D\'Annunzio e Pascoli - I classici nostri contemporanei PDF

Title D\'Annunzio e Pascoli - I classici nostri contemporanei
Author Margherita Ghezzi
Course Italiano
Institution Liceo delle Scienze Umane Secco Suardo
Pages 11
File Size 263.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 93
Total Views 132

Summary

Riassunto dei due autori decadentisti: D'Annunzio e Pascoli...


Description

L’ORIGINE DEL TERMINE “DECADENTISMO” Il 26 maggio del 1883, Paul Verlaine, sul periodico parigino “Le Chat Noir” (il gatto nero) pubblicò un sonetto intitolato Langueur (Languore), in cui venne a descrivere l’atmosfera di stanchezza spirituale dell’Impero romano dopo la sua decadenza (476 d.c.), ormai incapace di forti passioni e di azioni energiche. Il sonetto interpretava uno stato d’animo che si stava diffondendo nella cultura del tempo: il senso di fine di una civiltà, l’idea con compiacimento autodistruttivo di un imminente cataclisma epocale. Queste idee erano tipiche di circoli d’avanguardia, opposti alla mentalità borghese che ostentavano atteggiamenti bohémien e idee provocatorie, ispirandosi al modello maledetto di Baudelaire. La critica ufficiale venne ad usare il termine “Decadentismo” in accezione negativa, ma i decadenti lo vollero assumere polemicamente, rovesciandone il significato e dandoli un privilegio spirituale facendone una sorta di bandiera. SENSO RISTRETTO E SENSO GENERALE DEL TERMINE Il termine, indicava un ristretto gruppo di poeti che seguivano un movimento letterario, sorto in un dato ambiente e ispirato da un programma culturale preciso; successivamente la critica ha assunto il termine come etichetta di una grande corrente culturale di dimensioni europee diffusa negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi del Novecento. Il Decadentismo è però un insieme di manifestazioni artistiche e letterarie tra loro anche assai differenti in cui si possono trovare dei denominatori comuni. IL MISTERO E LE “CORRISPONDENZE” La base della visione del mondo decadente è l’irrazionalismo che riprende i valori già presenti nel romanticismo. Vi è un rifiuto del positivismo che è alla base dell’opinione corrente “borghese” ed è ormai diffusa in luoghi comuni. Il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del reale perché l’essenza di esso è misteriosa ed incognita, per cui solo rinunciando alla ragione si può tentare di scoprire l’ignoto. L’anima decadente è perciò sempre protesa verso il mistero che è dietro la realtà visibile. Per questa visione mistica tutti gli aspetti dell’essere sono legati tra loro da misteriose analogie e corrispondenze che sfuggono alla ragione e possono essere colte solo in un abbandono di empatia irrazionale. La rete di corrispondenze coinvolge anche l’uomo, poiché esiste una sostanziale identità tra io e mondo (ciò viene identificato anche con il panismo). Tale unione si realizza sul piano dell’inconscio. La scoperta dell’inconscio è un dato fondamentale della cultura decadente. Grazie a questa dimensione si possono capire le concezioni del Decadentismo e i dei suoi prodotti letterari, musicali ed artistici. Mentre Freud comincia a dare una sistemazione scientifica a questa conoscenza per portare alla luce della coscienza l’inconscio, sottoporlo al dominio dell’io; i decadenti, si lasciano inghiottire dal vortice tenebroso distruggendo ogni legame razionale, convinti che solo l’abbandono totale possa garantire la scoperta di una realtà più vera e più bella. GLI STRUMENTI IRRAZIONALI DEL CONOSCERE L’essenza segreta della realtà non può essere colta attraverso la ragione, ma ci sono altri mezzi con cui il decadente cerca di arrivare ad essa. Come strumenti principali del conoscere vengono indicati tutti gli stati irrazionali dell’esistere: la malattia, la pazzia, il delirio, il sogno, l’incubo e l’allucinazione. Questi stati di alterazione (che possono essere provocati artificialmente attraverso l’uso di alcool o droghe), sottraendosi al controllo della ragione, permettono di vedere il mistero che è al di là delle cose. Vi sono poi per i decadenti altre forme di estasi che consentono questa esperienza dell’ignoto. Una di queste è il panismo, in cui il poeta si unisce con la realtà che lo circonda, ne coglie l’essenza e la fonde con tutto per conoscere l’aspetto più nascosto delle cose. Questo atteggiamento ricorre particolarmente nella figura di Gabriele d’Annunzio. Un altro tipo di stato di estasi è costituito dalle epifanie, che letteralmente significa manifestazione, apparire. Nelle epifanie un qualunque particolare della realtà, apparentemente insignificante, si carica all’improvviso di un misterioso significato, che affascina come un messaggio proveniente da una realtà trascendente, come rivelazione momentanea.

Gabriele d’Annunzio

L’ESTETA Gabriele d’Annunzio nacque a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese. Egli studiò nel collegio Cicognini di Prato, una delle scuole più aristocratiche del tempo in Italia. Precocissimo, esordì a sedici anni con un libretto di versi, Primo vere, che suscitò un certo interesse. A diciotto anni, raggiunta la licenza liceale, si trasferì a Roma per frequentare l’università che presto abbandonò per vivere una vita mondana e nelle redazioni di giornali. Infatti, per alcuni anni, esercitò la professione di giornalista collaborando per alcuni giornali, soprattutto “La Tribuna” di Roma, con articoli di cronaca mondana ma anche di letteratura. A Napoli, trasferitosi per sfuggire ai creditori, scrisse sul “ Mattino”, un importante giornale fondato da Matilde Serao. Attraverso la sua produzione di versi e le sue opere narrative, acquisì subito notorietà in campo letterario. Molto spesso le sue opere suscitavano scandalo per i contenuti erotici. Anche la sua vita fatta di continue avventure galanti, lusso e duelli fu altrettanto scandalosa. Sono gli anni in cui d’Annunzio si crea la maschera dell’esteta, dell’individuo superiore che rifiuta inorridito la mediocrità borghese per rifugiarsi nel mondo dell’arte. IL SUPERUOMO Questa fase estetizzante della vita di d’Annunzio attraversò una crisi negli anni Novanta. Lo scrittore cercò nuove soluzioni e le trovò in un nuovo mito, quello del superuomo, ispirandosi alle teorie del filosofo Nietzsche. Comunque, per il momento, all’azione si accontentava di sostituire la letteratura ed il superuomo restava un vagheggiamento fantastico, di cui si nutriva la sua produzione poetica e narrativa. Nella realtà, d’Annunzio puntava a creare l’immagine di una vita eccezionale sottratta alle norme del vivere comune. Si ricorda la villa della Capponcina sui colli di Fiesole, dove d’Annunzio conduceva una vita da principe tra oggetti d’arte, stoffe preziose, cavalli e levrieri. A creargli intorno un alone di mito contribuirono anche i suoi amori, specialmente quello che lo legò alla grandissima attrice Eleonora Duse il 1882 a Roma. In realtà, nel disprezzo per la vita comune e nella ricerca di una vita d’eccezione, d’Annunzio era strettamente legato alle esigenze del sistema economico del tempo: con i suoi scandali voleva mettersi in primo piano nell’attenzione pubblica per vendere meglio i suoi prodotti letterari. Paradossalmente, il culto della bellezza ed il vivere inimitabile, superomistico, risultavano essere finalizzati al loro contrario, a ciò che d’Annunzio ostentava di disprezzare, il denaro e le esigenze del mercato. Anche se era ostile al mondo borghese, in realtà era legato alle sue leggi. E’ una contraddizione che non riuscì mai a superare. Ma, d’Annunzio vagheggiava anche sogni di attivismo politico. LA RICERCA DELL’AZIONE: LA POLITICA E IL TEATRO Per questo, nel 1897, tentò la vita da parlamentare, come deputato dell’estrema destra, in coerenza con le idee espresse nei suoi libri, in cui disprezzava i principi democratici ed egualitari. Il suo sogno era quello di restaurazione della grandezza di Roma e del dominio di una nuova aristocrazia. Ciò non gli impedì, nel 1900, di passare allo schieramento di sinistra. Cercando uno strumento con cui agire più direttamente sulle folle, d’Annunzio a partire dal 1898, si rivolse anche al teatro che poteva raggiungere un pubblico più vasto. Ma i sogni attivistici ed eroici erano destinati a restare confinati alla letteratura. Nonostante la sua fama stesse toccando punte “divistiche”, sebbene il dannunzianesimo, a causa dei creditori inferociti, nel 1910 fu costretto a fuggire dall’Italia e a rifugiarsi in Francia. LA GUERRA E L’AVVENTURA FIUMANA L’occasione tanto attesa per l’azione eroica gli fu offerta dalla Prima guerra mondiale. Allo scoppio del conflitto d’Annunzio tornò in Italia ed iniziò un’intensa campagna interventista con le radiose giornate di maggio. Arruolatosi volontario, attirò nuovamente su di sé l’attenzione con imprese clamorose, la “beffa di Buccari” (un’incursione nel golfo del Carnaro, in Istria, con una flotta di motosiluranti), il volo su Vienna. Nel dopoguerra d’Annunzio si fece interprete dei rancori per la “ vittoria mutilata” che fermentavano tra i reduci, capeggiando una marcia di volontari su Fiume. Scacciato con le armi nel 1920, sperò di proporsi come “duce”, ma fu scalzato da un più abile politico, Mussolini. Il fascismo poi lo esaltò come padre della patria, ma lo guardò anche con sospetto, confinandolo praticamente in una villa di Gardone, che d’Annunzio trasformò in un mausoleo eretto a se stesso ancora vivente, il “Vittoriale degli Italiani”. Qui trascorse ancora lunghi anni, ossessionato dalla decadenza fisica e vi morì nel 1938.

L’ESORDIO L’esordio letterario di d’Annunzio avviene sotto l’influenza di due scrittori che in Italia suscitarono maggiore risonanza, Carducci e Verga. Le prime due raccolte liriche, Primo vere del 1879 e Canto novo del 1882, si rifanno alle Odi barbare di Carducci, mentre la prima opera narrativa, la raccolta di novelle Terra vergine si ispira alla Vita dei campi di Verga. Come si nota di più dal Canto novo, D’Annunzio ricava da Carducci il senso tutto “pagano” delle cose sane e forti, della comunione con una natura solare e vitale. Ma questi temi sono portati al limite estremo e toccano i vertici di una fusione ebbra tra io e natura, che anticipa gli aspetti del panismo superomistico. Non mancano però spunti diversi, visioni cupe e mortuarie, che, già nel giovane d’Annunzio, fanno capire come il vitalismo sfrenato nasconda sempre in sé il fascino ambiguo della morte.

In Terra vergine, il modello è il Verga rusticano di Vita dei campi: anche d’Annunzio presenta la tematica regionale inserendo personaggi e paesaggi della sua terra, l’Abruzzo. Tuttavia nel libro non c’è nulla dell’indagine condotta da Verga sui meccanismi della lotta per la vita nelle “basse sfere” e non è presente l’impersonalità tipica di Verga. Il mondo rappresentato il Terra vergine è idillico; nella natura rigogliosa esplodono passioni primordiali soprattutto sotto forza di un erotismo infrenabile, ma anche di una violenza sanguinaria. Sul piano delle tecniche narrative utilizzate, vi è una continua intromissione della soggettività del narratore, per esprimere i suoi pareri, che si contrappone pienamente all’impersonalità verista. Sulla stessa linea si pongono le Novelle della Pescara. Anche questi testi, accanto all’interesse regionale e dialettale, rivelano l’ambiguo compiacimento per un mondo magico, superstizioso e sanguinario. Se quindi esteriormente le novelle di d’Annunzio si richiamano al regionalismo veristico, il loro contenuto profondo è totalmente diverso e si collega alla matrice irrazionalistica del Decadentismo. I VERSI DEGLI ANNI OTTANTA E L’ESTETISMO La stessa matrice irrazionalistica del Decadentismo è evidente nella produzione in versi degli anni Ottanta, che rivela l’influenza profonda dei poeti decadenti francesi ed inglesi. D’Annunzio insiste su temi di sensualità perversa riassunti in immagini di una femminilità fatale e distruttrice. Queste opere poetiche sono il frutto della fase dell’estetismo dannunziano, che si esprime nella formula “il Verso è tutto”. L’arte è il valore supremo della vita, e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. La vita si sottrae alle leggi del bene e del male e si sottopone solo alla legge del bello, trasformandosi in opera d’arte. Sul piano letterario, tutto ciò dà origine ad una ricerca di eleganze estenuate, di artifici formali. La poesia non sembra nascere dall’esperienza vissuta, bensì da altra letteratura. I versi dannunziani pertanto sono fitti di echi letterari, che provengono dai poeti classici, da quelli della tradizione italiana, ai contemporanei poeti francesi ed inglesi.

Così si sviluppa il personaggio dell’esteta, che si isola dalla realtà meschina della società borghese contemporanea in un mondo rarefatto e sublimato di pura arte e bellezza, è a ben vedere una risposta ideologica ai processi sociali in atto nell’Italia postunitaria, i quali tendevano a declassare ed emarginare l’artista, togliendogli quella posizione privilegiata e di grande prestigio di cui aveva goduto nelle epoche precedenti, oppure lo costringevano a subordinarsi alle esigenze della produzione e del mercato. Il giovane d’Annunzio, proveniente dal ceto medio della provincia abruzzese, inserendosi negli ambienti intellettuali della metropoli, non si rassegna ad essere schiacciato da quei processi: vuole il successo e la fama, vuole condurre la vita di lusso aristocratico dei ceti privilegiati. Però d’Annunzio non si accontenta di sognare, rifugiandosi nella letteratura: vuole vivere quel personaggio anche nella realtà. Perciò si preoccupa di produrre libri di successo, che vendano bene sul mercato, e sa utilizzare economicamente la pubblicità che deriva dagli scandali, dagli amori eleganti, dai duelli, dal lusso sfrenato. Propone un’immagine d’intellettuale che si pone fuori dalla società borghese, e fa rivivere una condizione di privilegio dell’artista che era propria di epoche passate, e che sembrava definitivamente tramontata. IL PIACERE E LA CRISI DELL’ESTETISMO Ben presto però d’Annunzio si accorge della debolezza di questa figura, l’ esteta non ha la forza di opporsi realmente alla borghesia in ascesa, all’industrialismo, al capitalismo e all’imperialismo. Egli avverte tutta la fragilità dell’esteta in un mondo lacerato da forze e conflitti così brutali: il suo isolamento sdegnoso non può che diventare sterilità ed impotenza, il culto della bellezza si trasforma in menzogna. La costruzione dell’estetismo entra allora in crisi. Il primo romanzo scritto da d’Annunzio, Il piacere, in cui confluisce tutta l’esperienza mondana e letteraria da lui vissuta sino a quel momento, ne è la testimonianza più esplicita. Al centro del romanzo

si pone la figura di un esteta, Andrea Sperelli, il quale non è che un “doppio” di d’Annunzio. Andrea è un giovane aristocratico, artista proveniente da una famiglia di artisti. Il principio “fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte”, in un uomo dalla volontà debolissima come Andrea, diviene una forza distruttrice, che lo priva di ogni energia morale e creativa, lo svuota e lo isterilisce. La crisi trova come prova il rapporto con la donna. L’eroe è diviso tra due immagini femminili, Elena Muti, la donna fatale (donna vampiro), che incarna l’erotismo lussurioso, e Maria Ferres, la donna pura, che rappresenta ai suoi occhi l’occasione di un riscatto. Ma in realtà l’esteta libertino mente a se stesso: la figura della dona angelo è solo oggetto di un gioco erotico più sottile e perverso, fungendo da sostituto di Elena, che Andrea continua a desiderare e che lo rifiuta. Andrea finisce per tradire la sua menzogna con Maria, ed è abbandonato da lei, restando solo con il suo vuoto e la sua sconfitta. Nei confronti di questo suo “doppio” letterario d’Annunzio ostenta un atteggiamento impietosamente critico, facendo pronunciare dalla voce narrante duri giudizi nei suoi confronti. In realtà il romanzo è percorso da una evidente ambiguità, poiché Andrea non cessa di esercitare un sottile fascino sullo scrittore con il suo gusto raffinato e con la sua amoralità (contro la morale). Quindi, pur segnando un punto di crisi e di consapevolezza, Il piacere non rappresenta il definitivo distacco di d’Annunzio dalla figura dell’esteta. Nel suo impianto narrativo il romanzo risente ancora della lezione del realismo ottocentesco e del Verismo, che conservava in quegli anni piena vitalità. Sono evidenti le ambizioni a costruire un quadro sociale, di costume, popolato di figure tipiche di aristocratici oziosi e corrotti. Però, d’Annunzio mira soprattutto a creare un romanzo psicologico, in cui, più che gli eventi esteriori dell’intreccio, contano i complessi e tortuosi processi interiori del personaggio. Nel Piacere compare poi un’altra tendenza fondamentale, quella di costruire al di sotto dei fatti concreti una sottile trama di allusioni simboliche. D’ANNUNZIO E NIETZSCHE D’Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche, banalizzandoli e forzandoli con un proprio sistema di concezioni: innanzitutto rifiuta il conformismo borghese, quello dei principi egualitari, l’esaltazione dello spirito “dionisiaco”, il rifiuto dell’etica della pietà, dell’altruismo, tipica della tradizione cristiana che mascherano l’incapacità del godere la gioia ogni oltre limite del vivere, l’esaltazione della volontà di potenza, dello spirito della lotta e dell’affermazione di sé, il mito del superuomo. D’Annunzio ha degli atteggiamenti antiborghesi e antidemocratici nei confronti della borghesia del nuovo Stato unitario in cui lo spirito affaristico contaminava il valore della bellezza, il gusto dell’azione eroica e del dominio, che erano propri delle passate élites dominati. Egli voleva perciò l’affermazione di una nuova aristocrazia che sapesse elevarsi a superiori forme di vita attraverso il culto del bello e l’esercizio della vita attiva ed eroica. Il motivo nietzschiano del superuomo è quindi interpretato da d’Annunzio nel senso del diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare se stessi, sprezzando le leggi comuni del bene e del male. Il dominio di questi esseri privilegiati al di sopra della massa deve tendere ad una nuova politica aggressiva dello Stato italiano. IL SUPERUOMO E L’ESTETA Il personaggio dell’esteta, creato da d’Annunzio, viene inglobato in quello del superuomo. Il culto della bellezza è fondamentale nel processo di elevazione della stirpe nelle persone di pochi eletti: l’estetismo non è più rifiuto sdegnoso della realtà, ma strumento di una volontà di dominio sulla realtà. Il mito del superuomo è sempre un tentativo di reazione alle tendenze dell’epoca in cui si emarginava la figura dell’intellettuale, ma è un tentativo di reazione che agisce in modo differente rispetto al mito dell’esteta, poiché affida all’artista-superuomo una funzione di “vate” e di guida. E mentre la figura dell’esteta era in netta opposizione rispetto alla realtà dominante, la figura del superuomo offre soluzioni che possono accordarsi con le tendenze profonde dell’età dell’imperialismo e del colonialismo. Consapevole dei processi di declassazione dell’intellettuale, d’Annunzio cerca di ribaltare la sorte comune e ritrovare un ruolo sociale e, poiché la società non è in grado di offrirgli nulla, si auto attribuisce il compito di profeta di ordine nuovo (vate). IL TRIONFO DELLA MORTE Il Trionfo della morte, quarto romanzo di D’Annunzio, non rappresenta ancora una compiuta realizzazione della nuova figura mitica, ma rappresenta una fase di transizione. L’eroe, Giorgio Aurispa, è ancora un esteta, simile ad Andrea Sperelli. Giorgio, travagliato da un’oscura malattia interiore, che lo svuota di energie vitali, va alla ricerca del senso della vita. Un breve rientro nella sua famiglia aumenta la crisi dell’eroe perché immergersi nuovamente nella complicata vita familiare, e soprattutto rivivere il conflitto col padre, contribuisce a indebolire le sue energie vitali: per questo tende a identificarsi con un’altra figura paterna, quella dello zio Demetrio. La ricerca porta Giorgio a tentare di riscoprire le origini della sua stirpe: insieme alla sua donna

amata, Ippolita Sanzio, si reca in un piccolo villaggio in Abruzzo dove riscopre le antiche usanze e credenze della sua gente.

Il raffinato esteta è però disgustato e respinto da quel mondo barbarico e primitivo, perciò la sua ricerca fallisce, così come la via del misticismo religioso. Una soluzione però gli si affaccia nel messaggio “dionisiaco” di Nietzche, in un’immersione nella vita in tutta la sua pienezza, tuttavia l’eroe non è ancora in grado di realizzare il progetto, a cui si oppongono le forze oscure della sua psiche che si manifestano nelle sembianze della donna amata, Ippolita: la lussuria consuma le sue forze. Prevalgono in lui le forze negative della morte ...


Similar Free PDFs