad entrambi gli stati, mentre la realizzazione della “variante c” avrebbe portato vantaggi unicamente alla Cecoslovacchia, danneggiando anzi l’Ungheria. La mitigazione del danno, d’altra parte, non può giustificare la commissione di un atto illecito, poiché rileva solo ai fini della quantificazione del danno. Riguardo alla qualificazione come contromisura questa può sì essere un atto illecito diretto contro lo stato inadempiente, ma deve rispettare il requisito di proporzionalità. Questo requisito non è stato rispettato secondo il parere della corte, qualificando così un illecito internazionale. Punto 3 Per valutare l’efficacia del recesso dell’Ungheria dal trattato la corte non può utilizzare la convenzione di Vienna del ‘69 perché non ancora entrate in vigore nel ’77, al momento della stipulazione del trattato, tuttavia la corte si riserva di utilizzare le norme ivi contenute qualora codifichino norme di diritto internazionale generale. Il problema principale era che nel trattato non era previsto il recesso. Le ragioni addotte dall’Ungheria sono: 1. Stato di necessità 2. Impossibilità sopravvenuta 3. Mutamento fondamentale delle circostanze 4. Inadempimento della Cecoslovacchia 5. Sviluppo di nuove norme in materia di tutela dell’ambiente La corte risolve così la questione: a) Lo stato di necessità, anche qualora sussistesse, non giustificherebbe la condotta illecita. b) Per l’impossibilità sopravvenuta si fa riferimento all’art. 61 della Convenzione di Vienna che richiede che l’oggetto sia scomparso o distrutto (implicitamente richiedendo che l’oggetto sia fisico). c) In riferimento al mutamento fondamentale delle circostanze l’Ungheria afferma che 1. Il trattato era stato concluso sotto l’influenza dell’URSS e 2. Recenti scoperte hanno messo in evidenza la pericolosità ambientale della realizzazione. La corte fa riferimento all’art. 62 della Convenzione di Vienna e afferma che lo scopo del trattato (vantaggio economico) sia comunque realizzabile anche al di fuori del blocco sovietico; in merito alla pericolosità

ambientale del progetto la corte afferma che la circostanza che gli studi iniziali fossero errati era una circostanza prevedibile alla conclusione del trattato. d) La corte nega anche il punto che giustificava l’inadempimento dell’Ungheria con l’inadempimento della Cecoslovacchia, dal momento che quando L’Ungheria è receduta dal trattato la Cecoslovacchia non era ancora inadempiente. e) Lo sviluppo di nuove norme di diritto consuetudinario può far cessare il trattato solo qualora siano norme di Jus Cogens, e la Cecoslovacchia nega che lo siano. La corte nega quindi che il recesso sia efficace. Punto 4 L’Ungheria nega che la Repubblica Slovacca sia il successore della Cecoslovacchia. La corte fa riferimento all’art. 34 della Convenzione di Vienna sulla successione tra stati e trattati, ma nega che questa norma rappresenti codificazione di una norma consuetudinaria. Fa riferimento anche all’art. 12 della stessa convenzione, che afferma che se il trattato inerisce alla gestione congiunta del territorio da parte di due stati e forma degli obblighi il trattato dovrebbe continuare, e su questa norma afferma che codificando una norma consuetudinaria stabilisce che il trattato sia ancora in vigore....


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