Esame 2020, domande PDF

Title Esame 2020, domande
Course Linguistica Generale
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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LA NEGAZIONE IN PROSPETTIVA SEMANTICO-PRAGMATICA Le dinamiche dello scope M.C. Gatti

Capitolo 1: “Facultas loquendi e facultas negandi” Quando si nega si compiono diverse cose: si può negare per opporre a un giudizio assertivo, per asserire la falsità di P in quanto non vogliamo aderire al contenuto proposizionale, in questo caso la negazione comporta un giudizio di natura verocondizionale che può intervenire sul valore si verità di un giudizio Possiamo negare per asserire la falsità di qualcosa, ma anche negare per asserire la falsità di P per caratterizzare l'oggetto. Questo vestito non è rosso, è altro da rosso. Identificare il non con è falso che è una riduzione, e comporta una confusione di piani linguistico e metalinguistico. Luigi non mangia = asserzione relativa ad un frammento di mondo. È falso che Luigi mangi = asserzione su un'asserzione. La negazione viene usata anche per rifiutarsi di fare: non accetto scuse, non è il caso. Non è più un giudizio su un frammento di mondo, ma un atto che avviene attraverso il dire

performativo. La natura performativa trova

un riscontro nella morfologia: la prima persona singolare degli enunciati è condizionante rispetto al performativo. In ogni caso di fronte a Non accetto scuse, non ti prometto di venire, non ha senso chiedersi se siano veri o falsi. Il rifiuto si sottrae ad una valutazione di natura verocondizionale. Es: Vieni in piscina? Sono raffreddato. L'interlocutore B declina l'invito di A: compie un atto illocutorio primario di rifiuto della proposta attraverso un atto illocutorio secondario. Spetterà al destinatario inferire l'illocuzione primaria a partire da quella letteraria. La cultura giapponese, ad esempio, preferisce al no il silenzio. Non sono mancati i tentativi di ricondurre ogni negazione al rifiuto di asserire. Ma identificare la negazione con l'atto illocutivo di rifiuto di asserzione non tiene conto dei contesti non assertivi in cui essa può comparire (Se non piove, vado in montagna).

Mentre i parlanti italiani, inglesi o francesi, ad una frase come There is no table in the room, risponderanno con No, there isn't o Yes, there is (Sì c'è, no non c'è), il parlante russo risponderà Net, est o Da, ne est. Con net e da egli non prende immediatamente posizione rispetto alla realtà, ma si riferisce all'asserzione rifiutandola o accettandola in ba- se alla presenza o alla effettiva assenza dell'oggetto.

Poi c'è un modo di usare la negazione per mentire, ma la menzogna viene realizzata non solo con la negazione. Ma in entrambi i casi, abbiamo una sorta di negazione: dire no alla realtà. Il mentire emerge in quel Geist der steits verneint (io sono lo spirito che sempre nega), secondo la definizione che Mefistofele dà di se stesso. 1

Dire di no

alla realtà mentendo per asserire la falsità di p

per

rifiutare di fare

per rifiutare l'adesione a p

per affermare l'altro da p

Anna Wierzbicka cerca d'individuare al di là della specificità delle singole lingue storico-naturali un common core di primitivi concettuali universali. Il suo gruppo ha individuato, a tutt'oggi, una sessantina di universali semantici, testati empiricamente su una vasta scala attraverso l'analisi di lingue geneticamente e tipologicamente del tutto dis- simili. Nel gruppo originario, fra i 14 primitivi semantici non compare not. In questa fase, Wierzbicka considera come primitivo 'don't want', ossia la negazione come rifiuto. Ma presto le viene un dubbio, e l'analisi della negazio- ne nel processo di apprendimento del linguaggio infantile riesce a convincerla del riduzionismo di questo suo approccio iniziale. Nel linguaggio infantile la negazione compare con un ampio spettro di valori: a volte viene usata come negazione del quantificatore esistenziale (No pocket per dire There is no pocket here), o per esprimere un giu- dizio negativo (No truck per This is not the truck in risposta a chi chiede Where is the truck?), o come rifiuto (No dirty soap per I don't want dirty soap). La convince la scoperta che nell'apprendimento del linguaggio infantile l'uso della negazione come rifiuto non è anteriore all'uso della negazione come giudizio.

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Capitolo II: Negazione e paradigma La categoria della negazione ha evidenziato una serie di funzioni, in parte alternative e in parte complementari: rifiuto, asserzione di falsità, affermazione per implicazione di altro, rifiuto di adesione. Ci proponiamo ora di mettere in rapporto la negazione con una categoria - l’opposizione. “Pensare il mondo per antinomie è quasi inevitabile”. Il procedimento della ragione per opposizione trova conferma nel mondo greco, in cui tutto permeato da una concezione bipolare della realtà. Già prima che nel pensiero filosofico, l’opposizione bipolare svolge un ruolo centrale in due momenti rilevanti della PAIDEIA: il mito e la teogonia. Le forze cosmiche primordiali descritte nei discorsi teogonici appartengono per lo più a sfere polarmente opposte. Cosi nella Teogonia di Esiodo Caos si oppone a Gaia, caratterizzati rispettivamente da amorfia e da forma. In modo analogo alle forze cosmiche, ciascuna divinità tende ad essere associata ad un’altra polarmente opposta (cosi Apollo si oppone a Dioniso e Artemide ad Afrodite) e si configura nel contempo come una commistione di forze polari (simboli di Apollo sono sia l’arco che la lira; Artemide è vergine e protettrice delle partorienti). Se passiamo dal mondo mitico e teogonico a quello filosofico, la tendenza a pensare e a categorizzare la realtà in termini bipolari è documentata fin dalle origini. NB: Aristotele affermava à “Quasi tutti i filosofi sono d’accordo nel ritenere che gli esseri e la sostanza sia costituiti da contrari”. Sono emblematiche in proposito le dieci coppie di contrari (detti “coelementi”) poste dai Pitagorici a fondamento della realtà: dispari-pari; destro-sinistro; retto-curvo; buono-cattivo. Ma già prima dei Pitagorici una concezione sostanzialmente bipolare anima la filosofia presocratica. Si pensi alla distinzione posta da Parmenide fra Essere e Non-essere e fra luce e tenebre, ma anche alla concezione della natura fortemente bipolare proposta da Empedocle, con le due forze cosmiche di Amicizia e Discordia preposte alla mescolanza e alla separazione dei quattro elementi: aria, acqua, fuoco e terra. E’ però con la dottrina platonica del Principi supremi che il bipolarismo trova la sua attuazione più esplicita e sistematica. Platone propone nell’ambito della teoria delle Idee una struttura bipolare della realtà, fondata sull’opposizione dei contrari, facenti capo ai due principi ultimi dell’Uno e della Diade. La polarità intrinseca all’Essere posta da Platone fonda simultaneamente la dialetticità del conoscere. Il riconoscimento della rilevanza semantica e logica si avrà però solo con Aristotele, a cui dobbiamo la prima classificazione delle opposizioni fra termini e fra proposizioni. NB: Si tratta, insieme al sillogismo, delle forme espressive a cui si mette capo l’attività conoscitiva. La logica minor studia i diversi tipi di pensato. La logica maior studia invece il pensato nei suoi aspetti universali.

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OPPOSIZIONE come Principio Costitutivo di Categorialità: il PARADIGMA Aristotele, che si è occupato ampiamente di negazione in diversi trattati dell’Organon e nella Metafisica, pur senza mai sviluppare una teoria sistematica, inizia a trattare di negazione proprio nell’ambito di un’analisi delle opposizioni fra i termini proposta nelle Categorie. Qui egli distingue quattro modi in cui i termini possono contrapporsi fra loro. 1) Una prima forma di opposizione è la correlazione. I correlativi si oppongono fra loro come ad esempio il doppio alla metà. Il doppio, precisa Aristotele, si dice di qualcosa: i termini di questa opposizione sono in sé ciò che sono l’uno rispetto all’altro. Vi è pertanto una interdipendenza fra i due termini. Possiamo dire che la correlazione consente la lettura della medesima situazione da un altro punto di vista. Essa coincide con la nozione di conversività della semantica linguistica contemporanea. 2) Una seconda forma di opposizione è la contrarietà: i contrari si contrappongono fra loro come il male al bene o il bianco al nero. Nella contrarietà ciò che i due termini sono in sé non lo sono, né possono essere detti, l’uno rispetto all’altro: il bene non si dice rispetto al male, essendo per l’appunto il suo contrario. In alcuni casi i contrari non ammettono alcuna nozione intermedia: un numero sarà o pari o dispari. Ma un oggetto non dovrà essere necessariamente o nero o bianco. I contrari consentono quindi a volte un termine medio, che può avere una sua denominazione o essere denominato come ciò che non è né l’uno né l’altro estremo. NB: La possibilità di un termine medio dipende a ben vedere dalla natura del paradigma di cui fanno parte gli estremi dell’opposizione. Se il paradigma è continuo tra i due estremi sono possibili infinite gradazioni, trattandosi di una proprietà scalare, graduabile. Il paradigma discreto invece non presenta gradi; esso non consente che una scelta binaria fra due alternative cosi una luce o è accesa o è spenta. 3) Una terza modalità di opposizione è la privazione che si oppone al possesso – ad esempio cecità-vista. Essa va intesa come assenza di ciò che ci si aspetterebbe presente per natura. Date per esempio le coppie di antonimi cieco-vedente, caldo-freddo, nel primo caso abbiamo a che fare con una privazione, nel secondo caso con due contrari. Nella Metafisica l’opposizione privativa in quanto mancanza assoluta di un attributo verrà fatta coincidere con la contrarietà. Per Privazione si intende la mancanza assoluta di una cosa: infatti non si dice cieco chi vede con un occhi solo, ma chi non vede da tutti e due gli occhi. La Contrarietà prima è data dal possesso e dalla privazione, non però da ogni privazione, in quanto la privazione si intende in diversi sensi, ma solamente dalla privazione perfetta. 4) Una quarta forma di opposizione è quella fra affermazione e negazione – come ad esempio siede e non siede - ossia la contraddizione. Questa opposizione è la più radicale in quanto non ammette la possibilità di termini intermedi. Gia in questo passo delle Categorie per distinguere le proposizioni contraddittorie dalle contrarie Aristotele ricorre come principium divisionis al comportamento del valore di verità. 4

Le contraddittorie si oppongono massimamente fra loro: se l’una è vera, l’altra dovrà essere necessariamente falsa e viceversa. Gli stati di cose da loro asseriti non possono coesistere simultaneamente. Non posso simultaneamente dire “Socrate è malato” – “Socrate non è malato”. La negazione contraddittoria si fonda pertanto innanzitutto sul principio di non contraddizione. Ma il principio di non contraddizione riguarda non solo le opposizioni contraddittorie. Esso concerne anche le contrarie: se è vero che Il tavolo è bianco non potrà essere simultaneamente vero che Il tavolo è nero; analogamente alle contraddittorie, le contrarie non possono essere entrambe vere. Ritorniamo alle contraddittorie. Esse si oppongono massimamente fra loro; oltre a non poter essere simultaneamente vere per il principio di non-contraddizione, non possono essere neanche simultaneamente false per il principio del terzo escluso: o si dà che Socrate è malato o si dà che Socrate non è malato; tertium non datur. In altre parole, fra di esse non possono esistere termini intermedi. In effetti il contributo del pensiero greco è non solo ricco ma per molti aspetti tuttora attuale. Si deve perciò in qualche modo rimetterlo in gioco nel dibattito scientifico attuale. Tale rimessa in gioco risulta anzitutto utile in relazione a una categoria fondamentale introdotta dalla linguistica moderna: il paradigma.

Se osserviamo i generi di opposizioni distinti da Aristotele, si scorge che essi possono rappresentare una possibile tipologia dei paradigmi semantici: 1) correlativi à

sotto-sopra; destra-sinistra

2) contrari à

bianco-nero; alto-basso; forte-debole

3) opposizione privativa à

vedente-cieco; udente-sordo

4) contraddizione à

bianco-non bianco; udente-non udente; destra-non destra

È possibile che un predicato giochi in più di una opposizione; in particolare in 4) possono figurare tutti i termini. È interessante ancora che gli estremi dell’opposizione 4) (antifatica) presi insieme siano coestesi a ciascuno degli altri paradigmi. Peraltro, l’opposizione antifatica di 4) è semplicemente costituita dalla negazione. Ora, potendo ogni elemento dei primi tre paradigmi figurare in 4) in opposizione antifatica, dobbiamo dedurre che la negazione costituisce il fondamento semantico di ogni paradigma. Il principio oppositivo e dunque l’organizzazione paradigmatica non operano però solo a livello semantico. Esso opera evidentemente a livello morfologico, dove lo troviamo a fondamento di quel particolare paradigma che è la categoria morfologica, che prevede elementi di numero finito. Dato un lessema di una parte variabile del discorso, esso dovrà prendere necessariamente posizione in rapporto a determinate categorie morfematiche. In altre parole, un nome in latino deve comunque specificare (scegliere) uno dei generi, uno dei numeri, uno dei casi. Ciascuna categoria morfematica si configura in effetti come un paradigma, il quale comporta un numero finito di scelte possibili.

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Il principio oppositivo opera inoltre anche a livello fonologico. Dall’opposizione usata per caratterizzare i modi di essere che troviamo a livello semantico passiamo, a livello fonologico, all’opposizione usata per distinguere e differenziare le espressioni. Non possiamo non riandare a questo punto alla teoria fonologica di Trubeckoj e alla sua tipologia delle opposizioni fonologiche. Il fonema quindi vive di opposizione. Senza oppositività non si dà capacità di differenziazione. Trubeckoj definisce il fonema come unità fonologica che non può essere scomposta ulteriormente in unità più piccole. Per unità fonologica si intende un membro di un’opposizione fonologica e per opposizione fonologica ogni opposizione di suono che viene usata per la differenziazione del significato. Quanto poi al fonema considerato nella sua vita nel sistema emerge ancora una volta l’importanza dell’opposizione che fa si che esso sia quello che è non soltanto per le sue proprietà intrinseche ma proprio in quanto “non è” tutti gli altri fonemi presenti in quel determinato sistema. Quanto la fonologia trubeckojana sia debitrice della concezione aristotelica diventa evidente solo che si considerino i diversi tipi di opposizione nell’uno e nell’altro; c’è però un aspetto della teoria trubeckojana che rappresenta un contributo prezioso alla teoria generale delle opposizioni: l’introduzione del concetto di base di comparazione che risulta particolarmente utile a livello testuale. Vediamo pertanto come il paradigma è all’opera entro il testo. Consideriamo le espressioni: 1) Stefano non è laureato, ma diplomato 2) Stefano non è laureato, ma sposato 3) Luigi non beve Barbera, ma Barolo In esse la scelta dell’elemento che compare nel contesto correttivo introdotto dalla congiunzione avversativa avviene a ben vedere nell’ambito di un paradigma che viene circoscritto entro il testo stesso e i cui elementi si oppongono fra loro per il fatto di condividere la medesima base di comparazione. Da qui l’impossibilità di opporre sposato a laureato. Non condividendo la medesima base di comparazione, i due elementi vengono ad appartenere a paradigmi diversi. È a livello testuale che emerge quanto l’affermazione e la negazione si implichino reciprocamente. L’affermazione, se da un lato consente di attivare nel testo una determinata categorialità, dall’altro per il principio omnis determinatio est negatio viene nel contempo ad escludere dal testo tutte le altre possibilità previste dal paradigma. Cosi gli enunciati affermativi: “E’ venuto ieri”, “Questo tavolo è bianco”, mentre affermano, negano che la persona in oggetto sia venuta in tutti gli altri tempi possibili diversi da ieri o che il tavolo sia di un colore diverso dal bianco. Il paradigma che si viene a costituire a livello testuale è quindi formato dall’elemento affermato, ossia attivato dal testo, nonché dalla totalità degli elementi esclusi. Se ora neghiamo i due enunciati affermativi – “Non è venuto ieri” – “Questo tavolo non è bianco” - si viene nel contempo ad affermare che quella data persona è venuta in uno dei tempi possibili ad eccezione di ieri, con oggi 6

come possibile esplicitazione, e che il tavolo è di uno dei colori previsti dal paradigma cromatico, ad eccezione del bianco. Come notiamo la negazione è quindi l’operazione che trasferisce il paradigma nel sintagma, ossia che consente di riaprire il testo a quelle possibilità previste dal paradigma che sono escluse dall’affermazione. In quanto dice un “essere diverso da” il negare si rivela essere essenzialmente uno strumento per dire. La negazione come strumento espressivo di alterità e diversità, che apre quindi al paradigma, ha una storia antica, che vede una sua prima messa a fuoco nel Sofista di Platone. Qui lo Straniero di Elea, dopo aver affermato che quando parliamo di non-essere non dobbiamo intendere il contrario dell’essere, bensì il diverso, afferma che analogicamente quando parliamo di “non-grande”, di “nonbello”, di “non-giusto” non dobbiamo intendere con ciò il contrario del grande, del bello e del giusto, quanto piuttosto il diverso dal grande, dal bello e dal giusto. Solo che si consideri che il paradigma è il luogo dei possibili diversi si coglie la rilevanza attuale di questo apporto di Platone. Già qui sembra di poter intravedere la negazione come operazione che capovolge il paradigma nel sintagma. Torniamo alla nozione di Paradigma. È il paradigma tout court che vive di opposizione. Riprendendo la teoria dei rapporti associativi Hjelmselv applica la nozione di paradigma alla classe delle unità commutabili in un dato contesto, che stanno fra loro in relazione, ossia in opposizione. In quanto insieme di elementi equivalenti in rapporto ad una data funzione, il paradigma è sostanzialmente l’ambito entro cui avviene la scelta. Questa è garantita dall’equivalenza degli elementi in rapporto alla funzione svolta, ma forse più ancora dalla loro oppositività. Il paradigma non è in ogni caso un semplice insieme, un repertorio di elementi, ma piuttosto una disgiunzione di elementi ciascuno dei quali è in rapporto di disgiunzione con tutti gli altri. Soffermiamoci ora più in generale sulla rilevanza semiotica del paradigma, cioè in rapporto alla stessa costituzione dei sistemi di segni. [NB: non possiamo non accennare all’importanza euristica della negazione nella interpretazione psicoanalitica dove essa interviene quale strumento rivelatore del rimosso. Nell’interpretazione psicoanalitica la negazione viene sempre letta come affermazione. Essa infatti, totalmente assente dall’Inconscio, è l’unica via che consente ad elementi altrimenti rimossi di affluire alla coscienza.] Andiamo per questo alle celebri pagine del Cours saussuriano dedicate alla nozione di valore linguistico. La nozione saussuriana di langue come sistema di elementi solidali, in cui “il valore dell’uno non risulta che dalla presenza simultanea degli altri” ed “è determinato da ciò che lo circonda”. Il linguista ginevrino afferma cosi che “nella lingua non vi sono se non differenze”. Ancora se “una differenza suppone in generale dei termini positivi tra i quali essa si stabilisce, nella lingua non vi sono che differenze senza termini positivi”. Se si considerano sia il signifiant che il signifiè, la lingua non comporta né delle idee né dei suoni che preesistano al sistema linguistico ma soltanto delle differenze concettuali e delle differenze foniche uscite da questo sistema.

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Proprio questa differenzialità sul piano del significante e del significato è ciò che istituisce il segno nella sua concretezza. “Dal momento in cui si considera il segno nella sua totalità, ci si trova in presenza di una cosa positiva nel suo ordine. Un sistema linguistico è una serie di differenze di suoni combi...


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