Femminili singolari - riassunto e pensiero del libro PDF

Title Femminili singolari - riassunto e pensiero del libro
Author silvia caserio
Course Storia delle donne in eta' contemporanea
Institution Università di Bologna
Pages 2
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Summary

riassunto e pensiero del libro...


Description

Linguaggio inclusivo: perché? Vera Gheno: “Femminili singolari”

Vera Gheno è l’autrice del libro “femminili singolari. Il femminismo è nelle parole”. Il testo è una lucida riflessione sulla discussione che da sempre interessa i sostantivi femminili professionali. La polemica che attornia i sostantivi professionali singolari femminili vuole essere linguistica, ma di fatto riflette una più grave polemica sociale. Ciò che viene sostenuto da coloro che si scagliano contro questi sostantivi è il fatto che non ci siano alcuna necessità e nessun reale motivo per dover ricorrere alla “trasformazione” di sostantivi professionali, da sempre maschili, in femminili, poiché non solo il risultato parrebbe essere una parola cacofonica, ma inoltre “i problemi sono ben altri” (come scrive Gheno stessa). Ovviamente è chiaro il motivo per cui il problema non è affatto linguistico: l’italiano, come tutte le lingue è soggetto a mutamento, il suo dizionario è inevitabilmente destinato ad aggiornarsi. Ciò accade perché le lingue vive sono lo specchio della società dei parlanti che ne fanno uso, di conseguenza all’evolversi della realtà si deve evolvere anche la lingua. Le parole nascono a partire dal mondo che ci circonda: necessitiamo di una parola per indicare qualcosa che vediamo. Di conseguenza negare la necessità di ricorrere a termini femminili professionali significa, in un certo senso, negare di vedere tali professioniste. Infatti, il motivo per cui i termini “ingegnera”, così come “avvocata” o “architetta” suonano –per così dire- strani è perché in passato non c’erano donne che svolgevano tali mestieri, di conseguenza non c’era nemmeno la necessità di esprimerli a parole. Ma oggi la realtà è parecchio cambiata, fortunatamente! Il dizionario non è un’istituzione “calata dall’alto” per volere degli eruditi che fanno parte dell’Accademia della Crusca. Le parole contenute all’interno di esso sono il frutto delle ricerche dei linguisti e delle linguiste che studiano la comunità dei parlanti. Quindi, coloro che accusano la Crusca “di aver perso ogni ritegno nei confronti della purezza della lingua italiana” che parrebbe essere stata “violentata dalla bruttezza di questi (poveri) sostantivi professionali femminili” non sanno che non è “colpa della Crusca” così come non è colpa di nessuno! Inoltre è abbastanza normale trovare cacofonica una parola che non si è abituati a sentire, ma la cacofonia non ha nessun valore all’interno del parametro linguista: stronzio è una parola cacofonica ma non per questo non la si debba usare. Accusare i professionali femminili perché “suonano male” non h alcun senso. L'italiano, così come altre lingue europee, non presenta la possibilità di un genere neutro, dunque è necessario che le parole abbiano necessariamente un maschile e un femminile. In Inghilterra, invece, la prospettiva del linguaggio inclusivo sta prendendo una deriva differente: si sta cercando di riportare i termini alla neutralità, e così si sta preferendo, per esempio optare per “police-officer” piuttosto che “police-man/-woman”. Se ci si chiede in che modo lottando perché si faccia un buon uso delle parole equivalga a lottare per la parità dei diritti tra i generi, la risposta è che usando tali professionali femminili le donne stesse hanno la possibilità di acquisire visibilità anche nel mondo lavorativo stesso.

Ridere per un “sindaca” significa non-normalizzare una realtà. Significa rinnegare ancora la possibilità che possano esserci sindaci donne. Evitare di chiamare le professioniste con i propri nomi equivale a nascondere metà del mondo che lavora. Ciò che stupisce, ma non troppo, è il fatto che non solamente gli uomini polemizzino i vari “deputata” e “procuratrice” ma talvolta le donne stesse non comprendono perché interessarsi tanto alla questione poiché non è la declinazione del termine, ma la sostanza che conta. La parola è “solo una parola”. Gheno stessa sostiene di non avere nulla contro coloro che prendono questa decisione, probabilmente in futuro ci sarà una sensibilità anche femminile differente e finalmente si comprenderanno i reali motivi per cui non è affatto vero che le parole sono solo parole, ma come già ricordato, le parole sono estensione della realtà e continuare a fare un uso del maschile sovraesteso significa proprio dar maggior ragion d’essere al patriarcato. Dunque, il nocciolo del problema è evidentemente più complesso, ed è ancora un arduo fardello per la società contemporanea: viviamo in un mondo che è ancora profondamente patriarcale e che fatica ad accettare la parità dei generi....


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