Discorso funebre di pericle PDF

Title Discorso funebre di pericle
Course Storia greca
Institution Università degli Studi di Milano
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epitaffio pericle...


Description

INTRODUZIONE Par. 34 - Pericle si avvia alla tribuna per parlare  

Pericle è stato scelto per la sua intelligenza e alta reputazione. Rituale di 3 giorni

Par. 35 – La celebrazione dei caduti  

Exordium fitto di topoi retorici → falsa modestia, inadeguatezza dell’oratore. Quelli che lo hanno preceduto hanno elogiato chi ha intodotto la pratica dell’orazione nel cerimoniale funebre; egli preferisce onorare gli uomini valenti.

Par. 36 – l’elogio de passato glorioso di Atene 





Preterizione: non vuole parlare degli antenati, che hanno sempre abitato questa terra → autoctonia: topos tradizionale nell’esaltazione di Atene vs Sparta, che non era autoctona ed era nata con la migrazione dorica. Connessione tra autoctonia e libertà: gli ateniesi non hanno mai dovuto liberarsi dalle oppressioni e non hanno mai subito invasioni, quindi conoscono bene cosa sia la libertà e quanto sia cara. “noi” abbiamo assicurato la completa indipendenza della nostra città sia in pace che in guerra, e abbiamo procurato la massima espansione delll’impero → no laudactio temporis acti: non c’è concetto di decadenza, pessimismo, atteggiamento conservatore; la demorazia introduce ottimismo e progressismo. Questo concetto si ricollega all’imperialismo di Atene promosso da Pericle. Richiamo alle guerre persiane (499-479 aC); presentate come una guerra difensiva, non offensiva. Topos usato per elogiare Atene → in Grecia mito di Atene che aveva salvato l’Ellade dai barbari.

ELOGIO DI ATENE Par 37 – i pregi della costituzione ateniese   





La loro forma di governo è imitata, è un modello Democrazia = amministrazione in mano non a pochi, ma allà maggioranza Concetto di isonomia = uguaglianza di fronte alla legge per tutti → “tutti” = élite privilegiata di uomini (1%). La legge non era una limitazione della libertà per l'uomo, ma la condizione per cui l'uomo potesse essere libero. Platone: “preferisco morire che non rispettare la legge”; Aristotele: “l'uomo senza leggi è il peggiore degli animali”. L’accesso alle cariche pubbliche è dato non dall’appartenenza a un ceto sociale, ma dal valore, dal merito personale; la povertà non limita le possibilità del singolo di fare un servizio allo stato. L’ingiustizia porta il disonore; obbediscono alle autorità e alle leggi, scritte e non scritte. Concetto di timè, espressione dell'onore greco e del senso dell'onore dell'eroe omerico. L'onore nel mondo classico greco si riceve in base al proprio valore (ἀ ρετή); un cittadino senza timè è inferiore a un plebeo. Cultura della vergogna: questa espressione fu coniata da Ruth Benedict in relazione alla cultura giapponese, e fu poi applicata da E. R. Dodds, nell'opera I

Greci e l'irrazionale, al modello sociale su cui si basa la civiltà omerica. Infatti i grandi eroi, quali Achilleo Agamennone, non si sentivano realizzati sapendo nella propria coscienza di essere gloriosi, e pieni di onori, ma dovevano sentirsi considerati tali dagli altri del gruppo. Solo in questo modo sapevano di "esistere". Appare quindi ovvio capire che non bastava il sentimento interiore, ma il giudizio degli altri. Nel caso in cui un eroe avesse perso la pubblica stima, sarebbe potuto arrivare anche a uccidersi, come fece Aiace Telamonio. Si tenga conto che l'onore, da cui poi deriva la gloria, non è un concetto astratto, ma il risultato di atti e comportamenti concreti. Par. 38 – divertimenti e piacere ad Atene 



Svaghi per risposare dalle fatiche e per allontanare la tristezza. Otium e negotium: furono i Greci ad esaltare l'ozio, legandolo soprattutto alle classi aristocratiche e dominanti. Erano esclusi da questo privilegio, innanzitutto gli stranieri o i membri delle classi subalterne. Le persone dedite ai lavori manuali, come gli artigiani, erano disprezzate, in quanto scarsamente protese all'ozio, che era alimentato dalla partecipazione alle attività teatrali, sportive o politiche. Questo ozio era individuato dai Greci con il termine di scholè (da cui deriva il termine “scuola”) che designava il tempo non occupato dal lavoro ma riservato alla cultura dell’animo e alle occupazioni disinteressate. Nel mondo romano scholè viene tradotto con otium (che indica le attività spirituali e intellettuali) da contrapporsi al negotium (che indica tutte le attività materiali e produttive). Grazie al commercio hanno la possibilità di avere prodotti provenienti da tutta la terra

Par. 39 – confronto tra Atene e Sparta  



Anche i loro preparativi militari sono migliori rispetto agli avversari: preparativi e stratagemmi + innato valore militare Educazione: non solo del corpo per accrescere la propria fortezza e l’eroismo (=come fanno a Sparta, che però ogni volta che provocano una guerra nel territorio ateniese non lo fanno da soli, ma con gli alleati; Atene invece combatte sempre da sola e non fa fatica a vincere) Schieramenti per mare e per terra

Par. 40 – le buone qualità dei cittadini ateniesi  

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“Noi amiamo il bello, ma con misura; amiamo la cultura dello spirito, ma senza mollezza.” I cittadini si occupano sia del pubblico che del privato; quelli che si occupano di attività particolari sono comunque esperti conoscitori delle questioni politiche. Chi non si cura di esse è un “idiotes” (da idio=proprio=colui che si occupa solo delle proprie cose) Sia osano, sono dotati di coraggio, sia valutano bene le azioni; in medio stat virtus: non sono nè troppo audaci nè esitano di fronte al pericolo Amicizie: se le procurano non ricevendo, ma dondando benefici. Solo i soli che portano soccorso non per il calcolo di interesse, ma per liberalità.

De amicitia, Cicerone: L'Amicitia per i Romani era anzitutto la creazione di legami personali a scopo di sostegno politico. Cicerone cerca di allargare la base sociale delle amicizie al di là della cerchia ristretta della nobilitas. Quella propagandata da Lelio non si configura unicamente come amicitia politica → necessità di rapporti sinceri. Aristotele: è indispensabile ad una vera felicità l'avere amicizie, soprattutto nella forma più elevata della philia, che non guarda né all'utilità Nè al piacere, ma solo alla virtù. L'amicizia tra persone virtuose, che soprattutto condividano l'ideale della vita teoretica, le comuni passioni per lo studio e la verità è dunque il meglio che può offrire la vita stessa. Par. 41 – Atene un modello per la Grecia    

Atene è la scuola dell’Ellade, forma persone adatte a tutte le attività, e questo lo dimostra il potere della città. Non sarebbe motivo di rammarico per una città essere dominata da Atene Atene sarà ammirata dalle generazioni future Non ha bisogno di lodi da parte di poeti (Omero o altri poeti epici), che si solito si inventano presunte imprese. Infatti è la verità che Atene ha conquistato ogni terra e ogni mare. ELOGIO DEI CADUTI

Par. 42 – i motivi che spinsero i soldati ateniesi a combattere 



La virtù degli uomini caduti reca gloria alla città; con la loro morte e con il loro eroismo hanno cancellato tutte le macchie commesse in vita da privati cittadini, in quanto hanno apportato un grande utile al bene comune. Nessuno peccò di viltà; di fronte alla vita e alla possibilitàdi arricchirsi ritennero preferibile la vendetta contro i nemici. “Nel fervore della lotta, preferendo anche morire piuttosto che salvarsi cedendo, fuggirono il disonore, sostenendo la lotta a prezzo della vita: e, nell’attimo bruciante della sorte, al sommo del coraggio cosciente, non già nel terrore, morirono.”

Par. 43 – la più insigne delle sepolture Par. 44 – onore e gloria, ricordo per sempre Par. 45 – l’atteggiamento dei parenti dei caduti Par. 46 – conclusione dell’orazione

L’orazione funebre tenuta da Pericle a commemorazione degli Ateniesi caduti nell’anno 431 (II, 35-46) si definisce in genere ed è effettivamente il più alto “inno intonato alla grandezza di Atene”. Ed alla sua forma di governo democratica.

“Il ritratto che Pericle abbozza è quello di uno stato libero e liberale”. “Già il principio del discorso avvince il lettore là dove il concetto di democrazia viene spiegato come un’uguaglianza assoluta di fronte alle leggi sicché nessun uomo può essere preferito ad un altro per le sue ricchezze o per la sua posizione sociale, che però non impedisce la manifestazione e il riconoscimento delle virtù individuali”. «Lo stesso atteggiamento liberale che noi mostriamo nella nostra politica lo mostriamo anche nella vita quotidiana, nel giudicare il nostro vicino, non inquietandoci se qualcuno una volta passa la misura, non tenendogli neanche il broncio. Questo atteggiamento disinvolto nella vita privata non ha tuttavia come conseguenza l’anarchia nella vita pubblica, ma è unito con il più profondo rispetto verso le leggi, soprattutto quelle che accordano la loro protezione all’innocente e quelle che, pure senza essere scritte, tuttavia arrecano a chi le viola, come sanzione universale, l’onta del disonore, e con l’ubbidienza ai magistrati che di volta in volta sono in carica. (Giusta sottomissione alla legge, all’autorità costituita e al codice di condotta accettato, senza però alcun cenno a doveri verso gli dei, quindi). In maniera poi del tutto particolare ci importa procurare allo spirito ristoro dalle fatiche dell’esistenza con solenni manifestazioni religiose che sono distribuite per tutto l’anno, e con case private decorose la cui vista ci aiuta ogni giorno a cacciar via le preoccupazioni. A ciò si aggiungono i piaceri della vita che ci vengono garantiti per mezzo di importazioni da tutto il mondo». (Per creare simili condizioni di vita e circostanze così distensive, occorre che lo stato sia ricco e potente e ciò è possibile solo in una città a regime democratico, in cui le decisioni sono prese nell’interesse della maggioranza della popolazione e la libertà di cui godono i cittadini permette gli scambi e il commercio, fonte di benessere materiale e di sviluppo culturale e spirituale). “Continuando il suo discorso l’oratore mette in rilievo poi il fatto che gli Ateniesi, nonostante i loro non rigidi principi educativi, sono per lo meno all’altezza degli Spartani, che fin dalla prima giovinezza sono sottoposti ad una dura disciplina per temprare il loro corpo. I cittadini devono essere educati, non semplicemente esercitati. Anche in guerra è il carattere che conta, perché il coraggio nell’azione dipende più da quello che dall’addestramento”. “Poi seguono le celebri parole: «noi amiamo il bello ma con misura, amiamo la cultura dello spirito ma senza mollezza», il che significa che l’attenzione data alla letteratura e alle arti non deve essere eccessiva e soprattutto mai escludere gl’interessi nazionali. Il cittadino ateniese verrebbe meno al suo dovere, infatti, se non facesse della propria città la sua preoccupazione principale, se si limitasse solamente ad ubbidire agli ordini senza capirli, «perché, dice Pericle, noi abbiamo anche questa caratteristica: siamo noi direttamente a decidere e a riflettere su ciò che si deve fare, anzi riteniamo un male avventurarci ad agire prima di esserci resi conto del problema attraverso la discussione». “Infine Pericle riassume questi principi assicurando che l’armoniosa educazione del corpo e dello spirito è modello alla Grecia” rifacendosi proprio all’inizio del suo discorso dove aveva affermato orgogliosamente: «abbiamo una costituzione politica che non ha nulla da invidiare alle leggi degli altri stati, anzi siamo noi stessi di modello a taluni più che imitare altri». “E tutto ciò egli lo dice con pieno diritto, perché Atene non era soltanto il luogo materiale dove i Greci andavano ad istruirsi, ma effettivamente la costituzione politica di Atene e la mentalità ateniese a quel tempo erano già diventate modello per tutta la Grecia, un articolo attico di esportazione che aveva superato in diffusione tutti quelli materiali”.

Che le idee e i giudizi espressi nell’Epitaffio, che si è cercato di sunteggiare brevemente nei suoi punti più significativi, corrispondano all’ideale democratico di Pericle è fuori discussione. Ma si può affermare che Tucidide condividesse queste idee, che cioè egli approvasse la forma di governo democratica? Prima di tentare una risposta a questa domanda è bene aprire una parentesi per dire qualcosa sul metodo seguito da Tucidide nel raccogliere, vagliare ed esporre i fatti oggetto della sua indagine storica, che del resto è indicato chiaramente dallo stesso storico nei capitoli 20, 21 e 22 del libro primo. Questo ci permetterà di capire meglio alcune affermazioni che faremo in seguito ed anche lo scopo che egli si prefiggeva nel porre mano alla sua opera. “Per Tucidide il materiale storico è costituito sia di fatti che di discorsi; compito dello storico è, a differenza dei logografi e dei poeti, di raccogliere ed esporre questo materiale mantenendosi quanto più possibile vicino alla verità. Gli avvenimenti della storia sono determinati dai disegni e dalle decisioni degli uomini: queste decisioni sono spesso manifestate e difese in orazioni le quali pertanto servono, inserite nel racconto, ad intendere e giustificare il carattere e la natura degli eventi. Lo storico confessa che riesce difficile cogliere la verità attraverso esposizioni spesso contrastanti di molti testimoni, difficilissimo ancora riferire con esattezza i discorsi così come furono pronunciati. Ed allora egli ha deciso di esporre i fatti anzitutto in base alla sua esperienza diretta, poi vagliando le testimonianze degli altri con diligenza ed impegno, badando non a riferire le parole esatte dei discorsi pronunciati, ma tenendo conto dellaxuvmpasa gnwvmh , cioè attenendosi il più da vicino possibile al senso delle cose dette effettivamente. Tucidide riconosce di non aver realizzato un’opera dilettevole, una esposizione semplice come quella di Erodono, ma di aver fornito una visione precisa delle opere dell’uomo che potrà essere utile a quanti vorranno rendersi conto del passato per impostare correttamente l’azione pratica nel presente e nel futuro”. Il presupposto concettuale di Tucidide è infatti l’immutabilità della natura umana e la convinzione che nella esistenza degli stati e degli individui gli eventi si ripetano. Leggi rigorose determinano nel mondo umano come in quello fisico il binomio causa - effetto: dovere dello storico è registrare in atto quelle leggi e fornire al lettore un “possesso per l’eternità”, kth`ma ej" aijeiv, una guida all’azione politica che, fondata sull’accertamento del vero, sia valida universalmente” (Tucidide, Guerra del Peloponneso, a cura di E. Savino, introduzione pag. XIV, Garzanti, 1974). Ritorniamo ora alla domanda formulata più su, se cioè Tucidide condivide l’ideale democratico di Pericle. A questa domanda, alla quale molti hanno risposto negativamente, qui si cercherà di dare una risposta, invece, positiva. Alcuni critici, tra i quali il Burckardt (Storia della civiltà greca, vol. II, pag. 174, Firenze, 1974) hanno affermato che Tucidide fosse favorevole piuttosto ad una forma di governo mista, cioè ad un compromesso di oligarchia e democrazia e questo sulla base di quanto lo storico dice in VIII, 97, 2. Tucidide, infatti, parlando del governo dei Cinquemila, afferma: «e questa fu la prima volta in cui ai miei tempi gli Ateniesi abbiano mostrato di governarsi bene: avvenne infatti una metriva ej" tou;" ojlivgou" kai; tou;" pollou;" xuvgkrasi" e da quando la situazione era diventata brutta, questi furono i primi provvedimenti che risollevarono la città». Ora, senza voler entrare a fondo nella questione posta da questo paragrafo, qualche considerazione nondimeno è possibile

farla. L’equivoco, molto probabilmente, di un Tucidide fautore di una costituzione mista, potrebbe essere derivato da una cattiva interpretazione delle parole ojlivgou" epollou;" che sono state tradotte con oligarchia e democrazia invece che normalmente con pochi e molti. Recentemente il De Saint Croix ha proposto di tradurre: «avvenne infatti un ragionevole mescolamento a vantaggio dei pochi e dei molti» ed ha sostenuto in un suo articolo intitolato The Constitution of the Five Thousand in Historia 5 (1956) pagg. 1-23, che in realtà il regime dei Cinquemila era una democrazia moderata, o meglio, una democrazia con elementi oligarchici. Egli, infatti, pensa (a differenza di quanti hanno parlato del contrario, cioè di oligarchia moderata, vale a dire dell’impossibilità per i cittadini che non facevano parte dei Cinquemila –che in realtà erano più di 9000– di venire eletti ad una carica o di far parte della boulé o di partecipare alle sedute dell’ecclesia) che la classe meno abbiente probabilmente mantenne ilsuo potere nell’assemblea e nei tribunali, pur avendo i Cinquemila il controllo dello stato attraverso la boulé, le cariche e forse altre misure speciali oltre all’abolizione della paga concessa prima ai partecipanti all’assemblea. Tucidide, quindi, elogiando il governo dei Cinquemila non intendeva contrapporlo alla democrazia che c’era stata in Atene sotto Pericle, che pure era stata secondo lo storico una xuvgkrasi" (in quanto le decisioni venivano sì prese dall’assemblea di tutti i cittadini ma sotto la guida di persone illuminate, primo fra tutti Pericle; oppure intendendo ojlivgou" e pollouv" come i ricchi e il popolo, in quanto i provvedimenti adottati in Atene nei due periodi della carriera politica di Pericle avevano procurato prima privilegi alle masse e poi con lo stabilimento della democrazia e la conquista della pace anche vantaggi ai ricchi che così si erano avvicinati, appoggiandola, alla democrazia) ma alla democrazia realizzata in Atene dai successori di Pericle i quali, meno dotati di lui, cercando di primeggiare l’uno a danno dell’altro, si comportavano da demagoghi, formando la loro politica non secondo i migliori interessi di tutta la polis, ma con lo scopo di far piacere al popolo o a quegli elementi del demos che avevano più probabilità di appoggiarli. In 2,65,10 Tucidide dice infatti che i successori di Pericle si misero ad affidare al popolo anche il governo dello stato per fargli piacere (ejtravponto kaqV hJdona;" tw/` dhvmw/ kai; ta; pravgmata ejvdidovnai). “In altre parole, mentre al tempo di Pericle la politica aveva in genere origine da lui, ma era approvata e messa in opera dagli Ateniesi, dopo la sua morte la politica era determinata in larga parte dai desideri dei cittadini che spingevano i demagoghi a interpretarli e a lottare fra loro per figurare ognuno di loro il più genuino rappresentante della volontà popolare (G. Donini, La posizione di Tucidide verso il governo dei Cinquemila, Paravia, 1969, pag. 54). Tucidide, cioè, disapprovava non la forma di governo, ma la troppo grande influenza del popolo negli affari pubblici e soprattutto la mancanza di xuvgkrasi". Altri critici, tra cui recentissimo M. Prélot in Storia del pensiero politico, Mondatori, 1975, pag. 32 – 35, hanno sostenuto che Tucidide fosse un antidemocratico e che nell’ Epitaffio si limiti a riferire semplicemente le parole che pronunciò Pericle e che egli dovette ascoltare personalmente mentre venivano dette nell’agorà di Atene; un notevole esempio insomma dell’abilità di Tucidide di esprimere un punto di vista al quale egli stesso non aderiva.

Ma, come è stato fatto osservare, “una distinzione fra la sua ammirazione per Pericle come individuo, e la sua posizione nei riguardi della costituzione democratica come funzionava al tempo di Pericle è molto difficile da fare a causa della forte influenza esercitata dallo statista sulla vita politica ateniese” (Donini,op. cit., pag. 56). Neanche è accettabile l’opinione di coloro che ritengono che il discorso sia tucidideo solo nel senso che conterrebbe, oltre a quello che Pericle avrebbe potuto dire, ciò che lo storico avrebbe voluto che dicesse. Se si ammette che esso presenta un quadro sia ideale che reale della democrazia ateniese al tempo di Pericle, non sembra che ci siano ragioni convincenti per cui tucidide debba essere in disaccordo con un uomo che in altre parti della Storia egli ammira tanto. Le probabilità di un accordo tra lo storico e lo statista nell’Epitaffio sono molto alte. Solo uno storico pieno...


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