DALL\' Imitazione ALLA Cooperazione PDF

Title DALL\' Imitazione ALLA Cooperazione
Course Sociologia e Criminologia
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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DALL’IMITAZIONE ALLA COOPERAZIONE La ricerca sociale e le sue sfide 1.Dove va l’uomo contemporaneo? Le scienze sociali e il rapporto tra individuo e società Le varie trasformazioni economico-sociali della società occidentale degli ultimi decenni ha spinto le scienze sociali a riflettere sui mutamenti avvenuti e quelli in atto, sulle possibili conseguenze per l’individuo contemporaneo e la sua relazione con la società in cui vive. Da ciò è emerso che l’individuo si trova, oggi, sempre più a fare i conti sia con una forte pressione alla globalizzazione che lo sradica dalle appartenenze di classe sociale e dai propri legami tradizionali uniformandolo alla massa, sia con una spinta all’individualizzazione . Durkheim considerava da un lato che la società fosse un’entità autonoma e prioritaria rispetto all’individuo, e dall’altro che l’individuo andasse concepito come un costrutto storico e sociale prodotto dalla modernità. Egli riteneva che il segno distintivo della società moderna fosse proprio la sua crescente tendenza all’individualizzazione che si manifestava nel declino dell’integrazione sociale. Nella sua opera Divisione del lavoro sociale, Durkheim analizza il passaggio dalla solidarietà meccanica, tipica delle società premoderne o tradizionali, alla solidarietà organica, propria delle società moderne. Le società premoderne si caratterizzavano per una bassa divisione del lavoro e una coesione sociale fondata su una forte coscienza collettiva; le società moderne, invece, si fondavano su un’elevata divisione del lavoro e una coesione sociale indotta dalla complementarità delle funzioni, ma con un indebolimento della coscienza collettiva a favore dell’individualizzazione. Dunque Durkheim riteneva che la solidarietà sociale non potesse essere garantita dalla divisione del lavoro e che quindi fosse necessario stabilire una nuova base morale per la società rivolgendosi al legame tra individuo e società nel suo insieme. Anche nell’opera Il suicidio il tema centrale è quello dell’individualizzazione sociale, infatti viene avanzata la tesi secondo cui la forma tipica del suicidio egoistico va considerata come insufficienza o parzialità di integrazione sociale nella società moderna che causerebbe alienazione, solitudine, una sensazione di inutilità e isolamento rispetto alla comunità di appartenenza. Durkheim rileva anche come il suicidio sia maggiore tra i protestanti piuttosto che tra i cattolici e la risposta riguarda la struttura dei due sistemi religiosi: il cattolicesimo è molto strutturato, gerarchizzato e rigido nelle sue tradizioni e quindi l’individuo è meno libero nella gestione del suo rapporto con la fede. Il protestantesimo, al contrario, lascia ampio spazio al rapporto diretto del fedele con Dio. Tonnies nell’opera Comunità e società riguardo alla modalità dell’azione parla di due tipi di volontà: la volontà essenziale, specifica del comportamento individuale nell’ambito della comunità e caratterizzata dall’attaccamento e dall’affetto; e quella arbitraria, frutto del pensiero e della razionalità. Quindi secondo Tonnies su questi due tipi di volontà si fonderebbero la comunità e la società. La comunità coincide con la famiglia per poi estendersi ai rapporti di vicinato, di amicizia e religiosi; invece la società moderna è artificiale , razionale e caratterizzata da isolamento degli individui e da tensioni tra loro e dove i rapporti interpersonali sono fondati sull’interesse e sullo scmabio. Nell’opera Filosofia del denaro Simmel associa l’individualizzazione allo sviluppo di scambi sociali legati al denaro; infatti la dipendenza da quest’ultimo sostituisce la dipendenza nei confronti degli individui e tutto viene omologato alle altre in base al valore monetario. Negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso il sociologo Daniel Bell analizzò l’avvento della società postindustriale ritenendo che il tratto distintivo della società occidentale contemporanea fosse da ricercare nella sua trasformazione da società industriale società postindustriale. La prima organizzata intorno a fattori materiali tradizionali come le materie 1

prime e le macchine; la seconda intorno a fattori immateriali come i servizi, la conoscenza e l’informazione. Bisogna ricordare anche Urlich Beck che ipotizzò l’avvento di una seconda modernità strutturata intorno alle tematiche del rischio e del declino delle classi sociali. Questo passaggio ad una seconda modernità ha anche dei risvolti sugli individui; infatti la crescente individualizzazione della società contemporanea che diviene istituzionalizzata comporta il venir meno delle forme tradizionali di appartenenza e lascia ampio spazio alla decisione individuale in campi di cui è sempre più difficile prevedere gli sviluppi. Christopher Lasch ha condotto degli studi sulla cultura del narcisismo, concepito come un tratto culturale associato all’individualismo estremo della società contemporanea. Di conseguenza sono emersi maggiori studi che vedono la nascita di un nuovo tipo di individuo contemporaneo, emerso in seguito a cambiamenti economici, tecnologici, sociali e cultutali. Quindi in passato l’individuo accettava un dato sistema con ruoli, cultura, norme e classi spciali che gli consentivano di vivere con una certa stabilità; nella società moderna, invece, l’individuo è considerato totalmente autosufficiente. Di conseguenza emerge che l’individuo in passato era alla ricerca di una propria identità e teso alla realizzazione personale; in una società, invece, sempre più competitiva ed esigente, l’individuo non si sente all’altezza e quindi questo lo rende fragile provocando in lui un sentimento di insufficienza.Questo tipo di individuo, provando un’angoscia latente, trova sollievo negli antidepressivi, nella tv e in internet che media le relazioni sociali; ne consegue una corrosione dell’identità e del carattere personale che porta all’alienazione dai legami familiari e più in generale sociali. Anche Zygmunt Bauman associa il processo dell’individualizzazione sociale ad uno stato di inquietudine. Secondo questo autore, infatti la nuova società starebbe attraversando una nuova fase della modernità da lui definita liquida. Quindi, mentre la prima modernità, detta solida,avrebbe sviluppato certezze e forme sociali aspiranti ad una maggiore solidità; quella liquida implica una società in cui mutano tutti i fondamenti, le certezze e le forme superiori di autorità. In conclusione affermiamo che l’individuo di questa società liquida-moderna vive di costante incertezza e ne consegue un indebolimento del ruolo della tradizione e della religione nella vita sociale, un affievolirsi dei modelli e delle norme di riferimento della modernità. Nel 1959 Mills introdusse il concetto di immaginazione sociologica concepito come un atteggiamento mentale che consente di trovare un legame tra esperienze individuali e relazioni sociali nell’ambito di specifiche situazioni storico-sociali. Prendiamo come esempio l’idea di farsi un piercing o un tatuaggio; riferendoci al concetto di immaginazione sociologica, la scelta di farsi un tatuaggio o un piercing si può interpretare in base al processo di individualizzazione in atto nella società. Si esprime così, con il desiderio di costruire e cambiare la propria identità, differenziandola da quella degli altri, anche con manipolazioni del proprio corpo. Ma la spinta all’individualizzazione si esprime anche con una forte pressione al conformismo sociale prodotta da messaggi provocatori, accattivanti e seduttivi inviati dalla società dei consumi che porta gli individui verso modelli che sembrano unici, ma che in realtà sono comuni. Quindi possiamo anche pensare che costruire la propria identità facendosi un tatuaggio o un piercing, può nascondere l’esigenza di sentirsi simili agli altri, di aderire ad una moda. Viviamo in una società in cui coesistono sia individualismo che conformismo; è una società in cui si consuma più per esistere cioè costruirsi un’identità, piuttosto che per vivere cioè soddisfare i propri bisogni vitali. Prendiamo ora in esame il rapporto che l’individuo contemporaneo ha con il tempo; è diffusa la concezione secondo cui egli vive in quello che è stato definito culto dell’urgenza cioè una specie di regola di vita collettiva che lo spinge a fare più cose possibili nel minor tempo possibile. In passato, infatti i ritmi di vita erano meno frenetici di quanto lo siano oggi e possiamo ricondurre questo a due ragioni: innanzitutto troviamo la concezione secondo cui il tempo è denaro; la seconda ragione sta 2

nella rapidità della vita quotidiana grazie ai nuovi mezzi di comunicazione. Infatti è grazie ai nuovi mezzi di comunicazione che gli individui moderni hanno modificato il loro rapporto con il tempo abolendo le distanze spaziali e temporali e la possibilità di risolvere i propri problemi in modo immediato. Così possiamo dire che l’individuo moderno sembra essersi appropriato del tempo, controllandolo e manipolandolo. Una delle manifestazioni più evidenti di ciò è la dipendenza dai cellulari che ci permettono di essere in più posti contemporaneamente, di accelerare i ritmi e perfino di scegliere se comunicare oppure no. Ma l’uso del cellulare ha anche dei risvolti negativi riguardo alla comunicazione interpersonale.; infatti ci permettono sì di comunicare più del passato e con molte più persone contemporaneamente, ma le conversazioni sono di fatto diventate più rapide e superficiali. Stiamo parlando, qui, anche di Facebook, Twitter ed email; l’uso assiduo di questi nuovi mezzi di comunicazione potrebbe, però, sfociare in un abuso che condurrà poi a dipendenze o vere e proprie patologie. Quindi diciamo che questo dominio sul tempo, in realtà è solo illusorio perché non riusciamo più a distinguere le cose urgenti da quelle meno urgenti, di conseguenza tutto diviene superfluo. Inoltre, questa urgenza potrebbe creare una corrosione del carattere come nervosismo, aggressività, frequenti emicranie, insonnia e anche mal di schiena. Tornando alle nuove tecnologie di comunicazione, possiamo affermare che, da un lato viviamo nella convinzione di esistere perché siamo costantemente connessi agli altri, dall’altro però, è difficile stabilire delle relazioni interpersonali durature e di provare sentimenti profondi. Parliamo ora di Facebook, nato nel 2004 e che oggi ha oltre 900 milioni di utenti, è senz’altro un social network che ha rivoluzionato la vita sociale degli individui con risvolti molto positivi. Infatti ci permette di ritrovare parenti o amici con cui si erano persi i contatti, di fare nuove amicizie, di tenere gli altri aggiornati sui nostri interessi ecc; ma troviamo anche dei lati negativi come le comunicazioni brevi e superflue e anche casi di vera e propria dipendenza. Si parla di social network addiction indicando una dipendenza da connessione alla propria pagina web e da amicizie virtuali cioè aumentare il numero degli amici sul proprio profilo che può condurre ad una distorsione delle vere amicizie. Questa dipendenza può derivare dalla sicurezza in se stessi e dalle proprie capacità relazionali dovute a Facebook, infatti possiamo nascondere agli altri le nostre ansie, difetti personali, problemi relazionali. Ma questo non vuol dire che autostima e sicurezza trovino riscontro anche nella realtà e, inoltre, una tale dipendenza da relazioni virtuali può portare ad un isolamento dalle relazioni reali. Nell’ambito delle scienze sociali il rapporto tra individuo e società è stato affrontato da vari punti di vista, ma i più importanti sono due paradigmi contrapposti. Il primo, chiamato olismo o collettivismo, sostiene che i fenomeni macrosociali non possono essere ricondotti alle singole azioni individuali, ma esistono al di fuori degli individui e si impongono ad essi come forze autonome. Il secondo approccio, definito individualismo, sostiene che la realtà e i fenomeni sociali e collettivi sono l’esito di scelte e comportamenti individuali. Durkheim fu tra i primi a sostenere l’approccio collettivista e ad affermare la prevalenze del sociale sull’individuo e considerando quest’ultimo come un costrutto storico-sociale; definiva, inoltre, i fenomeni sociali come fatti sociali cioè modi di agire, di pensare e di sentire che esistono al di fuori degli individui, ma che hanno un potere coercitivo ed imperativo tanto che si impongono ad essi con o senza il loro consenso. Gli individualisti, invece, sostengono che non esistono entità impersonali che trascendono gli individui, ma ci sono solo questi ultimi che agiscono e interagiscono tra loro. Weber fu tra i primi a riconoscere l’importanza di questo approccio individualistico. Pierre Bourdieu elaborò la teoria del senso pratico secondo cui ciò che spinge l’individuo ad agire sarebbe l’ habitus cioè schemi di azione, modi di pensare, sentire e agire predeterminati che l’individuo acquisisce tramite la 3

socializzazione. Possiamo concludere affermando che bisogna considerare le pressioni sociali o le ragioni individuali per spiegare i fenomeni sociali. 2. L’imitazione sociale tra scelta e necessità: come si spiega la tendenza umana a essere uguali agli altri Iniziamo ricordando il film di Woody Allen Zelig ambientato tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, in cui il protagonista, Leonard Zelig, è un uomo camaleonte bisognoso di conformarsi agli altri. Il protagonista ha un disturbo mentale che lo costringe a trasformare le proprie sembianze fisiche in quelle degli altri e ad imitarne abitudini e comportamenti. Molti medici si interessano al suo caso ed in particolare una psichiatra, la dottoressa Eudora Fletcher, che tramite l’ipnosi scopre che il trasformismo di Zelig esprime in realtà l’esigenza di approvazione sociale. Le cure della dottoressa per far crescere l’autostima del paziente, però, provocano un effetto perverso cioè il paziente sviluppa temporaneamente una personalità intollerante nei confronti delle opinioni altrui. A questo punto è lecito chiedersi se esiste davvero una sindrome di Zelig; infatti nel 2005 una équipe di medici italiani studiò il caso di un paziente che, dopo un arresto cardiaco con ipossia cerebrale, riportò danni al lobo fronto-temporale del cervello cioè la parte che controlla i comportamenti. In seguito i medici notarono che il paziente aveva sviluppato un trasformismo identitario, immedesimandosi nelle persone che incontrava. Questo caso venne definito da questi medici Sindrome di Zelig. Ma esiste anche la Sindrome da dipendenza ambientale o d’uso così definita dal neurologo François Lhermitte caratterizzata da un deficit del controllo che un soggetto esercita nei confronti degli stimoli ambientali, sociali e fisici; chi ne è colpito infatti, imita i gesti o i movimenti dei propri interlocutori o tende ad usare oggetti che ha davanti anche se tale comportamento è inopportuno o inadeguato. Questo tipo di comportamento così come quello studiato dai ricercatori italiani, presuppone che la persona affetta da tali sindromi non abbia nessuna volontà e autonomia propria, ma che reagisce inconsapevolmente a persone, oggetti e ambienti che la circondano. Le basi neurologiche dell’imitazione si trovano nei neuroni specchio, i quali hanno la capacità di attivarsi alla vista di un compito motorio eseguito da un altro. Questi neuroni sono stati scoperti all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso da un gruppo di ricercatori italiani guidati da Giacomo Rizzolatti, individuati dapprima nelle scimmie e di conseguenza si pensò che dovettero esistere anche nell’uomo. Rizzolatti e colleghi sostengono che vi siano neuroni, in alcune aree, che si attivino in relazione ad atti motori finalizzati e che rispondano selettivamente alle forme e alle dimensioni degli oggetti sia quando interagiamo con loro sia quando li osserviamo soltanto. Nel mondo naturale l’imitazione è diffusa soprattutto sotto forma di mimetismo cioè una strategia adattiva che permette alle prede, per esempio, di fuggire. Esistono alcune specie che si rendono completamente invisibili ai predatori assumendo forme e colori dello sfondo ambientale in cui vivono; questo è il caso sia dei Fasmidi, che assumono la forma di una foglia o di un rametto, sia il caso del polpo che si confonde con il fondale marino imitandone colori, trame e simulando appendici sul proprio manto. Ci sono poi i casi in cui specie inoffensive aposematiche cioè con un corpo colorato in modo più o meno netto, adottano l’apparenza fisica di specie nocive o non appetibili. Questo è il mimetismo batesiano dal nome del naturalista Henry Bates che ne scoprì per primo le caratteristiche. Ma l’imitazione può riguardare anche una solo parte del corpo di un predatore, come per esempio alcune farfalle o pesci di acqua dolce hanno delle macchie simili a degli occhi, dette Ocelli, dando così alla preda il tempo di fuggire. Passiamo ora a comportamenti imitativi che hanno come obiettivo quello di copiare un modello, tipici di specie che vivono in gruppi organizzati, come l’uomo; per esempio i ratti assaggiano un nuovo alimento solo dopo che un loro conspecifico l’abbia provato prima. Mentre i piccoli scimpanzé imitano i genitori per sapere quali piante siano 4

commestibili e quali animali cacciare. In questi casi, dunque, è più efficace ed economico imitare gli altri piuttosto che sperimentare da soli, di conseguenza il comportamento imitativo rappresenta un vantaggio nella vita sociale di gruppo e parliamo, quindi, di forme di trasmissione culturale tra gli animali che, in un gruppo, acquisiscono così informazioni importanti. Secondo il primatologo Frans de Waal, è soprattutto nelle specie non umane che si trovano esempi di trasmissione culturale riguardo a situazioni in cui un animale giovane apprende abitudini per imitazione dai genitori o dai membri del proprio gruppo che si trasmettono poi di generazione in generazione. Riportiamo il caso di Imo, una giovane femmina di macaco giapponese; nel 1953 dei ricercatori giapponesi che studiavano i vari membri un gruppo di macachi sull’isola Koshima, osservarono un comportamento appreso per imitazione. Attirarono i machi di macachi disseminando sulla spiaggia grano e patate dolci; un giorno mentre osservavano i macachi che mangiavano la patate, videro Imo prendere una patata dolce, immergerla nell’acqua e sfregarla con le mani per togliere la sabbia che la ricopriva. In seguito, piano piano, tutti i membri del suo gruppo appresero per imitazione questa tecnica. Il grano gettato sulla spiaggia si confondeva con la sabbia quindi non era commestibile né si poteva lavare i chicchi uno ad uno; Imo possiamo dire che mise alla prova un principio della fisica: dato che il grano era più leggero, galleggiava nell’acqua mentre i granelli di sabbia affondavano, quindi ci si poteva nutrire dei chicchi di grano puliti. All’inizio del ‘900, il fisiologo Ivan Pavlov pose le basi dell’analisi sperimentale dell’apprendimento per condizionamento o meccanico. Egli si concentrò sull’osservazione della secrezione psichica nei cani cioè il fenomeno per cui al solo rumore delle ciotole posate sul pavimento, nei cani scatta il riflesso della salivazione. Dopo vari esperimenti, Pavlov notò come fosse possibile trasformare un riflesso incondizionato cioè la salivazione, in un riflesso condizionato cioè la salivazione in risposta al suono di un campanello che precede la distribuzione del cibo. Il suono del campanello era uno stimolo neutro denominato da Pavlov stimolo condizionato, la salivazione che esso induceva era il riflesso condizionato e il cibo era il rinforzo. Ma questo tipo di apprendimento per condizionamento riguardava anche il mondo umano; infatti John Watson, padre del comportamentismo, cercò di dimostrare come le fobie e le paure derivassero da una procedura di associazione e condizionamento con una serie di ricerche sul comportamento infantile, la più nota fu quella condotta su Albert, un bimbo di 11 mesi. Nel suo esperimento Watson mostrò a bambino un topo, di cui il bimbo non aveva nessuna paura; in seguito associò al topo un rumore che spaventava Albert e quindi uno stimolo incondizionato. Di conseguenza, il bambino che aveva associato il topo al rumore, piangeva ogni volta che vedeva il topo. Lo psicologo Edward Lee Thorndike effettuò un altro tipo di esperimento: un gatto veniva rinchiuso in una gabbia e al di fuori di essa vi era del cibo; il gatto doveva imparare, tramite tentativi ed errori, ad alzare u chiavistello o tirare una corda. Il gatto, dopo ...


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