Che cos\'è l\'ergonomia cognitiva F. di Nocera PDF

Title Che cos\'è l\'ergonomia cognitiva F. di Nocera
Author Matteo Cocco
Course Psicologia Cognitiva Avanzata (LM)
Institution Università degli Studi di Genova
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Summary

Il volume costituisce un'introduzione allo studio dei processi cognitivi coinvolti nell'interazione tra individuo e tecnologia, partendo da una descrizione della psicologia come scienza della progettazione, sottolineando le conseguenze del cattivo design e proponendo alcuni possibili rimedi. ...


Description

CHE COS'E' L'ERGONOMIA COGNITIVA Francesco di Nocera L'ergonomia cognitiva è quella branca dell'ergonomia che si occupa dell'interazione tra l'uomo e gli strumenti per l'elaborazione di informazione studiando i processi cognitivi coinvolti (percezione, attenzione, memoria, pensiero, linguaggio, emozioni), e suggerendo delle soluzioni per migliorare tali strumenti. Capitolo 2: il carico di lavoro mentale Il carico di lavoro mentale è un costrutto che viene invocato per spiegare come e perchè, malgrado le abilità mostrate dagli individui, a volte la loro prestazione è scadente. Oggi la spiegazione che viene fornita è che gli esseri umano dispongono di risorse limitate per l'esecuzione di un compito e che diversi compiti richiedono differenti quantità (forse qualità) di queste risorse. Intuitivamente il significato di carico di lavoro mentale è noto. Nonostante, il significato che il senso comune attribuisce non costituisce un descrittore valido. Anche per la ricerca scientifica è difficile fornire una definizione univoca. In letteratura ne esistono di diverse. Le differenze tra le concettualizzazioni possono essere dovute alle esigenze del ricercatore oppure alle scelte teoriche di fondo. Esistono almeno quattro modi per intedere il carico di lavoro, ai quali corrispondono quattro possibili cause. Il carico di lavoro mentale può essere definito in funzione dei seguenti fattori: a) richieste imposte dal compito b) livello di prestazione che l'operatore riesce a raggiungere c) sforzo esercitato dall'operatore per eseguire il compito d) percezione dell'operatore Il carico di lavoro in realtà è dato da tutti questi elementi. La maggior parte delle prospettive riconosce una natura multidimensionale del costrutto. La prestazione umana in compiti multipli Malgrado le innovazioni tecnologiche abbiano come scopo quello di migliorare le condizioni di lavoro esse in realtà creano nuovi tipi di richieste cognitive: cala il lavoro fisico, aumenta quello mentale. Ottimizzare l'allocazione del carico di lavoro mentale, e comprenderne i fattori è importante per la progettazione di sistemi complessi. Al momento non esiste un quadro teorico di riferimento accettato e condiviso; negli ultimi trent'anni è stata prodotta una mole enorme di studi sulla prestazione umana e lo sforzo di spiegare i meccanismo che si manifestano nei compiti multipli e sono stati presentati numerosi modelli. Il primo contributo di una certa rilevanza nello studio del fenomeno è addirittura più datato, è quello relativo al "periodo psicologico refrattario" (Psycological Refractory Period, PRP) di Telford (1931).

Nella suddetta procedura un soggetto deve eseguire due compiti a breve distanza di tempo l'uno dall'altro (0/1 secondo di intervallo): il soggetto deve rispondere agli stimoli nel modo più veloce e accurato, dando la priorità al compito primario. Telford osservò come l'intervallo inter-stimolo potesse influenzare i tempi di reazione, suggerendo l'ipotesi che un canale unico di elaborazione per il trattamento dell'informazione e per la selezione della risposta. L'estensione operata da Broadbent (1958) su quest'ipotesi ha trasformato questa teoria dell'azione in una teoria dell'attenzione: i modelli, oggi, più accreditati sulla prestazione umana in compiti multipli, fanno riferimento a studi sull'attenzione. Interpretazioni basate sui limiti dell'essere umano Un tentativo di spiegare il fenomeno dell'esecuzione contemporanea di compiti multipli potrebbe essere quello di ricorrere all'idea che tali compiti vengano eseguiti in modo parallelo. Una tale idea non giustifica il decremento della prestazione. Fino ad oggi diverse alternative teoriche sono state avanzate per spiegare il fallimento della prestazione: a) limiti del sistema cognitivo umano b) differenziata in funzione delle ipotesi sulla natura dei limiti: strutturale e funzionale Limiti strutturali Questo tipo di teorie fa riferimento all'esistenza di un collo di bottiglia, ovvero un filtro nel sistema di elaborazione umano che comporta una scelta dell'elemento da elaborare. La teoria del filtro di Brodbent prevede che gli stimoli entrino in parallelo in un buffer sensoriale dove le caratteristiche fisiche vengono analizzate e rese disponibili ad un filtro che opera la selezione, e per l'ulteriore elaborazione, li trasmette ad altri sistemi attraverso un canale unico. Treisman (1969) ha elaborato un meccanismo di funzionamento differente: il filtro non funzionerebbe in modo binario ma attraverso l'attenuazione di tutti gli stimoli escluso quello da elaborare, sarebbe capace di modulare la propria attività. L'ultimo collo di bottiglia ipotizzato è quello della produzione del movimento. Keele (1973) ha suggerito che i processi di identificazione dello stimolo e di selezione della risposta potrebbero procedere simultaneamente e che l'attività di un filtro si manifesti sono nel processo di preparazione e inizio del movimento. Secondo Meyers e Kieras (1997a, b) al momento nessuna delle ipostazioni precedenti è in grado di spiegare completamente la prestazione in compiti multipli. Limiti funzionali Il concetto di risorsa è un concetto prevalentemente energetico: energia a nostra disposizione ma limitata e divisa in base alle necessità. Questo costrutto offre una impostazione nei termini di funzione della disponbilità delle risorse.

Wickens (1984) ha proposto una equazione semplice per descrivere il fenomeno: perfomance uguale risorse fratto le richieste del compito. La realtà è più complessa e l'equazione non può essere applicata sempre.

Interpretazioni basate sulle abilità dell'essere umano Molte delle attività in cui siamo quotidianamente impegnati sono automatiche, ma non in tutti i casi: ciò capita quando la difficoltà del compito aumenta e un tipo di elaborazione più controllata subentra. La transione da una forma di elaborazione controllata a una automatica si verificherebbe in quattro fasi: a) il processo risulta completamente controllato b) la seconda fase subentra subito dopo l'introduzione della pratica basata sul mapping corente: in questa fase elaborazione controllata e automatica coesistono c) nella terza fase il processo di confronto non è più indispensabile d) il processo è totalmente automatico è la prestazione è caratterizzata dal fenomeno della condivisione perfetta tra il compito eseguito automaticamente e un altro compito Il ruolo delle differenze individuali In alcuni casi gli esseri umani sono sufficientemente abili per eseguire un compito difficile quasi senza sforzo, in altri casi no. Il carico di lavoro è un costrutto che dipende dalla struttura del compito, ma anche dalla specificità dell'individuo che lo svolge. Sperandio (1971) ha dimostrato come i controllori di traffico aereo esperti adottino strategie compensatorie quando il numero di velivoli da controllare aumenta. Queste strategie hanno lo scopo di mantere le prestazioni a livelli elevati. Tuttavia esistono costi nascosti soprattutto nella prestazione in compiti secondari, dovuti all'investimento di maggiori risorse. Compiti ben appresi e che sono governati da un'elaborazione di tipo automatico sono meno sensibili a questo fenomeno. Stima del carico di lavoro mentale Sono necessari strumenti per valutare e prevedere il carico di lavoro. Sfortunatamente il carico di lavoro mentale non può essere misurato direttamente, ma indirettamente e attraverso la misura di altre variabili correlate: valutazioni soggettive, prestazione, cambiamenti fisiologici dell'operatore. Secondo Eggmeier et al. (1991) le tre più importanti proprietà che deve possedere una misura del carico di lavoro mentale sono: a) sensibilità b) capacità diagnostica c) intrusività Misure comportamentali Come emerso prima è possibile ottenere una stima del carico di lavoro mentale sulla base della prestazione a un compito primario o principale.

Le misure comportamentali sono state largamente impiegate in ergonomia: immaginiamo di impiegare come indice comportamentale il tempo che intercorre tra una richiesta da parte del pilota e la risposta del controllore. Quel che ci aspettiamo è che all'aumentare del carico di lavoro, il controllore impiegherà più tempo per rispondere. Tuttavia, la prestazione nel compito principale non sempre costituisce una misura efficace del carico di lavoro mentale. Difatti, questa prestazione può rimanere invariata anche a fronte di un elevato carico di lavoro, se il soggetto investe più risorse per eseguirlo. Una possibile strategia per ovviare questo problema è quella di impiegare il "paradigma del doppio compito" (compito primario e compito secondario). Confrontando la prestazione al compito primario eseguito singolarmente con la prestazione al compito primario quando è associato a un compito secondario è possibile ottenere informazioni sulla capacità residua. Misure soggettive Gli operatori non devono far altro che fornire una stima soggettiva del carico di lavoro esperito. Nella ricerca e pratica ergonomica vengono utilizzate un gran numero di misure soggettive, sia monodimensionali che mulitidimensionali, ad esempio: a) scala Cooper-Harper b) NASA-task Load IndeX c) Subjective Worload Assessment Technique Misure fisiologiche Gli indici fisiologici sono in grado di fornire una misura continua del carico di lavoro mentale, cosa che le misure comportamentali e le misure soggettive non possono fare. Le tecniche che permettono di rilevare indici legati all'attività celebrale (potenziali evocati, risonanza magnetica, flusso ematico celebrale, etc.) sembrerebbero essere tra i più promettenti. Capitolo 3: l'errore umano L'uso di questo termine nasce dalla necessità di contrapporre qusto tipo di errore ai possibili malfunzionamenti dovuti a un guasto di un sistema tecnologico. L'analisi di molti incidenti ha rivelato che ciò che viene etichettato come "errore umano" è in realtà un errore organizzativo: responsabilità che si concretizzano in scelte operative inopportune, assenza di strumentazione adeguata, scarsa manutenzione e, non ultimo, mancanza di training. Come fanno notare Reason, Parker e Lawton (1998), in ogni organizzazione esiste una tensione tra la naturale variabilità del comportamento umano e la necessità del sistema di assicurare un'elevata prevedibilità e regolarità nelle attività dei suoi membri. L'errore come causa ed effetto Ciò che accade al di fuori delle possibilità di controllo dell'essere umano non può essere considerato errore, ma è fatalità.

Secondo Hollnagel (1993), "errore umano" può indicare sia una causa sia una particolare classe di azioni. Sarebbe meglio impiegare l'espressione "azione errata" per descrivere un'azione che fallisce nel produrre il risultato atteso e che può generare conseguenze indesiderate. I meccanismo cognitivi che determinano l'insorgenza degli errori non hanno alcuna responsabilità in merito, perchè sono gli stessi che sottendono la prestazione corretta: l'errore rappresenta l'inevitabile costo per il possesso di determinate funzioni: fare ci predispone all'errore. Le tassonomie Un criterio di classificazione unico non esiste, ma più di un ricercatore ha sentito l'esigenza di organizzare gli errori in una tassonomia. Livelli della prestazione ed errore Rasmussen (1983) ha fornito uno dei sistemi più usati di classificazione per distinguere tra errori basati sulle abilità (skill-based), errori basati sull'applicazione di regole (rule-based) ed errori di conoscenza (knowledge-based): a) la prima categoria di errori è chiaramente riconducibile all'abitudine. b) alcuni errori sembrano dipendere dall'applicazione di una regola non appropriata alla situazione, oppure alla cattiva applicazione di una regola c) mancanza di conoscenza. L'inconmpletezza delle informazioni disponibili e la razionalità limitata costituiscono i fattori determinanti di questo tipo di errori. Uno dei limiti di questa classificazione è che risulta difficile individuare i confini di una classe di errori. Stadi dell'elaborazione ed errore Un modo più semplice di mettere ordine tra gli errori è quello di distinguere tra due diversi "domini" all'interno dei quali gli errori possono verificarsi: a) dominio della pianificazione b) dominio della realizzazione In base alla definizione è possibile distingure tra mistakes lapses e slips lungo un continuum temporale che va dalla formulazione dell'intenzione all'implementazione dell'azione: a) mistakes: consiste nella formulazione di un'intenzione sbagliatae pregiudica il raggiungimento dell'obbiettivo b) lapses: rappresentano fallimenti dei processi di immagazzinamento e recupero dell'informazione c) Slips: rappresentano fallimenti del processo di esecuzione dell'azione Fenotipo dell'azione errata

Secondo Hollnagel (1993) le tassonomie precedenti sono inadeguate perchè fanno inferenze su processi interni all'individuo, quindi non osservabili. In assenza di una teoria condivisa (teoria dell'azione) è opportuno limitare la classificazione al "fenotipo" (o manifestazione) dell'azione errata: l'errore può essere classificato in base agli aspetti temporali, rispetto alla sequenza, degli effetti spaziali, etc. È un approccio descrittivo. Schemi ed errori Esistono diversi modelli teorici (non teorie) per spiegare gli aspetti non manifesti dell'errore. Norman (1981) ha cercato di elaborare una teoria dell'azione che costituisse un quadro di riferimento per studiare la prestazione dell'azione errata Essa è basata sul costrutto di schema: il modello assume che, succesivamente alla pianificazione, le sequenze d'azione siano controllate da schemi senso-motori che vengono attivati da eventi esterni o interni all'individuo e avviati all'azione da un segnale (trigger). L'azione errata dipenderebbe da problemi legati a questi specifici stadi. Errori nell'attivazione di uno schema Malgrado abbiano lo scopo di rendere più efficace la nostra prestazione, gli schemi possono condurci anche all'errore. Uno schema può essere attivato automaticamente generando un comportamento in conflitto con quello corrente. Errori nella soddisfazione delle condizioni d'avvio Uno schema può anche essere correttamente selezionato e avviato, ma può comunque portare ad un errore se avviato in maniera impropria; oppure uno schema può essere avviato nel momento sbagliato; non essere avviato per nulla. La valutazione dell'attendibilità umana Con il termine Reliability Assessment (HRA) viene indicata una cornice di riferimento per la valutazione dell'attendibilità della prestazione umana in contesti ad alto rischio. L'identificazione dell'errore umano (Human Error Identification, HEI) viene definita come quella parte della HRA che si occupa di determinare l'impatto dell'errore umano e delle procedure di recupero del sistema. Entrambe fanno parte della più ampia valutazione probabilistica della sicurezza (Probabilistic Safety Assessment, PSA) il cui scopo è di determinare la vulnerabilità dei sistemi a tutte le cause di rischio, incluso l'errore umano. La HEI inizia decidendo lo scopo dell'analisi; una volta deciso e sono stati identificati i compiti da analizzare, si procede con la task analysis: essa serve per comprendere come l'operatore dovrebbe agire di norma. Tre sono le componenti dell'errore che vengono considerate: a) la manifestazione esterna dell'errore b) i fattori che determinano la prestazione e che sono in grado di modificare la probabilità di

occorrenza dell'errore c) i meccanismi psicologici che costituiscono le manifestazioni interne dell'errore. Una volta identificati gli errori è possibile passare alla fase successiva e prendere in considerazione le eventuali procedure di recupero e le conseguenze dell'errore. Inoltre è possibile ridurre la probabilità di occorrenza degli errori (Error Reduction Analysis, ERA). Il Generic Error-Modelling System Il numero di tecniche disponibili per l'analisi dell'errore umano è elevato; Kirwan (1998a) ne rileva 38. Uno dei metodi di matrice psicologica più noti nell'analisi degli errori è il Generic ErrorModelling System (GEMS: Reason, 1986): un accordo tra una specifica tassonomia e la classificazione Mistakes, lapses e slips. La propensione all'errore Esiste una ipotesi che a fasi alterne trova sostenitori: non siamo tutti ugualmente vulnerabili all'errore. Esisterebbe un vero e proprio tratto di propensione all'errore. Per sottoporre a verifica questa ipotesi è stato proposto l'uso del Cognitive Failures Questionnaire (CGQ: Broadbent). In genere i risultati degli studi sono contraddittori. Uno dei grossi limiti è che molti errori sono difficili da generare in laboratorio. Gli errori di interesse dell'ergonomia si verificano spesso in situazioni estremamente complesse....


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