Confronto intertestuale tra le poesie “Il gabbiano” di Charles Baudelaire e “La mia Bohéme” di Arthur Rimbaud PDF

Title Confronto intertestuale tra le poesie “Il gabbiano” di Charles Baudelaire e “La mia Bohéme” di Arthur Rimbaud
Author Angela Trotta
Course Letteratura Francese 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Pages 3
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Confronto intertestuale tra le poesie
“Il gabbiano” di Charles Baudelaire e “La mia Bohéme” di Arthur Rimbaud
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Confronto intertestuale tra le poesie

“Il gabbiano” di Charles Baudelaire e “La mia Bohéme” di Arthur Rimbaud Sin dall’antichità il mistero della poesia è inscindibilmente legato alla speciale capacità del poeta di vedere al di là della realtà conoscibile ai più, di essere il ponte tra terra e cielo e di profetizzare il divino. Il ruolo del poeta è andato via

via

trasformandosi nel

corso dei secoli, perdendo

l’antica funzione di custode della memoria collettiva e dei valori fondanti della società fino a subire la progressiva marginalizzazione interessata

solo

da

parte

alla

logica

della del

società

profitto.

borghese

La

sofferta

esclusione dal sistema sociale diviene nella sensibilità visionaria del poeta fonte di grave crisi esistenziale, di tragica

inquietudine

e

di

estremo

isolamento.

Charles

Baudelaire nella sua poesia “L’Albatro” rappresenta la dolorosa

contraddittorietà

dell’esistenza

del

poeta,

superiore agli altri esseri umani per la sua capacità di varcare la soglia dell’oltre, ma condannato ed emarginato dagli altri per la sua diversità. Il conflitto tra la spiritualità del poeta (l’albatro) e i valori materiali degli uomini comuni (uomini d’equipaggio) è simboleggiato dal contrasto tra cielo e terra “…uomini d’equipaggio catturano degli albatri, vasti uccelli di mari”. Il cielo evocato dall’”azzurro”, dai “nembi” e dalla “tempesta” rappresenta la pura anima del poeta,

distaccata

dal

volgare

attaccamento

alle

cose

materiali, mentre la terra stretta nei “legni dei ponti” è il

luogo dell’esilio in cui il poeta non riesce a vivere (sovrani dell’azzurro impacciati, le bianche e grandi ali penosamente strascinare affannati…ali da giganti nel cammino s’impiglia) perchè deriso e schernito dagli uomini comuni (c’è uno che gli afferra con una pipa il becco , c’è un altro che mima lo storpio che non vola”. Il poeta è quasi angelo caduto dal cielo (principe dei nembi) estraneo in un mondo (esule nella terra) di uomini intenti a vivere nei meschini confini della ordinarietà, mentre l’albatro, sia pure umiliato e deriso, può volare in orizzonti sconfinati dove è racchiuso il mistero dell’universo. Arthur Rimbaud ne “La mia bohéme” riprende i

temi

baudelairiani

della

totale

estraneità

del

poeta

rispetto all’uomo comune, dell’impossibilità di condividere la sua tensione verso l’ideale e della capacità di cogliere il messaggio segreto della natura. Il poeta è il cantore dell’infinito e la poesia è strumento di rivelazione. La bohème è la vita randagia, misera e disperata del giovane poeta (i pugni nelle tasche sfondate… E anche il mio cappotto diventava ideale…I miei unici pantaloni avevano un largo squarcio). Ricorre ancora la metafora del cielo (Andavo

sotto il cielo… La

mia locanda

era sull’Orsa

Maggiore… Nel cielo le mie stelle dolcemente frusciavano. Le ascoltavo…) intesa come casa naturale e necessaria del poeta. Rimbaud introduce il tema della comunione assoluta del poeta con la natura (seduto sul ciglio delle strade/ In quelle belle sere di settembre in cui sentivo gocce /Di rugiada sulla fronte, come un vino di vigore) che gli consente di spiritualizzare anche piccoli gesti quotidiani come “Tiravo, come fossero delle lire, le stringhe/ Delle mie

scarpe ferite, un piede vicino al cuore!”. Per l’animo del poeta tutto diventa rivelazione d’infinito....


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