Title | Leggi delle XII tavole - Riassunto Giurisprudenza |
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Author | Arianna Coviello |
Course | Giurisprudenza |
Institution | Università degli Studi di Bari Aldo Moro |
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Leggi delle XII tavole Le leggi delle XII tavole (duodecim tabulae; duodecim tabularum leges) sono un corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C. dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di diritto privato e pubblico. Rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto romano, se si considerano le più antiche mores e lex regia. Sotto l'aspetto della storia del diritto romano, le Tavole costituiscono la prima redazione scritta di leggi nella storia di Roma. Le fonti antiche, per giustificare questa innovazione, parlano di contatti con Ermodoro di Efeso, discendente del filosofo Eraclito. In effetti proprio nel VI - V secolo a.C. il mondo greco conobbe la legislazione scritta. Secondo la versione tradizionale, tramandata dagli storici antichi, la creazione di un codice di leggi scritte sarebbe stata voluta dai plebei nel quadro delle lotte tra patrizi e plebei che si ebbero all'inizio dell'epoca repubblicana. In particolare, i plebei chiedevano un'attenuazione delle leggi contro i debitori insolventi e leggi scritte che limitassero l'arbitrio dei patrizi nell'amministrazione della giustizia. In quell'epoca, infatti, l'interpretazione del diritto era affidata al collegio sacerdotale dei pontefici, che era di esclusiva composizione patrizia. Esse furono considerate dai Romani come fonte di tutto il diritto pubblico e privato (fons omnis publici privatique iuris). Secondo lo storico Ettore Pais i redattori non introdussero grandi novità, ma si sarebbero limitati a redigere per iscritto gli antichi mores. Storia Il tribuno della plebe Gaio Terenzilio Arsa propose nel 462 a.C. la nomina di una commissione composta da appositi magistrati con l'incarico di redigere un codice di leggi scritte per sopperire all'oralità delle consuetudini (mores) allora in vigore. Il Senato, dopo un'iniziale opposizione (la proposta fu riformulata l'anno seguente dai cinque tribuni della plebe), votò nel 454 a.C. l'invio di una commissione di tre membri nominati dai concilia plebis in Grecia, per studiare le leggi
di Atene e delle altre città. Tito Livio ci fornisce i nomi dei tre componenti, la commissione Spurio Postumio Albo Regillense, Aulo Manlio Vulsone e Servio Sulpicio Camerino Cornuto. Nel 451 a.C. fu istituita una commissione di decemviri legibus scribundis che rimpiazzò le magistrature ordinarie, sia patrizie sia plebee, sospese in quell'anno. I componenti della commissione furono scelti tra gli ex-magistrati patrizi; Seguendo il testo liviano, furono nominati decemviri i tre della commissione inviata ad Atene, in qualità di "esperti" e "Gli altri furono eletti per far numero" (Supplevere ceteri numerum). Le Dodici Tavole (non sappiamo se di legno di quercia, d'avorio o di bronzo) vennero affisse nel foro, dove rimasero fino al saccheggio e all'incendio di Roma del 390 a.C. Cicerone narra che ancora ai suoi tempi (I secolo a.C.) il testo delle Tavole veniva imparato a memoria dai bambini come una sorta di poema d'obbligo (ut carmen necessarium), e Livio le definisce come “fonte di tutto il diritto pubblico e privato [fons omnis publici privatique iuris]”. Il linguaggio delle tavole è ancora un linguaggio arcaico ed ellittico. Alcuni studiosi suppongono che le norme siano state scritte in metrica, per facilitare la memorizzazione. Nel primo anno furono scritte le leggi delle prime dieci tavole, di volta in volta discusse in assemblea, e la commissione, non essendo stato completato il lavoro, fu prorogata anche all'anno seguente. Fu cambiata la composizione della commissione, che fu nuovamente eletta dai comizi centuriati. Secondo Dionigi di Alicarnasso entrarono a farne parte anche tre plebei, mentre Livio tramanda che fossero nuovamente tutti patrizi. La seconda commissione dei decemviri fu dominata dal patrizio Appio Claudio ed ebbe un comportamento dispotico. Le due tavole restanti furono scritte senza consultazione nell'assemblea. Il diffuso malcontento e un episodio legato a Virginia, una fanciulla plebea che il padre preferì uccidere piuttosto che consegnare alle voglie dell'arrogante decemviro
Appio Claudio, scatenarono una rivolta popolare e la deposizione della commissione, con il ripristino delle magistrature ordinarie. I consoli dell'anno 449 a.C., fecero incidere le leggi su tavole che vennero esposte in pubblico, nel Foro cittadino. Queste dodici tavole furono a lungo considerate diritto dei plebei. Le leggi dovevano coprire l'intero campo del diritto (diritto sacro, pubblico, penale, privato), compreso il processo. Si tratta di una raccolta delle consuetudini precedentemente esistenti e oralmente tramandate. Stando alle ricostruzioni del testo dei moderni editori, sembra che le prime tre tavole riguardassero il processo civile e l'esecuzione forzata, la quarta il diritto di famiglia, la quinta le successioni mortis causa, la sesta i negozi giuridici, la settima le proprietà immobiliari, l'ottava e la nona i delitti e i processi penali, la decima norme di diritto costituzionale (valore di legge per le decisioni del popolo in assemblea, proibizione dei privilegi, ecc.), mentre le ultime due - dette da Cicerone tabulae iniquae perché istituivano il divieto di matrimonio fra patrizi e plebei - avrebbero avuto carattere di appendice. Decemviri (sing. decemvir) è un termine latino che significa "dieci uomini" e che indica una commissione della Repubblica romana (cfr. Triumviri, tre uomini). Decemviri Legibus Scribundis Questo tipo di decemvirato fu istituito per preparare un codice di leggi che definisse i principi dell'ordinamento romano, e comportò per il periodo in cui rimase in carica, la sospensione delle normali magistrature repubblicane. Il lavoro dei due decemvirati che si succedettero tra il 451 a.C. e il 449 a.C., portò alla stesura delle Leggi delle XII tavole Capitolo Secondo: Le leggi anche e il senso della tradizione 1. Da Panezio a Cicerone: “parecchi sono i gradi della società umana” Quando si parla di leggi an che il pensiero corre subito alle XII tavole. Nel “De Ociis” Cicerone le nomina tre volte: esse sono le leggi che non mutano mai il loro aspe o. Il De O ciis, de!nito il manuale della classe dirigente romana, fu composto negli ulmi
mesi del 44 a.C. Cicerone, nel I libro, vi delineava un disegno della società. Essa si presenta come una piramide capovolta o come una serie di cerchi concentrici: i due estremi sono l’umanità intera e la famiglia, la cellula minima di cui il singolo individuo fa parte; fra ques estremi si situa lo Stato. La società si fonda su una serie di principi: - il primo è quello che ene unito il genere umano: la ragione e la parola che conciliano gli uomini tra loro in una sorta di società naturale; - i beni che la natura ha prodo o per l’uso comune con una dis nzione : i beni che le leggi e il diri o civile hanno assegnato ai singoli e i beni per i quali vale il proverbio greco “tuo è in comune”; - la lingua che fra gli uomini è il legame più saldo, l’appartenenza alla stessa gente o nazione; - ancor più forte è il vincolo di appartenenza ad una stessa ci à - ma il più in mo legame è quello all’interno del gruppo familiare L’idea di un ordine sociale che coincide con il mondo abitato ha le sue radici nello stoicismo: Zenone aveva contrapposto alla cià l’unico governo e l’unico modo di vivere degli uomini. Nel De Ociis, mondo e cià si integrano secondo una scala che trasferisce sul piano e co il problema poli co del dominio di Roma. Nei primi 120 anni dopo la caduta della monarchia (!ne del VI secolo), Roma lo ava ancora per la sua sopravvivenza in un ambiente osle. Alla vigilia della prima guerra punica (264-261 a.C.) l’Italia peninsulare era già costellata di comunità con uno statuto giuridico diverso. La ba aglia di Zama aveva uno scopo: il dominio di tu e le terre; la volontà di difesa lasciò gradualmente il posto ad una volontà espansionis ca. Qual era il ruolo di Roma come cià dominatrice? Più che un dominio Roma avrebbe dovuto esercitare un proteorato sul mondo intero. Gius zia e dirio naturale erano temi all’ordine del giorno; la voce più inquietante fu quella del !losofo Carneade secondo il quale esisteva solo una gius !cazione possibile dell’espansionismo romano. Era necessario che qualcuno scrivesse su altre basi ! loso!che il “catechismo dei doveri sociale”. Questo catechismo si venne elaborando da Panezio a Cicerone.
2. Il dominio del mondo e la costuzione polica: un accenno di Polibio alle XII tavole? Il disegno ciceroniano, e paneziano, della società so>ntende gli avvenimen straordinari di cui Polibio fu l’interprete. La cos tuzione romana, osserva Polibio, ha un cara ere misto. Se si guarda al potere dei consoli il sistema polico appare monarchico; se si guarda al senato appare aristocraco; se si osserva il potere della mol tudine democraco. L’unione di ques poteri è adeguata a ogni circostanza, pertanto non è possibile trovare un sistema polico migliore. Nella realtà delle cose, l’equilibrio cos tuzionale non era così semplice. Si può dire che Polibio lasci scorgere una predominanza della tendenza aristocra ca? I tra> «popolari» del sistema sono innegabili, ma il Senato si presenta come il vero arbitro della vita polica. Un ruolo dire>vo spe a all’elite nobiliare patrizio-plebea che ha preso il posto dell’aristocrazia patrizia. I magistra provenivano da essa ed erano soli convocare le assemblee popolari. Il comizio presenta una triplice forma: curiata, centuriata e tributa. Il comizio CURIATO è la più an ca assemblea romana e risale all’epoca regia. Le curie erano 30 e le tribù genlizie o etniche dei Ti es, Ramnes e Luceres ne contavano 10 ciascuna. È dubbio se vi appartenessero i plebei. Il comizio curiato prendeva parte all’inaugura o del re e in età repubblicana si riuniva per la lex de imperio con la quale i magistra oenevano il riconoscimento dei loro poteri, o svolgeva, so o la presidenza del ponte!ce massimo, un ruolo rilevante nell’ambito del diri o sacro. (caraere rappresentavo e religioso) La più importante assemblea del popolo romano è il comizio CENTURIATO, il maximus comitatus delle XII tavole. La tradizione ne riporta l’origine a Servio Tullio, ma esso si venne formando per gradi. Esso comprendeva sia patrizi che plebei ed era organizzato in 5 classi economiche distribuite in suddivisioni interne chiamate centurie. Nel comizio centuriato le classi avevano una base
Timocraca, cioè l’appartenenza alle varie centurie era determinata dal censo, o ricchezza, del ciadino. Il voto individuale era contato all’interno della propria centuria e determinava il voto !nale della stessa in quanto la centuria esprimeva un voto globale che era il risultato dei vo interni. Il loro numero complessivo era di 193 di cui 170 ripar te tra le cinque classi censitarie della popolazione (80 per la prima classe), 18 cos tuite dalla cavalleria e 5 dagli inermi (2 fabri, 2 suonatori e 1 “capite cansi”, censi per la testa, ovvero i ci adini senza reddito). L’ordine gerarchico delle centurie era rispe ato nelle procedure di voto, perciò, come conseguenza del sistema, le centurie della prima classe, insieme con quelle dei cavalieri, disponevano della maggioranza assoluta, quando fossero eventualmente d’accordo. Una riforma si ebbe fra la prima e la seconda guerra punica, ma è di cile determinarne la portata. Dieci centurie furono trasferite dalla prima classe a una o più delle altre. Il comizio TRIBUTO comprendeva sia patrizi che plebei e si fondava sulle tribù come distre> territoriali della civitas romana e i membri di ogni tribù formavano un corpo votante. Le più anche erano divise in 4 urbane e 16 rus che e il numero de6nito di tu e le tribù fu di 35 nel 241 a.C. A ogni annessione di territorio le zone nuove venivano assegnate all’una o all’altra delle tribù preesisten. Civitas: insieme dei ci adini romani (ciadinanza romana) Il comizio centuriato e quello tributo svolgevano entrambi le stesse funzioni fondamentali (ele>va, legislava e giudiziaria). Nel primo di eleggevano i consoli, i pretori e i censori (ogni cinque anni), nel secondo i magistra di grado meno elevato, come gli edili curuli (edili solo patrizi) e i questori. Con il termine magistratura si de!niva nell’anca Roma ogni carica pubblica, per lo più ele>va e temporanea. Per ognuna elle cariche venivano osserva tre principi: - annualità, ovvero l’osservanza di un mandato di un anno (ad eccezione del censore, in carica per cinque anni)
- collegialità, ovvero l’assegnazione dello stesso incarico ad almeno due uomini alla volta, ognuno dei quali esercitava un potere di mutuo veto sulle azioni dell’altro - gratuità, ovvero nessuna carica era retribuita e la loro assegnazione era considerata solo un fa o di presgio Nell'an ca Roma l'ordine sequenziale delle cariche pubbliche fu deo, in epoca repubblicana, cursus honorum. Il CONCILIO DELLA PLEBE (assemblea della plebe) si costuì in seguito alla secessione della plebe sul Monte Sacro nel 494 a.C. per rivendicare il proprio dirio a partecipare alla vita polica della civitas. Il Concilio della plebe era anch’esso un’assemblea tribale, ma escludeva tu> i patrizi, cui era vietato prenderne parte ai raduni. Solo i tribuni della plebe potevano convocare il Concilio della Plebe, che si riuniva usualmente alla sorgente Comizia. Inizialmente le deliberazioni adoate dai Concili della plebe avevano valore di deliberazioni interne, con ecacia limitata ai soli plebei. Solo successivamente, in seguito all’approvazione della Lex Hortensia (287 a.C.), si aKermò il principio secondo cui le decisioni assunte nei Concili della plebe avrebbero vincolato tu> i ciadini. Nell’età imperiale la maggior parte dei provvedimen legisla vi, sebbene indica dai giuris romani come leggi, erano in realtà plebisci. Il Concilio della plebe inoltre eleggeva gli edili (solo quelli plebei) e i tribuni della plebe, e conduceva processi, quest’ulma funzione cadde in disuso con la creazione delle cor permanen. Essendo il territorio romano molto vasto, un gran numero di ciadini avrebbe dovuto aKrontare non pochi ostacoli per poter adempiere al loro diri o di voto. Agli occhi di Polibio la perfezione non esclude il declino: ogni cos tuzione ha un ciclo, si trasforma, decade e in!ne ritorna al suo punto iniziale. Se ciò è vero, tuo induce a credere che la costuzione mista cominciò il suo percorso storico con il decemvirato e la sua caduta. Polibio, però, ammee di aver tralasciato alcuni parcolari: l’avvento delle XII tavole. È davvero incredibile che un evento come quelle delle XII tavole apparisse a Polibio solo un piccolo de aglio. 3. Le XII tavole e “l’immagine dell’anco”
Nel lungo squarcio del De Ociis le XII tavole non compaiono. Vi incontriamo una “trascrizione stenogra!ca” della cià. Leges e iura fanno parte delle molte cose della cià che gli abitan hanno in comune. A queste si uniscono gli iudicia, con i quali si vuole descrivere un ordinamento giuridico nei suoi seori fondamentali. A Roma, la legge, la lex publica, è il comando generale del popolo o della plebe, a raverso la proposta del magistrato interrogante. Il suo con!gurarsi come deliberazione colle>va si ha solo al termine di un lungo cammino. Nella storia più anca della cià, il popolo svolgeva un ruolo diverso. È probabile che la legge non fosse altro che un comando unilaterale pronunciato dal tolare dell’imperium dinanzi all’assemblea curiata o centuriata. Anche la generalità del comando non è una cara erisca originaria. Inoltre ogni legge era subordinata all’auctoritas dell’organo senatorio nella sua parte patrizia. La legge, nella sua dinamica, rimane orale come altri a> priva e pubblici, o religiosi. Quando interviene la scri ura, questa non si confonde con l’a o legisla vo vero e proprio. Il progeo è reso pubblico nella promulga o, araverso la scri ura; la proposta, una volta approvata, si traduce in un testo visibile a tu>. La volontà prece>va della comunità romana si era espressa, più che altrove, nelle XII tavole. Le XII tavole non erano un tema secondario. Solo ispirandosi al modello delle XII tavole, nel De legibus si sos ene che sarebbe stato possibile ordinare in un codice nuovo le norme del culto degli dei. Bisognava imitarne anche lo sle. Nessuno poi avrebbe dimencato facilmente l’elogio che ne tesse, nel De oratore, il suo protagonista: “Chi predilige la scienza poli ca, vedrà questa scienza tua raccolta nelle XII tavole, perché in esse è disegnato l’ordinamento della ci à, e sono disn gli interessi e le par che lo compongono” “[...] mi pare che il solo libro delle XII tavole superi per autorità e u lità intere biblioteche di !loso!” Il termine “ius civile”, che traduciamo leeralmente diri o civile, indica l’ordinamento giuridico della ci à. Il dirio civile si forma in un’epoca remota. I libri dei ponte!ci e le XII tavole ci riconducono alla sua fase più arcaica. Il richiamo è ai giuris-sacerdo che svolgevano la loro opera prima della legislazione decemvirale: la legge è il documento di un
“tempo anco”; il testo legislavo non è solo lo specchio di una vita trascorsa, esso abbandona il suo valore storico per acquistarne uno simbolico. Le due disposizioni possono essere interpretate (come accadrà nel De legibus) anche in chiave giusnaturalis ca. Da un piano descri>vo-storiogra!co si passa ad uno ideologico-valuta vo. Fra passato e presente corre un !lo connuo. L’ordinamento giuridico le cui radici sono nelle XII Capitolo Terzo: Il costume e la legge nell’esperienza arcaica 1. Tipologia Una cara eris ca del diri o nelle società moderne è la sua variabilità, il suo veloce adeguarsi alle situazioni. Il sistema giuridico è correggibile non avendo alcune “!ssità sacrale”, e il mutamento appare normale , essendo il diri o moderno un “Russo connuo”. Non è così nei cosidde> sistemi tradizionali che non acce ano senza resistere l’idea del mutamento. Il diri o non moderno ha il suo principio di legi>mità nella tradizione. Nelle società moderne il diri o, reso più autonomo, appare modi! cabile in linea di principio: esso si trova di fronte a crescen esigenze di rapidità nell’adaarsi ai mutamen sociali, che a loro volta hanno subito un’accelerazione. L’orientamento di fondo è vero il futuro, che pur inquietando l’uomo a causa del suo caraere incerto, non arresta la nostra volontà piani!catrice. Se il diri o è modi6cabile, il mezzo primario a raverso cui esso cambia è la legislazione. In quanto posivo, il dirio è anche conngente: non viene solo scelto mediante una decisione, ma vale in forza di una decisione. La forza vincolante delle norme non dipende in nessun modo dalla loro durata: fra dirio nuovo e diri o vecchio non esiste diKerenza, si trovano entrambi sullo stesso piano. 2. Alcune domande sulla “legge” dei diriA an chi La legge non è invenzione dell’età moderna. Il famoso testo inciso su una stele di pietra del babilonese Hammurabi, il “re giusto”, precede di oltre un millennio la legislazione solonica. Esso era insieme un documento giuridico, nel senso preciso del termine, e un
documento poli co-propagandis co. Nella Grecia arcaica la !gura del legislatore è tu’altro che rara, anche se meno diKusa: la incontriamo in diverse cià. Anche Creta, dove venne composta, nella prima metà del V secolo, la grande epigrafe di Gorna, è considerata da sempre un centro di sapienza legisla va. Nel mondo romano, anche prima delle XII tavole, vediamo un potere che emana norme. Ma qual era il ruolo della legge nel quadro complessivo dell’esperienza giuridica in quei tempi? È risaputo che i legislatori sumeri e babilonesi modi!cavano spesso le regole giuridiche procedendo a nuove codi!cazioni, gius !cando il loro operato con la mancanza di anche leggi o “consuetudini”. Dal loro punto di vista, le leggi erano immutabili e perpetue. È possibile ricollegare questa idea di durata all’origine divina del potere che legifera. Queste an chissime raccolte, però, non presentavano mai l’insieme dei diri> in vigore, e spesso riproducono norme già a lungo osservate. La “consuetudine” si può dire sia “l’elemento fondamentale del diri o sumerico-accadico”. Anche in altri ambi del mondo an co, e in altre epoche, si pone il problema del rapporto fra la legge e il diri o consuetudinario, come a Roma o in Grecia, ma la prospe>va n...