Storia della danza e del mimo PDF

Title Storia della danza e del mimo
Author Leonardo Pecchioli
Course Storia della danza e del mimo
Institution Università degli Studi di Firenze
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Danza e mimo. Appunti lezioni. Esame di scienze della comunicazione....


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STORIA DELLA DANZA E DEL MIMO LA DANZA PRIMITIVA La prima accezione del gesto della danza, seppur non con questo nome bensì con quello di “gestualità”, si ebbe nell’epoca primitiva. Si vuole evidenziare come la danza possa essere intesa come un primo metodo complesso di linguaggio, dei gesti con precise finalità. Gli antropologi si sono molto dibattuti nell’individuare un’universalità del linguaggio dei gesti, senza riuscirci: la danza non è un linguaggio universale, ma specifico di ogni società. Ogni tribù aveva un preciso linguaggio del corpo, non riconoscibile da tutti ma che si sviluppava all’interno della specifica civiltà al fine di codificare dei punti fermi rappresentabili e comprensibili da chi vi apparteneva. Dobbiamo però partire da una premessa: chi studia adesso e chi ha studiato in passato la danza? Si tratta di una disciplina relativamente giovane, che fino agli anni Trenta apparteneva soltanto agli antropologi che studiavano le pitture rupestri delle società tribali. Fondamentale per lo studio della danza il saggio di Curt Sachs intitolato “Storia universale della danza” (1933), volume che tratta in maniera monografica e precisa la danza dandole la dignità di una disciplina scientifica che si rendesse autonoma dagli altri campi. A pochi anni dall’uscita il volume diventa un caso scientifico grazie alla traduzione in inglese, mentre la prima versione italiana è soltanto del 1966. Questo saggio è importante anche perché per la prima volta considera la storia della danza distaccata dalla trattazione della musica. Il volume è composto di sette capitoli: cinque dedicati alla danza preistorica, uno a quella orientale e uno che va dal periodo greco-romano fino all’età del tango. Con quest’opera Sachs tenta un approccio storicizzante per la danza, per stabilire un equilibrio tra prospettiva culturale e descrizione tecnica. Nell’introduzione Sachs definisce la danza come una disciplina che è stata completamente trascurata dalla musicologia, considerata come una sorta di accessorio alla ricerca musicologica. Oltre a questo dice che la danza è un elemento fondamentale per la musica e fortemente legato alla storia dell’uomo: da questo momento la danza verrà quindi considerata come una disciplina autonoma, con una propria storia e con una propria materia di studio. La danza non è solo pura gestualità, ma è legata a una precisa finalità di tali gesti. Non dobbiamo pensare che l’uomo abbia danzato fin dalle origini solo perché gli studi antropologici lo hanno constatato. Se la danza fosse solo un gesto istintivo non sarebbe neanche interessante studiarla; invece, la danza si sviluppa in modo diverso, dotandosi di una forza e di una finalità che la rendono una disciplina culturale, utile per conoscere la storia dell’uomo. Per risalire alle prime danze bisogna andare all’epoca del paleolitico: erano composte da persone in gruppi oppure singole. I ritrovamenti di pitture su roccia testimoniano il modo di esprimersi con la danza delle culture, come ad esempio ad Altamira (Spagna), nella grotta di Chauvet (Francia), a Magura (Bulgaria) o a Kakadù (Australia). Quest’ultimo è uno dei più importanti punti di riferimento per la ricostruzione antropologica, perché presenta tante bellissime pitture di soggetti danzanti. L’uomo primitivo danzava ad ogni occorrenza (nascite, circoncisioni, matrimoni, raccolti, feste ecc…), quindi la danza era un elemento fondamentale all’interno della tribù. Per questo bisogna distinguere tra danza estatica (astratta) e rappresentativa (o imitativa), sebbene non si tratti di una differenziazione di genere. I fini infatti sono più o meno sempre gli stessi, mentre cambia il modo in cui l’interprete dei movimenti si rapporta con l’esterno. La danza rappresentativa (o imitativa) è una danza che cerca di connettersi con l’esterno, che cerca un rapporto con qualcuno che guarda; chi la agisce ha dunque la necessità di rapportarsi con qualcuno (un pubblico, il resto della tribù) e di rappresentare qualcosa. La danza estatica (o astratta) invece non ha una finalità rappresentativa figurativa, ma si

pone semplicemente al servizio di un’idea, di un fine religioso, senza imitare con una pantomima forme, gesti della vita e della natura. Proprio per questo si definisce astratta, cioè senza un soggetto rappresentativo. Questa danza si manifesta e si inserisce in un ambito prettamente cultuale religioso, dove il danzatore deve ottenere un contatto con la divinità attraverso un movimento vorticoso, disarmonico, che attraverso la ripetizione compulsiva sempre più veloce determini uno straniamento di chi lo compie. Questo movimento deve essere colto sia da chi lo realizza sia da chi lo guarda. Ma come mai c’è questa necessità così forte di un rapporto con la divinità? Bisogna considerare che l’uomo primitivo non conosce il processo naturale di causa-effetto, immaginando quindi figure misteriose che determinano la vita e che possono essere evocate o allontanate con azioni magiche. Questo è possibile soltanto in uno stato di ebbrezza, in cui una forte emozione prende il sopravvento sulla volontà e sul pensiero. Ogni danza è e produce estasi, quello straniamento fondamentale per entrare in contatto con le divinità. Di fronte a questi atteggiamenti si leverà una forte critica a partire dall’epoca romana, proseguendo nel Medioevo e fino all’Ottocento: il movimento del corpo disarmonico e senza scopi leciti verrà considerato un qualcosa da censurare. Tornando a Sachs, egli dice che l’idea dello straniamento attraverso il movimento del corpo è qualcosa che ha molto a che fare con la figura fondamentale del buffone, del giullare, o meglio ancora del performer. La follia sacra dà vita a danze non solo cultuali e mistiche, ma anche burlesche; ciò ci porta ad individuare quegli elementi figurativi che poi saranno determinati per la nascita del professionismo e delle arti figurative. Il giullare è un personaggio fuori dalla realtà, che fa da tramite tra il mondo reale e quello sovrannaturale (che non è solo il paradiso, ma piuttosto un aldilà inteso come mondo degli inferi). Nell’immagine che abbiamo visto notiamo delle figure animalesche, che adottano una postura molto diversa da quella dell’uomo e che indica una distorsione, uno straniamento, un avvicinamento ad una realtà diversa dalla società del tempo. LA DANZA NELLA SOCIETA’ GRECA Per la società greca lo spettacolo era considerato esclusivamente in funzione dell’educazione del cittadino. Era stabilito in tempi e momenti ben precisi, in cui i cittadini si spostavano fuori dalle città verso i teatri (i teatri infatti erano edificati fuori dalle città, in paesaggi naturali). Lo spettacolo era un qualcosa di occasionale, che avveniva poche volte durante l’anno e solo in occasione di determinanti eventi come ad esempio dei riti verso le divinità. Il teatro era concepito come educazione del cittadino, che si acquisiva grazie alla catarsi, cioè la sensazione di svuotamento e di purificazione dalle passioni che avviene proprio attraverso il godimento e la visione dello spettacolo. Per quanto riguarda la danza, per i greci rappresentava una delle attività più importanti per la coesione della società e per lo sviluppo dell’individuo. Essa, insieme a musica e ginnastica, era considerata parte integrante dell’educazione dei giovani e della loro preparazione alla guerra. In Grecia la danza veniva indicata con due termini: orchesis e choros. Il primo ha un significato molto ampio e comprende varie attività basate su movimenti ritmicamente ordinati; si riferiva per lo più ai balli di coppia o solistici, quasi esclusivamente realizzati da danzatori professionisti. Il choros invece indica una pratica collettiva, e quindi molto più diffusa; in particolare si riferisce a un tipo di danza eseguita in cerchio chiuso o in fila, con le donne separate dagli uomini e ancora oggi usata nei balli tradizionali greci. La danza era legata al canto e alla poesia, tanto che inizialmente il termine musiké non comprendeva solo la musica, ma anche la poesia e la danza. Quest’idea dell’unione delle tre arti verrà ripresa anche nei secoli successivi. In Grecia la danza ha anche un potere mimetico, nel senso che può rappresentare i caratteri, le passioni e le azioni (come dice Aristotele). Per farlo si serve degli schèmata, ovvero unità espressive che possono coinvolgere sia tutto il corpo sia alcune

parti come ad esempio le mani. Della danza parla anche Platone, che dice che essa nasce dalla tendenza di ogni animale a muoversi; tuttavia solo l’essere umano è capace di trasformare il movimento scomposto in danza. Nelle Leggi Platone dice che la danza è donata agli uomini dagli dei, e per questo è perfetta. Nel settimo libro di quest’opera, Platone divide le danze in base al loro contenuto etico/estetico: danze nobili, che comprendono danze di guerra (pirrica), danze di pace (emmeleia), danze che caratterizzano l’educazione, la religione e la vita civile; danze ignobili, ovvero quelle che sono la manifestazione di comportamenti spregevoli e che il cittadino non deve compiere. Come possiamo notare, Platone non realizza degli scritti specifici sulla danza, ma ne parla in testi di tipo politico: questo è indicativo del fatto che la danza sia l’emblema della buona società e di come la influenzi. Platone riserva poi una trattazione particolare alla danza dionisiaca, che secondo lui non va coltivata perché portatrice di ebbrezza e disordine, nonostante sia dedicata al culto di un dio. Tuttavia le danze di questo genere possono avere una funzione terapeutica, guarendo il furore di coloro che sono stati colpiti dalla “mania divina”, come mènadi e baccanti. Le teorie platoniche verranno ripresa da Nietzsche nell’opera “La nascita della tragedia”, con la divisione tra danze apollinee (etiche) e danze dionisiache (ignobili). LE DANZE GUERRESCHE: LA PIRRICA Un ruolo fondamentale per la danza nella società greca è occupato dalle danze guerresche, che si manifestano in varie forme. La più famosa è la pirrica, che ebbe il suo maggior riscontro a Sparta: il nome deriva dallo spartano Pirrico, fratello di Achille, oppure da Pirro Neottolemo che per primo l’avrebbe danzata intorno al cadavere del nemico Eurìpilo. Un’altra teoria è che il nome derivi dal colore rosso delle tuniche indossate da chi la pratica. E’ una danza che accompagna anche riti di iniziazione o di transizione da un’età all’altra, e per questo collegata al culto di Artemide, la dea che presiede all’ingresso dei giovani nel mondo adulto. La pirrica può essere associata anche al culto di Diòniso. In seguito la pirrica divenne una vera e propria pantomima, quindi una danza per rappresentare qualcosa: in questo caso soprattutto l’arte della guerra. La pirrica era praticata da giovani, da soli o in gruppo, che simulavano il combattimento con movimento di attacco e difesa. LE DANZE FESTIVE Il canto corale e la danza sottolineavano momenti fondamentali dell’individuo e della società, in eventi come i banchetti di nozze. Venivano cantati gli epitalami e hymenei, mentre le danze principali erano il komos e l’oklasma, eseguite sempre da professionisti perché avevano delle caratteristiche acrobatiche molto evidenti. Un altro tipo di danza festiva era il kordax, in cui si mimava il comportamento di un uomo ubriaco compiendo movimenti barcollanti e sguaiati. Secondo la classificazione di Platone, rientra nelle danze ignobili. Questi movimenti potevano essere eseguiti solo da chi ne aveva il diritto, altrimenti si cadeva nell’accusa di non essere dei buoni cittadini. LA DANZA NELLE CERIMONIE E NEI RITUALI RELIGIOSI Oltre che nei riti privati, la danza sottolineava molti momenti della vita religiosa come ad esempio nelle feste dedicate agli dei. Ad Atene le danze venivano eseguite nelle panathenaie, manifestazioni dedicate alla dea Atena. In questa occasione delle giovani ragazze andavano in processione portando offerte e realizzando canti e danze solistiche tenendosi per mano, molto spesso coperte da un velo trasparente che potesse far vedere il corpo al di sotto di esso. Un altro tipo di danza era il kalathiskos, eseguita in onore delle dee della fertilità: le giovani delle famiglie nobili danzavano

con in testa cesti di oggetti sacri. Le danze che venivano utilizzate in questo contesto religioso e di contatto con le divinità erano di tipo astratto (quindi danze vorticose, scomposte, disarmoniche, che provocano estasi), tornando alla distinzione che abbiamo fatto nel contesto delle danze primitive. L’origine delle danze religiose, come quella dedicata a Dioniso, era di tipo ionio-asiatica e il contenuto era satirico e orgiastico. All’inizio della primavera, gli adepti (sàtiri) e le adepte (mènadi) eseguivano dei riti notturni chiamati oribasìe, vagando per i boschi in stato di ebbrezza, cantando e ballando. Questo avveniva attraverso la bevuta del sangue di animali e di vino, che portava le menadi in uno stato di “entusiasmo” divino. Elementi caratterizzanti della danza scomposta erano la testa all’indietro, la torsione del busto con le gambe in avanti divaricate e le braccia che si sollevano in modo disarmonico. Per quanto riguarda gli uomini (satiri), invece, esibivano mascheramenti animali, assumevano posture contorte e grottesche con una gamba sollevata, portando in mano un bastone rituale di significato fallico. Altre danze di carattere simili a quelle dei riti religiosi erano i misteri orfici, dedicati alla figura di Orfeo; si trattava sempre di danze che miravano al contatto con la divinità, ma più composte rispetto alle precedenti. LE DANZE TEATRALI La danza era considerato un elemento fondamentale per le tre forme del teatro greco: tragedia, commedia e dramma satiresco, di cui si occupa Aristotele nel quinto e sesto libro dell’opera “Poetica”. Aristotele indica l’origine della tragedia nel ditirambo, una forma di poesia corale dedicata a Dioniso in cui il coro cantava disposto in cerchio interno all’ara sacrificabile. Da qui si è sviluppato il dramma satiresco e poi la tragedia. I principali autori di tragedie furono Eschilo, Sofocle ed Euripide. Ma come era strutturato il teatro greco? Costruiti in pietra fuori dalle città, erano dotati di gradinate per gli spettatori e di un’orchestra circolare che ospitava il coro (da orchèomai=danzare, cioè il luogo specifico in cui veniva praticata la danza). Dunque il coro comprendeva anche la danza. C’era poi la skenè (scena), il luogo dove gli attori potevano appartarsi, posizionata dietro il proskènion (palcoscenico), il luogo dove agivano gli attori. La danza tipica della tragedia era l’emmèleia; gli attori, da uno a tre, recitavano con una maschera che impediva il movimento facciale accentuando la gestualità delle mani, chiamata cheironomìa. Attraverso il movimento delle mani si indicavano gli stati d’animo, i sentimenti e le caratteristiche dei personaggi. Agli attori era affiancato un coro di dodici/quindici elementi, costantemente in scena per commentare la rappresentazione interagendo con i protagonisti. Il coro realizzava delle vere e proprie danze, gravi e composte, coordinate in movimenti precisi compiuti al ritmo della musica. Il coro era composto da soli uomini liberi e guidato dal corìfeo, nonché addestrato nel canto e nel ballo dal corodidascalon; la coreografia era curata dall’orchestradidascalon (l’antenato del coreografo). La funzione del coro è quella di enfatizzare le emozioni e gli stati d’animo dei personaggi, considerando anche che essi agivano molto distanti dagli spettatori e limitati dalle maschere. Il coro è l’anima del personaggio e si esprime attraverso il movimento, con l’apice toccato nelle tragedie di Euripide (lui più di tutti utilizza il coro per enfatizzare la rappresentazione). Il coro comunque non era presente solo nella tragedia, ma anche nella commedia; in essa era formato da 24 coreuti divisi in due semicori. La danza prendeva il nome di kòmos, tipologia utilizzata anche nei riti di Dioniso. Tipica della commedia anche la kordax, danza molto lasciva eseguita da schiavi e stranieri a pagamento. Ancora più estrema era la sikinnis, eseguita da uomini travestiti da sàtiri. Nella commedia si usava quindi una danza astratta, il cui ideale iconografico viene ripreso da Isadora Duncan nell’importante momento della codificazione della danza libera (1877-1927).

LA DANZA ROMANA LA DANZA DEGLI ETRUSCHI A Roma la danza è definita come saltatio, e rispetto all’importanza che essa assume nella cultura greca, non è concepita come un fattore culturale rilevante quantomeno nei primi tempi. Questo al contrario di uno dei popoli italici più importanti come gli etruschi, che furono molto influenzati dai greci e davano molta importanza alla danza e alla musica, così come alle rappresentazioni teatrali, relazionandole a vari aspetti della vita privata e sociale. La danza era variegata e molto raffinata, e poteva essere di tipo guerrescho (pirrica), conviviale (matrimoni e funerali) e cultuale (danze dionisiache). Quindi come vediamo, generi molto simili a quelli dei greci. A darci testimonianza della pratica della danza nella società etrusca sono le tombe: in alcune di esse troviamo rappresentazioni di banchetti, acrobati, suonatori di cetra e di lira, oppure di danze dionisiache con satiri, silemi e menadi che fanno il corteo insieme a Dioniso con movimenti danzanti. La danza era concepita come solistica ma anche e soprattutto come gesto collettivo, sempre in riferimento alla pirrica greca. LA DANZA NELLA SOCIETA’ ROMANA La danza a Roma è definita saltatio. I romani la consideravano una pratica barbara, indegna per un uomo libero e nobile. Cicerone, nella sua Orazio pro Murena, si scaglia contro la danza dicendo che nessun uomo sobrio può danzare; ciò accade solo se si è in solitudine o impazziti. Successivamente però anche i Romani furono conquistati dai danzatori di origine greca e orientale, in particolare quest’ultima (pantomima) diventò la tipologia più apprezzata nell’età imperiale. La presenza della danza nel mondo romano cambia a seconda delle tre età storiche che la costituiscono: • • •

Roma antica: danze collettive di uomini appartenenti a corporazioni o gruppi sociali; Roma repubblicana: danze etrusche e greche; la danza assume un ruolo sociale e diventa “pratica di società”; Roma imperiale: danza imitativa. Pantomima o Fabula Saltica (da saltatio, danza arcaica di tipo rurale).

Le tipologie coreutiche che venivano praticate a Roma erano di due tipi: le danze guerresche (Bellicrepa, Saltatio salica, Lusus Troiae) e le danze propiziatorie (Lupercalia, Arvalia, Ambarvalia). Le prime servivano anche per allontanare gli spiriti maligni, mentre le seconde si riferivano all’idea della fecondità e del ringraziamento per il raccolto. Per quanto riguarda le danze guerresche, la Bellicrepa era una sorta di pirrica che si dice sia stata inventata da Romolo in ricordo del Ratto delle Sabine. La Saltatio salica indicava il movimento del salto, e si realizzava nelle cerimonie di apertura e chiusure delle guerre. Il Lusus Troie, solitamente eseguito nel campo di Marte, era una danza guerresca a cui partecipavano tre schieramenti di giovani guerrieri armati e che imitava la battaglia con le armi. Per quanto riguarda le danze propiziatorie, la Lupercalia era una festa di purificazione e fecondazione eseguita nel mese di febbraio. L’Arvalia si svolgeva invece nel periodo di maggio e durava per qualche giorno; in questa festa si facevano dei sacrifici alle divinità agresti. Infine l’Ambarvalia era sempre celebrata dai sacerdoti ed era la cerimonia ufficiale di purificazione dei campi che si teneva a fine maggio.

LE FORME TEATRALI PRIMITIVE E LA DANZA IN ETA’ REPUBBLICANA Tra le forme teatrali più primitive dell’età romana ci sono la sàtura, la fabula atellana, i fescennini e gli spettacoli di mimi etruschi. La sàtura era uno spettacolo popolare che comprendeva buffonerie, danze, canti e dialoghi. La fabula atellana era basata sull’improvvisazione di attori dilettanti che utilizzavano delle maschere fisse. I fescennini erano una tipologia spettacolare più grossolana e lasciva, basata su scambi di battute veloci e molto elementari. Negli spettacoli di mimi etruschi, infine, venivano chiamati questi professionisti etruschi a Roma per realizzare le danze. Tra le fonti che ci riportano alla pratica dei mimi etruschi a Roma c’è quella di Tito Livio, che ci parla appunto di mimi etruschi che...


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