Elementi per una sociologia del terrorismo PDF

Title Elementi per una sociologia del terrorismo
Author elena vinci
Course Sociologia della sicurezza
Institution Università degli Studi di Perugia
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Riassunto di Elementi per una sociologia del terrorismo...


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Da al- Qaeda allo Stato islamico: breve anatomia del nuovo terrorismo internazionale Prima che le orribili immagini delle esecuzioni perpetrate dallo Stato islamico (Is) invadessero i canali mediatici internazionali, la simbologia del terrorismo di matrice salafita poteva essere riassunta in due grandi icone: la figura di Osama bin Laden e le Torri Gemelle. I governi occidentali, con a capo gli USA, hanno focalizzato la propria strategia controterrorismo su un approccio altamente muscolare, basato sulla capacità di colpire militarmente più forte, più a lungo e più veloce i leader. Per oltre vent’anni, l’occidente ha cercato di disintegrare le capacità operative e la leadership di movimenti jihadisti trascurando le ragioni economiche, politiche, sociali, culturali e storiche che ne hanno permesso la proliferazione. Purtroppo, la mancanza di visione strategica da parte di Europa e Stati Uniti si è manifestata in più occasioni quando andava affrontato il problema del terrorismo di matrice salafista. In molti casi, una determinata criticità di sicurezza ha dovuto mostrarsi in tutta la propria pericolosità prima di essere adeguatamente affrontata. Oggi, gli errori di valutazione continuano a pesare sull’equilibrio della sicurezza e delle relazioni internazionali. La cattiva gestione delle Primavere arabe e la solitudine politica in cui sono stati abbandonati i popoli e i governi all’indomani di rivoluzioni fortemente sponsorizzate da Washington e Bruxelles costituisce una tragica cartina di tornasole sull’irresponsabilità e sulla superficialità dell’Occidente. Infatti, nella fase più delicata del meccanismo di ricostruzione di un Paese, ossia la transizione a modelli politici ed economici più efficienti e garantisti, le Cancellerie delle due sponde dell’Atlantico hanno avuto un approccio minimalista, lastricando così, la strada ad ampli conflitti sociali, disastri economici e guerre intestine nelle cui pieghe si sono infiltrati i gruppi terroristici. Al-Qaeda, nata negli anni 80 grazie all’incontro dell’ideologo egiziano al- Zawahiri e del mecenate del terrore saudita-yemenita Osama bin Laden, è stato un movimento il cui obiettivo ultimo era la creazione di un Califfato Islamico che riunisse tutta la Umma e che liberasse i paese della Dar al-Islam dall’influenza dell’occidente. Fin dalla sua origine, l’organizzazione si è definita come un network che riunisse e coordinasse sotto un’unica bandiera e all’insegna di un unico marchio tutte quelle realtà jihadiste regionali attiv nel mondo. Il principio operativo che guidava la rete qaedista era centralità di pianificazione e de-centralità di operazione, il che stava a

significare come la centrale, nascosta nei luoghi più ostili della terra, si riservava il diritto di stabilire ciò che fosse conforme alla linea del terrore e di tracciare le linee strategiche dell’organizzazione. Gli uomini pensanti di al-Qaeda erano uomini nati e cresciuti negli anni della guerra fredda, influenzati da un modo di pensare ambizioso. L’al-Qaeda delle origini era una sorta di Internazionale del Terrore abile nel suscitare la mobilitazione e l’insurrezione degli strati più vulnerabili delle società musulmane ma deficitaria nel proporre soluzioni pratiche e percorribili a concreti problemi politici. Inoltre, la verticalità e la struttura piramidale dell’organizzazione avevano creato un meccanismo di imposizione dall’alto delle prescrizioni ideologiche che spesso si scontravano con le esigenze e le peculiarità delle singole comunità locali. Al-Qaeda era un movimento quasi elitario, all’interno del quale un’avanguardia di ideologi e comandanti miliziani si arrogava il diritto, per merito o per disponibilità finanziarie, guidare la Umma alla catarsi terrena. Nel corso degli anni al-Qaeda ha dovuto confrontarsi con diversi problemi che ,da un lato, na hanno causato un logoramento, ma, dall’altro, hanno permesso la significativa evoluzione del fenomeno terroristico globale. La perdita di influenza e di potere da parte del nucleo ha contemporaneamente accresciuto la forza delle diramazioni periferiche; la maggiore assunzione di potere da parte dei comandanti locali ha modificato l’approccio e il rapporto tra militanti e base sociale, sia nelle città sia nelle remote aree rurali e desertiche. Tutto ciò è stato reso possibile dall’elemento economico: l’autonomia finanziaria garantita dalla collaborazione con la criminalità e dalle attività illegali, quali traffico di droga, armi ed esseri umani. Con la pollitica dei matrimoni misti, hanno permesso la trasformazione decisiva del terrorismo internazionale da movimento astratto e generale a modello pratico. Infatti i network terroristici hanno cominciato a rispondere alle esigenze pratiche e materiali della popolazione, offrendo welfare, assistenza, educazione e lavoro. I meri gruppi terroristici hanno smesso di essere agglomerati di combattenti e hanno cominciato a produrre sindaci e amministratori, controllando il territorio e tendendo a creare strutture parastatali, in diretta concorrenza con i governi centrali. Internet è diventato il dominio virtuale in cui l’ideologia, le conquiste e gli obiettivi del Califfato vengono diffusi in tempo reale. In una società in cui le difficoltà economiche hanno demolito i punti di riferimento valoriali di intere generazioni, il jihadismo, grazie alla forza della propria rinnovata propaganda, è riuscito a mostrarsi al mondo non solo come metodologia di lotta, ma come modello culturale alternativo a quello liberale e democratico occidentale. La potenza dell’immagine e

la straordinaria capacità di marketing politico dello Stato Islamico hanno avuto un altro effetto operativo molto importante, ossia quello di favorire la nascita o affiliazione di tanti gruppi, in giro per il mondo. Sociologia del terrore, terrorismo e postmodernità Le nostre società non sono mai state omogenee, sono sempre state costituite da persone che incarnano differenze professionali, regionali, di sesso, di cultura. Attraverso le leggi, uguali per tutti, e la tolleranza, la solidarietà laica e religiosa, le appartenenze culturali che sono parte degli individui, le società umane hanno trovato i loro equilibri dinamici. La globalizzazione a cavallo tra secondo e terzo millenio ha messo in crisi sia equilibri geopolitici e culturali che si erano, in modo graduale anche se precario, stabilizzati nella seconda metà del 900. Il primo giorno del Ramadam 1435, il 29 giugno del 2014, l’Isis annunciava la destituizione del Califfato islamico nei territori posti tra la Siria e l’Iraq e la nomina del predicatore jihadista Abu Bakr al- Baghdadi a califfo. L’isis si preoccupa di reclutare all’estero uomini e donne e di conquistare all’interno il consenso popolare, facendo leva sul patriottismo. È un organismo amministrativo, non soltanto militare, che da un lato comunica terrore, dall’altra quotidiana accettabile alle popolazioni dall’altro garantisce una vita quotidiana accettabile alle popolazioni dello stato islamico, anche se dopo un primo momento il consenso è indotto con la forza. Si potrà arrivare alla piena comprensione del fenomeno migratorio e delle sue conseguenze, unitamente alla possibilità di sentirsi inseriti contemporaneamente in due Nazioni. Alcune ricerche osservano non solo i legami, ma anche le attività e le abitudini, per ricostruire i tentativi di molti migranti di riprodurre, nel contesto di immigrazione, almeno alcuni aspetti della vita di “prima”. Nel caso del terrorismo si evidenzia però la profonda contaminazione tra i tratti culturali e sociali del contesto di arrivo e di quello di partenza, fatto che a volte contribuisce a confermare una sorta di doppia vita, in un processo di globalizzazione dal basso. L’Iraq e la Turchia che, teoricamente dovrebbero contrastare l’Isis, scontano una serie di ambiguità sostantive. L’esercito irakeno fornisce i quadri e l’intelligence all’Isis, addestrati dagli USA in funzione antirianiana. La Turchia ha tenuto aperti i confini facendo in modo che i jihadisti potessero entrare e7o uscire con libertà, pur essendo membro della Nato. La Siria si rafforza dalla presenza dell’Isis in base al paradigma: se l’alternativa è il Califfato, Assad è il meno peggio. Il persistente non riconoscerlo attesta incapacità

di comprensione ed etnocentrismo con cui l’Occidente troppo spesso classifica i suoi avversari e le loro diversità+ L’Isis, Stato islamico dell’Iraq e al- Sham, rifiuta la pace e si considera strumento della fine del mondo. È un’organizzazione che ha messo tra parentesi al-Qaeda, pur riconoscendo a Bin Laden il titolo di sceicco. Al-Qaeda operava con una rete flessibile di cellule eutonome, mentre l’Isis è un’organizzazione territoriale con un suo welfare. L’Isis si vota a purificare il mondo attraverso la violenza per motivi che chiama religiosi, creando un grave senso di disagio tra i musulmani che considerano l’Isis non islamico, poiche l’Islam è una religione di pace, anche se ai suoi inizi formulò leggi di guerra nate in un’epoca violenta. Il mito dell’Isis e della sua potenza, nei messaggi video dell’Isis si evidenzia un’estetica della paura che mira a originare nelle singole persone il terrore . L’Isis è strutturato e organizzato in un sistema efficace e completamente che persegue delle strategie, che usa tecnologie mediali come strumento di guerra. Nel contesto specifico, la comunicazione dell’Isis è caratterizzata da un processo che crea interferenze che definiscono un livello di realtà in cui la distanza tra rappresentazioni e fatti reali si riduce nell’arena della comunicazione emozionale, che i media occidentali perseguono per fare audience. L’Isis presenta il proprio dominio come la salvezza per le popolazioni sunnite di Iraq e Siria, e il Califfato come il campione della lotta missionaria contro gli sciiti in Iraq.

Quando le situazioni sfuggono al controllo, come nel caso delle migrazioni dovute a guerra ed esodi per povertà, gli stranieri si appalesano come imprevedibili, percepiti come avanguardia di un esercito ostile. Il fallimento delle politiche degli ingressi e l’assenza di dispositivi volti all’integrazione rappresentano le caratteristiche strutturali delle politiche migratore italiane, e costituiscono a tutt’oggi i principali problemi riconducibili alla regolamentazione italiana dell’immigrazione. Il tipo di guerra dell’isis crea idoli in un marketing terrorista che usa tecniche simili a quelle dei predatori sessuali: distrae, isola dal gruppo e alla fine ingloba, cattura adolescenti e giovani alla ricerca di un’identità e di una autonomia, offre loro una prospettiva avventurosa, offre loro di diventare eroi. L’ideologia dell’ISIS è fondata sul concetto di espansione, per rappresentare l’intera Umma islamica con l’obiettivo di consolidare il proprio potere nei territori sotto il suo possesso come forme di welfare di cui questi territori sono privi e usarli per lanciare nuovi attacchi e conquistare

nuove aree, con il consenso parziale delle popolazioni. L’esibizione mediatica degli atti di violenza perpetuati dai gruppi fondamentalisti islamici come al-Qaeda, Isis e Boko Haram, costituisce una provocazione che tende a indurre i membri di quelle comunità a scomporre l’ordine sociale all’interno delle stesse comunità dove vivono, tende a innescare il diffuso rancore che cova sotto l’apparente vita sociale, allo scopo di scardinare l’ordine istituzionale del nord del pianeta terra. Non sempre i conflitti sono indotti da motivazioni religiose. La religione pone un problema di comprensione e di etichettatura che porta a radicalizzare in maniera tribale i rapporti sociali. il terrorismo è un fatto politico, alla base del quale vi è sempre una motivazione di carattere ideologico. Può essere definito come un metodo di lotta fondato sul sistematico ricorso alla violenza con particolari connotazioni oggettive e soggettive e l’uso mediatico del prodotto di tale violenza. La violenza dell’Isis, postmoderna e mediatica, colpisce in maniera più forte a causa della pervasività dell’immagine che raggiunge ogni persona, ogni famiglia, ogni ambiente mettendo in dubbio l’ordine in cui faticosamente si vive che manifesta tutta la sua precarietà, tutta la sua permeabilità globalizzata. La radicalità dell’Isis è nel non voler sradicare dal mondo la non appartenenza a una particolare forma primordiale di Islam, per dimostrare la propria potenza. Tra sicurezza e libertà, tra controllo e cooperazione. Nuovo ecosistema della comunicazione e terrorismo La società interconnessa si presenta di fatto come ambiente comunicativo ideale per le organizzazioni terroristiche e criminali, sia per progettare e realizzare strategie complesse di “guerra” psicologica, sia per pianificare e condurre un’attività di propaganda a livello globale in grado di condizionare profondamente la percezione o gli immaginari collettivi di opinioni pubbliche. Opinioni pubbliche sempre più condizionate e condizionabili che, sono in grado di esercitare pressione sulla politica, sempre più debole e marginale rispetto ai poteri economici e finanziari, che è chiamata a dare delle risposte e operare delle scelte in chiave transazionale. Le reti e gli ecosistemi della connettività complessa costituiscono la leva fondamentale per portare il conflitto su un piano della prassi sempre più strategico. I regimi democratici occidentali non sembrano capaci di contestare questo tipo di propaganda di “guerra” psicologica e mediatica che viene condotta anche a livello culturale. Il terrorismo globale, oltre al voler terrorizzare, mettere paura, non attende altro che una risposta: il Noi contro Voi. A tal proposito bisogna operare un’analisi sociale e culturale di questi fenomeni e dei contesti in cui si sviluppano, ma

è evidente l’assenza di una strategia comunicativa mirata a legittimare l’azione politica e democratica che va necessariamente condotta. Il problema è quello delle logiche e degli utilizzi che l’elites, i gruppi di potere, organizzazioni criminali e terroristiche, ne fanno uso. Le logiche dominanti sono quelle del controllo, della sorveglianza totale, della chiusura sistemica come risposta di evoluzione dei sistemi sociali che determinano crisi e momenti di turbolenza non soltanto economica. La società ipercomplessa e l’età dell’informazionalismo hanno segnato l’inizio di un complesso processo di civilizzazione fondato su internet e sui social media. Da ciò dobbiamo maturare la consapevolezza che la realtà e i problemi sono sempre complessi e richiedono un approccio multidisciplinare; se i problemi sono complessi lo saranno anche le soluzioni che sono provvisorie. Non possiamo permetterci di pensare e analizzare gli oggetti e i fenomeni isolandoli e riconducendoli a spiegazioni sempre parziali: gli oggetti vanno pensati e analizzati come sistemi, facendo attenzione a non confondere le cause con gli effetti. L e nuove tecnologie della connessione hanno il potere di estendere le possibilità e le occasioni comunicative dell’umanità. Oltre alla marginalità della politica, la liberazione dei mercati mette più in evidenza l’assenza di istituzioni globali realmente funzionanti e ciò pesa, non solo alla gestione dei processi culturali e produttivi, ma ancora di più alla gestione e alle dinamiche legate alla criminalità organizzata e il terrorismo. La complessità insita nel processo di globalizzazione ci obbliga a riformulare tutte le categorie dell’agire politico e ad allargare i nostri orizzonti di pensiero e di azione, elaborando una politica che non si limiti soltanto a osservare le regole, bensì provi a cambiarle anche perché la stragrande maggioranza di queste stesse regole sono state definite in un contesto di Stato Nazione forte che si inquadra, nella prospettiva di una modernità radicale nella quale anche la dimensione di riflessività mette ulteriormente in crisi le istituzioni di controllo e protezione. Le tradizionali logiche di controllo, sicurezza e sorveglianza mostrano sempre più la loro debolezza e inefficacia, rispetto alla gestione e alla prevenzione di processi complessi e conflitti che scavalcano gli Stati nazione. La criminalità globale e il terrorismo giocano su questi vuoti di potere e su queste crisi di controllo da parte delle democrazie e dei Paesi avanzati. La complessità dei processi in atto creano un cambiamento di un paradigma proprio alla luce dell’evidente inadeguatezza dei vecchi schemi concettuali. Le organizzazioni terroristiche mostrano, una profonda consapevolezza del potere delle immagini e dei simboli comunicati e veicolati rilevanza stati a livello locale e globale e, conoscono perfettamente la rilevanza

strategica che le opinioni pubbliche hanno all’interno degli Stati Nazione. La civiltà del rischio, d’altra parte pur presentandosi come straordinaria opportunità d’evoluzione, economica, politica e sociale, ha di fatto accresciuto il senso di insicurezza e vulnerabilità all’interno dei sistemi sociali, alimentando un clima di paura che a livello globale mette in discussione lo stesso principio di precauzione. Tale percezione mette in discussione anche la categoria della libertà riproponendo la tradizionale dicotomia libertà vs sicurezza, dicotomia che chiama direttamente in causa la natura del legame sociale e le forme della socialità regolate dai meccanismi della fiducia e della cooperazione. La visibilità mediatica alimentata da una guerra psicologica che nutre paure individuali e collettive, gli immaginari collettivi già duramente provati da una crisi economica finanziaria che ha reso la precarietà e l’incertezza come condizioni esistenziali oltre che sociali. La rete del terrorismo globale conosce i codici e i linguaggi del nuovo ecosistema, sa sfruttare a suo vantaggio i flussi informativi e le dinamiche sociali che trovano la loro struttura determinante nelle asimmetrie informatiche e conoscitive. Il sistema mondo e la nuova economia informazionale, globale e interconnessa, richiedono una nuova sensibilità alle problematiche riguardanti il soggetto, i rapporti sociali e lo spazio del sapere nella prospettiva di un rafforzamento della sfera pubblica politica transazionale. Ma la questione fondamentale risiede nel fatto che la società della conoscenza presenta tutte le sembianze di una società globale del rischio che ha esteso oltre ogni confine le dinamiche conflittuali e i rischi e le anomalie sistemiche. Tale dimensione intercetta quella della fiducia che continua a rilevarsi meccanismo sociale in grado di ridurre la complessità. La propaganda mediatica e quella sul web da parte delle organizzazioni terroristiche la rendono un obiettivo strategico: minare la fiducia e qualsiasi altra forma di meccanismo sociale in grado di garantire il legame sociale e la cooperazione. I moderni sistemi sociali spesso, orfani di un modello culturale forte, sono caratterizzati da instabilità e da un altro coefficiente di imprevedibilità delle azioni e dei processi che si affiancano alle incapacità degli stati nazione poiché non sono in grado di affrontare concretamente queste problematiche globali. La crisi sistemica che stiamo attraversando ci fa interrogare su cosa significhi essere persone in questa società globale; si tratta di una crisi che mette radicalmente in discussione la fiducia e il nostra paradigma della sicurezza, a barattare le nostre libertà e i nostri stili di vita con una maggiore percezione della sicurezza. Per affrontare questa ipercomplessità serve un nuovo umanesimo basato sulla centralità della persona, sulla conoscenza accessibile a tutti, in grado di includere anche i soggetti più deboli e penalizzati dai meccanismi dell’economia

globale. La grande rete e i social media, progettati come luogo e spazio di massima libertà si sono rivelati lo spazio fisico nel quale gli Stati Nazione e multinazionali senza scrupoli esercitano una sorveglianza e un controllo che si rivelano assolutamente invasivi per i cittadini. L’analisi del terrorismo jihadista europeo in una prospettiva sub culturale. Temi e strumenti di ricerca I terroristi, dopo aver fatto parte delle subculture, giovani di origine culturale altra, ma anche autoctoni europei, scelgono una forma di comunitarismo autoritario come luogo per sviluppare la propria adultità. Per sviluppare un’identità autonoma i giovani occidentali affrontano durante l’adolescenza una fase di contro dipendenza utile al superam...


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