Costituzioni imperiali e giurisprudenza PDF

Title Costituzioni imperiali e giurisprudenza
Course Storia del diritto romano
Institution Università degli Studi di Palermo
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Riassunto sulle costituzioni imperiali...


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FONTI DI PRODUZIONE DEL DIRITTO NEL PRINCIPATO Nel proemio delle istituzioni Gaio analizza i singoli fattori di produzione del diritto:  LEGGI: la legge è ciò che il popolo stabilisce e ordina. Le leggi non sono più applicate da un secolo, ma Gaio parla al presente. Questo perché, anche se non sono fonte di produzione viva, l’ordinamento romano (specialmente lo ius civile) è regolato da innumerevoli leggi.  PLEBISCITO: con la lex Hortentia viene equiparato alla legge ed è a questa che bisogna far riferimento se si vuole verificare la giuridicità  SENATUS CONSULTUM: non è più il parere dei magistrati, ma ciò che il senato predispone e ha valore di legge da quando è divenuto generale  IUS EDICENDI DEI MAGISTRATI: parla dello ius honorarium. Ai tempi di Gaio infatti non esistono più gli editti dei pretori urbani e dei peregrini, poiché sono stati codificati  EDITTI DEGLI EDILI CURULI E QUESTORI: anche questi codificati  ATTIVITA’ DELLA GIIURISPRUDENZA: quando i pareri dei giuristi sono conformi il giudice è vincolato alla loro osservanza  COSTITUZIONI IMPERIALI: atti emanati dall’imperatore tramite la lex de imperio con cui egli dettava norme nuove, modificando così l’ordinamento vigente, si distinguono in generali (edicta) e casistiche (decreta, epistulae e rescripta). EPISTOLE: si tratta di un tipo di costituzione casistica e consiste nelle lettere scambiate tra l’imperatore e i funzionari imperiali che chiedevano delucidazioni in merito a varie questioni. Un esempio fu l’epistolario tra Plinio, governatore della Bitinia, e Traiano, in cui si ritrovano richieste di spiegazione anche in materia giuridica, poiché Plinio, essendo giudice supremo di ogni processo, si trovò spesso a risolvere cause in cui le parti facevano riferimento a precedenti non contenuti nell’archivio della provincia ma in quello di Roma. DECRETI: era detto decretum la sentenza emessa sia dal senato che dagli organi competenti a giudicare extra ordinem, quali i funzionari imperiali. Tali sentenze erano ritenute costituzioni imperiali poiché se da un lato risolvevano la questione dettando la regola per il singolo caso, dall’altro, essendo affini alla volontà dell’imperatore, avevano una portata normativa e costituivano un precedente per casi simili. Un esempio è quello raccontato da Ulpio Marcello, giurista del II sec, che fu avvocato del fisco in una causa in cui un testatore aveva inizialmente designato gli eredi e i legatari, ma successivamente cancellò le disposizioni sulla successione degli eredi. Però era fondamento del testamento romano che senza eredi il testamento non era valido e così il fisco avrebbe dovuto prelevare tutte cose, ma i legatari si opposero. Il praetor fiscalis si rivolse al consilium principis che avanzò un nuovo principio dello ius novum secondo cui mancando gli eredi e in presenza dei legatari il fisco avrebbe dovuto prelevare solo ciò che non spettava ai legatari. Tale decretum emesso dal principe serviva a regolare il caso di specie, ma valeva anche come principio per altri casi extra ordinem.

EDICTA: il nome stesso edictum riguarda le comunicazioni che in età repubblicana i magistrati facevano alla popolazione. Non si tratta dell’editto giurisdizionale, che aveva una funzione e un destinatario completamente diversi. Come gli editti dei magistrati, eccetto quelli giurisdizionali, si rivolgevano a tutti i cives, alla stessa maniera gli editti dei principi si rivolgevano a tutti i sudditi. L’editto, infatti, è la costituzione per antonomasia generale. Si tratta di un provvedimento che sin da Augusto venne qualificato come lex generalis. Fin da Augusto abbiamo numerose testimonianze di editti, come ad esempio gli editti di Cirene. Questi editti erano stati emessi da Augusto nella provincia della Cirenaica e giustificano l’esistenza di questo provvedimento già a partire da Augusto. Tra le altre costituzioni imperiali, l’editto sarà quello ad avere maggiore fortuna, tuttavia convivendo, nel primo principato, con le costituzioni casistiche.

I PRAESCRIPTI (per Ulpiano subscriptiones) - Subscriptiones: vanno identificati con i rescripta, perché le subscriptiones sono quei provvedimenti imperiali sottoscritti dall’imperatore. - Interlocutiones de plano: alcuni pensano che si tratterebbe di un’altra denominazione dei praescripti, altri invece conferiscono alle interlocutiones un’interpretazione autonoma. La differenza tra praescripti, interlocutiones de plano e decreta sta nel fatto che mentre i decreta sono sentenze che provengono dalle cognitiones extra ordinem e mentre i praescripti sono costituzioni imperiali che vengono dalla cancelleria, le interlocutiones de plano sono informali interlocuzioni che abbracciano tutto il campo di manifestazione della volontà dell’imperatore. Dal testo papiraceo Columbia 123 ci sono giunti 123 apocrimata di Settimio Severo, ossia delle decisioni (dal verbo greco krinein “giudicare”), delle risposte che l’imperatore rilascia durante una visita ad Alessandria d’Egitto in maniera informale su questioni controverse di diritto. Queste risposte sono costituzioni imperiali che hanno valore di legge e vennero utilizzate pure per la disciplina di casi simili a quelli descritti. I RESCRIPTA Si tratta di un tipo di costituzione imperiale che nasce nel II secolo d.C, ma a parlarne non è Gaio, bensì Ulpiano. Sappiamo, infatti, che solo con Adriano (117/138 d.C) c’è l’istituzionalizzazione e la regolamentazione in maniera stabile degli uffici della cancelleria imperiale, e tra questi di uno scrinium a libellis, che si occupa di dare risposta ai libellis che pervengono alla cancelleria in cui vengono

sottoposte all’imperatore romano, per mezzo dei suoi collaboratori giuristi, questioni controverse di diritto. E’ falso dire che prima di Adriano non ci fossero rescripta, infatti, sappiamo che i principi rispondevano direttamente alle domande che venivano poste loro dai sudditi, solamente che tutto ciò avveniva in maniera non regolamentata. Con lo scrinium a libellis il suddito è sicuro che otterrà una risposta da quell’ufficio della cancelleria che gli risolverà quel caso controverso di diritto. Nonostante Gaio non faccia riferimento ai rescripta nella catalogazione delle costituzioni imperiali, egli li conosce molto bene. La dottrina ha maturato due ragioni per le quali Gaio non parla dei rescripta: - Gaio segue un modello precedente, forse di scuola sabiniana di I secolo, naturalmente non può trovare menzione dei rescripta che vengono istituzionalizzati solo con Adriano. - All’epoca in cui scrive Gaio, sotto l’imperatore Antonino Pio, i rescripti non erano stati ancora codificati. Il rescritto è la costituzione principe a partire dal II e per tutto il III principato, poiché si muove lungo quegli stessi canali che avevano caratterizzato l’attività rispondente dei giuristi. Il rescritto, dal punto di vista costituzionale, è datato di valore normativo, perché proviene da un ufficio pubblico della cancelleria dell’imperatore. Era oggetto di domanda alla cancelleria imperiale qualunque tipo di controversia, non solo quella già sfociata in sede giudiziaria, ma qualunque tipo di parere per valutare se conveniva intraprendere una causa. L’estrema importanza che rivestirono i rescritti fin dall’età classica determinò negli uffici giudiziari presso cui erano recapitati la loro pubblicazione, affinché chi fosse interessato, innanzitutto gli avvocati, potessero chiederne una copia, mediante un documento chiamato descriptum et recognitum, e utilizzarlo per disciplinare casi simili a quello precedente. Oltre ad essere pubblicati, i rescritti venivano conservati nello scrinium a memoria, scrinium in cui erano archiviati i provvedimenti dell’imperatore. Nel caso del rescriptum ciò che veniva archiviato era la massima di diritto. Il rescritto conferma il ritorno di un sistema di diritto di età repubblicana. Nel corso del principato non c’è un rapporto di gerarchia tra principe e giuristi, anzi i giuristi sono essi stessi l’anima delle costituzioni imperiali. Durante tutta l’età classica, dunque, si assiste ad un dibattito serrato in materia di diritto tra i giuristi e le costituzioni imperiali. Il rescritto incarna perfettamente tutto questo. A partire dall’età post-classica, da Costantino a Giustiniano, si assiste ad una restrizione dell’utilizzazione dei rescritti. Innanzitutto si impone ai giudici di verificare la veridicità dei fatti sottoposti alla domanda. Una seconda limitazione, introdotta da Costantino, vieta l’utilizzo in giudizio di rescritti non originali. Tuttavia il colpo decisivo viene dato con il divieto dell’utilizzo dei rescritti per i casi diversi rispetto a quelli per i quali sono stati emanati: a partire dall’età post-

classica il rescritto può essere utilizzato solo da chi l’ha ottenuto e solo per il caso oggetto della domanda. In età post-classica le costituzioni casistiche cedono il passo alla costituzione generale, perché non ci si muove più in una mentalità tipicamente repubblicana, secondo la quale il diritto non si muove secondo linee normative generali, ma per singoli casi. I MANDATA Anche questa costituzione casistica viene trattata solo da Ulpiano e tralasciata da Gaio nella sua elencazione. I mandata principis sono considerati universalmente da parte dei romanisti oggi come delle costituzioni imperiali, dimenticando spesso il silenzio assoluto che invece i giuristi servono in questa tipologia di costituzione. Infatti i mandata non sono citati MAI nelle fonti. Come dice lo stesso termine, il mandatum ha un contenuto coincidente con il contratto di mandato e si tratta di un incarico che l’imperatore dà ad un suo collaboratore per svolgere un determinato affare, che rientra nella loro sfera di competenza, secondo le direttive che lo stesso imperatore impartisce. Dunque i destinatari del mandato sono i funzionari imperiali. Oggi il mandato potrebbe essere qualificato come una sorta di circolare. Perché Gaio non cita i mandata? Succede che i rami dell’amministrazione centrale in età classica usassero raccogliere i singoli mandata che erano stati emanati dai vari imperatori nel corso del tempo e che erano atti a disciplinare una determinata materia. Così si vennero ben presto a creare, già all’inizio del II secolo, veri e propri corpora mandatorum, cioè delle raccolte di mandata che per ragione di materia raccoglievano testi che si occupavano di certi rami della pubblica amministrazione . Il singolo mandatum non funge da costituzione imperiale, tanto che non viene citato dai giuristi, ma essi danno luogo a veri e propri istituti giuridici, e dunque sono considerati costituzioni imperiali, solo quando sono raccolti in un corpus. Un esempio di corpora mandaturum è il gnomon dell’idios logos, un testo papiraceo in doppia copia che contiene una raccolta di mandata redatta da un funzionario dell’amministrazione fiscale dell’Egitto romano, chiamato per l’appunto idiologo. Alla morte di un imperatore i suoi mandata rimangono in piedi, come pure i suoi funzionari, a meno che l’imperatore successivo non li abroga espressamente. Tuttavia quest’abrogazione espressa avveniva in casi molto rari. LA GIURISPRUDENZA In età classica, i fattori di produzione del diritto tipicamente repubblicani lentamente vennero esautorati. Quel fattore di produzione del diritto che invece ebbe maggiore sviluppo e che trovò la sua espessione massima fu l’attività della

giurisprudenza. Questo perché i giuristi, in età del principato, per varie ragioni (per esempio essere anche diventati dei burocrati in quanto funzionari imperiali), indirizzano la propria attività in maniera diversa rispetto all’età repubblicana: si indirizza principalmente verso la produzione di carattere scientifico, cioè la scrittura di opere che organizzarono il diritto romano in modo scientifico. In età repubblicana si è studiata una progressiva laicizzazione dell’attività dei giuristi, con la prima generazione di giuristi laici e i loro tipici munera (1.agere, 2.cavere e 3.respondere). Questi tria munera dei giuristi di età repubblicana nel corso dell’età classica si trovano a vivere una progressiva involuzione: 1. AGERE - I rimedi formulari che potevano essere invocati dalle parti, da quando la legge si stabillizzò grazie alla lex Cornelia de edictis e poi con la codificazione degli editti fatta da Adriano, si stabilizzarono e quindi l’intervento del giurista viene ritenuto sempre meno necessario; inoltre, una volta che l’editto viene codificato da Adriano, i giuristi dell’età successiva non hanno più nessuna funzione di integrare il testo dell’editto come era avvenuto in passato e quindi si limitano a studiarlo, infatti, tutte le opere scientifiche che i giuristi elaborano sul testo dell’editto prendono le mosse dal testo dell’editto codificato. Dunque non vi è più la necessità di rivolgersi al giurista per capire quale azione spetta ad un determinato caso, perché ormai i rimedi sono sempre gli stessi. 2. CAVERE - Mentre gli schemi negoziali di ius civile in età repubblicana sono schemi solenni, formali, che passavano attraverso la recita di parole specifiche, in età del principato tutto questo cambia, perché il sistema di ius civile viene affiancato da altri ordinamenti e si conoscono forme negoziali informali che dunque non necessitavano della consulenza del giurista. In particolare vi sono i quattro contratti consensuali (società, locazione, mandato e compravendita) che nel corso dell’età classica, insieme alla stipulatio, la sponsio e il mutuo, sono i contratti più utilizzati nelle attività di negozio tra i privati e non richiedono l’intervento dei giuristi. RESPONDERE - Quest’ultima attività resta in piedi e rimarrà sempre caratteristica del giurista romano: la risposta al caso controverso di diritto. Sin dai pontefici funzionava così, solo che i pontefici non motivavano le risposte che davano. L’intervento del giurista resta, così come era stato in età repubblicana, di fondamentale importanza per l’attività rispondente; tanto importante che infatti se ne occupavano gli stessi principi: il primo intervento in età classica nel confronto tra potere politico e l’attività della giurisprudenza è stato con l’imperatore romano Augusto. Augusto, infatti, fu il primo principe e il primo in assoluto ad occuparsi del controllo nei confronti dell’attività rispondente dei giuristi perché la cura rei publicae universa e la cura legum et morum comportavano non solo l’intervento nei confronti degli altri organi repubblicani ma anche nei contronti dell’attività della giurisprudenza, che veniva sottoposta a un controllo sugli indirizzi, sulle scuole di pensiero. Si trattava dell’evoluzione di un sistema di diritto che gli imperatori avevano interessi a seguire. Infatti, ad Augusto risale l’istituto ius respondendi ex auctoritate principis: Augusto concesse ai giuristi romani un diritto

di dare responsa sulla base dell’auctoritas del principe. Questo segnala un primo passo nei confronti del controllo dell’attività respondente dei giuristi. Ci sono pochissime fonti che parlano di questo istituto, alcune delle quali palesemente sbagliate come nel caso di Giustiniano e in particolare di un passo di Pomponio (pp.148-149 > Pomponio parla dello ius respondendi senza tuttavia specificare nulla sul contenuto) 3. ). Per comprendere il significato di questo istituto bisogna, dunque, fare ricorso a come i moderni lo hanno ricostruito. Le due ricostruzioni più probabili sono quelle di Massimo Brutti e di Riccardo Astolfi. Brutti sostiene che con Augusto si ebbe il conferimento a certi soggetti, appartenenti a una certa categoria, di questo ius. Il problema si pone quando si tratta di rintracciare il destinatario di questo beneficio. Infatti, subito dopo Augusto, Tiberio concesse un similare ius publicae respondendi, che è simile ma questo consentì anche ai cavalieri di dare responsa sulla base dell’auctoritas del principe. Allora, Brutti afferma che siccome Tiberio aveva dato questo ius ai cavalieri potrebbe ritenersi che Augusto lo avesse dato a tutti e che invece Tiberio lo avesse ristretto solo ai cavalieri. Qui però altri studiosi hanno obiettato che non è possibile che Augusto avesse dato a tutti lo ius respondendi, perché si svilirebbe il senso stesso dell’istituto e inoltre si conoscono casi non solo di giuristi che non ebbero questo ius ma anche di casi in cui alcuni fieramente lo rifiutarono. Questi studiosi sostengono il contrario, cioè che Augusto diede questo potere soltanto a pochi soggetti vicini alla sua cerchia, e che invece Tiberio lo estese anche ai cavalieri. Un’altra corrente di pensiero ricostruire lo ius respondendi non su basi personalistiche, soggettive, ma oggettive. Secondo questa tesi lo ius respondendi non avrebbe riguardato persone ma casi controversi di diritto, cioè che Augusto avesse all’inizio concesso questo ius respondendi sulla base di una decisione effettuata volta per volta, caso per caso, a soggetti che venivano individuati come destinatari (o titolari) di un potere di risolvere sulla base di un’autorizzazione del principe quel determinato caso di diritto. Astolfi, cioè il sostenitore di questa teoria, imposta la propria tesi sulla base di alcune notizie reali che informano del fatto che i responsa dati ex auctoritate principis erano responsi scritti e sigillati. L’attività respondente dei giuristi si era svolta per secoli in modo corale, poi erano eventualmente gli alunni di questi giuristi a serbarne memoria per iscritto, era un’attività onorifica che veniva effettuata gratuitamente per beneficiare la società. Ora, invece, proprio perché i responsa derivavano dall’auctoritas del principe dovevano essere scritti ed avere un sigillo imperiale, perché si consentisse al giudice a cui il responso era destinato di comprendere la provenienza di quel responso. Il più importante giurista in età augustea, Marco Antistio Labeone, un vecchio repubblicano che aveva sempre avversato l’avvento del principato, rifiutò sempre tutti gli incarichi che Augusto gli propose e veniva universalmente considerato il più pronto conoscitore del diritto romano. Nonostante avesse sempre rifiutato lo

ius respondendi fu il giurista che più di tutti influenzò il dibattito politico dei suoi tempi: questo dimostra che un responso privo di auctoritas del principe non aveva un valore diverso rispetto a quello dotato di questa auctoritas, restava sempre nella libertà del giudice seguire o meno un certo responso, anche se un responso dotato di questa auctoritas era considerato da parte dei giudici avente un peso specifico maggiore, e che spingevano solitamente i giudici a seguire questi responsa, senza che questo rappresentasse comunque un obbligo giuridico. In età repubblicana l’attività di giurisprudenza a Roma si espandeva sulla base di un dibattito libero, in età del principato si creano invece, con Augusto, due scuole (da intendere non solo come cerchie di insegnamento del diritto, che viene istituzionalizzato) di pensiero (chiamate nelle fonti ‘sectae’): - Sabiniani - questa scuola fu fondata da Ateio Capitone che fu il primo a definire la legge come provvedimento generale, fu giurista e consigliere di Augusto, e il più importante corifeo di questa scuola fu Masurio Sabino (che ottenne ius publicae respondendi da Tiberio); - Propuliani - questa scuola fu fondata da Marco Antistio Labeone e si contrapponeva all’altra per ragioni diverse (tra cui il fatto che quella dei propuliani fu una scuola filo-repubblicana, al contrario dell’altra che invece era schierata con il potere politico). Il fatto che i sabiniani fossero schierati con il potere politico determinò che i loro provvedimenti fossero più conservatori rispetto a quelli innovativi dei propuliani. Alcuni pensano anche che ci furono alcune influenze filosofiche, lo stoicismo da una parte (sabiniani) e l’epicureismo dall’altra (propuliani). Altri ancora hanno pensato a possibili differenze nel modo di utilizzare il linguaggio: la differenza tra analogisti (quelli che ammettevano un linguaggio secondo regole precise) e anomalisti (quelli che ammettevano un linguaggio che prendeva spunto anche dalla consuetudine, dalle pressi linguistiche e che quindi ammettevano un linguaggio meno tecnico). Il dibattito tra queste due scuole si riduce con la figura di Salvio Giuliano, che vive sotto Adriano e codifica l’editto perpetuo. Riduce il dibattito perché in un’opera monumentale (84 libri di Digesta)...


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