Storia del pensiero sociologico - II. I classici PDF

Title Storia del pensiero sociologico - II. I classici
Course Sociologia
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Premessa A cavallo tra il XIX e il XX secolo, la sociologia si impegna a definire in termini più specifici il proprio ambito in relazione alle altre scienze e i suoi metodi. I sociologi avvertono l’esigenza di stabilire i confini della loro disciplina rispetto ad altri campi. Le loro preoccupazioni si rivolgono anche ai problemi della società industriale, della divisione del lavoro; vi è un costante riferimento a Marx, ma il problema della mercificazione dell’uomo e dello scadere dei rapporti tra uomini è inserito in quadri di riferimento diversi da quello marxista. Tönnies sostiene che la scienza ha bisogno di uno schema di riferimento teorico e che i concetti che spiegano la realtà provengono dalla ragione e non possono derivare dalla realtà stessa; egli fonda la sua teoria su una irrazionalistica filosofia della vita. Simmel affronta anch’egli il problema del metodo e rifiuta la concezione della storia di Marx. Weber non si dedica solo al metodo, ma studia le origini del capitalismo e si preoccupa del destino della società industriale. Durkheim si riallaccia al positivismo comtiano ed avverte anche l’esigenza di chiarire le regole del metodo sociologico; insieme con altri rivela la sua preoccupazione per l’eccesso di specializzazione nella divisione del lavoro.

Marxismo, filosofia della vita, sociologia formale 1. Il contesto storico e culturale! La sociologia cerca solidi fondamenti teorici dopo aver almeno parzialmente superato quelle critiche che ne negavano la legittimità. Il problema del metodo non costituisce comunque l’unica preoccupazione dei sociologi del periodo classico (tra XIX e XX secolo). In Germania la filosofia della vita e le correnti formalistiche hanno avuto un peso nel condizionare gli sviluppi della sociologia classica, ma anche il marxismo, da cui i sociologi hanno mutuato diversi concetti, ha avuto grande influenza. Come già capitato in Dilthey, Windelband e Rickert, la fiducia nella necessità del progresso è tramontata. Il processo di industrializzazione è guardato con diffidenza perché vi è la tendenza a scorgerne più gli aspetti umanamente negativi. La filosofia della vita afferma l’impossibilità di conoscere la realtà umana e quindi la realtà storico-sociale nei suoi contenuti specifici per via razionale; si fa ricorso alle categorie del rivivere le esperienze interiori, ponendo l’accento sugli aspetti emotivi e irrazionali. La scienza è comunque una costruzione soggettiva, l’errore che la vedeva come semplice adeguazione alla realtà oggettiva è superato. Questa corrente è accusata di irrazionalismo: l’uomo rinuncia a porsi come guida della storia, sottomessa a forze incontrollabili, e non crede più possibile trasformare la realtà per renderla adeguata.

2. Tönnies: comunità e società! Ferdinand Tönnies (1855-1936) nacque nella campagna dello Schleswig-Holstein, prese il dottorato a Tübingen nel 1877 e entrò nell’università di Kiel; ottenne una cattedra in economia nel 1913. Dal 1909 al 1933 fu presidente della società tedesca di sociologia, da lui fondata insieme a Simmel, Sombart e Weber. L’opera per cui è più noto è Comunità e società del 1887. Egli afferma che i concetti che spiegano la realtà devono provenire dalla ragione e che la scienza procede attraverso la costruzione di casi fittizi o casi ideali; comunità e società sono due costruzioni ideali. La comunità è una realtà naturale; vi si partecipa immedesimandosi in essa; è un insieme di sentimenti comuni sulla base dei quali i suoi membri rimangono uniti. All’origine della comunità vi è l’unità di sangue; il rapporto tra padri è figli è il più completo in quanto al legame affettivo si unisce il principio di autorità fondato sull’esigenza dell’educazione. Nella società invece gli individui sono uniti contrattualmente ed in essa vige l’individualismo: le attività comuni dipendono dalla possibilità dei singoli di ricavare un utile. Sorge il denaro come valore fittizio. In questa società borghese commercianti e usurai possono guadagnare senza produrre nulla. Marx individua i processi economici come responsabili del passaggio da comunità a società, mentre Tönnies parla di due diverse forme di volontà che

sottostanno alle due forme di associazioni: la volontà essenziale (istinto, forza vitale) e la volontà arbitraria (relativa non alla vita in generale, ma solo al suo autore individuale). Si distinguono tre forme di volontà arbitraria: deliberazione (permette di distinguere i mezzi dai fini), discrezione (scelta dello scopo) e concetto (dà senso alla molteplicità dell’esperienza attraverso schemi di riferimento e giudizi di valore). La volontà arbitraria si risolve nella lotta per il denaro. Tönnies è sempre incerto nel definire se comunità e società siano due fasi di un processo storico che si alternano o due forme di vita che possono prevalere l’una sull’altra. Tönnies critica aspramente la società capitalistica, nella quale anche le arti vengono sfruttate. Anche se Tönnies afferma che la lotta di classe può distruggere la società e ricreare una cultura nuova, non è da Marx che attinge, bensì, sostenendo la forza soggettiva ed irrazionale della volontà di vita, riprende più che altro Schopenhauer.

3. Simmel e la cultura metropolitana! Georg Simmel (1858-1918) nacque a Berlino e frequentò l’università della capitale, diventando successivamente insegnante. Ottenne il dottorato con una tesi sulla monologia fisica di Kant e insegnò anche a Strasburgo. Quella di Simmel è una sociologia formale, nel senso che cerca le forme dei rapporti che rimangono invariate nonostante i contenuti storici diversi (viene infatti ritenuta una sociologia astorica). Egli dedica particolare attenzione all’industrializzazione e all’urbanizzazione. In un periodo in cui la corrente liberale è indebolita dal nascente movimento operaio, Simmel resta comunque un individualista legato a ideali di libertà individuale, pur comunque influenzato dal socialismo e dall’imperialismo. Simmel si interessa alla guerra quando la Germania entra nella Prima Guerra Mondiale e identifica essa come un episodio legato alla crisi generale della cultura del suo tempo. Agli inizi della sua carriera Simmel risentì della psicologia dei popoli, che sosteneva la necessità del superamento della psicologia individuale in quanto l’uomo va compreso come essere sociale; da Steinthal e Lazarus appende invece che gli individui con la loro attività comune creano la realtà oggettiva delle forme culturali. Simmel dedica un’opera alla differenziazione sociale, che discende dall’evoluzionismo di Darwin e di Spencer; tuttavia rimarca come per lui nessuna scienza consista di meri fatti oggettivi, ma ognuna sia figlia di un’interpretazione, una tesi figlia dello storicismo tedesco e della filosofia kantiana. Simmel, inoltre, è profondamente influenzato dai rapporti nella società capitalistica trattati dal marxismo, ma ne rifiuta la filosofia della storia; in linea con Kant, Simmel sostiene che è la nostra mente a fornire le categorie che rendono possibile la conoscenza, compresa quella storica. L’influenza di Schopenhauer e Nietzsche, infine, lo rende aperto alla filosofia della vita.

4. Simmel: la differenziazione sociale! La differenziazione sociale (1890) è la prima opera sociologica di rilievo di Simmel. Nel primo capitolo afferma che la sociologia rielabora risultati già raggiunti da altre scienze quali storiografia, antropologia e simili. La differenza è che quello che per queste scienze è un risultato, per la sociologia è un punto di partenza. La sociologia secondo Simmel si trova nell’impossibilità di individuare leggi intese come cause uniche. Ogni effetto può essere visto come il risultato di una molteplicità di cause e può a sua volta causare una molteplicità di effetti. Si passa poi ad affrontare il problema di realtà sociale: non è né una realtà autonoma rispetto agli individui, né una somma di individui. L’unità della società è intesa come interazione tra le sue parti e Simmel aggiunge che l’interazione porta alla formazione di entità oggettive che hanno una loro autonomia rispetto ai singoli. Per quanto riguarda la differenziazione, Simmel afferma che nelle società primitive con scarsa differenziazione interna, ad esempio, il crimine è visto non come opera del singolo, quanto del gruppo; con l’aumento della differenziazione, il colpevole è più facilmente individuato con un individuo. Con la differenziazione l’individuo appare come un incrociarsi di una serie di interrelazioni sociali e si crea così anche il problema della responsabilità: l’azione di un individuo è colta in una rete di rapporti sociali. Originariamente si aveva un crimine considerato di gruppo, poi si è passati ad un

crimine legato ad un singolo ed infine ad un crimine legato ai condizionamenti sociali dell’individuo che lo compie. Per quanto riguarda il gruppo, più esso è ampio, meno forti si fanno i legami tra di essi e i suoi membri. Simmel ha una visione aristocratica delle classi sociali più elevate: esse sono le meno numerose perché l’innovazione è opera di pochi. Quest’opera di Simmel si distacca quindi dal positivismo; rifiuta le correnti positiviste nell’opera Problemi di filosofia della storia (1892). Per Simmel non vi è accadimento storico che non possa essere ricondotto alla filosofia degli individui. La percezione storica è limitata al singolo studioso; la storiografia non giunge ad una conoscenza oggettiva.

5. Simmel: la filosofia del denaro e la vita metropolitana! Nella Filosofia del denaro (1900) Simmel critica l’idea, presente anche in Marx, secondo cui è il tempo di lavoro medio necessario per produrre una merce a stabilirne il valore. È lo scambio, invece, a stabilire il valore della merce; la scarsità dei beni non rientra nelle categorie che concorrono a determinare il lavoro di una merce. Così come gli oggetti acquistano valore in rapporto con altri oggetti, le idee acquistano senso in rapporto con idee diverse. Il denaro è il valore delle cose senza le cose stesse, rappresenta per Simmel la forma più pura dell’interazione. Nell’opera Simmel propone anche un’analisi storica di come il denaro si sia sviluppato ed evoluto nella storia. Si parla anche di finalità del denaro, che sono limitate quando il denaro è poco ed effettivamente illimitate quando il denaro è tanto. Un’altra possibile conseguenza della presenza del denaro è che essa venga ad essere considerato come fine; Simmel afferma che perfino la povertà ascetica dipende dal denaro: gli asceti nella loro esistenza riconoscono nel denaro il male peggiore. La libertà aumenta quando si giunge all’obbligazione in denaro, perché è possibile esercitare la professione che si preferisce; tuttavia, i rapporti sono sempre più impersonali. L’uomo può addirittura scomparire in un’economia monetaria. Il mondo lascia da parte il sentimento e diventa un enorme problema matematico: tutti sono concentrati sul denaro. È la specializzazione del lavoro che determina l’impossibilità di ottenere quanto è necessario e richiede il denaro come strumento. La divisione del lavoro comporta anche la burocratizzazione e la meccanizzazione. Anche la cultura diventa secondaria, perché nessuno ha più la possibilità di dedicarsi completamente ad essa. Il consumo perde il suo carattere originario: con la produzione di massa che sostituisce la produzione su ordinazione, non è più possibile una scelta individuale del prodotto. Nel saggio La metropoli e la vita mentale (1903) Simmel riprende il tema dei rapporti umani che divengono basati principalmente sulle interazioni economiche, specie nelle metropoli. Tuttavia è proprio la metropoli che può fornire all’individuo gli stimoli per sviluppare la personalità ed opporsi al processo disindividualizzazione portato dall’economia. Davanti agli stimoli della metropoli l’individuo avverte la propria personalità come insufficientemente sviluppata.

6. Simmel: la sociologia formale! Per definire i fondamenti sui quali sia possibile una sociologia come disciplina indipendente, Simmel sostiene che la sociologia studia le forme pure dello stare insieme, studia le forme di interazione tra individui. Questa scienza deve porsi come obiettivo l’individuazione delle forme elementari di interazione senza le quali le realtà macroscopiche non potrebbero esistere. Mantenendo l’eredità di Kant, Simmel si mette alla ricerca delle categorie conoscitive della sociologia, ovvero quelle categorie senza le quali la società non potrebbe esistere. L’uomo coglie altro solo attraverso tipi generali. Una società può esistere solo come insieme di elementi differenziati, ognuno dei quali occupa una posizione particolare. In Soziologie (1908), Simmel sostiene che il valore quantitativo del gruppo ne determina le caratteristiche; lo straniero, ad esempio, non è colui che viene da lontano, ma semplicemente colui che arriva dal di fuori. L’individuo, per essere creativo, deve liberarsi dalle forme in cui è intrappolato, dai rapporti prestabiliti. Lukács critica Simmel di opporsi a qualcosa di astratto, non a sistemi politici ed economici definiti.

Metodologia e problemi sociali: Max Weber 1. Premessa! Max Weber (1864-1920) nacque a Erfurt, studiò a Berlino e a Heidelberg e ottenne nel 1889 il dottorato a Gottinga. Iniziò nel 1890 la carriera politica prima nel periodo cristiano sociale, poi dopo la scissione aderì alla corrente di sinistra. Nel 1894 fu docente di economia politica a Friburgo, nel 1896 a Heidelberg. Tra 1897 e il 1901 soffrì di una grave forma di depressione psichica. Ricominciò a scrivere nel 1901 e divenne direttore nel 1904 di una rivista in cui pubblicò i suoi scritti. La morte lo colse quando Economia e società, la sua opera più impegnativa, doveva ancora giungere al termine.

2. La relazione con i valori e i giudizi di valore! Dilthey aveva distinto le scienze della natura dalle scienze dello spirito; Windelband aveva distinto le scienze in nomotetiche e idiografiche a seconda che studino i fenomeni secondo leggi determinate o nella loro singolarità; Rickert aveva asserito la necessità del riferimento a una scala di valori universali per orientarsi nella molteplicità degli eventi storico-sociali. Weber muove dal punto di vista di Windelband e Rickert affermando che senza una selezione dall’infinità di tutto ciò che accade nel mondo, la conoscenza è impossibile. La conoscenza è possibile solo in relazione a una scala di valori; Weber, tuttavia, non accetta il carattere di universalità che i valori dovevano avere. I valori sono relativi; la relazione con essi è inevitabile. Vi è sempre una pluralità di modi di conoscere la realtà perché sono possibili riferimenti a schemi valutavi diversi l’uno dall’altro. La realtà appare sempre come mediata culturalmente, in quanto la cultura permette di selezionare alcuni aspetti di una realtà infinita attraverso l’attribuzione di significati specifici. Weber afferma che le leggi nelle scienze storico-sociali sono ipotetiche e il loro compito è quello di chiarire i casi particolari, non di esaurirli. Quando si esamina un caso particolare, può essere utile cercare di individuare connessioni causali espresse in forma di regole. Poiché le cause sono infinite, non vi è alcuna possibilità di esaurire la comprensione di un fenomeno storico-sociale attraverso l’individuazione delle cause. Le scienze storico-sociali trattano di fenomeni culturali nelle loro configurazioni storiche specifiche, nei confronti dei quali non è sufficiente individuarne le relazioni quantitative. Secondo Weber le scienze sociali non possono dare alcuna indicazione pratica circa le scelte da compiere in politica. La scienza considera le scelte politiche solo dal punto di vista della loro efficacia e dal punto di vista della coerenza interna del processo attraverso cui si è giunti a essi. Poiché chi agisce può non essere consapevole delle mete, la scienza può portare alla conoscenza di questo nesso tra azione e scopo.

3. La rilevanza politica del discorso metodologico! Weber insiste sull’impossibilità da parte della scienza di sindacare i giudizi di valore. La scienza deve fare proprio il principio dell’avalutatività; essa può al massimo giudicare l’efficienza di fronte alle mete che si vogliono raggiungere. Weber non rimprovera al marxismo l’analisi che ha compiuto del capitalismo. Egli sostiene che l’analisi dei fenomeni sociali dal punto di vista della loro portata economica possa ancora rimanere prevedibile. Weber critica piuttosto la pretesa da parte della concezione materialistica della storia di esaurire nella spiegazione economica tutta la storia. Weber riduce il marxismo ad un punto di vista. Il discorso sui principi metodologici della sua sociologia non sembra sufficiente, ove non sia integrato dal discorso politico.

4. Il tipo ideale! Con la sua asserzione secondo la quale non sono possibili scienza e conoscenza senza una selezione fondata su una relazione con i valori, Weber si trova nella necessità di indicare quali possibilità di essere oggettive rimangono alle scienze storico-sociali; l’oggettività va ricercata nel metodo. Qualsiasi fenomeno storico-sociale è il risultato di un intrecciarsi di concause, ma è possibile accentuarne un suo fattore specifico, che in concreto non si trova mai allo stato puro e

isolato, e costruire sulla sua base un modello che serva all’interpretazione della realtà in questione. È questo il tipo ideale, lo strumento che garantisce l’oggettività della ricerca. Esso è l’estrapolazione dalla realtà storico-sociale di un suo tratto, l’accentuazione dei momenti essenziali di tale tratto e la formazione di un modello, sulla base di esso, che serva per l’interpretazione della realtà. Il tipo ideale, nelle parole dello stesso Weber, ha il significato di un concetto limite ideale a cui la realtà deve essere comparata.

5. La ricerca storico-sociologica! Nelle sue ricerche L’oggettività conoscitiva delle scienze sociali e della politica sociale (1904) e, soprattutto, in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905), Weber applica i principi metodologici prima enunciati. Il fatto che l’interesse di Weber cada sul capitalismo e che egli cerchi di dare una spiegazione diversa da quella di Marx, non è privo di significato politico. Weber afferma che il capitalismo è un fenomeno storicamente specifico che va distinto dalla volontà di sopraffazione economica. È fondato sul calcolo razionale al fine di un guadagno sempre rinnovato. Tale calcolo richiede il libero scambio, il lavoro formalmente libero. Weber afferma inoltre che la sete di lucro non ha di perse stessa nulla in comune con il capitalismo e che bisogna abbandonare questa ingenua definizione. Il capitalismo, per l’autore, va infatti identificato come un disciplinamento di essa, una tendenza al guadagno in una razionale impresa capitalistica. Il lavoro è formalmente libero perché categorie giuridicamente vincolate non consentirebbero la piena razionalità dell’impresa al guadagno. Questo aspetto comporta il sorgere delle classi sociali contrapposte dei capitalisti e dei proletari. Weber ricerca quei presupposti culturali senza il quale il capitalismo non si sarebbe potuto sviluppare. Li trova nell’etica protestante e puritana, che comporta l’inutilità dell’attività individuale e la sottomissione totale alla volontà divina. La capacità di guadagno ai fini del reinvestimento diventa quindi l’unico segno esteriore della predestinazione alla salvezza. Weber cerca quindi una correlazione tra etica protestante e spirito del capitalismo, il quale mantiene la sua efficacia vincolante nei confronti dei singoli anche una volta scomparse le origini religiose del fenomeno. Secondo Weber la spiegazione data dal materialismo storico circa le origini del capitalismo è comunque legittima; la sua non è una pretesa di porsi come unica spiegazione corretta, poiché lo stesso fenomeno può essere studiato con pari legittimità da una pluralità di punti di vista. Weber vuole dimostrare la relatività della spiegazione marxista.

6. L’azione dotata di senso, l’azione sociale e la relazione sociale! In Economia e società l’autore avverte l’esigenza di tornare sui problemi metodologici. Egli distingue tra azione, azione sociale e relazione sociale. L’azione è tale solo in quanto è dotata di senso, ha una motivazione individuale; si ha azione sociale quando ...


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