Didattica della letteratura - I Promessi Sposi PDF

Title Didattica della letteratura - I Promessi Sposi
Author Sofia Gianfaldoni
Course Didattica della letteratura - Prof.ssa Brogi
Institution Università per Stranieri di Siena
Pages 5
File Size 67 KB
File Type PDF
Total Downloads 69
Total Views 118

Summary

Programma intero sull'insegnamento nelle scuole del romanzo dei Promessi Sposi...


Description

DIDATTICA DELLA LETTERATURA Lezione 13° Martedì 15 dicembre ci saranno due ricercatori della Stranieri, Caterina Vannini e Orlando Paris, che stanno facendo una ricerca interessante su come la street art stia affrontando il discorso covid. Ci avviciniamo al punto del romanzo in cui si parla della peste. A volte, anche per ragioni antropologiche, che hanno a che fare col bisogno di sopravvivere, si fanno tante cose, tra cui elaborare un racconto, come ci mostrano alcune grandi cattedrali del racconto, come il Decameron o Le Mille e una notte. Col rischio della perdita, si riesce a scrivere un racconto efficace, che può arrivare anche molto tempo dopo. Alla paura di morire si unisce il trauma, e quando c’è un trauma, le opere mostrano eccezionalmente la paura e l’animo umano. La produzione di narrazioni salva la vita, e altre volte nasconde la realtà. I PS, rispetto a questa situazione di emergenza circostante, ci offre tante possibilità di lettura; alcune riguardano proprio il bisogno di rimuovere, che può significare che, se guardiamo un tg, in questo momento il problema più impellente sembra che sia quanti saremo a tavola a Natala; è un modo retorico di coprire responsabilità e di allontanare la paura. È un modo superstizioso. Laddove c’è paura, cresce anche la visionarietà: come ben sappiamo, quando siamo preoccupati per qualcosa, dio non voglia che ci si svegli di notte, perché nel buio tutto è gigantesco. Proprio perché non vediamo nulla, si attiva l’elaborazione di situazioni reali che ci tolgono il fiato e il sonno. Ma ripartiamo dal punto dei PS. Adesso vediamo l’osteria in cui Renzo trova riparo dopo l’assalto e il tentativo di linciaggio del vicario, e dopo che gli si è affiancata la spia che cerca di estorcergli la verità accanto all’immagine del capitolo vediamo l’osteria più famosa di Caravaggio, nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, che è di vitale importanza perché è la cappella dove sono affrescate sulle pareti di fondo la Vocazione e il Martirio di San Matteo. In questo dettaglio si vede proprio una situazione da taverna, con dadi e soldi, oggetti ritrovati anche sul tavolo del romanzo, e arriva Cristo insieme a Pietro. Chiamano Adamo. La lama di luce che illumina Matteo è chiamata “Vocazione”. Un dato apparentemente sconcertante per chi guardò questi affreschi per la prima volta, è il fatto che qui abbiamo Cristo e S. Pietro vestiti con abiti che raffigurano quelli che dovevano essere i costumi dell’età di Cristo, mentre le persone sedute al tavolo hanno abiti secenteschi. Caravaggio usa contaminazione fra contemporaneità e verità sacre. Dio viene portato anche nelle taverne, perché anche lì può arrivare la vocazione. Per questo conta molto la vista, lo sguardo. Le scene creano la situazione spettatoriale, come faceva la canestra di frutta a bordo tavolo. Caravaggio riproduce l’istante drammatico in cui avviene un qualcosa, l’attimo esatto del “prima”. Le scene si svolgono in un periodo su per giù identico a quello caravaggesco. La notte dell’11 novembre 1628. Gli interni di osteria sono straordinariamente raccontati dalla scrittura, che punta al chiaroscuro e alle illuminazioni di candela, e sono raffigurate benissimo anche nelle illustrazioni. Renzo comincia a bere, e bevendo sempre di più si ubriaca, perde il controllo. La spia che gli sta di fronte cerca di capire come si chiami, mentre l’oste cerca di fare in modo di non andarci di mezzo, perché potrebbe essere denunciato anche lui. L’osteria non è la prima osteria che si incontra nei PS: il romanzo riattiva anche i moduli del romanzo picaresco, e l’osteria è un luogo tipico, generalmente lo spazio dove si trova Renzo, perché lui più di tutti fa risuonare le caratteristiche del genere picaresco. Abbiamo parlato dei cronòtopi come spazi su cui si può ragionare. L’osteria si trova come cronòtopo laddove abbiamo narrazioni legate al “basso”, come il pub o il saloon. L’osteria è sulla strada, e vi entrano persone diverse, pellegrini, vagabondi,

provenienti da u +n fuori, che arrivando da fuori portano le storie degli eventi che avvengono. Le storie vengono buttate sul tavolo, e spesso riprese, storpiate, travestite, deformate. L’osteria è il luogo della polifonia e della compresenza. È il luogo delle molte lingue, nel senso di linguaggi e di diversi tipi umani. Nei capitoli successivi, quando Renzo scappa da Milano, si ferma in altre due osterie: in una di queste arriva, mentre sta mangiando, un mercante di stoffe da Milano, che ce l’ha contro la popolazione che è insorta. È un forcaiolo, che spera che i responsabili vengano impiccati. Racconta dunque tutta la vicenda del vicario attraverso la sua ideologia, che deforma i fatti. L’osteria è un mondo dai confini labili, dove entrano moltissimi discorsi e moltissima narrativa. L’osteria è uno dei cronòtopi più apprezzati dal romanzo. Ma anche il tempo è di confine, oltre che lo spazio. L’osteria è il posto dove il senso del tempo si arresta, perché il mondo delle regole viene sospeso. Possono attuarsi anche qua delle situazioni carnevalesche. Renzo si fa quasi arringatore, e gli altri ubriachi gli danno quasi ragione. Questo fino a quando la spia non riesce a capire come si chiama: a quel punto può denunciare Renzo. Renzo è sempre più sconvolto. La spia se ne va. A un certo punto l’oste decide di portarlo a letto, mentre Renzo sta farneticando e dice cose sconnesse. Siamo all’inizio del XV capitolo. L’oste gli dà l’aiuto richiesto. Lo spoglia e gli stende la coperta addosso. Che cosa si intende con l’aggettivo “prosaico”? La prosa è quello stile che “non va mai a capo”, ma a livello del linguaggio corrente, una situazione prosaica è bassa, volgare, non raffinata. In questo oste, che intanto mette Renzo a letto, si porta dentro il romanzo una scena che più prosaica non si potrebbe. La brutale realtà di questa scena ha creato shock presso i contemporanei di Manzoni, anche se alcuni condividevano questo tipo di esperienza. Era comunque una situazione aliena ed estranea a molti dei suoi colleghi, e una scena di un protagonista che russa, ubriaco, messo a letto dall’oste, è una scena che all’interno della letteratura italiana non era mai entrata. Ma la scrittura fa qualcosa di più, qualcosa di ironico; l’oste fa una cosa strana: illumina Renzo con la candela, perché era curioso di guardarlo. Ferma lo sguardo su qualcosa che non vorrebbe guardare, ma che lo attira. Ma che cosa lo attira? Che cosa ci attira? È ciò che si chiede anche Manzoni. È un’attrazione perversa, per cui le cose meno ci piacciono, e più le guardiamo: vogliamo solo entrare in contatto con qualcosa di oscuro. È lo stesso motivo per cui l’oste guarda questo suo ospite così “noioso”, da intendere non come noia, ma come “angoscia”, riferita a qualcosa che ci ingombra. Allora, l’oste lo contempla alzandogli il lume sul viso, facendogli riflettere la luce sopra. È lo stesso attimo con cui viene dipinta Psiche mentre esplora le forme del marito. Questa situazione, l’illustrazione, e quello che viene detto, serve a capire meglio il tipo di operazione che fa Manzoni scrivendo un romanzo, e lo scandalo/provocazione che lancia alla società letteraria circostante. Chi era Psiche? E perché viene paragonata all’oste che accompagna Renzo, senza sensi e ubriaco, a letto? Più bassa realtà di questa non ci può essere, ma il testo paragona questa scena a quella che era una delle scene più contemplate, quella fra Amore e Psiche, perché abbiamo a che fare con un mito della letteratura latina. La favola di Amore e Psiche era, ed è tutt’oggi, una delle favole più belle che ci siano. Il mito, appartenente alle Metamorfosi di Ovidio, scritto in latino e che tratta di metamorfosi e trasformazioni, parla di una ragazza bellissima, Psiche, talmente bella da suscitare la gelosia di Venere. Per punirla, la dea la punisce facendola innamorare di suo figlio, Eros, cupido,

che viene ritratto con l’arco e la freccia. Alcune versioni del mito riportano che Cupido, mentre scocca la freccia, si colpisce e si innamora anche lui. L’amore tra i due è talmente intenso che, come vediamo anche nella statua, fa contorcere Psiche in posizioni innaturali. È una posizione delle baccanti, con le braccia estatiche. Facciamo una piccola parentesi di genere, per raccontare come, nella gran parte delle raffigurazioni, le donne siano messe nelle posizioni più sdraiate e vulnerabili possibile. Ma la posa è bellissima, in questo gruppo scultoreo. È un esempio di quanto la cultura classica e l’imitazione dei classici, e l’idea che letteratura ed arte dovessero imitare i classici fosse fondata. Manzoni però è romantico, non classicista. Ha pubblicamente scritto che è giunto il momento che la letteratura si avvicini di più alla realtà. La favola di Amore e Psiche, in sé, è straordinaria, perché il mito dice che Eros, a sua volta innamorato di Psiche, scongiura Psiche di non essere mai guardato. Psiche non deve mai guardarlo in viso, e lei lo fa. È chiaramente una potentissima metafora. Psiche non deve guarda l’Amore negli occhi, o l’incanto e il piacere svaniranno. Nell’innamoramento, più sei cieco e più sei felice, e per questo ci si abbandona all’estasi. Le sorelle di Psiche la pungolano, facendole venire voglia di guardarlo. Ma una notte, Psiche lo illumina con la lanterna. Una goccia d’olio cade sulla sua faccia, lo brucia e lo sveglia. Amore la caccia, e Psiche dovrà passare molte sfide per essere riaccolta da lui. I due possono stare insieme solo attraverso quello che è una formazione faticosa, specie da parte di Psiche. Facciamo un passo indietro, tornando a Canova, che scolpisce questo manifesto del classicismo. Manzoni prende questo manifesto e lo fa entrare nella stanza di un contadino analfabeta ubriaco, che si addormenta russando e che viene portato in camera da un oste. Ma chi può decifrare questo rimando? Sicuramente il pubblico elitario, a cui l’autore spara in faccia la distruzione della serietà della mitologia. Parallelismo anche con Hugo e Dickens. È una umanità che fino all’affermazione del romanzo ottocentesco era entrata dentro la letteratura solo come figura caratteristica, o come comparsa. Ad un certo punto compaiono bambini straccioni, spaventati e spaventosi. Il grande eventi traumatico che fa spazio a questi nuovi soggetti è la Rivoluzione francese, che fa saltare le gerarchie dell’Ancien Régime, portando in primo piano la borghesia e il popolo. La madre che Renzo vede, quasi trasformata in bestia, è il simbolo di un popolo che fa paura; è un popolo capace anche di gesti estremamente sanguinarie. La mattina dopo Renzo scappa. riesce ad uscire dalla città e prende la strada dei campi, in quanto fuorilegge, si ferma in due osterie, iniziando il suo percorso di fuga. Il suo scopo è raggiungere il prima possibile il confine dello stato di Milano. Intende che se verrà presso, verrà impiccato. Siamo all’inizio del capitolo XVII, e Renzo continua la sua fuga. Arriva la notte, e che cosa ha capito di dover fare Renzo? Capisce, arrivato a Gorgonzola, che per uscire dal Ducato di Milano e arrivare nella Repubblica di Venezia, vale a dire Bergamo, che equivale a trovare il cugino Bartolo, che deve attraversare l’Adda. Sul personaggio Renzo dobbiamo dire che si tratta di un personaggio attivo, dinamico, sempre in movimento, che può diventare oggetto di dibattito e che può dare spunti di discussioni. Vi si possono identificare molti tipi di persone. Nel campo dell’immigrazione, ad esempio. i personaggi come Renzo non possono conquistare una posizione si soggetti, perché non possiedono la lingua e non possiedono gli usi. La subalternità è simbolica, politica, sociale e linguistica. Renzo adesso è lungo un corso d’acqua, e clandestinamente deve attraversare il fiume. Renzo deve procedere attraversando il bosco, e la parte del XVII capitolo dedicata al racconto del percorso, è

molto interessante perché nella narrazione dell’attraversamento del bosco agiscono una serie di elementi che riattivano un immaginario popolare, cristiano, fiabesco, oltre ad un sistema antropologico profondo. Il bosco, secondo Jung, allievo di Freud, è l’inconscio. Il bosco è il luogo di perdita delle sovrastrutture, ed è un cronòtopo; è un tema profondo, ed esiste in tutte le culture come spazio-tempo di attraversamento per i riti di iniziazione. Riuscire ad attraversare un bosco sia in senso fisico che metaforico, vale a dire intraprendere un’avventura di elaborazione di parti di sé, che poi, una volta attraversata la selva, faranno sì che questa foresta così spaventosa che si è passata diventi solo un ricordo. Anche il bosco di Cappuccetto Rosso è pericoloso, ma lei sopravvive. Dove ci sono delle foreste, ci sono altri mondi da attraversare, e per questo tipo di esperienza la lettura del capitolo XVII è vitale: sia dal punto dei riferimento tematici e contenutistici, sia dal punto di vista lessicale. Un modulo che troviamo spesso in questo punto è “cammina cammina…”. Dove c’è ripetizione, c’è sempre un bisogno affettivo e narrativo. È la circolarità, che provoca il bisogno. Le fiabe fanno questo, in quanto testi sia orali che scritti, sono mondi rotondi, che alla fine si riassestano. Il circolo si preserva. La ripetitività diventa quasi rassicurante, come quando cantiamo una ninna nanna. La ripetizione rilassa. La ripetizione è rassicurazione e pensiero magico. Il mondo in cui sta entrando Renzo, quando cerca l’Adda, il confine, è un modulo ricorsivo fiabesco. Noi troveremo delle ripetizioni. Che cosa succede a Renzo? Si inoltra sempre di più nel bosco, e si inscena un dialogo contro il mercante che all’osteria aveva parlato così male dei capo-popolo, e lui in cuor suo cerca di spiegare che questa lettera che aveva addosso era una lettera fra cappuccini, non una fake news come si poteva pensare. Dopo qualche tempo, la civiltà era sempre più lontana, e Renzo si inoltra. Viene chiamato “pellegrino” perché Manzoni è massimamente attento a riprodurre un cosmo in cui i nomi rimandano esattamente a quello che facevano le persone nel ‘600. Quel territorio vedeva moltissimi pellegrini passare per andare in pellegrinaggio a Santiago o a Roma. La paura di essere scoperto non lo affliggeva più, ma aveva paura delle tenebre. La brezza della notte, di un 11 novembre, si sente. Quando si avvicinava a qualche paese, cercava di capire se ci fosse qualche uscio aperto, ma vedeva solo delle lucette. Il testo sta creando una situazione progressiva lontananza, ma anche di esclusione da quel mondo in cui le persone vanno a dormire. Si racconta il freddo dell’anima che può provare qualcuno che vede che tutti gli altri hanno una casa mentre tutti gli altri sono al caldo. Non sentiva nemmeno l’Adda, ma solo un mugolio di cani. In realtà era un abbaiare feroce e rabbioso, quasi da sentirsi i cani vicino. Si sentiva respinto da tutti. La sua psicologia è la fragilità del clandestino, che non pensa che una persona onesta possa trovare rifugio, e per questo nemmeno domanda. La ripetizione crea anche un ritmo narrativo importante, finchè Renzo non arriva alla fine dei campi coltivati. La paura del viaggio aumentava di pari passo alla selvaticità del luogo. Nella sua mente si palesavano delle immagini brutte, perché si trova in un posto senza coordinate, tanto da fargli venire in mente delle scene da novella che gli venivano raccontate da bambino. Questa è l’angoscia dell’infanzia. Gli vengono in mente situazioni fantasmatiche, e quindi mentre camminava diceva delle preghiere per i morti. C’è una straordinaria terminologia sul mondo delle piante e sulla botanica, perché Manzoni era un grande appassionato di botanica. Quando Renzo entra nel bosco ha paura, ma poi la vince e prosegue. Più la paura cresceva, più lui andava avanti. Gli alberi che vedeva da lontano lo angosciavano talmente tanto che travisava completamente le loro figure. Il mondo a cui appartiene Manzoni è un mondo pittorico,

in cui vengono prodotti i più grandi capolavori che parlano della luna e del chiaro di luna. Da quanta paura aveva, sente pesare la propria persona, e non sa se il corpo gli regge. Il freddo lo sente nelle ossa “rotte dalla stanchezza”. Quest’orrore indefinito, tra freddo ed ansia, sembra che lo soverchi; è il momento di massima crisi. Renzo è atterrito dal suo terrore, è nel panico. Il panico arriva quando si ha paura della propria paura. Renzo fa una specie di rito, richiamando al cuore gli antichi spiriti, e comandò loro di aiutarlo a reggere. Si crea una stanza interiore da cui far riemergere le energie che ti possano far reagire. Quindi, rincuorato dal rito, si fermò su due piedi per tornare indietro a cercare aiuto. Vuole tornare indietro, perché avanti non può più andare. In quel punto, sospeso il fruscìo delle foglie, sente il rumore dell’acqua dell’Adda. Un mormorio d’acqua corrente. Il triplice passo lessicale di mormorio, evidenza i suo stare in ascolto. Allora diventa di nuovo sicuro di quello che sta facendo. Il bosco lo ha attraversato, e questo gli è valso metaforicamente come “percorso esorcizzante di sopravvivenza al terrore”. Infatti, arriva sulla riva e intravede le abitazioni di una città che doveva essere Bergamo. Ma ora è tardi per attraversare il fiume, e Renzo inizia a ragionare fermamente, lucidamente, da adulto. Man mano che si riallontana dalla città e avendo recuperato le sue coordinate, trova una capanna e decide di mettersi a dormire. Prima di sdraiarsi però si inginocchia, e fa un rito di ringraziamento alla Provvidenza. Una volta pregato, dorme. Nella sua memoria e fantasia andavano e venivano le genti. Ancora gli passano davanti delle persone e delle situazioni, e non si sa se li stia sognando oppure no. ci sono due immagini che gli vengono in mente in maniera struggente: Lucia, Agnese e Padre Cristoforo. Finalmente arriva l’alba; Renzo arriva nel punto in cui passano dei pescatori, che clandestinamente si offrivano di farlo traversare. Bergamo prima faceva parte della Repubblica di Venezia. Renzo è esploso dalla rabbia e dal dolore, maledicendo la sua patria. Arriva in questo nuovo paese, si trova a fare un conto delle poche monete che gli sono rimaste, entra in un’osteria per mangiare, e nell’uscire vide due donne sdraiate in terra, una giovane con un bambino, e l’altra più vecchia, tutti del colore della morte. Renzo dà loro del denaro. La Provvidenza c’era. I PS è un grande romanzo dedicato alle opere di misericordia. Questo va detto in senso culturale, non religioso. Le opere di misericordia, dopo la Controriforma, sono le opere di misericordia corporale che ogni cristiano dovrebbe fare, raccontate anche da Caravaggio in “Sette Opere di Misericordia”. Così si dovrebbe fare per essere coerenti al messaggio cristiano. Nei PS ci sono un sacco di situazioni che rimandano alle opere di misericordia, una come quella che abbiamo visto, e altre durante la peste. Nel romanzo c’è questo tipo di tessitura. Ci serve per guardare l’opera come profondamente appartenente ad una cultura che ci mostra il mondo che viene messo in scena come “mondo di Federigo Borromeo”....


Similar Free PDFs