Fabio Grigenti - Filosofia E Tecnologia PDF

Title Fabio Grigenti - Filosofia E Tecnologia
Author Michele G.
Course Storia della Filosofia
Institution Università degli Studi di Padova
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-Fabio Grigenti – Filosofia e tecnologia-

INTRODUZIONE La tecnica non esiste né come essenza, né raccolta sotto un’unica definizione; esistono un insieme di tecniche o, meglio, di tecnologie. Nel mondo tecnico abbiamo a che fare continuamente con strumenti, macchine e dispositivi che si utilizzano in modo diverso (andare in macchina non è la stessa cosa di inviare una mail). Queste pratiche hanno anche un’influenza diversa sul nostro modo di pensare e sui nostri rapporti. La macchina è un oggetto ben definito che è entrato nell’orizzonte vitale dell’uomo e che ha cambiato, e continua a cambiare, il nostro modo di abitare la terra. Se vogliamo dare alla macchina una definizione più precisa possiamo dire che essa è il dispositivo materiale complesso il cui assemblaggio è stato possibile con l’evoluzione della metallurgia, della meccanica di precisione e idraulica avvenuta nell’ultimo quarto del ‘700. IL PROTOCOLLO PROMETEICO E L’ESPANSIONE MACCHINALE Il termine tecnologia viene usato per definire molti oggetti diversi tra loro che sono riconducibili al mondo dell’artificiale. Quest’ultimo viene sempre contrapposto al mondo naturale. L’uomo si rivolge al mondo fisico per reperire oggetti o esempi di forme in base ai quali costruire i suoi artefatti, anche un oggetto semplice come una tazza è il risultato di una serie di operazioni che rientrano nella tecnica umana. Manteniamo l’esempio della tazza, per crearla dobbiamo seguire una serie di processi: reperimento materie prime – ammorbidimento – modellazione – cottura – rifinitura – seconda cottura. Questo processo deve essere seguito alla lettera e si deve rispettare l’ordine cronologico dei processi, se ciò non viene fatto la tazza risulterà compromessa. La rigida sequenza che dobbiamo seguire per produrre un oggetto prende il nome di protocollo. L’esistenza del protocollo non garantisce solo la riuscita della produzione, ma anche la trasmissione della tecnica da generazione in generazione (la tecnologia ceramica è rimasta immutata nel tempo anche se lo stesso non si può dire per la siderurgia). Più generalmente tutti gli schemi operativi che hanno carattere igneo (quindi che hanno a che fare col fuoco) possono essere definiti protocolli prometeici. L’importanza del dominio del fuoco da parte dell’uomo è sottolineata dai miti, l’inizio della civiltà è possibile grazie al dominio del fuoco. Importante nella costruzione degli oggetti non è solo il protocollo, ma anche la gestualità, il rapporto mano – occhio. La verticalizzazione della colonna vertebrale ha permesso alla scatola cranica di allargarsi, ciò ha favorito lo sviluppo della massa cerebrale. A svilupparsi sono state le parti dedicate al linguaggio e alla visione. Secondo alcuni studiosi l’uomo apprende grazie alle azioni: se un animale istintivo, per difendersi da un attacco, usa una clava, dopo averla usata la lascia cadere e ricomincia a fare quello che stava facendo prima; l’uomo, che è fornito di coscienza, dopo averla usata capisce come funziona e che potrebbe servigli ancora in futuro, quindi se la porta con se. Ritornando all’esempio della tazza, facilmente essa s’ispira a qualcosa trovato in natura e usato dai primi uomini per bene, o magari alla forma delle mani congiunte per raccogliere un liquido. La visione permette all’uomo di fare una scansione dell’ambiente, ma anche di pre-vedere ciò che sarà. L’artigiano, prima di iniziare un’opera ha già pre-visto nella sua mente come sarà il prodotto finale e su quest’immagine mentale egli si basa. La mano viene ridotta a puro strumento del comando ideale: la mano senza l’occhio sarebbe cieca, ma l’occhio senza mano sarebbe improduttivo. Per millenni gli uomini hanno prodotto una serie di manufatti perfetti grazie alla collaborazione mano – occhio, nonostante ciò l’essere umano ha a sua disposizione una limitata fonte di energia che impiega molto tempo per ricaricarsi. Le cose migliorano con l’introduzione della forza animale prima, e di quella eolica e idrica poi. Nonostante ciò queste forze sono caratterizzate dall’apporto irregolare di energia e ciò rallenta lo sviluppo delle tecniche siderurgiche che permettono la realizzazione di strumenti utilissimi. Tutto ciò cambia con la Rivoluzione Industriale che apporta dei progressi materiali in tre campi principalmente: - I congegni meccanici sostituiscono l’abilità dell’uomo. - L’energia inanimata (principalmente la forza vapore) sostituì quella umana e degli animali. - Miglioramento dei metodi d’estrazione delle materie prime.

Nel breve svolgere di un secolo i settori tecnologici basati sul rapporto mano – occhio vengono messi a soqquadro dall’avvento della macchina, il protocollo base per produrre gli oggetti resta il medesimo, ma la struttura che mette in pratica questo protocollo subisce una forte riorganizzazione, non è più l’uomo il soggetto attivo del processo, ma la macchina. Questo fenomeno prende il nome di espansione macchinale. Questa espansione macchinale fu l’inizio della fine di un ordine che aveva al suo centro l’uomo e la cultura. KARL MARX DALLO – STRUMENTO AL MACCHINARIO Marx afferma che l’introduzione della macchina nell’industria non è stata fatta per diminuire la fatica dell’uomo, ma per aumentare la lavorazione del plusvalore (aumento del capitale a spese del lavoratore). Con la Rivoluzione Industriale il mezzo di lavoro non è più il semplice strumento, ma il macchinario. Marx, nelle sue analisi, mostra come l’uomo non sia più il soggetto attivo nel processo produttivo, difatti esso diviene parte servente della macchina, ovvero del nuovo soggetto attivo del processo lavorativo. Marx si chiede in cosa differiscono le macchine dallo strumento tradizionale? Il filosofo per rispondere a questa domanda deve sezionare la macchina dividendola nelle sue tre componenti principali: - Parte motrice; l’elemento che assicura il movimento della macchina (es. forza vapore). - Meccanismo di trasmissione; ingranaggi, ruote, alberi che diffondono l’energia in tutta la macchina. - Elemento utensile; ovvero ciò che trasforma l’oggetto del lavoro portandolo “a opera” (es. nel telaio questo terzo elemento è rappresentato dalla spola). Per Marx l’eccezionalità della macchina non sta nella parte motrice, nell’energia che permette alla macchina di sostenere prestazioni che vanno ben oltre a quelle umane, ma nel terzo elemento. Il filosofo è sorpreso nel vedere che l’utensile non è più usato dall’artigiano ma dalla macchina, che lo strumento utensile tutto a un tratto è diventato uno strumento meccanico. La macchina nel suo complesso ripete il tecnicismo umano del rapporto mano – attrezzo, quindi essa ruba le competenze dell’uomo per sostituirsi a lui nel lavoro. La macchina è più conveniente dell’uomo per ovvi motivi: essa ha un’energia di gran lunga maggiore e può lavorare con più utensili nel medesimo momento. Possiamo, dunque, affermare che la macchina assembla due elementi nella sua struttura: - La ripetizione della forma dello strumento umano. - Il superamento dei limiti di potenza del corpo organico del lavoratore. Il compito dell’uomo, a questo punto, si limita a due mansioni: fornire la forza motrice e controllare visivamente il corretto funzionamento della macchina. Con l’ingrandimento delle macchine non basta più l’energia fornita dall’uomo o dall’animale, d qui entra in gioco la forza vapore. All’uomo, ora, resta solo il compito di sorvegliante. Marx afferma che le macchine, rubandoci il lavoro, ci rubano anche quelle competenze che prima avevamo per necessità, dopo l’industrializzazione sempre meno persone sanno fare artigianalmente ciò che ora viene fatto industrialmente. Nonostante ciò alcune funzioni non possono ancora essere svolte dalle macchine, come ad esempio l’insegnamento. Secondo Marx l’industria è rimasta paralizzata durante tutto il suo sviluppo perché era legata alla forza animale, umana, idrica o eolica. Col subentro della forza a vapore essa ha potuto sviluppare e sostenere una produzione su vasta scala. La macchina ha assunto tutti i caratteri macchinali presenti nell’uomo, potenziando le proprie prestazioni: essa ha assunto l’aspetto di un lavoratore umano aumentato in forza e de-soggettivizzato. La macchina fa propria la qualità strumentale umana e intensifica la velocità della produzione. Essa abbisogna, per fare ciò, di operai che si adattino al suo movimento uniforme e ripetitivo. Siccome il movimento della fabbrica parte dalla macchina e non dall’operaio, quest’ultimo può essere sostituito continuamente senza che si blocchi il processo produttivo. Secondo Marx le conseguenze di questa organizzazione automatizzata del lavoro sono le seguenti: - La macchina assume il ruolo di soggetto attivo, ma totalmente spersonalizzato, del processo produttivo. - L’uomo non è oggetto di tale processo, ma strumento della macchina; non è più l’attrezzo ad adattarsi all’uomo, ma quest’ultimo ad adattarsi alla macchina, ciò fa assumere all’uomo una gestualità macchinale. - La standardizzazione dei movimenti fa si che per fare un dato lavoro non serva più una specializzazione, quindi essa permette un’illimitata intercambiabilità dello strumento umano. Di fronte alle macchine diventano tutti uguali, poiché cade la gerarchizzazione basata sulle competenze nei diversi campi della tecnica.

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Questo sistema favorisce l’instaurarsi di un rapporto signoria – schiavo tra macchina e uomo. Ora non è più lo strumento a servire l’uomo, ma l’uomo a servire la macchina.

Marx sostiene che quest’ultimo tipo di relazione citato non dipenda dalla macchina in se, ma deluso che il capitale né fa. Egli ritiene che in un altro sistema questo rapporto possa essere rovesciato creando così un lavoro umanizzato. La macchina non solo produce per l’uomo, ma è fatta dall’uomo affinché ripeta in forma potenziata alcune abilità del tecnicismo umano per competere con l’uomo fino a superarlo. Proprio per tale motivo il lavoratore tradizionale, subito dopo la rivoluzione industriale, inizia una vera e propria crociata contro questo nemico inorganico, questa guerra contro la macchina si traduce con la distruzione di quest’ultima. Marx ritiene questo comportamento una “stupidaggine” poiché il nemico non è la macchina, ma di chi la usa ovvero il capitale. Il filosofo, difatti, afferma: “ le macchine considerate in sé abbreviano il tempo del lavoro mentre, adoperate capitalisticamente, prolungano la giornata lavorativa, poiché le macchine in sé alleviano il lavoro e adoperate capitalisticamente ne aumentano l’intensità, poiché in sé sono una vittoria dell’uomo sulla forza della natura e adoperate capitalisticamente soggiogano l’uomo mediante la forza della natura, poiché in se aumentano la ricchezza del produttore e usate capitalisticamente la pauperizzano…”. Marx considera la macchina come un elemento neutrale, non è la causa delle ingiustizie, anzi essa rientra nel progetto di “lavoro umanizzato”. Con questo termine Marx intende dire che dovrebbe essere la macchina a lavorare nella stessa misura in cui l’uomo può lavorare, ovvero per un tempo limitato, e non viceversa come accade nel sistema capitalista. Marx, nella sua critica al sistema capitalista, fa un’analisi approfondita sui cambiamenti delle condizioni lavorative all’indomani dell’introduzione della macchina nella grande industria. Il filoso afferma che le macchine permettono di fare a meno dell’uso della forza muscolare e, dunque, fa si che possano essere usati anche operai privi di questa. La conseguenza di ciò è stato l’uso in fabbrica, da parte dei capitalisti, di bambini e donne. La potenza delle macchine che produce un aumento della produttività ha spinto il capitalista ad allungare le giornate lavorative, da qui il paradosso: il mezzo più potente per accorciare la vita lavorativa dell’operaio è diventato quel mezzo che l’ha allungata. L’allungamento della giornata lavorativa porta con sé una reazione della società. Da questa reazione nasce una legislazione che stabilisce l’orario della giornata lavorativa. L’accorciamento della giornata lavorativa sembrerebbe una vittoria, ma ciò spinge il capitalista a intensificare la produzione durante le ore lavorative e questo avviene in duplice maniera: con l’aumento della velocità delle macchine e con il suo ampliamento che si traduce in più volume del macchinario da sorvegliare da parte di un singolo operaio. L’avvento della macchina e la perdita d’importanza della forza umana fa si che chiunque possa agganciarsi al macchinario. Questo collegarsi col macchinario fa assumere all’uomo movenze macchinali. Inizia così la strada della spersonalizzazione dell’uomo che comincia ad assomigliare sempre più ad una macchina anche nei suoi movimenti e comportamenti. Un esempio che possiamo fare oggi è la routine: quest’ultima non è forse un vivere la giornata seguendo un comportamento automatizzato, proprio come lo sono i movimenti d’una macchina? ERNST JUNGER E FRIEDRICH GEORG JUNGER – DOMINIO E MACCHINA Ernst Junger definisce la tecnica come “la mobilitazione del mondo attuata dalla forma del Lavoratore”. Con “Mobilitazione Totale” Junger intende il processo che, grazie allo sviluppo della tecnologia, rende possibile la messa in movimento della totalità della potenza presente nell’universo. Con “potenza” il filosofo intende la velocità con cui si compie un lavoro: più velocemente si svolge un lavoro in un tempo stabilito, più energia viene usata/trasformata, più potenza c’è. Possiamo, dunque dire, che la potenza è la velocità con cui viene trasformata l’energia. Per Junger questo tipo di movimento è ovunque e si presenta in mille varianti. Egli scrive: “E poi il movimento non si è impadronito soltanto del traffico […] ma di ogni attività in quanto tale. […] Esso è all’opera […] sul più piccolo banco di lavoro come nei grandi settori della produzione. […] Esso è presente sia dove si agisce e si pensa, sia dove si combatte o dove ci si diverte […].

Chi esamina questo linguaggio si pone i problema della sua essenza; la risposta semplice e immediata è che tale essenza va ricercata senz’altro nella meccanicità”. Il concetto esposto dal filosofo è chiaro: l’unico movimento in grado di mettere al lavoro ogni atomo di energia presente nell’universo è quello meccanico, esso non mette in movimento solo la materia, ma anche il pensiero. La “Mobilitazione Totale” può compiersi solo in virtù della macchinalità e della velocizzazione che essa produce in tutte le pratiche umane, da quelle manuali a quelle intellettuali. Secondo Junger la “Mobilitazione Totale” si è mostrata all’uomo per la prima volta durante la “battaglia dei materiali” che ha caratterizzato la prima guerra mondiale. In questa guerra lo scontro corpo a corpo lascia il posto alla pioggia di proiettili. La Grande Guerra doveva essere uno scontro tra uomini in cui l’uso delle macchine era solo un elemento secondario: le motivazioni spirituali che spingevano i soldati dovevano fare la differenza e non i mezzi usati. Tutto ciò fu confutato durante i primi assalti delle fanterie, la mitragliatrice falcidiava gli uomini mostrando la vittoria del fabbro sul filosofo: non era più quest’ultimo a cambiare il corso delle guerre con i suoi sermoni che infondevano sicurezza nei soldati, ma era il fabbro che con la sua mano costruiva le mitragliatrici. La luce dell’idea cede il passo a quella delle officine! L macchina continua ad evolversi perfezionandosi sempre più, anche a livello estetico si migliora. Nel XX secolo essa era relegata nelle case e nelle fabbriche e andava a sostituire la mano dell’artigiano; dopo essere entrata anche nei campi di battaglia inizia a occupare un certo spazio anche nella vita sociale dell’uomo. Per Junger la “Mobilitazione Totale” è una realtà inesorabile a cui siamo consegnati grazie all’età delle masse e delle macchine. La macchina si espande da se e il suo fine è il dominio. Il primo cambiamento che queste portano è di tipo politico; cadono le vecchie gerarchie fatte di re e principi lasciando il posto al nuovo tipo di uomo legato con la macchina: il Lavoratore. Man mano che la tecnica si espande i luoghi dove coltivare attività non tecnologiche svaniscono. In questo modo il lavoro cessa di essere una delle possibili attività svolte dall’uomo per diventare quella dominante, alla base della società. Si lavora in ogni luogo, anche durante il tempo libero, ogni movimento che facciamo è lavoro. Una volta che la tecnologia ha occupato tutto lo spazio della faccende umane, l’uomo si trova ad affrontare una precisa decisione: accogliere la nuova forma di vita cercando di dominarne il movimento, oppure negarla per poi essere espulsi dal suo centro. Accettando la nuova forma di vita, però, si diventa parte e oggetto dei processi tecnologici. Difatti Junger afferma: “L’uso degli strumenti implica un preciso stile di vita, che riguarda le grandi come le piccole circostanze del vivere”. Man mano che la tecnica avanza si fa sempre più spazio l’idea che la tecnica nasce per servire l’uomo. Questa logica distrugge sempre più l’istinto di coloro che sono colpiti dalla tecnica, tale istinto è quello del cavaliere che disdegna i fucili o del tessitore che distrugge le macchine. Nonostante ciò tutte queste figure sono cadute dinanzi la tecnologia. La tecnologia modifica radicalmente l’identità di chi la pratica. Ogni mezzo tecnologico ci impone movenze e schemi di comportamento che, col tempo, diventano l’unico modo conosciuto di agire e di determinarsi. Junger sostiene che l’uomo, se vuole sopravvivere alla macchina, deve accettare il nuovo stile di vita e cercare di ri-umanizzare lo spazio tecnologico. Una volta che sarà instaurato l’ordine che vede la macchina al potere, il Lavoratore dovrà aver raggiunto lo stesso grado di perfezione della macchina in modo da essere suo pari. L’uomo dovrà riuscire a usare il suo corpo come un “puro strumento meccanico”. Lo stesso Junger afferma: “lo stadio più perfezionato del Lavoratore appare quando la forma dell’organismo è trapassata in quella della macchina”. Questo passaggio dall’organico all’inorganico è frutto di un lungo esercizio il cui scopo è di far raggiungere all’uomo un nuovo limite di efficienza. La perfezione della tecnica, la massima espansione della “Mobilitazione Totale” si ha quando la macchina avrà fatto il suo passaggio nell’organico, ovvero quando il Lavoratore avrà assunto la ferrea struttura del meccanismo. Il destino della macchina, invece, è diverso: essa dovrà raggiungere la perfezione organica. Il limite estremo dell’evoluzione macchinale sarà raggiunto solo quando essa avrà la perfezione delle strutture anatomiche di animali e piante.

Friedrich Georg Junger riprenderà la riflessione del fratello, ma con un tono più pessimista e meno titanico. Secondo Junger lo scopo del dominio della tecnica non è quello dell’aumento della ricchezza, ma del mantenimento degli uomini in una situazione di carenza di risorse che è il fondamento dello sviluppo tecnologico. Junger afferma che non è guardando i processi tecnologici che l’uomo sente un senso di abbondanza. La pienezza e la sovrabbondanza, che vanno d’accordo con la felicità, la percepiamo nei segni

di fecondità, nel germogliare, nello sbocciare, nel fiorire e nel maturare. “La vista di una vigna, di un frutteto, di un paesaggio fiorito, rallegra […] perché viene suscitato in noi un sentimento di fecondità, di sovrabbondanza e di ricchezza senza scopo alcuno. Il paesaggio industriale ha perduto questa fecondità ed è divenuto il luogo della produzione meccanica. […] È innanzitutto un sentimento di fame che ci avvicina ad esso […]. La macchina fa l’impressione di qualcosa di affamato. L’apparente abbondanza delle risorse messe in moto dalle macchine maschera un processo votato al consumo e alla distruzione. Questa visione viene modulata secondo i seguenti processi: - Gli apparati e l’ordine razionale che li sorregge sono una manifestazione della fame; la crescita del consumo non è sinonimo di abbondanza, ma di povertà, insicurezza per il futuro, della necessità di lavoro e della fatica crescente richiesta da questo. - Dal sistema tecnologico della produzione non dobbiamo spettarci nessuna soluzione al problema connesso alla soddisfazione dei bisogni primari dell’uomo; questo tipo di tecnologia sposta solo in avanti il sentimento di penuria e di vuoto. - Il modo in cui la macchina mobilita il mondo può essere definito sfruttamento. A chi ...


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