Ètienne Decroux. Parole sul mimo PDF

Title Ètienne Decroux. Parole sul mimo
Course Storia del teatro e dello spettacolo
Institution Università di Bologna
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riassunto dettagliato del libro Parole sul Mimo. Decroux...


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Ètienne Decroux. Parole sul mimo. La vera importanza di Decroux nel teatro contemporaneo. Marco De Marinis 1.Numerosi Decroux Etienn Decroux, il creatore del mimo corporeo, nasce nel 1898. Si è formato nella grande stagione delle avanguardie storiche primo novecentesche, ha avviato la sua carriera di creatore, ricercatore e pedagogo teatrale nella seconda metà degli anni venti, ha raccolto i maggiori riconoscimenti pubblici, in Francia e poi in tutto il mondo, tra la metà degli anni quaranta e l’inizio degli anni sessanta, e ha esercitato l’insegnamento per quasi mezzo secolo. Nel caso di Decroux anniamo un solo libro, Paroles sur le mime, e poi l’aneddotica, di una tradizione orale alimentata da varie generazioni di allievi. In mezzo di stende il terrain vague di una documentazione, sia cartacea che audio e audiovisiva, frammentaria, dispersa e quasi sempre di difficile accesso, la cui circolazione clandestina non ha certo agevolato fin qui il lavoro degli studiosi. Esisono numerosi Decroux, identificabili con le varie stagioni del suo lungo itinerario teatrale, dell’apprendistato alla scuola di Copeau, nel 1923/24 fino alla morte nel 1991. Oltre a questa pluralità diacronica esiste anche una pluralità sincronica o verticale,che riguarda i differenti piani sui quali si è mosa, la ricerca artistico-pedagogica di Decroux. È possibile individuare tre Decroux diversi, cioè tre livelli della sua ricerca artistico-pedagogica: 1. Il Decroux inventore del mimo corporeo come nuovo genere teatrale; 2. Il Decroux alla ricerca di un’arte teatrale pura, essenziale, fondata sull’uso espressivo-estetico del corpo, attitudini-gesti-movimenti, ma senza obblighi stretti di codificazione e senza divisione rigide fra generi; 3. Infine esiste un terzo Decroux, forse il più importante per noi oggi: colui che ha sviluppato una delle indagini più rigorose, approfondite e sistematiche, che abbia mai conosciuto l’intera tradizione occidentale teatrale, sui fondamenti dell’arte dell’attore: vale a dire sull’azione fisica in scena, sulle sue tecniche e sulla sua drammaturgia. Le domande che si pone Decorux sono le stesse che rintracciamo al fondo del lavoro di altri grandi maestri del nuovo teatro novecentesco: che cosa consente all’attore di agire realmente in scena? In che modo egli può farsi creatore e drammaturgo con i propri mezzi d’attore? Anche nel caso di Decroux, la ricerca tecnica accanita sull’attore rivela la sua doppia, opposta potenzialità: via d’accesso obbligata per arrivare al cuore dei problemi dell’arte scenica, e al tempo stesso, via privilegiata che il teatro del Novecento ha seguito per trascendersi, cioè per andare oltre se stesso, oltre lo spettacolo, oltre l’arte, attraverso un’interrogazione radicale sul suo valore e sul suo senso. Sicuramente il primo movimento, verso l’Arte, è visibile a occhio nudo,nel lavoro di Decroux, più del secondo, oltre l’Arte. (Decroux ha passato più di cinquant’anni a sperimentare e denominare centinaia e centinaia di gesti delle mani, delle braccia e delle gambe, di movimenti e posture corporee: fissando così il lessico e la grammatica, incredibilmente minuziosi, di un corpo altro, rifatto dalla fondamenta. E poi: centinaia e centinaia di esercizi, battezzati anch0essi uno ad uno, con nomi sempre molto concreti e fantasiosi.) 2.Verso l’arte: la contraffazione del corpo Il mimo corporeo di Decroux non nasce per riformare la tradizione della pantomima ma per rivoluzionare il teatro. Esso rappresenta una risposta alla stessa domanda sottesa alle ricerche degli altri registi-pedagoghi del primo novecento (in primis, a quelle dei suoi due maestri: Copeau e Craig): come fare del teatro un’arte, cioè come innalzare il teatro da fatto di mestiere, pertinente alla sfera del divertimento e dell’evasione, a fatto culturale e artistico, creazione estetica > Decroux > se il teatro è essenzialmente attore, allora esso diventerà arte solo il giorno in cui esisterà un’arte dell’attore. Quanto a questa, se è vero che, a sua volta, l’attore è essenzialmente, cioè basicamente, presenza in scena cioè corpo in azione, allora sarà soltanto partendo dal lavoro sul proprio corpo che egli potrà sperare di attingere l’arte: “il mimo è l’essenza del teatro che, quanto a lui, è l’accidente del mimo” “l’attore non è nient’altro che un mimo”. Il mimo corporeo costituisce la risposta estrema, ma conseguente e rigorosa, a questo ragionamento. Letto al di là di ogni ottica di genere, esso rappresenta (nel novecento), l’utopia di un teatro puro, ricondotto alla sua originaria essenza attorale, con al centro un attore creatore, un attore artista, adeguatamente provisto 1

sia di una coscienza che di una conoscenza del proprio corpo. conviene approfondire la doppia equivalenza arte del teatro= arte dell’attore=arte del corpo, insistendo proprio sul termine arte. Si tratta di una parola che ricorre con grande frequenza nei suoi scritti. Cos’è arte, che cos’è un artista, per Decroux? Per lui l’arte presuppone un controllo pieno da parte dell’artista sui suoi mezzi espressivi, sul suo materiale. Di conseguenza, l’opera d’arte rappresenta il risultato di un intervento libero, volontario e cosciente che l’artista attua sul proprio materiale, senza farsene dominare ma al contrario dominandolo e trasformandolo, riducendo al minimo le interferenze accidentali. Ora se questo è vero, ne consegue, che l’attore occidentale di norma non è un’artista, non fa arte perché le sue condizioni di lavoro non soddisfano il prerequisito indispensabile del pieno controllo sui propri mezzi espressivi e cioè, primariamente, sul proprio corpo usato in funzione estetica-espressiva > denuncia la mancanza di quella coscienza-conoscenza corporea e quindi di una tradizione tecnica effettiva per l’attore occidentale, simile a quelle esistenti invece nei teatri asiatici. Secondo Decroux, la ragione per cui il nostro teatro accusa questa mancanza dipende da una insufficiente presa di coscienza del doppio handicap dell’attore come aspirante artista: primo handicap > l’artista e il materiale coincidono; secondo handicap > questo materiale è già provvisto di una forma, per giunta immodificabile prima che l’artista vi intervenga > assumendo questa peculiarità come un dato ineluttabile non si esce dall’imbarazzante tautologia di una figura umana che non sa rinviare ad altro che a se stessa, e quindi dall’impasse di un attore che non riesce a farsi artista perché incapace di modellare la propria presenza secondo forme diverse da quelle naturale e preesistenti al suo intervento. Per mettersi nelle condizioni di poter fare realmente arte, l’attore, secondo Decroux deve imboccare e percorrere fino in fondo la strada della “contraffazione del corpo” > operazione chiave del mimo corporeo. Per evitare che il corpo si riduca a imitare soltanto se stesso, accontentandosi di riprodurre delle forme preesistenti all’intervento dell’attore, e quindi non pervenendo all’arte, è necessario che esso di contraffaccia nei suoi movimenti e che soffra a contraffarsi. Che cosa significa, per Decroux, contraffare il corpo nei suoi movimenti? Significa, fondamentalmente deformarlo, costruirsene un altro, fittizio, scenico, extraquotidiano, che sia in grado di danser à l’envers (Artaud),utilizzando i propri organi fisici secondo modalità ben diverse da quelle vigenti nella realtà. Biologiche, naturali, al fine di produrre forme espressive artificiali, insolite, sorprendenti, astratte. La contraffazione decrouniana comincia già ovviamente con il rovesciamento della gerarchia corporea, che instaura l’innaturale primato del tronco (!) e spesso amputa, sfigura l’attore mimo, azzerandone in vari modi il volto: e su questa strada, essa può arrivare fino all’occultamento completo, realizzato ad esempio in una pièce del 1962, L’enveloppe¸ che mostra il dinamismo drammatico di forme astratte, disumanizzate ma viventi, come appaiono quelle di un corpo umano in movimento sotto un enorme lenzuolo che lo avvolge per intero. Ma la contraffazione del mimo decrouniano concerne soprattutto le particolari modalità che regolano il movimento intracorporeo e gli spostamenti nello spazio, e cioè riguarda rispettivamente la geometria corporea e la geometria mobile, le quali si fondano sui principi extraquotidiani del contrappeso, del disequilibrio, dell’indipendenza degli arti, del dinamismo meccanico, dei dinamo ritmi, dell’attitude. In realtà, l’intera grammatica mimica sperimentata e fissata da Decroux può essere concepita come una grammatica della contraffazione, vale a dire come un corpus di regole per l’apprendimento e l’applicazione creativa della contraffazione corporea e quindi come insieme di precondizioni per l’attore-artista e per il teatro arte > “ il mimo è a suo agio nel disagio”. 3.La doppia articolazione: drammaturgia del corpo e dell’azione In Decroux è portato a livelli di sistematicità e di profondità ineguagliati quel lavoro di doppia articolazione che è riconoscibile al fondo delle ricerche di molti dei Padri Fondatori del Novecento teatrale: e cioè un lavoro di scomposizione/ricomposizione riguardante il corpo dell’attore e l’azione fisica che quel corpo è incaricato di produrre sulla scena > ciò che Barba ha chiamato drammaturgia organica o dinamica (da qualche tempo Eugenio Barba ha preso a distinguere fra tre diverse drammaturgie con la precisazione che dovrebbero agire contemporaneamente ma possono essere lavorate ognuna per conto suo: la drammaturgia organica o dinamica: la composizione dei ritmi e dei dinamismi che coinvolgono lo spettatore a livello nervoso, sensoriale e sensuale; la drammaturgia narratica, che intreccia gli avvenimenti, i personaggi, e orienta gli spettatori sul senso di ciò che stanno vedendo; e infine la drammaturgia che ho chiamato drammaturgia dei mutamenti di stato, quando l’insieme che mostriamo riesce ad evocare, qualcosa di diverso, come quando dal canto e dalla musica si sviluppa, tramite gli armonici, un’altra linea 2

sonora) > in Mejerchol’’d e in Decroux tendenza ricorrente a scomporre il comportamento scenico nella sue articolazioni più minute per poi sottoporlo a dei procedimenti di ricomposizione montaggio, sia secondo l’asse orizzontale della successione, sia secondo l’asse verticale della simultaneità. La logica di questi procedimenti di ricomposizione-montaggio è al fondo,la stessa per tutti: non si tratta mai della logica della verosimiglianza e dell’imitazione realistica ma di quella, ben diversa, che mira a preservare la vita scenica dell’azione, vale a dire ciò che le permette di essere reale, non realistica, per lo spettatore. Di Decroux (anche grazie alla trasmissione orale e corporea assicurata dai suoi allievi) è possibile conoscere Il Falegname o La Lavandaia le cui prime versioni risalgono al 1931. Queste due pièces comportano: 1. Un’analisi minuziosa dei gesti e dei movimenti dei falegnami e delle lavandaie nella realtà, segmentati progressivamente in frammenti sempre più corti. 2. Un lavoro straordinariamente dettagliato e complesso condotto su ogni atomo d’azione. Ciascun frammento selezionato viene elaborato di nuovo, a fondo, e infine montato con gli altri sul doppio asse della successione e della simultaneità, seguendo l’intera grammatica del mimo corporeo: indipendenza degli arti, primato del tronco, contrappeso, disequilibri, dinamo ritmi etc. Uno di quegli allievi che hanno contribuito ad assicurare la trasmissione delle tecniche e delle creazioni di Decroux è Thomas Leabhart (pag 11) > il risultato artistico è una danza astratta dell’energia, nella quale delle azioni quotidiane di partenza resta assai poco, quasi niente spesso, dal punto di vista della riproduzione pantomimica ma resta al contrario molto sul piano delle equivalenze dinamiche e ritmiche e degli impulsi interiori: la gioia e la gloria del lavoro manuale nella Lavandaia ; la pena e la sofferenza della lotta eroica, prometeica, dell’uomo con la materia nel Falegname, assurto roussseauniamente a simbolo dell’Homo Faber. Giacché per Decroux la cosa più importante non consisteva nell’azione esteriore ma in ciò che sta dietro e al fondo di essa: il pensiero, la vita interiore, l’invisibile; è soprattutto questo che il mimo dovrebbe sforzarsi di rappresentare, o meglio ancora, di trasporre in forme plastiche allusive, ellittiche, ambigue. Corinne Soum ha osservato di recente che, con ogni probabilità, il fatto che quasi tutte le creazioni di Decroux siamo molto brevi, con la quasi unica eccezione di Petits soldats, non è senza relazione con il suo rifiuto della narrazione (pag 12). 4.Intermezzo: a proposito di due equivoci Come sostengono i suoi allievi delle varie generazioni, Decroux fu non soltanto attratto ma addirittura ossessionato dalla creazione, e questo dell’inizio alla fine, sino alla chiusura della scuola nel 1987. Checché se ne dica (si dice che fosse più interessato alla composizione più che alla creazione e che fosse più pedagogo che artista) per lui la questione artistica occupò sempre un posto di primo piano, anche dopo il ritiro ufficiale dalle scene, negli anni sessanta, e il definitivo isolamento fra le mura della casa-scuola di Boulogne-Billancourt- e anche a proposito del rigido grammatico e del codificatore che rifiuta ogni forma di improvvisazione, oggi siamo in grado di smentire sia in generale, che esista realmente contraddizione fra l’attitudine a fissare principi, tecniche e materiali e il ricorso a vari livelli, all’improvvisazione sia, in particolare, il disinteresse o la diffidenza di Decroux verso l’invenzione estemporanea e la spontaneità nel lavoro dell’attore. Corinne Soum, allieva e poi assistente di Decroux fra il 1978 e il 1983 dimostra inconfutabilmente come la verità sia esattamente l’opposto della vulgata: (pag13) “.. non esistono figure o pieces decrouniane che non siano partite da improvvisazioni … tutto è sempre stato improvvisato all’inizio e veniva fissato solo quando egli decideva che ne valeva la pena.. prendeva appunti e filmava … improvvisare non vuol dire produrre delle note stonate. Improvvisare significa lasciar filtrare il proprio umore attraverso un linguaggio, e più c’è maestria più l’improvvisazione è un autentico frutto dell’inconscio; meno c’è maestria e più l’improvvisazione ha l’aria di essere un esercizio, una gamma”. Il lavoro creativo, per Decroux, costituì per lui soprattutto il terreno di sperimentazione e di verifica delle acquisizioni che via via veniva facendo nel corso del suo straordinario, lunghissimo viaggio nella terra ancora incognita dell’espressività e delle pre-espressività corporee. Anche nel caso di Decroux, la tensione all’arte, alla bellezza, alla poesia scenica, non spiega tutto. Infatti anche in Decroux la ricerca tecnica ed estetica accanita, ininterrotta, di cui ho appena parlato, nasconde dei presupposti e degli obbiettivi profondi che oltrepassano di molto le finalità strettamente spettacolari e anche quelle artistiche, a meno appunto di non voler conferire alle parole arte/artista un significato più vasto e più profondo. Anche nel caso del nostro, si scopre che il movimento verso l’arte è raddoppiato, ma non necessariamente contraddetto, da un movimento opposto: al di là dell’arte. 3

In Decroux questa aspirazione alla trascendenza, cioè a una finalizzazione non strettamente artisticospettacolare della ricerca e del lavoro tecnico è meno visibile che in altri protagonisti del XX secolo. 5.Oltre l’arte:povertà, miseria e ricchezza Per tentare di dimostrarlo, vorrei partire da due citazioni tratte dall’articolo che Decroux scrisse in polemica con Gaton Baty nel 1942: “ io credo che un’arte sia tanto più ricca quanto è più povera di mezzi”; “ io credo che un’arte sia completa solo se è parziale”. Premettiamo che qui egli sta parlando di povertà e di ricchezza in senso artistico e non finanziario > si parla invece di possedere un solido buon senso artistico. Cosa vuol dire in effetti Decroux? Due cose: 1. La povertàin arte è la scelta di rinunciare a tutto ciò che non è indispensabile, di cui si può quindi fare a meno, per potersi concedere il lusso di non risparmiare su ciò che è davvero essenziale: concentrarsi sull’arte dell’attore, prendendosi tutto il tempo per l’allenamento, la ricerca, le prove, e risparmiare sul resto: scene, costumi, musiche etc. 2. Troppo spesso la ricchezza in arte è stata ed è, al contrario, la scelta di non rinunciare a niente del superfluo per trovarsi poi costretti a risparmiare proprio sull’essenziale; in teatro, ricchezza ha significato troppo spesso puntare sullo spettacolo e risparmiare sul teatro, cioè sull’arte dell’attore e su tutti i suoi presupposti: ricerca, allenamento, lunghe prove. La povertà di mezzi è garanzia, da sola, di ricchezza artistica nel lavoro, nei risultati ? direi proprio di no. In realtà non c’è nessuna garanzia che la povertà di mezzi si traduca sempre, automaticamente, in ricchezza artistica dei risultati a teatro. potremmo al massimo dire che essa costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente. Perché c’è sempre in agguato il rischio che la povertà degeneri in miseria. Che cosa occorre per evitare che ciò accada? “prima di essere questo p quello, bisogna essere. Prima di essere completa, un’arte deve esistere” Jacques Copeau: “ per potersi donare, l’attore deve prima possedersi” > - Un teatro non può esistere, non può essere, senza attori di teatro che siano, cioè che esistano come tali, che si posseggano come attori di teatro; - Per possedersi come tale, l’attore di teatro deve lavorare a lungo tecnicamente prima di e per poter lavorare creativamente; deve cioè lavorare a lungo su se stesso. 6.Il lavoro su se stessi e il mimo come teatro politico. Che il lavoro dell’attore sia prima di tutto, e più di tutto, un lavoro su di sé rappresenta una delle grandi ideeguida proposte e praticate nel teatro del Novecento da Stanislavskij in avanti. Che cosa ci hanno insegnato i grandi maestri della scena contemporanea a proposito dell’attore su se stesso ? che si tratta di un lavoro eminentemente tecnico che però coinvolge l’attore in quanto “essere umano totale”: corpo, mente e anima, esterno e interno, espressione e sentimento. Si tratta dunque di un lavoro tecnico,è vero, ma che, da un lato, implica dei presupposti etici e dall’altro, dovrebbe produrre dei fortissimi effetti di tipo etico-spirituale, in termini di recupero della consapevolezza, per dirla con Feldenkrais, ovvero di ricordo di sé e di risveglio. È proprio nel lavoro dell’attore su se stesso che va cercata la ragione profonda del carattere fortemente politico che Decroux annetteva alla sua ricerca mimica. Egli parlava di militanti del movimento. Sosteneva anche che l’arte del mimo è politica o prometeica in quanto si oppone a quella religiosa che si limita a contemplare o a lasciarsi agire (come la danza): il mimo agisce, produce realtà invece di imitarla, crea un suo proprio mondo invece di estasiarsi passivamente di fronte a quello dato. E dunque, per lui, il mimo non p soltanto un’arte ma una filosofia di vita e una filosofia tout court, cioè una vera e propria visione del mondo, della natura dell’essere umano e del suo destino. Se decantiamo tutto ciò da una certa enfasi predicatoria, al fondo troveremo proprio quello che molti altri maestri del Novecento hanno scoperto e praticato: - Le ricadute etico-spirituali (e quindi anche politiche) del lavoro tecnico dell’attore su di sé; La possibilità di usare le tecniche dell’attore a guida di tecniche per la disciplina personale. Barba: Decroux non insegnava semplicemente le basi scientifiche del lavoro dell’attore, ma un mondo di prendere posizione che dalla posture fisiche e dalla composizione dei movimenti risuonava nel’atteggiamento etico e spirituale.

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Prefazione all’edizione francese (1963). André Veinstein … in un mondo di produttori di rumori, l’individuo si rivolge alla pratica e alla contemplazione di queste arti del silenzio per esprimere se stesso e per ritrovare se stesso. All’origine di quest’arte del mimo indipendente e di questa pantomima che attira grandi pubblici ci sono le ricerche, l’insegnamento e gli spettacoli di Etienne Decroux. Attore di teatro e di cinema dal 1923 al 1945 ha interpretato una quarantina di personaggi ma la sua vera vocazione è altrove.. pag 20. È davvero con un incessante tirocinio fisico che Decroux edifica questo teatro il cui unico strumento d’espressione è il co...


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