Docsity in terrasanta pellegrini italiani tra medioevo e prima eta moderna PDF

Title Docsity in terrasanta pellegrini italiani tra medioevo e prima eta moderna
Author Cristian Griscioli
Course Storia medievale
Institution Sapienza - Università di Roma
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In Terrasanta; pellegriniitaliani tra Medioevo e primaetà modernaStoria Medievale Università degli Studi di Firenze 40 pag.Document shared on docsityIN TERRASANTA. PELLEGRINI ITALIANI TRA MEDIOEVO E PRIMA ETA'MODERNA- Pellegrini, crociati e mercanti fra Tirreno e Mar di LevanteFORME E VARIABILI DI U...


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In Terrasanta; pellegrini italiani tra Medioevo e prima età moderna Storia Medievale Università degli Studi di Firenze 40 pag.

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IN TERRASANTA. PELLEGRINI ITALIANI TRA MEDIOEVO E PRIMA ETA' MODERNA - Pellegrini, crociati e mercanti fra Tirreno e Mar di Levante FORME E VARIABILI DI UN FENOMENO UNIVERSALE Il mondo cristiano ha espresso nella concezione dell'homo viator, del viaggiatore, il simbolo della ricerca spirituale che, per il fatto di essere intima e immateriale, nondimeno talvolta si presenta anche nei termini d'un reale ed effettivo spostamento da un luogo all'altro; il termine pellegrino poi, deriva dal verbo latino peragere quanto mai ricco di significati: da quello di muoversi con senza tregua a quello di condurre a termine (perfezionare, ma anche morire); il peregrinus, da peragere, ire per agros, lontano da quella città che nel mondo greco e romano rappresenta per eccellenza il centro del consorzio umano, non è semplicemente lo straniero o l'estraneo: la parola esprime estraneità ma allo stesso tempo sopratutto l'estraniamento e lo spaesamento. Il pellegrino è tale in quanto straniero nella terra nella quale giunge, ma l'espressione che lo qualifica è tanto ambigua da poter significare anche il contrario: in realtà potrebbe essere straniero nella sua terra d'origine e la sua vera patria essere la mèta ultraterrena; il cristiano è cittadino del cielo, la sua vita un pellegrinaggio perchè parte dall'Egitto dell'esilio e del peccato e desidera tornare in patria. Per il cristiano, la condizione esistenziale è status viatoris: la vita è qualificata scritturalmente dall'esperienza narrata nell'Esodo e al tempo stesso è, secondo il libro di Giobbe, militia super terram; d'altra parte il pellegrinaggio cristiano è figlio almeno di due tradizioni originariamente estranee e diverse, che nel cristianesimo convergono: l'egida ebraica e il viaggio greco e romano al santuario. Il pellegrinaggio è comunque, anzitutto e sopratutto, una forma di viaggio: questo più che spostamento può significare mutamento di stato e di qualità, passaggio dal mondo in cui si è abituati a una dimensione altra, differente, vale a dire sacra; andare in pellegrinaggio, spostarsi cioè nello spazio e nel tempo, significa affrontare per gradi un passaggio dal tempo e dallo spazio profano a quello sacralmente qualificato, a un tempio: per questa ragione, non è detto che la mèta del pellegrinaggio sia su questa terra. Luoghi oggetto di un culto che in qualche modo rende necessario lo spostamento dei fedeli e la loro volontà di mettersi in contatto con un centro di forza di trovano in tutti i sistemi mitico-religiosi di cui abbiamo notizia, ma differente ed eterogenea può essere l'origine del luogo di pellegrinaggio: il viaggio è legato alla fama del luogo, determinata dal legame con una personalità illustre o da un evento preciso, d'ordine naturale o umano e differenti culture sono state o sono attratte da fenomeni o da fatti naturali diversi. Ancora, le due principali ragioni a giustificare un viaggio sacro sono la mantica e la terapeutica: si va in pellegrinaggio cioè per entrare in qualche modo in contatto con persone, animali o cose in grado di fornire in vario modo informazioni sul destino, oppure nella speranza di ottenere una guarigione; un'altra ragione di pellegrinaggio è la venerazione di sacre immagini, le reliquie. Il pellegrino si muove sperando di ottenere grazie o benedizioni e il suo viaggio gli procura fama e reputazione, talvolta invece ha un valore di espiazione in seguito a una penitenza o una colpa, e l'esperienza del pellegrino è considerata tanto più meritoria quanto più è disagiata e faticosa; spesso il pellegrinaggio ha un luogo a date fisse o in rapporto a coincidenze astrali ed è piuttosto comune che il pellegrinaggio segua itinerari prefissati. Si registra anche una comune tendenza all'alta mortalità in pellegrinaggio, ma resta il fatto che il disagio, l'umiliazione, le privazioni, le sofferenze e la morte stessa fanno parte del pellegrinaggio e contribuiscono a fare di esso un'esperienza iniziatica. Dopo la diffusione della cultura greca in tutto il Mediterraneo, e in particolare quell'incontro fra mondo greco e mondo egizio che dette luogo alla cultura alessandrina, si diffuse anche l'idea della via sacra presente da Atene ad Elusi, paragonabile agli itinerari dei pellegrinaggi anche per il 1

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carattere collettivo, popolare, gioioso, talora addirittura orgiastico del comportamento dei partecipanti. Un quadro diverso è quello offerto dal mondo ebraico: due sono le radici semitiche indicanti il complesso di atti, gesti, riti e idee che nel mondo semitico riguardano le consuetudini che noi possiamo avvicinare al pellegrinaggio: haj, che indica il girare vorticosamente, l'incedere ritmato proprio della danza e della processione e alah, che indica piuttosto il salire, ascendere, il cammino verso una mèta che sta in alto: il senso ultimo di quel che noi possiamo definire pellegrinaggio, nel mondo semitico, è quello di raggiungere in un tempo festivo un santuario situato su un'altura. L'esodo dall'Egitto è, nella tradizione ebraica e poi cristiana, il modello per eccellenza del pellegrinaggio: l'Egitto è il simbolo della schiavitù e del peccato, dal quale il pellegrino si libera puntando verso l'autentica patria, la Terra Promessa, perduta ma oggetto di tenace speranza garantita dalla promessa di Jahvè. Il pellegrinaggio ebraico a Gerusalemme non conobbe eclissi, anzi a partire dal Medioevo, i riti si precisarono (in base a che fossero ad oriente o ad occidente, cambiava l'ordine di visita alle tombe dei re d'Israele e del sacerdote Simone); l'aliyah, pur non essendo uno stretto obbligo per il credente, resta ancora oggi un grande rito di libera pietas religiosa e di riconoscimento d'identità ebraica teso verso l'avvenire e il tempo della speranza d'una piena restaurazione dell'ebraismo nella Città Santa e nella Terra Promessa; il pellegrinaggio cristiano, da parte sua, si fonda sulla tradizione ebraica della salita verso la Città Santa e sulla consuetudine del viaggio alla volta d'un santuario o comunque di un centro sacrale cara all'antichità greco-romana e comune a molti sistemi mitico-religiosi. LUOGHI SANTI E RELIQUIE Il cristianesimo contrappose alla dimensione mitica del mondo pagano il ricordo e la commemorazione delle proprie origini storiche: nato entro precise coordinate culturali oltre che spazio-temporali, esso avrebbe conservato i suoi legami con il vecchio Israele, con cui condivideva una quantità di simboli religiosi, a cominciare dalla Città Santa; tuttavia la Gerusalemme cristiana non era tanto e soltanto quella terrena della quale il Cristo aveva predetto la distruzione e ch'era stata passivo teatro della sua crocifissione, quanto e sopratutto la città celeste che l'apostolo Giovanni, nell'Apocalisse, vede discendere dal cielo, risplendente della gloria di Dio, la città dei giusti e dei santi. Nonostante la sostanziale estraneità della concezione cristiana rispetto al mondo terreno, Gerusalemme e la Palestina rimanevano i luoghi concreti in cui maggiormente si addensava la memoria delle origini, dati in particolare tali luoghi testimoni dell'irruzione del Divino nella storia; tale ininterrotta centralità storica e culturale l'aveva resa meta dei grandi pellegrinaggi annuali nelle festività maggiori. I pochi pellegrini che raggiungevano Gerusalemme nei primi secoli dell'era cristiana erano motivati da una curiosità devozionale che li spingeva a cercare, nel contatto fisico con i luoghi che erano stati testimoni del passaggio terreno del Cristo, una conferma alla loro fede; tra questi credenti ben pochi erano quelli che partivano forniti dei mezzi idonei per il viaggio: la stragrande maggioranza si muoveva a piedi, era facile morire lungo la strada, senza contare che l'itinerario era reso difficoltoso anche da motivi di ordine politico, le autorità romane difatti non vedevano di buon occhio l'afflusso dei devoti in quella città in cui si era voluto cancellare ogni traccia dell'identità nazionale di Israele. Il pellegrinaggio d'età precostantiniana era stato praticato essenzialmente da elite, era necessità di singoli fedeli che dovevano chiarire cose a se stessi o per questioni bibliche e teologiche; la cosa cambia dopo i due editti di Galerio del 311 e di Costantino e Licinio nel 313, che concedevano la libertà di culto ai cristiani: da allora in poi si comincia a parlare di gruppi anche numericamente parlando importanti, di pellegrini. Costantino avviò un grandioso lavoro di recupero, ricostruzione e ridefinizione di Gerusalemme; è proprio in quegli anni che si ebbe la scoperta della Vera Croce di Gesù Cristo. Dall'indomani della ricostruzione costantiniana di Gerusalemme, i pellegrinaggi si fecero più frequenti e cominciò a definirsi con essi un nuovo genere letteriario-memorialistico: gli 2

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itinera o itineraria in Terra Santa, accompagnati da un genere affine e spesso nella pratica con essi coincidente, le desriptiones, genere letterario-memorialistico che si accompagna con i molti riferimenti che al medesimo tema s'incontrano nelle vite dei santi. Dato il flusso dei pellegrinaggi del 4 secolo, era divenuto necessario per il pellegrino avere dei ragguagli, delle guide che lo aiutassero a comprendere quanto stava visitando e gli fornissero anche informazioni pratiche sul suo soggiorno, sulle distanze da percorrere, sui disagi da affrontare e sugli accorgimenti da prendere durante il cammino: nacque così una ricca e fortunata letteratura (genere odoeporico → letteratura greca e latina deputata a descrivere gli itinerari del viaggio). Era frequente che i pellegrini sovrapponessero alla topografia reale della Terra Santa quella ideale delle Scritture: la prassi valeva per tutte le tappe di un itinerario che non solo consentiva di meglio comprendere, con il contatto fisico, le Scritture, ma addirittura di riviverle in una sorta di ripetizione rituale che ben presto avrebbe originato una specifica liturgia; i riti che si svolgevano a Gerusalemme durante la Settimana Santa tendevano a rafforzare questa immedesimazione e, anche se è ancora presto per parlare di pellegrinaggio per devozione, il recarsi a Gerusalemme per viverci o morire significava avvicinarsi spiritualmente, attraverso la scelta dell'esilio volontario e dell'abbandono della propria identità, alla patria celeste, luogo dove si sarebbe, secondo la tradizione, svolto il Giudizio Universale (in particolare, valle di Giosafat). Paradossalmente, furono questi pellegrini q costruire con il loro patrimonio culturale e religioso la forma cristiana di Gerusalemme e della Terra Santa, proiettando sui luoghi della tradizione ebraica la memoria storica e leggendaria del Vangelo: nel corso di questa fondazione si ponevano anche le condizioni che avrebbero trasformato Gerusalemme in un modello universale da trasportare, imitandone i monumenti, nelle lontane periferie del mondo cristiano. Anche di fronte al problema delle reliquie l'atteggiamento dei Padri fu tutt'altro che univoco: se per taluni esse non potevano sostituire il valore spirituale della visita ai Luoghi Santi, per altri la loro efficacia era fuori discussione purché ne fosse comprovata l'autenticità; nonostante i pareri discordi, ben presto l'acquisto o il trafugamento di reliquie divenne uno scopo non secondario del viaggio d'Oltremare. La straordinaria fortuna del pellegrinaggio in Terrasanta, connessa al quale si stava già sviluppando una serie di devozioni extraliturgiche e paraliturgiche al di fuori della religiosità ufficiale e controllata dal clero e dai teologi (e in prima linea il traffico delle reliquie e il culto reso loro) non mancò di preoccupare gli stessi Padri della Chiesa che, in se per se, erano ben lungi dal provare avversione per il pellegrinaggio: la polemica contra peregrinantes, che sarebbe giunta i all'umanesimo italiano, alla Devotio moderna e a Erasmo da Rotterdam, cominciava da questo sviluppo dei pellegrinaggi in un tempo di crisi e disorientamento. A dispetto di queste critiche comunque, la fortuna popolare del pellegrinaggio non accennava a diminuire: andava anzi affermandosi incentivata dall'afflusso di reliquie di Terrasanta alle chiese d'Occidente; i pellegrini recavano, tornando dalla Terrasanta, reliquie di ogni tipo, le quali servivano spesso a consacrare edifici di nuova fondazione o ad arricchire il patrimonio sacrale, il tesoro, e a disseminare quindi l'Europa di culti d'origine orientale, facendo si che la Terra Santa si effondesse per l'intera Cristianità; talora, del resto, pellegrinaggio e raccolta di reliquie assumevano il carattere di espletamento di un vero e proprio incarico ufficiale (l'arrivo di nuove reliquie dava avvio a nuovi santuari o ne sanciva l'esistenza e la fama). DALL'ORIENTE ALL'OCCIDENTE: PELLEGRINI E CROCIATE Mentre in Oriente prosperavano santuari, sedi di illustrissime reliquie e teatri di straordinari miracoli, a Roma si andava organizzando un modello irripetibile di città-santuario: abbandonate le aree dell'antico, prestigioso scenario imperiale, il culto (e quindi la vita sacrale e la vita pubblica) si andava incentrando nelle zone corrispondenti alla necropoli extramurarie e in genere a quei luoghi nei quali i martiri erano stati uccisi o i loro corpi erano sepolti: ivi vi nacquero presto importanti basiliche, le quali si disposero ad anello circolare attorno all'antica città chiusa nelle mura aureliane 3

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proprio in quanto i corpi dei santi non venivano traslati in città: si evitava rigorosamente di profanare in alcun modo il loro riposo, rispetto garantito dai pontefici romani e formalizzato nella ridefinizione damasiana del culto dei martiri che costituì il mos Latinorum nei confronti delle reliquie, e confermò a Roma il ruolo di Caput Mundi, sia pur trasferito dalla sacralità del politico alla sacralità del matrilogico-santoriale (i Papi non permettevano infatti l'asporto e la circolazione di parti dei corpi dei santi posti sotto la loro giurisdizione. Le leggi imperiali romane e le relative consuetudini si mantennero a lungo rigorosamente fedeli al principio dell'inamovibilità e dell'inviolabilità dei corpi dei santi, il che evitò che Roma divenisse un'inesauribile miniera di reliquie e al tempo stesso le conservò il carattere inimitabile d'una riserva eccezionale di virtus. Soltanto a partire dalla prima metà del 7 secolo, forse anche per non contrastare oltre una pratica altrove già diffusa, ma soprattutto perché oltre le mura si viveva ormai in un clima di pensante insicurezza, i papi permisero che alcuni corpi di martiri venissero traslati all'interno della cinta muraria romana. Il rigore con il quale i pontefici tendevano a impedire con ogni mezzo l'asportazione delle reliquie romane e al tempo stesso a valorizzarne e propagandare il tesoro da esse costituito al fine di incentivare i pellegrinaggi ad limina Petri, era solo un aspetto della loro politica al riguardo, che forse, era meno univoca e coerente di quanto si tenda a dire. In realtà notizie di reliquie anche corporali elargite dai pontefici si hanno anche prima del limite del 7 secolo: principi e vescovi appartenenti sopratutto alle nazioni germaniche primogenite della Chiesa di Roma, i franchi e i burgundi, avevano ricevuto reliquie di quel genere dai vescovi romani già alla fine del 6 secolo, forse ancor prima: il concedere una reliquia significava consentire la fondazione di una nuova chiesa, tanto più prestigiosa quanto più illustre era la reliquia, e il fatto che una reliquia provenisse da una diocesi e fosse dono di una Chiesa a un'altra, esternava e sottolineava un legame di affiliazione (se non istituzionale, quanto meno spirituale). In tal modo le reliquie divenivano davvero il veicolo dell'autorità e del prestigio della Chiesa romana rispetto alle giovani Chiese dei regni romano-barbarici occidentali; questa medaglia però aveva anche il suo rovescio: si aggiungevano sempre reliquie in varia misura autoctone e i vari regni romano-barbarici si andavano pian piano dotando di santuari nazionali, con reliquie ed episodi miracolosi loro specifici: andavano così affermandosi in Europa santuari connessi con le varie corone romano-germaniche, ma al tempo stesso anche centri di forte potere episcopale. Roma difese energicamente il proprio primato sacrale in Occidente, anche arricchendosi il più possibile di reliquie provenienti dalla Terrasanta; tuttavia, è un fatto che fra 7 e 10 secolo i grandi pellegrinaggi verso Roma e Gerusalemme subirono una certa crisi, e la pratica del pellegrinaggio tese a ridefinirsi sulla base di santuari specifici di ciascuna gente e di ciascun territorio. Non c'è dubbio sul fatto che la rottura dell'equilibrio mediterraneo di pirenniana memoria, nonché l'accresciuta difficoltà di viaggiare, specie attraverso certe aree del sud-est europeo, connesse con il lungo periodo delle incursioni barbariche fra 9 e 10 secolo, diedero un fiero colpo alla tradizione del pellegrinaggio in Oriente: ad esso si rispose, tra l'altro, costruendo in Europa tutta una serie di edifici che in un modo o nell'altro rappresentavano alcuni santuari di Terrasanta, e ad essi si poteva pellegrinare come a mete intermedie del grande viaggio verso Gerusalemme, ma si trattava anche di tappe lungo l'itinerario per giungere a nuove mete, stavolta europee, dotate di una sacralità in crescita (altri santuari erano prova invece dell'affermarsi di una specifica tradizione sacrale europea). Lo sviluppo dei santuari oltralpini (se non tutti, almeno molti di essi erano tali) si andò accompagnando a una progressiva spoliazione dei pignora custoditi nella penisola italica: già almeno dal 7 secolo Roma e l'Italia vennero guardate dai nuovi fervoristi cristiani di stirpe germanica come autentiche miniere miracolose di oggetti: il cristianesimo si andava espandendo, e a nord si aveva bisogno di reliquie per fondare culti e santuari; in alcuni casi la Chiesa missionaria forniva essa stessa i suoi martiri, ma di solito le reliquie andavano importate e non sempre ci si accontentava: le nuove Cristianità volevano i corpi dei santi o le porzioni insigni di essi (la testa o il 4

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braccio destro) e la dottrina che la virtus delle reliquie non venisse compromessa dalla frammentazione batteva in breccia ogni resistenza residua. Cominciò così, specie nel duro periodo successivo alla calata dei longobardi e nelle aree contese fra questi e i bizantini, la catena dei furta sacra. I furta sacra continuarono, anzi si fecero più frequenti, in età carolingia e poi ottoniana, per due ragioni fondamentali: le frequenti incursioni barbariche, che giustificavano le translationes, volte, almeno nelle intenzioni dichiarate, a evitare profanazioni e dispersioni: l'egemonia imperiale franca prima, sassone poi su Roma e sul pontificato, che in un certo senso consegnava l'Urbe nelle mani dei nuovi Cesari germanici e ne autorizzava i prelievi dell'immenso patrimonio sacrale. La memoria di queste translationes e dell'itinerario seguito dalle reliquie dalla vecchia verso la nuova sede lasciava sovente una sacra scia: segnali toponomastici e santuari rammentano il passaggio di questo o di quel santo dall'una all'altra delle sue sedi principali, e non di rado la sosta è accompagnata dalla cessione, a titolo di ringraziamento o di ricompensa, di una parte di queste. Con ciò, negli gli ultimi anni dell'Alto Medioevo, il rapporto fra pellegrinaggi e reliquie si modifica ulteriormente: se da una parte si vanno perpetuando i pellegrinaggi ai santi, che anzi tornano a farsi frequenti a partire dalla fine del secolo quando anche alcune strade verso Santiago, Roma e Gerusalemme si riaprono, dall'altra i santi si trasformano essi stessi in pellegrini: il santo non era oramai più immoto e immobile, fulcro inamovibile attorno al quale danzava l'universo dei devoti: egli usciva tra la gente, visitava i suoi fedeli, tal...


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