STRATEGIE PER LA COOPERAZIONE NADAN PETROVIC PDF

Title STRATEGIE PER LA COOPERAZIONE NADAN PETROVIC
Author Angela Fontana
Course Strategie Per La Cooperazione
Institution Sapienza - Università di Roma
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RIASSUNTO COMPLETO DEL LIBRO (NUOVA EDIZIONE) DI NADAN PETROVIC ...


Description

STORIA DEL DIRITTO D’ASILO IN ITALIA (1945 – 2020) PROFESSORE NADAN PETROVIC Capitolo 1 – L’evoluzione legislativa e il contesto di riferimento: dalla Costituzione (1948) alla legge Martelli (1990) Articolo 10, comma 3 della Costituzione italiana: . Altri in Assemblea costituente volevano limitare la titolarità del diritto d’asilo ai soli stranieri . MA nella versione definitiva dell’art.10 comma 3 la sola negazione dei diritti di libertà viene considerata una condizione sufficiente alla protezione. L’adozione di tale definizione è il risultato di una scelta dei Padri costituenti. Molti dell’Assemblea costituente, durante la guerra e prima, durante il regime fascista, godono del diritto d’asilo in altri Paesi. L’onorevole Nobili esorta l’Assemblea circa l’eventualità che . Grazie a questo intervento si aggiunge nel testo dell’art.10 comma 3 la frase: >. Paragrafo 1 – La natura giuridica e la condizione dello straniero titolare del diritto d’asilo costituzionale Il diritto d’asilo viene attribuito allo straniero al quale nel suo Paese sia , si tratta del diritto soggettivo di entrare e di soggiornare nel territorio dello Stato. La tutela del diritto d’asilo prevale sul potere di estradizione dello Stato e sul potere di allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato. In base a tali riconoscimenti, la condizione dello straniero titolare del diritto d’asilo gode di un trattamento più tutelato rispetto a quello degli altri stranieri. Il concetto di straniero titolare del diritto d’asilo previsto dalla Costituzione NON afferisce alle sole persone perseguitate MA, nell’ordinamento italiano, lo straniero fruisce del diritto d’asilo nel caso in cui alla persona sia impedito fruire delle libertà democratiche anche se non vi sia una persecuzione individuale. Paragrafo 2 – La Convenzione di Ginevra del 1951 La Convenzione di Ginevra del 1951 rappresenta il primo documento che affronta su scala internazionale la questione dei rifugiati. La Convenzione chiede agli Stati contraenti (che stipulano un contratto) di garantire ai rifugiati diritti fondamentali quali la tutela legale, l’assistenza sanitaria e sociale, il diritto all’istruzione e al lavoro ed il più ampio spettro di diritti civili, economici e sociali. 1

Allo stesso tempo vieta il soggiorno irregolare dei rifugiati e la loro espulsione riaffermando il principio di non respingimento (non – refoulement) secondo il quale nessuno Stato può espellere il rifugiato verso un territorio dove la sua vita e la sua libertà sarebbero minacciate (art.33 della Convenzione). L’art.1 sezione A della Convenzione, definisce la figura di rifugiato (pag.25). Due sono le limitazioni che la Convenzione prevede nel riconoscimento dello status di rifugiato: 1) Limitazione di carattere temporale: gli avvenimenti a seguito dei quali il soggetto chiede di essere riconosciuto rifugiato devono essersi verificati prima del 1° gennaio 1951. Infatti, la Convenzione di Ginevra viene adottata in un particolare momento, tra il secondo dopoguerra e l’inizio della Guerra fredda, per offrire protezione internazionale e tutela giuridica alle persone coinvolte nei drammatici eventi di quegli anni. Il vincolo temporale è superato sul piano internazionale, con la sottoscrizione del Protocollo addizionale adottato a New York nel 1967. Con l’adozione di questo documento viene eliminata tale riserva. 2) Limitazione di carattere geografico: l’applicazione della Convenzione può essere limitata ai soggetti provenienti dall’Europa. Tale limitazione va letta alla luce della situazione nel continente europeo all’inizio degli anni Cinquanta. Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare che la stragrande maggioranza dei paesi che adottano la Convenzione sono essi stessi Paesi europei. Paragrafo 3 – L’applicazione della Convenzione di Ginevra nell’ordinamento italiano L’Italia aderisce alla Convenzione di Ginevra attraverso la legge di autorizzazione n.722 del 1954 adottando la già menzionata “riserva geografica” per cui il riconoscimento dello status di rifugiato è attribuito ai soli individui di provenienza europea. Le ragioni che portano a questa scelta sono di ordine economico. Le autorità italiane, pur avendo più volte espresso la volontà di ritirare la riserva, la mantengono per diversi anni con la motivazione che l’Italia è un Paese che confina con due aree geografiche da cui provengono esodi di rifugiati: l’Europa dell’est e l’area afroasiatica. Mentre la limitazione temporale viene eliminata presto, per il ritiro della “riserva geografica” bisogna aspettare diversi decenni: essa viene abolita alla fine del 1989 mediante la legge Martelli. In base a un accordo internazionale l’Italia ricopre, insieme all’Austria e all’ex Jugoslavia, il ruolo di primo asilo. Agli altri paesi (Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Australia) viene delegato il compito di predisporre una protezione più stabile e sistematica per i rifugiati. A questa regia, sono fatte alcune limitate e sporadiche eccezioni: -

Nel 1973 un esiguo numero di soggetti in fuga dal regime di Pinochet – prevalentemente oppositori politici e i loro familiari – trova rifugio e protezione dalla persecuzione all’interno dell’Ambasciata italiana a Santiago. Di seguito, grazie ad un accordo tra le autorità cilene e quelle italiane, 609 cileni rifugiatisi 2

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nell’Ambasciata, ai quali si sono aggiunti i familiari successivamente, sono stati trasferiti e accolti in Italia. Un altro caso riguarda i cosiddetti “boat people”. Circa 900 persone vennero soccorse da navi della Marina Militare Italiana al largo delle coste vietnamite e successivamente trasferite ed ospitare in Italia. In virtù del ricongiungimento famigliare, in un secondo momento vengono accolti in Italia anche i loro famigliari.

Paragrafo 4 – Le conseguenze delle scelte politico-istituzionali sulla procedura di ottenimento dello status di rifugiato in base alla legislazione antecedente alla legge n.39/90 I limiti esposti sopra e la mancata adozione di una normativa che regolamenti compiutamente il diritto d’asilo in Italia, portano al delinearsi di due distinte categorie di rifugiati: 1. Rifugiati de iure/rifugiati sotto Convenzione: in questa categoria rientrano i soggetti provenienti dai Paesi europei ai quali si applica integralmente la disciplina prevista dalla Convenzione di Ginevra; 2. Rifugiati de facto/rifugiati sotto mandato dell’ACNUR: in questa categoria ritroviamo i rifugiati provenienti dai Paesi extraeuropei. Ad accomunare queste ultime tipologie di rifugiati è il diritto, sancito dall’art.33 della Convenzione di Ginevra, a NON essere respinti. A seconda della categoria d’appartenenza, sono applicate due distinte procedure per l’ottenimento del titolo e vengono assegnati due status molto diversi sotto il profilo assistenziale e sociale. Le richieste d’asilo vengono inviate al Ministero dell’Interno o all’Alto Commissariato ONU in Italia, a seconda che si tratti, rispettivamente, di rifugiati europei o extraeuropei. Per quanto riguarda le domande d’asilo presentate dai cittadini europei, esse vengono analizzate dalla Commissione paritetica di eleggibilità (CPE). I richiedenti asilo europei, in attesa che la Commissione paritetica di eleggibilità (CPE) si esprima in merito alla richiesta di status, ricevono un permesso di soggiorno provvisorio che, in caso di esito positivo della domanda, è sostituito da un altro rinnovabile ogni quattro mesi. L’esito positivo del procedimento si conclude poi con una dichiarazione di “eleggibilità” che, oltre a certificare il riconoscimento dello status di rifugiato, permette ai richiedenti di fruire del diritto al soggiorno e al lavoro, equiparandoli dal punto di vista assistenziale ai cittadini italiani. In caso di esito negativo, invece, la sola possibilità di cui dispone il richiedente consiste nella richiesta di revoca del provvedimento e nel riesame della domanda da parte della medesima Commissione. Per i rifugiati extraeuropei il procedimento prevede l’affidamento del caso alla Delegazione italiana dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che ha il potere di decretare il riconoscimento della qualifica di “rifugiato sotto mandato” oppure di rigettare la domanda.

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La protezione “sotto mandato” garantisce la protezione dell’Alto Commissariato dell’ONU che provvede a riconoscere l’assistenza sanitaria ed economica d’urgenza mediante la concessione di contributi. Si tratta di un aiuto che può essere garantito solo in misura limitata e per un periodo non superiore ai sei mesi. Questa formula di tutela NON implica per il rifugiato il riconoscimento di alcun diritto da parte dello Stato italiano, che si limita a rilasciargli un permesso di soggiorno provvisorio “in attesa di emigrazione” con il quale è preclusa ogni possibilità di svolgere attività lavorativa. I rifugiati sotto mandato non avendo la possibilità di accedere ad un lavoro regolare e di rendersi economicamente autosufficienti, trovano nell’emigrazione l’unica soluzione percorribile. Pur con le dovute differenze di trattamento, la scelta dell’emigrazione accomuna le due categorie. Infatti, l’Italia si configura più come un paese di transito piuttosto che un Paese di asilo permanente. Paragrafo 5 – Le dimensioni della presenza di rifugiati in Italia dai primi anni Cinquanta alla legge Martelli In seguito alla rivolta ungherese del 1956, e in particolare dopo l’invasione di Budapest da parte delle truppe sovietiche, circa 200.000 cittadini ungheresi vengono costretti alla fuga. Alcune migliaia vengono accolti in Italia. Una volta ottenuto lo status di rifugiato, la stragrande maggioranza degli stessi decide di risiedere stabilmente nel nostro Paese. A seguito dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’Unione Sovietica nel 1968, si stima che almeno cinquemila cittadini cecoslovacchi riescano a raggiungere l’Italia, ottenendo lo status di rifugiato. Durante gli anni Ottanta molti soggetti, prevalentemente di nazionalità polacca, raggiungono l’Italia e presentano domanda d’asilo. Alla fine del 1989, a seguito della violenta sollevazione popolare, arrivano in Italia quasi 3.000 richiedenti protezione romeni. In aggiunta a questi, sono meritevoli di attenzione anche alcuni specifici casi di “rifugiati in transito”. Il caso più significativo è rappresentato dai cosiddetti “asiatici dell’Uganda”. Si trattava di cittadini indiani residenti in Uganda che, nel contesto del processo di africanizzazione del Paese, vengono costretti alla fuga dal dittatore Idi Amin Dada. Altri casi degni di nota riguardano invece cittadini di origine ebraica sopravvissuti alla Shoah, passati nell’immediato dopoguerra attraverso l’Italia in transito verso Israele. Gli stessi trovano riparo in strutture allestite in alcune località del Sud Italia. Il fenomeno degli ebrei in Italia conobbe anche una seconda fase qualche decennio dopo: nel 1959 arrivano in Italia le altre persone di origine ebraica in viaggio prevalentemente verso Israele. Paragrafo 6 – Gli aspetti assistenziali e organizzativi 4

Nell’immediato dopoguerra l’assistenza ai rifugiati è prima a carico dell’UNRRA e in seguito a carico dell’IRO (International Refugee Organization). Nel momento in cui invece l’IRO cessa le proprie attività, l’assistenza ai rifugiati ex-IRO e ai nuovi casi è assunta direttamente dal Governo italiano tramite l’Amministrazione per gli aiuti internazionali (AAI). Durante la procedura sia i richiedenti asilo europei sia quelli extraeuropei vengono ospitati nei Centri assistenza profughi stranieri (CAPS) situati a Padriciano, Latina e Capua: 1. Il centro di Padriciano svolge le operazioni di registrazione e verbalizzazione delle domande finalizzate all’esame delle medesime da parte della Commissione paritetica di eleggibilità (CPE); 2. Nel centro di Latina sono invece finalizzate le pratiche di emigrazione (dirette principalmente verso gli USA, Canada, Australia, Nuova Zelanda); 3. Nel centro di Capua vengono infine accolti perlopiù rifugiati in attesa di partenza per i Paesi d’emigrazione. Con la cessazione delle attività dell’AAI, la responsabilità dell’assistenza ai richiedenti asilo e rifugiati è assunta direttamente dal Ministero dell’Interno e dalla Direzione generale dei servizi civili – Divisione assistenza profughi. Paragrafo 7 – La presenza dei rifugiati nelle statistiche ufficiali Secondo i dati elaborati dall’ACNUR i rifugiati presenti sul territorio nazionale nel 1961 erano più di 25.000. La maggior parte dei rifugiati o richiedenti asilo provenivano dalla Jugoslavia. Altri gruppi più o meno rilevanti erano costituiti dai cittadini dell’Ungheria, dell’Unione sovietica, Spagna, Cecoslovacchia. Anche nel decennio successivo non si registrano grandi cambiamenti rispetto al decennio precedente MA risulta interessante analizzare la differente provenienza dei rifugiati. Mentre continua a prevalere il gruppo dei cittadini della ex Jugoslavia, seguito dai cittadini della Cecoslovacchia e Romania, si affacciano sulla scena anche Paesi extraeuropei come il Vietnam, la Cambogia, la Libia e l’India. Nel periodo tra il 1980 e il 1989 si intensificano i flussi extraeuropei, la maggior parte di loro è originaria dell’Afghanistan e raggiunge il nostro paese via terra, attraversando illegalmente prima l’Iran, poi la Turchia e successivamente la Jugoslavia. Sempre negli anni Ottanta entrarono nel territorio nazionale due piccole comunità provenienti dall’Iraq MA anche molte donne e bambini provenienti dall’Etiopia. In ogni caso, solo una minima parte dei rifugiati opta per la permanenza nel nostro Paese. Capitolo 2 – L’evoluzione legislativa e il contesto di riferimento della legge Martelli alla fine degli anni Novanta: lento recupero del ritardo istituzionale. Per molto tempo, il tema del diritto d’asilo viene trattato all’interno del più ampio dispositivo nazionale dedicato all’immigrazione. La situazione cambia, anche se solo parzialmente, con la legge Martelli. 5

La legge Martelli è la prima normativa sull’immigrazione nel dopoguerra, essa stabilisce le , definendo nell’art.1 la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. La legge Martelli viene approvata con una procedura d’urgenza a seguito dell’assassinio del rifugiato sudafricano Jerry Essan Masslo avvenuto in provincia di Caserta. + Si arriva all’adozione di tale legge anche per i cambiamenti che stavano avvenendo nella società italiana sempre più investita dai flussi migratori poiché negli anni Ottanta l’Italia diventa una delle economie più importanti del mondo. Paragrafo 1 – La procedura d’asilo ex art.1 della legge Martelli La procedura d’asilo descritta nella legge Martelli può essere suddivisa in due parti: 1. La prima parte riguarda l’accesso del richiedente asilo sul territorio italiano; 2. La seconda parte riguarda la modalità di presentazione della domanda di asilo. Dalla legge Martelli in poi tale procedura si svolge dinnanzi alla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, divenuta operativa nel 1991, con conseguente cessazione delle funzioni svolte fino ad allora dalla già menzionata Commissione paritetica di eleggibilità. Un’altra disposizione di particolare interesse della legge 39/90 è quella riguardante la riserva geografica menzionata precedentemente. A partire dall’entrata in vigore della legge Martelli, lo status di rifugiato in Italia può essere invocato anche da persone appartenenti a Stati non europei. L’abolizione della “riserva geografica” permette nell’immediato, ad un discreto numero di “rifugiati sotto mandato”, di regolarizzare la propria posizione di soggiorno e lavoro convertendo lo status di “rifugiato sotto mandato” in quello di rifugiato ai sensi della Convenzione e acquisendo così a tutti gli effetti la piena protezione del Governo italiano. Nel caso di riconoscimento dello status al richiedente – abbiamo detto al di là del suo paese di provenienza – lo straniero può svolgere attività lavorativa e avere un accesso “accelerato” nell’acquisizione della cittadinanza. In caso di rigetto dell’istanza, lo straniero deve lasciare il territorio nazionale. In base alla legge 39/90 il rifugiato può fruire dei diritti riconosciuti agli immigrati regolari MA anche dei diritti relativi ai rapporti civili, di lavoro e di assistenza sociale diventando equiparabile a un cittadino italiano. Il problema della legge Martelli Il problema principale della normativa riguarda la durata della procedura d’asilo, ossia il periodo compreso tra l’ingresso del richiedente nel territorio nazionale e il provvedimento finale della Commissione. In questo arco di tempo, il richiedente asilo è tenuto a ricevere quelle garanzie minime di tutela e assistenza che, una volta riconosciutogli lo status di rifugiato, si allargheranno ad abbracciare uno spettro più ampio di diritti. A tal proposito, la legge Martelli rilascia ai richiedenti asilo un contributo di prima assistenza erogato dalle Prefetture. Tale contributo non tarda a rivelarsi ampiamente 6

insufficiente, soprattutto a fronte dei tempi di attesa della risposta della Commissione in merito alla domanda di asilo. Infatti, il contributo previsto veniva erogato per un periodo massimo di 45 giorni, di fronte ai tempi di attesa che raggiungevano anche 24 mesi. Paragrafo 2 – Le emergenze dei primi anni Novanta: dall’instabilità nei Balcani alla crisi somala. Le continue ondate di migrazioni provenienti in particolare dall’area balcanica, destabilizzano ulteriormente il già precario sistema d’asilo definito dalla legge Martelli. La legge Martelli vietava il respingimento dello straniero ma, allo stesso tempo, non prevedeva aspetti assistenziali durante la permanenza dello stesso sul territorio nazionale. Per affrontare le questioni relative agli aspetti assistenziali dei cittadini appartenenti a Stati particolari o provenienti da zone belliche, viene riconosciuto uno “status umanitario” di carattere temporaneo, che consente agli stessi un soggiorno regolare in Italia MA anche la possibilità di studiare e lavorare. Queste particolari forme di protezione sono adottate per far fronte a improvvise emergenze causate dallo sbarco in massa di cittadini albanesi sulle coste del litorale pugliese (1990 – 1991), dall’ingresso di sfollati provenienti dalle Repubbliche dell’ex Jugoslavia e dall’ingresso dei cittadini somali. Gli sbarchi albanesi del 1990 – 1991 Il primo arrivo riguarda un numero molto limitato di persone, ad esse viene concesso, dopo un iniziale periodo di accoglienza nella periferia di Brindisi, lo status di rifugiato. A questo arrivo organizzato ne seguono altri ben più consistenti: si calcola che in soli 3 giorni di marzo del 1991 sbarcano in Italia ben 25.000 persone. Ai cittadini albanesi viene accordato un permesso di soggiorno provvisorio valido sei mesi, senza precludere l’accesso alla procedura d’asilo. A tal proposito viene raggiunta un’intesa tra Stato e Regioni per lo smistamento dei profughi. L’atteggiamento positivo delle autorità e dell’opinione pubblica cambia di fronte agli sbarchi di massa avvenuti nell’agosto del 1991. A tal proposito, il governo italiano cambia atteggiamento nei confronti degli arrivi, procedendo successivamente al rimpatrio forzato dei migranti in Albania. Una seconda emergenza riguardava la situazione dei cittadini della Somalia a seguito dell’inizio della guerra civile nel 1991. Essi emigrano in Italia e viene rilasciato loro un permesso temporaneo di soggiorno per motivi di studio e di lavoro della durata massima di un anno e rinnovabile alla scadenza nel caso dovessero perdurare le condizioni di impedimento al rimpatrio. Paragrafo 3 – L’esodo dalla ex Jugoslavia La sfida più impegnativa per il sistema italiano avviene con l’arrivo degli sfollati provenienti dalla ex Jugoslavia, a seguito dello scoppio della guerra in quei territori nel 1991. 7

La procedura d’asilo prevista dalla legge Martelli mal si adatta anche al caso degli sfollati ex jugoslavi. Ai cittadini provenienti dai territori di questa regione venne rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari valido tre mesi. Successivamente, la durata dello stesso viene estesa a un anno, estendendolo anche a motivi di lavoro e di studio. Tale permesso, viene rilasciato a tutti i cittadini delle Repubbliche ex jugoslave. La protezione di cui sopra viene accordata ai cittadini d...


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