Finanziario, sbobine PDF

Title Finanziario, sbobine
Author Chiara Laigueglia
Course Diritto finanziario
Institution Università degli Studi di Genova
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4 mar 2020 Diritto finanziario lezione 4 Fonti subordinate (regolamenti): la riserva di legge non è assoluta ma relativa (nella legge vanno inseriti gli elementi essenziali). Rilevanza giuridica delle circolari. Cosa sono? Derivano dal linguaggio militare; erano degli ordini destinati a circolare. Si tratta di istruzioni amministrative. Le circolari possono essere organizzative (istruzioni sulla vita degli uffici); e poi possono essere interpretative (da indicazioni sul significato da dare ad una legge). Potremmo dire che quest’ultimo è un comando su come i funzionari amministrativi devono interpretare una disposizione. Le circolari non sono fonti del diritto in senso proprio ma questo non implica che siano irrilevanti; si danno delle indicazioni anticipate su quella che sarà la condotta della p.a. (sono molto rilevanti per i contribuenti). Cosa può succedere e quali tipi di conseguenza ci sono con l’emanazione di una circolare? Poniamo che il problema sia che una certa cosa sia imponibile o meno. Supponiamo che ci sia una disposizione che dice che è soggetta ad una certa imposta la vendita di oggetti artistici. Ci possono essere dei dubbi interpretativi/applicativi relativamente al tipo di vendita (es. se vendo con condizione sospensiva?) oppure con riferimento alle ipotesi di elusione di cui parlavamo nella lezione precedente (se anziché vendere conferisco il bene in una società di cui poi cedo tutte le quote?). Rispetto a questa soluzione di dubbio, possiamo separare due ipotesi: la prima ipotesi è che la circolare intervenga in un senso sfavorevole al contribuente (tutte quelle ipotesi sono assimilabili alla vendita immediata); oppure potremmo trovarci nell’ipotesi in cui alcune fattispecie non identiche alla vendita immediata non siano sottoposte a imposta. Nell’ipotesi della circolare sfavorevole, che cosa può fare il contribuente per eliminare questo elemento negativo? Posso impugnare la circolare davanti ad un giudice? No, non si può fare. Non sono ammesse azioni di mero accertamento davanti al giudice tributario (non posso andare a chiedergli se una certa cosa è imponibile o meno). L’interesse ad agire sussiste solo quando nei miei confronti c’è una concreta lesione (tipicamente, mi hanno accertato che dovevo pagare un tributo e non l’ho pagato). Qui non c’è interesse ad agire. Allora cosa si può fare? Si potrebbe fare lo stesso l’operazione; non pagare il tributo; l’agenzia delle entrate mi accerterà come evasore; poi andrò dal giudice e se ho ragione lui me la darà. Elemento negativo di questa scelta: margine di rischio. Anche se sono convinto di avere ragione non è detto che il giudice mi dia ragione. Se il giudice mi da torto, non solo devo pagare il tributo iniziale ma anche degli interessi e soprattutto sarò sottoposto a delle sanzioni (molto pesanti in materia tributaria; es. in materia di Iva si paga, talvolta, 3 volte tanto). Strada alternativa: si potrebbe seguire la strada opposta. Anche se penso di avere ragione, quando faccio l’operazione il tributo lo pago; poi, però, sotterrò di averlo pagato indebitamente: faccio istanza di rimborso (il pagamento di un indebito da diritto alla restituzione). Quando diranno di no al rimborso; vado dal

giudice impugnando il diniego di rimborso. Qui cambia una cosa fondamentale: se il giudice mi da torto non avrò indietro i soldi ma non dovrò pagare né interessi né sanzioni. Lo svantaggio di questa soluzione è quello per cui devo pagare subito. Non c’è una soluzione corretta: dipende (da quanto sono sicuro di avere ragione; dalla situazione finanziaria del cliente, specie se la somma da tirare fuori subito è molto alta). Ipotesi della circolare favorevole Qui qual è il problema? Ipotizziamo che una circolare mia dia ragione quindi pongo in essere una operazione e non pago l’imposta. Supponiamo che poi i giudici dicano che la circolare è sbagliata. Qui devo trovare il modo per preservare la circolare che mi dava ragione. A questa argomentazione si può obiettare dicendo che le circolari non sono fonti del diritto; il fatto che una circolare “sbagliata” ti dia ragione è irrilevante; è la legge che regola la materia, e hai torto. In questa fattispecie non funziona il fatto che io mi ero fidato della circolare precedente: esiste il principio della tutela del legittimo affidamento (se sono convinto di avere ragione e lo sono per un motivo ragionevole; mi convinco di avere ragione in esito di un comportamento diligente e prudente). La tutela del legittimo affidamento dice che se sono in errore ma l’errore è ragionevole allora sono tutelato (tutela della buona fede soggettiva). Nel nostro esempio, ho diritto ad essere tutelato perché era addirittura la circolare che mi dava ragione. Quindi si, sono tutelato. Ma cosa vuol dire? C’è una norma dello Statuto del contribuente che dice che se ci si conforma ad indicazioni dell’amministrazione non sono dovute le sanzioni e gli interessi (se tu ti sei fidato di essere nel giusto e questo deriva da una condotta diligente e prudente hai la tutela di non pagare interessi e sanzioni). In realtà, a questa conclusione (non applicazione di interessi e sanzioni se ero in buona fede) ci si arriva anche senza una norma che lo dica espressamente, grazie ai principi generali. Il presupposto di una sanzione è che io sia colpevole; devo aver avuto un atteggiamento soggettivo rimproverabile; invece, se sono convinto di aver ragione in buona fede non mi puoi rimproverare (come puoi sanzionarmi, p.a., per aver fatto quello che tu stessa mi dicevi di fare?). Gli interessi moratori sono una forma di risarcimento del danno; sono previsti quando c’è un danno ingiusto; ma se ritardo il pagamento in buona fede allora il danno non è ingiusto; non sono colpevole. Il problema riguarda ciò che lo Statuto del contribuente non dice e cioè se, nel caso di legittimo affidamento, sia o non sia dovuto il tributo in sé. Su questo c’è da fare una riflessione più complessa. Un modo di affrontare la questione è quello formale: lo Statuto del contribuente non dice che non sono dovute le imposte; se lo avesse voluto lo avrebbe detto (ubi lex voluit dixit). Secondo argomento per dire che il tributo deve essere pagato: la circolare non è una fonte del diritto, se è sbagliata (cioè i giudici ritengono che la legge dica un’altra cosa) vince comunque la legge. Come fai a sostenere che il tributo non è dovuto? La legge dice che è dovuto.

Terzo argomento per escludere che io possa evitare di pagare il tributo. Se si sostenesse che la p.a., nel momento in cui fa una circolare in cui dice che il tributo non è dovuto, allora lo rendesse non dovuto c’è anche l’ostacolo per cui la p.a. non può rinunciare ai tributi che le sono dovuti per legge. I tributi sono materia indisponibile. Diciamo subito che questa è anche la soluzione adottata dalla giurisprudenza prevalente. Tuttavia, si potrebbe dire che se l’amministrazione prima mi fa credere una cosa e poi ne pretende un’altra allora il procedimento seguito è illegittimo e quindi nullo. Potrei quindi sostenere un vizio di procedura (vizio di contraddittorietà, che è un vizio che esiste nei procedimenti amministrativi).

Parte speciale: i principali tributi italiani Facciamo un notevole salto (sul libro) e parliamo di descrizione dei principali tributi italiani. Il diritto tributario studia il finanziamento con mezzi coattivi della spesa pubblica; quali sono, in concreto, gli strumenti coattivi che il legislatore adotta? Potremmo esaminare i vari testi legislativi ma possiamo anche immaginare di dover creare un sistema giuridico tributario. La prima domanda che ci dobbiamo fare è che tipo di tributi dobbiamo introdurre. Che cosa vogliamo tassare? Quale tipo di ricchezza vogliamo assoggettare a imposizione? Possiamo ipotizzare di sottoporre a imposizione una prima forma di ricchezza che è il reddito. Cos’è il reddito? Il reddito è quanto un soggetto ha guadagnato in un determinato periodo; una definizione più tecnica: incremento della ricchezza di un soggetto in un periodo dato. Il concetto di guadagno è collegato al concetto di patrimonio: prima forma di ricchezza che si può considerare; è l’insieme delle posizioni giuridiche aventi una possibilità di valutazione economica di cui un soggetto è titolare in un momento dato. Apprezziamo del patrimonio la sua caratteristica istantanea. Se vogliamo, il concetto di reddito può anche essere compreso collegandolo al concetto di patrimonio: il reddito è la differenza di segno positivo tra due livelli di patrimonio alla fine e all’inizio del periodo considerato (il concetto di reddito non si misura istantaneamente; si misura su un periodo). Esiste una terza possibile forma di tassazione (oltre a tassare la ricchezza in forma di patrimonio o in forma di reddito): si possono tassare i consumi. Cosa sono? Questi sono le spese; propriamente, quando si spende non c’è per forza una ricchezza. La ricchezza è quello che ho o quello che guadagno. Tuttavia, il consumo può essere il presupposto di imposte. Mentre il patrimonio e il reddito sono forme della ricchezza; il consumo è una manifestazione della ricchezza (se spendi vuol dire che hai).

Quasi tutti gli ordinamenti prevedono imposte su: redditi, patrimonio, consumi. Dal punto di vista della capacità contributiva, il patrimonio mi consente certamente di pagare; ugualmente il reddito. Ma il consumo? Potrei consumare qualcosa che mi sono fatto prestare (es. mutuo). A questa obiezione si corrisponde con una contro obiezione: anche se consumo con risorse prestate; è pur vero che chi presta gli riconosce una certa capacità economica. Se qualcuno mi fa credito vuol dire che vede in me delle potenzialità economiche. Ipotizzando di partire da zero, cioè da un sistema che non abbia delle norme tributarie, dobbiamo scegliere che cosa tassare. Es. tassiamo il patrimonio. In quasi tutti i sistemi giuridici c’è una certa resistenza ad una tassazione patrimoniale. Si dice che se si fa pagare una imposta solo per il possesso del patrimonio allora si toglie al soggetto una parte della sua ricchezza (diverso è per i redditi, che sono un aumento di patrimonio; nel caso di imposta su questi si diminuisce un arricchimento). In realtà, un impoverimento c’è sempre, sia che lo si tolga dal patrimonio sia dal guadagno. In realtà, è molto più facile far pagare una quota del proprio aumento di patrimonio. Le imposte sui redditi hanno un impatto meno “traumatico” sui soggetti. Andrebbe però anche detto che questo concetto di impoverimento potrebbe essere messo in discussione: è vero che con il tributo il soggetto viene impoverito nella sua economia individuale ma se lo Stato ha una spesa pubblica produttiva, ciò che l’economia privata perde dovrebbe recuperarlo con i servizi. È comunque vero che se ci fosse una imposta solo patrimoniale potrebbe anche capitare un caso come quello di una vecchietta che abbia una pensione minima, una casa di proprietà, si troverebbe nella situazione di dover vendere la casa. Normalmente, le imposte “regine” sono quelle sui redditi. Tuttavia, queste hanno due difetti: non è detto che per essere ricchi sia necessario guadagnare (immaginiamo il caso di un soggetto che eredita un patrimonio enorme). Questo ipotetico soggetto, ricchissimo, non avrebbe nessun reddito, e quindi non pagherebbe nessuna imposta. È evidente che un soggetto così debba pagare dei tributi. Ecco perché ci sono imposte sul patrimonio. Normalmente, accanto alle imposte sui redditi (per le persone fisiche e per le società) ci sono imposte patrimoniali. In Italia, come negli altri ordinamenti, non esiste però una imposizione patrimoniale onnicomprensiva: le imposte patrimoniali hanno una portata più limitata, ci sono imposte patrimoniali di settore (es. imposte sugli immobili). Esistono imposte sui redditi tratti dal denaro che è in banca (il denaro in banca produce degli interessi e questi sono soggetti a imposta); questo non vuol dire che ci sia una imposta patrimoniale sul denaro che c’è in banca.

Non c’è una imposta sui beni mobili, non c’è una imposta ad es., sui gioielli; ad es. ci sono imposte sui veicoli. Ci sono poi imposte patrimoniali che tassano il patrimonio quando questo venga trasferito. Due tipi: imposta sulle successioni o donazioni (sono tassati nel momento in cui eredito i beni o qualcuno me li dona). Imposte sul reddito e imposte sul patrimonio, quindi, si completano. Tutte e due queste imposte hanno un difetto: ci sono redditi e patrimoni che non possono nascondersi (es. immobili); ma ci sono anche redditi e patrimoni che è più facile nascondere (es. denaro; soprattutto nei limiti in cui posso utilizzarlo in contanti. Allo stesso modo, ci sono anche guadagni che è facile nascondere (es. se lavoro con privati a casa mia). Per ovviare a questo problema servono le imposte sui consumi (chi è ricco riuscirà a nascondere il momento del guadagno e del patrimonio ma è difficile nascondere il consumo). Le imposte sui consumi fanno scoprire redditi e patrimoni. Ma allora perché non si tassano solo i consumi? Anche comprare posso farlo in nero; e poi una imposta sui consumi potrebbe non essere del tutto equa. C’è una zona di consumi che è comune a tutti: es. spesa al supermercato. I consumi non consentono facilmente di applicare una imposta progressiva. L’aliquota sui consumi dovrebbe tener conto di quanto hai speso nel corso dell’anno, allo stato attuale è piuttosto difficile tenere traccia di tutti i consumi nel corso dell’anno. L’iva è pagata ad ogni acquisto, ed è sempre della stessa aliquota, non tiene conto degli acquisti precedenti. Tutti i sistemi tributari sono misti: ci sono imposte sui redditi (delle persone fisiche e delle società cioè l’IRES), sul patrimonio (IMU, imposte sulle successioni e donazioni, l’imposta di registro, che colpisce, tra la altre cose, i trasferimenti di beni fatti tra vivi), imposte sui consumi (imposta sul valore aggiunto, cioè l’IVA). Le imposte più importanti sono quelle sui redditi e l’IVA. Ora possiamo esaminare più da vicino le diverse ipotesi. Imposte sui redditi Consideriamo le imposte sui redditi. Anche dal punto di vista quantitativo sono quella da trattare per prime. Le imposte sui redditi sono principalmente due: sulle persone fisiche (IRPEF) e sulle società (IRES). “sulle società”: espressione un po’ ambigua; non è da prendere alla lettera perché sottoposti a questa imposta ci sono anche enti diversi dalle società, come gli enti pubblici, e poi non sono soggetti all’IRES tutte le società. Le società di persone non pagano l’imposta sulle società. Primo problema che ci dobbiamo porre è che cos’è il reddito. Come definiamo, quindi, il presupposto dell’imposta. Il presupposto è la ricchezza incisa dal tributo. Distinzione terminologica: una cosa è l’oggetto del tributo, una cosa è il presupposto del tributo. L’oggetto del tributo è il concetto economico sottoposto ad imposizione (oggetto dell’IRPEF è il reddito); il presupposto è l’oggetto così come definito dalle norme (devo andarlo a leggere nella legge).

Cosa prendiamo in considerazione nel disegnare il presupposto? L’economia ci da tre concetti di reddito tra cui possiamo scegliere. Una prima nozione (restrittiva) è la nozione di reddito come prodotto. Vogliamo dire che consideriamo reddito solo ciò che deriva dall’aver utilizzato un bene in grado di far germinare nuova ricchezza (sarebbero redditi quelli che derivano dai frutti naturali di una cosa; es. ho un campo e questo produce frumento; anche frutti civili, cioè che derivano da un capitale: es. ho dei soldi e li presto, ottengo gli interessi; oppure i redditi che derivano dalle attività lavorative, sia dipendente che autonomo; oppure anche ciò che guadagno da capitale + lavoro cioè l’attività d’impresa). Cosa non c’è nel reddito prodotto ed è comunque un incremento patrimoniale? Le vincite (alla lotteria ad es.); i regali; le eredità. Seconda nozione (più ampia): nozione di reddito entrata. Reddito prodotto + anche ciò che non è prodotto. Teoricamente, dovrebbe ricomprendere vincite, eredità e regali. Tuttavia, per donazione e successione c’è una imposta a parte. Quindi, il reddito entrata abbraccia, oltre al reddito prodotto, anche le vincite. Terza nozione (non è stata presa in considerazione dai Paesi avanzati): reddito come consumo. Questo non significa sottoporre ad imposizione i consumi (questo vorrebbe invece dire tassare anche i consumi che derivano da un patrimonio); si sosterrebbe che quello tassato dovrebbe essere solo il reddito consumato. Non si dovrebbe tassare il reddito risparmiato. Questa ipotesi non è tradotta in regole giuridiche. Secondo questa ipotesi, si dice che se non si segue questo metodo allora si tassa il reddito due volte: lo tassi una prima volta quando è stato prodotto e poi una seconda volta quando il reddito risparmiato e investito produce nuovo reddito. Tuttavia, non è vero che la ricchezza è tassata due volte: la seconda volta si tassa un ulteriore reddito. La scelta degli ordinamenti moderni è, di solito, per la nozione di reddito come entrata. Un altro problema che dobbiamo esaminare è chi sono i soggetti passivi; chi deve pagare l’imposta sul reddito. Sicuramente alle persone fisiche (richiamiamo i concetti di capacità giuridica e capacità ad agire). Cosa fare dei redditi imputati alle persone diverse da quelle fisiche? Le persone fisiche possono creare delle strutture produttive diverse dalle persone fisiche; si possono far produrre dei redditi in forma societaria. Cosa fa il legislatore in questa situazione? In teoria si potrebbe dire che, visto che le società sono sempre costituite dalle persone fisiche, potremmo disinteressarcene e continuare a imporre solo il reddito delle persone fisiche. Questa soluzione creerebbe un grosso problema: tutti cercherebbero di costruire delle società in modo tale da evadere le tasse. Per questo motivo, infatti, nessun ordinamento adotta questa soluzione. Le soluzioni adottate sono, di solito, due. Una prima soluzione sarebbe quella di tassare il reddito delle società considerandolo imputato al socio. Questo è il c.d. criterio della trasparenza (è come se la società, fiscalmente, fosse trasparente): anche se è costituita una

società, il reddito è sempre dei soci, in proporzione alla loro partecipazione alla società. Questa è la soluzione adottata in Italia per tutti i redditi di società di persone residenti (società semplici, società in nome collettivo, società in accomandita semplice). C’è un’altra possibilità per tassare il reddito prodotto dalle società: si può imputare il reddito alla società, cioè stabilire che sia la società il soggetto passivo dell’imposta. Questa è la soluzione adottata, in Italia, per le società di capitali. L’imposta sul reddito delle società è una imposta di tipo proporzionale e non progressivo, perché si ritiene che il principio di solidarietà debba essere applicato alle persone fisiche. Problema: per principio generale, si ritiene che il legislatore fiscale dovrebbe essere neutrale rispetto alle scelte organizzative. La legislazione fiscale dovrebbe disinteressarsi degli strumenti con cui si produce ricchezza: sia che si utilizzi lo strumento dell’attività individuale, sia che si utilizzi lo strumento societario alla fine la tassazione dovrebbe essere la stessa. Questo determina un problema giuridico di non facile soluzione. Esempio: ipotizziamo che ci sia un imprenditore individuale, che lui riesca a guadagnare 400. Supponiamo una imposta sul reddito delle persone fisiche. Progressività: il reddito viene tassato con aliquote crescenti; cioè, man mano che aumenta il reddito aumenta anche l’aliquota, cioè la quota che esprime l’imposta. Normalmente i sistemi funzionano per scaglioni: l’aliquota aumenta a scaglioni, aumenta dividendo il reddito a fette (sulla prima fetta c’è l’aliquota del 10%; seconda fetta 20%; terza fetta 30%). Mettiamo che nel sistema del nostro esempio per i redditi fino a 100 ci sia l’aliquota del 10%; per i redditi da 100 a 200 c’è il 20%; per i redditi superiori a 200 c’è il 30% (non è che se ho reddito superiore a 200 allora applico a tutto il reddito l’aliquota del 30%, ma vuol dire che prendo tutto il reddito, lo divido a scaglioni e per ogni fetta applico la sua aliquota). Se il nostro imprenditore ha guadagnato 400; la calcoliamo così: dividiamo 400 a fette. Sulla prima fetta, cioè da 0 a 100 dobbiamo pagare il 10% cioè 10. Da 100 a 200 dobbiamo pagare il...


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