Euristica della disponibilità PDF

Title Euristica della disponibilità
Course Statistica
Institution Università degli Studi di Torino
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esempio di un caso di bias cognitivo...


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Euristica della disponibilità:scorciatoia mentale secondo cui la probabilità di un evento è associata alla facilità con cui questo si presenta alla nostra mente. In particolare, un’idea è spesso giudicata importante in base alla fluidità (e alla carica emotiva) con cui viene in mente. L’economista Howard Kunreuther, notò che gli effetti disponibilità contribuivano a spiegare il modello di acquisto di polizze e azione protettiva dopo le calamità. Le vittime, o quelle che per poco non lo sono state, sono molto preoccupate dopo che si è verificata una calamità. Dopo ogni grave terremoto, i californiani per un certo tempo sono scrupolosi nel sottoscrivere polizze e nell’adottare misure di protezione e riduzione dei danni. Isolano la caldaia per evitare il danno da terremoto, sigillano la porta della cantina per difendersi dalle alluvioni e provvedono a mantenere una scorta di rifornimenti di emergenza. Tuttavia, con il passare del tempo, il ricordo della calamità sfuma, così come la preoccupazione e la diligenza. La dinamica della memoria contribuisce a spiegare i cicli ricorrenti di calamità, preoccupazione e crescente noncuranza che sono noti agli studiosi delle emergenze su larga scala. Kunreuther osservò anche che le misure di protezione, sia quando sono promosse dai privati sia quando sono promosse dal governo, di norma sono ideate in maniera da far fronte alle peggiori calamità realmente accadute. Oggi come allora, quando cerchiamo di immaginare un disastro, non ci vengono in mente che calamità del passato. Disponibilità e affetto Un’indagine che è divenuta l’esempio standard del bias di disponibilità. Chiesero ai volontari di considerare delle cause di morte abbinate, come diabete e asma, ictus e incidenti. Per ciascuna coppia essi dovevano indicare la causa più frequente e stimare il rapporto tra le due frequenze. Il giudizio era confrontato con le statistiche sulla salute dell’epoca. Ecco alcuni dei risultati: • Gli ictus provocano quasi il doppio di decessi di tutti gli incidenti messi assieme, eppure l’80 per cento dei soggetti giudicava più probabile la morte accidentale. • I tornado erano considerati cause di morte più frequenti dell’asma, anche se questa è venti volte più frequente come fattore letale. • La morte per fulminazione era giudicata meno probabile della morte per botulismo, mentre è 52 volte più frequente. • La morte per malattia è 18 volte più probabile della morte per infortunio, mentre erano giudicate parimenti probabili. • La morte per incidente era ritenuta oltre 300 volte più probabile della morte per diabete, mentre il vero rapporto è di 1 a 4. Il concetto è chiaro: le stime delle cause di morte sono viziate dal modo in cui i media trattano le notizie, e questo modo è intrinsecamente viziato dalla ricerca di novità e sensazionalità. I media non si limitano a plasmare le notizie di interesse per il pubblico, ma sono anche plasmati da esse. I direttori di giornali o televisioni non possono ignorare la richiesta del pubblico di trattare estesamente certi argomenti e certi punti di vista. Gli eventi insoliti (come il botulismo) attirano un’attenzione sproporzionata e sono di conseguenza percepiti come meno insoliti di quanto non siano realmente. Il mondo dentro la nostra testa non è una replica precisa della realtà; le nostre aspettative riguardo alla frequenza degli eventi sono distorte dalla quantità e dall’intensità

emozionale dei messaggi cui siamo esposti. Le stime delle cause di morte sono una rappresentazione quasi diretta dell’attivazione delle idee nella memoria associativa, e costituiscono un buon esempio di sostituzione. Ma Slovic e i suoi collaboratori finirono per scavare più a fondo nella materia: capirono che la facilità con cui veniva in mente l’idea dei vari rischi e la reazione emotiva a essi erano inestricabilmente legate. I pensieri e le immagini inquietanti affiorano con particolare facilità, e i pensieri di pericolo che sono vividi e immediati esasperano la paura. Come già detto in precedenza, alla fine Slovic elaborò il concetto di «euristica dell’affetto», un’euristica in cui le persone formulano giudizi e prendono decisioni consultando le proprie emozioni. Questa cosa mi piace o non mi piace affatto? Quanto sono forti i sentimenti che nutro in merito? In molti ambiti della vita, spiegò Slovic, le persone si formano opinioni e compiono scelte che esprimono direttamente i loro sentimenti e la loro fondamentale tendenza a «affrontare o evitare», spesso senza esserne consapevoli. L’euristica dell’affetto è un esempio di sostituzione in cui la risposta a un quesito facile («Che impressione mi dà?») funge da risposta a un quesito molto più difficile («Che cosa ne penso?»). Slovic e i suoi colleghi corroborarono le loro argomentazioni con le ricerche del neuroscienziato Antonio Damasio, il quale aveva avanzato l’ipotesi secondo cui le valutazioni emotive che la gente fa dei risultati, nonché gli stati fisici e la tendenza a «affrontare o evitare» a esse associati, svolgerebbero tutti un ruolo centrale nell’ispirare il processo decisionale. Damasio e i suoi colleghi hanno osservato che le persone che non mostrano emozioni adeguate prima di decidere, a volte a causa di un danno cerebrale, dimostrano anche una limitata capacità di prendere buone decisioni. L’incapacità di essere guidati da una «sana paura» delle cattive conseguenze costituisce una pericolosa carenza. In un’affascinante dimostrazione del funzionamento dell’euristica dell’affetto, l’équipe di ricercatori di Slovic sondò le opinioni di un campione nei confronti di varie tecnologie, tra cui la fluorizzazione dell’acqua, le industrie chimiche, l’industria dei conservanti e l’industria automobilistica, e chiesero ai soggetti di elencare sia i benefici sia i rischi di ciascuna. 2 Slovic e i suoi collaboratori notarono una sorprendente proporzionalità inversa tra le due stime espresse dai soggetti: quella del livello di beneficio e quella del livello di rischio attribuiti alle tecnologie. Quando erano ben disposti verso una tecnologia, gli intervistati affermavano che offriva grandi vantaggi e presentava rischi minimi; quando erano mal disposti, pensavano solo ai suoi svantaggi e menzionavano pochissimi vantaggi. Poiché le tecnologie andavano gradatamente dalle più buone alle più cattive, non occorreva scendere a nessun compromesso doloroso. La proporzionalità inversa tra le stime di rischi e benefici aumentava ulteriormente quando i soggetti erano incalzati dal tempo. Particolare rilevante, i membri della British Toxicology Society risposero in maniera analoga agli studenti: trovarono scarsissimo beneficio nelle sostanze o nelle tecnologie che ritenevano rischiose, e viceversa. 3 La costante affettività è un elemento centrale di quella che ho chiamato «coerenza associativa». La parte migliore dell’esperimento arrivò in seguito. Dopo avere risposto al questionario iniziale, i soggetti leggevano brevi brani in cui si argomentava a favore di varie tecnologie. Ad alcuni furono dati testi che sottolineavano i numerosi benefici,

mentre ad altri ne vennero forniti altri che sottolineavano i bassi rischi di una data tecnologia. Tali messaggi riuscirono a modificare l’attrazione o repulsione che gli studenti provavano, dal punto di vista emotivo, per le tecnologie. La scoperta incredibile fu che anche chi aveva ricevuto un messaggio in cui si enumeravano i vantaggi di una tecnologia modificava le proprie convinzioni riguardo ai rischi. Benché non avesse ricevuto alcuna prova al riguardo, ora percepiva anche come meno rischiosa la tecnologia che affermava di prediligere. Analogamente, i soggetti cui era stato detto che i rischi di quella data tecnologia erano esigui maturavano una visione più favorevole anche riguardo ai suoi vantaggi. L’implicazione è chiara. Come disse lo psicologo Jonathan Haidt in un altro contesto: «La coda emozionale muove il cane razionale». 4 L’euristica dell’affetto ci semplifica la vita creando un mondo assai più ordinato di quello reale. In questo mondo immaginario, le buone tecnologie hanno bassi costi, le cattive tecnologie non danno vantaggi e tutte le decisioni sono facili. Nel mondo reale, naturalmente, ci tocca affrontare spesso dolorosi compromessi tra costi e benefici. Il pubblico e gli esperti Con ogni probabilità, Paul Slovic conosce meglio di chiunque altro le peculiarità del giudizio umano di rischio. Slovic ha anche studiato gli esperti, i quali sono chiaramente superiori nel trattare numeri e quantità. Gli esperti mostrano, in forma attenuata, molti degli stessi bias comuni a tutti, ma spesso i loro giudizi e le loro preferenze in merito ai rischi si differenziano da quelli della maggioranza. Le differenze tra gli esperti e la gente comune in parte si spiegano con i bias dei giudizi profani, ma Slovic richiama l’attenzione su situazioni nelle quali le differenze riflettono autentici conflitti di valori. Egli osserva che gli esperti spesso misurano i rischi in base al numero di vite perse (o di anni di vita persi), mentre il pubblico opera distinzioni più fini, per esempio tra «buona morte» e «cattiva morte», o tra incidenti fatali casuali e decessi che avvengono nel corso di attività volontarie come sciare. Slovic deduce da tali osservazioni che il pubblico ha, dei rischi, una concezione più ricca di quella degli esperti. Di conseguenza, egli è assai restio ad accettare l’idea che gli esperti debbano avere l’ultima parola e che le loro opinioni e i loro desideri vadano accettati senza discutere anche quando confliggono con le opinioni e i desideri di altri cittadini. Nel suo desiderio di strappare agli esperti il controllo esclusivo della politica di gestione del rischio, egli ha sfidato il fondamento stesso della loro competenza: l’idea che il rischio sia oggettivo. Il «rischio» non esiste «là nel mondo», indipendentemente dalla nostra mente e dalla nostra cultura, in attesa di essere misurato. Gli esseri umani hanno inventato il concetto di «rischio» per poter capire e affrontare meglio i pericoli e le incertezze della vita. Benché quei pericoli siano reali, non esistono cose come il «rischio reale» o il «rischio oggettivo». 5 Conclude poi che «definire il rischio è quindi un esercizio di potere». Forse non avevi immaginato che si potesse arrivare a simili spinosi temi di politica partendo da studi sperimentali di psicologia del giudizio! Tuttavia, la politica in definitiva riguarda la gente, quello che la gente vuole e quello che è meglio per lei. Ogni questione politica comporta assunti sulla natura umana, in particolare sulle scelte che si possono fare e sulle loro conseguenze per se stessi e per la società. Un altro studioso e amico che ammiro molto, Cass Sunstein, è in netto disaccordo con l’atteggiamento di Slovic sulle opinioni differenti di esperti e cittadini comuni, e difende il ruolo degli esperti, che fungerebbero a suo avviso da baluardo contro gli eccessi «populisti». Sunstein è uno dei più eminenti

giuristi degli Stati Uniti e condivide con altri eccellenti studiosi del suo campo una qualità: il coraggio intellettuale. È convinto che l’attuale sistema di regolamentazione in vigore negli Stati Uniti dia pochissimo peso alle reali priorità, in ciò rivelandosi più sensibile alle pressioni pubbliche che alle necessità di un’attenta analisi oggettiva. Egli parte dall’idea che la regolamentazione del rischio e l’intervento del governo per ridurre il rischio dovrebbero essere guidati da una valutazione razionale di costi e benefici, e che le unità naturali di questo tipo di analisi sono il numero di vite salvate (o forse, assegnando più peso al salvataggio dei giovani, il numero di anni di vita salvati) e il costo in dollari per l’economia. La scarsa regolamentazione è uno spreco di vite e denaro, e vite e denaro si possono misurare obiettivamente. Sunstein non trova convincente il ragionamento di Slovic, secondo il quale il rischio e la sua misura sarebbero soggettivi. Molti aspetti della valutazione del rischio sono discutibili, afferma, ma ha fiducia nell’obiettività che si può raggiungere con la scienza, la competenza e l’attenta valutazione. Egli ha finito per credere che le reazioni distorte ai rischi siano un’importante causa dell’incapacità, dimostrata dalla politica pubblica, di riconoscere le reali priorità. A volte i legislatori e gli organismi di regolamentazione si mostrano troppo sensibili alle preoccupazioni irrazionali dei cittadini, sia per calcolo politico sia perché tendono ad avere gli stessi bias cognitivi di tutti. Sunstein e un suo collaboratore, il giurista Timur Kuran, hanno coniato un’espressione per definire il meccanismo attraverso il quale i bias si infiltrano nella politica: «cascata di disponibilità». 6 Essi osservano che, nel contesto sociale, «tutte le euristiche sono uguali, ma la disponibilità è più uguale delle altre». Hanno in mente un concetto ampliato di euristica, in cui la disponibilità costituisce un’euristica dei giudizi diversa dalla frequenza. In particolare, un’idea è spesso giudicata importante in base alla fluidità (e alla carica emotiva) con cui viene in mente. Una cascata di disponibilità è una catena autoalimentata di eventi, che può iniziare dalle notizie mediatiche su un evento relativamente minore e condurre al panico generale e a un’azione del governo su larga scala. In alcune occasioni, una storia mediatica riguardante un rischio cattura l’attenzione di un segmento del pubblico, che si allarma e preoccupa. La reazione emozionale diventa una storia di per se stessa, inducendo ulteriore copertura mediatica, la quale a sua volta produce sempre maggiore preoccupazione e coinvolgimento. Il ciclo è a volte accelerato deliberatamente da «imprenditori della disponibilità», individui o organizzazioni che operano allo scopo di assicurare un flusso continuo di notizie allarmanti. Il pericolo viene sempre più esagerato a mano a mano che i media competono tra loro nel produrre titoli sensazionalistici. Gli scienziati e altre persone che cercano di mitigare la paura e lo scandalo crescenti attirano pochissima attenzione, perlopiù ostile: chiunque affermi che il pericolo è sopravvalutato è sospettato di partecipare a un «odioso tentativo di insabbiamento». Il problema assume importanza politica perché è nella mente di tutti, e la risposta del sistema politico è guidata dall’intensità del sentimento pubblico. La cascata di disponibilità ha ormai resettato le priorità. Altri rischi, e altri modi di utilizzare le risorse per il bene generale, si sono tutti dissolti sullo sfondo. Kuran e Sunstein si concentrarono su due esempi che sono tuttora controversi: lo scandalo di Love Canal e la cosiddetta «fobia dell’Alar». Nel 1979, nel quartiere di Love Canal, a Niagara Falls, una discarica di scorie tossiche venne in superficie durante una stagione piovosa, provocando un odore disgustoso e una contaminazione dell’acqua ben oltre i limiti standard. Gli abitanti della zona erano arrabbiati e spaventati, e una di loro, Lois Gibbs, fece di tutto per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema. La cascata di disponibilità si dispiegò secondo il classico copione. Al culmine del «caso», uscirono articoli quotidiani sul quartiere di Love Canal, e gli scienziati che si azzardarono a dire che i pericoli erano stati esagerati, furono ignorati o messi a tacere. ABC News mandò in onda un programma intitolato The Killing Ground, e cortei di

manifestanti marciarono davanti al Congresso trasportando bare per bambini vuote. Un gran numero di residenti fu trasferito altrove a spese del governo e il controllo delle scorie tossiche diventò il principale tema ambientalistico degli anni Ottanta. La legge che ordinò il risanamento delle scorie tossiche, chiamata CERCA (Comprehensive Environmental Response, Compensation, and Liability), stabiliva la creazione di un superfondo ed è considerata un grande progresso nel campo della legislazione ambientale. Fu anche costosa, e secondo qualcuno si sarebbero potute salvare molte più vite se la stessa ingente somma destinata al superfondo fosse stata impiegata per altre cause. Le opinioni su quanto è successo davvero a Love Canal sono ancora assai contrastanti, e a quanto pare chi sosteneva vi fossero stati danni concreti alla salute non ha fornito prove convincenti a sostegno della sua tesi. Kuran e Sunstein descrissero la vicenda quasi come una montatura, mentre dal canto opposto gli ambientalisti parlano ancora del «disastro di Love Canal». Le opinioni sono contrastanti anche in merito al secondo esempio usato da Kuran e Sunstein per illustrare il concetto di «cascata di disponibilità», l’incidente dell’Alar, che avvenne nel 1980 e che i critici verso le campagne ambientalistiche definirono «isteria dell’Alar». L’Alar è un prodotto chimico contenente daminozide, che veniva spruzzato sulle mele per regolarne la crescita e migliorarne l’aspetto. Cominciò a diffondersi il panico quando la stampa scrisse che, se consumato in dosi massicce, l’Alar provocava tumori nei ratti e nei topi. Comprensibilmente, gli articoli spaventarono il pubblico e la paura fu fomentata da ulteriore copertura mediatica, secondo il tipico meccanismo della cascata di disponibilità. L’argomento diventò dominante sulla stampa e in televisione, e incoraggiò clamorosi eventi mediatici come la testimonianza dell’attrice Meryl Streep davanti al Congresso. L’industria delle mele subì ingenti perdite, perché la gente cominciò ad aver paura delle mele e dei prodotti a base di mela. Kuran e Sunstein citano un cittadino che si rivolse alle autorità per chiedere se era «più sicuro versare il succo di mela nel lavandino o portarlo in una discarica di scorie tossiche». L’industria produttrice di succo di mela ritirò il prodotto e la FDA (Food and Drug Administration) vietò l’uso dell’Alar. Successive ricerche confermarono che la daminozide poteva costituire un minimo rischio come potenziale sostanza cancerogena, ma l’incidente dell’Alar rappresentò sicuramente una reazione enormemente sproporzionata a un problema minore. L’effetto netto dell’ondata di panico sulla salute della gente fu probabilmente negativo, perché vennero consumate meno mele buone. La storia dell’Alar illustra bene un cruciale limite della capacità della nostra mente di affrontare piccoli rischi: o li ignoriamo del tutto o diamo a essi un peso eccessivo, non c’è alternativa. 7 Qualunque genitore sia rimasto in piedi ad aspettare che una figlia adolescente tornasse da una festa riconoscerà tale stato d’animo. Si saprà pure che non c’è (quasi) nulla da temere, ma non si può fare a meno di pensare al peggio. Come ha osservato Slovic, la quantità di preoccupazione non è adeguatamente accordata con la probabilità del danno: si immagina il numeratore (la tragica storia che si è sentita al telegiornale) e non si pensa al denominatore. Per descrivere il modello, Sunstein ha coniato l’espressione «disattenzione per la probabilità». La combinazione di disattenzione per la probabilità e di meccanismi sociali che innescano cascate di disponibilità conduce inevitabilmente a una grossolana esagerazione di piccole minacce, a volte con conseguenze rilevanti. Nel mondo odierno, i terroristi sono i maggiori specialisti dell’arte di provocare cascate di disponibilità. Con alcune orribili eccezioni, come l’11 settembre, il numero di vittime di attacchi terroristici è molto esiguo rispetto ad altre cause di morte. Anche in paesi come Israele, che sono stati bersaglio di campagne terroristiche intensive, il numero di vittime per settimana non si è quasi mai avvicinato al numero di vittime di incidenti stradali. La differenza sta nella disponibilità dei due rischi, la facilità e la frequenza con cui vengono in mente. Immagini orrende, descritte o mandate in onda senza posa dai media, inducono tutta la

popolazione a stare sul chi vive. Come so per esperienza, è difficile convincersi con la ragione che il pericolo non è così grande e raggiungere uno stato di assoluta calma. Il terrorismo parla direttamente al sistema 1. Io come mi colloco nel dibattito con i miei amici? Le cascate di disponibilità sono reali e senza dubbio stravolgono le priorità al momento di destinare il denaro pubblico a questo o a quel problema. Cass Sunstein auspica la creazione di meccanismi che isolino i esponsabili delle decisioni dalle pressioni del pubblico, in modo che l’allocazione delle risorse sia determinata da esperti imparziali, dota...


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