Hannah arendt le origini del totalitarismo parte iii il totalitarismo riassunto PDF

Title Hannah arendt le origini del totalitarismo parte iii il totalitarismo riassunto
Course Storia contemporanea
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
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riassunto di 16 pagine relativo 4 capitoli de "le origini del totalitarismo" di hannah arendt, estremamente preciso, rielaborato e quindi non esattamente attagliato al libro...


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“LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO” – HANNAH ARENDT (PARTE TERZA, “IL TOTALITARISMO”) Ne “Le origini del totalitarismo”, Hannah Arendt analizza il fenomeno totalitario evidenziando come esso sia differente dagli altri fenomeni autoritari e prendendo in considerazione quelli che secondo lei sono stati gli unici due casi caratterizzati da un tale sistema: la Germania nazista da un lato, e l’Unione Sovietica di Stalin dall’altro. Infatti, nonostante i due sistemi siano stati fondati su due ideologie diametralmente opposte, la loro struttura e i loro obiettivi erano sostanzialmente gli stessi, e Arendt l’ha dimostrato soprattutto nella terza parte del libro, prendendo in analisi in primo luogo le condizioni che hanno favorito la loro nascita, in secondo luogo la loro organizzazione, e infine gli strumenti di cui si sono serviti per arrivare e rimanere al potere, come ad esempio l’ideologia e il terrore.

CAP. 10 – IL TRAMONTO DELLA SOCIETÀ CLASSISTA 1. Le masse Una delle caratteristiche principali dei movimenti totalitari è la velocità con cui essi vengono dimenticati dopo la loro caduta. Questo è dovuto sia all’incostanza delle masse, alle quali tali movimenti fanno affidamento, sia allo stato di costante mobilitazione in cui essi tentano di mantenerle. Infatti, finché restano al potere, i movimenti totalitari contano sulla fiducia delle masse e sull’indiscussa popolarità di cui godono i loro capi, poiché riescono a creare in esse un sentimento di identificazione e di conformismo assoluto con il movimento. A differenza dei normali partiti, che mirano a organizzare le classi o perlomeno i cittadini interessati alla “cosa pubblica”, i movimenti totalitari fanno leva sulla semplice forza numerica di individui isolati e indifferenti. Nella Germania del primo dopoguerra, ad esempio, le gravi condizioni economico-sociali in cui il paese viveva hanno generato una disintegrazione politica da parte della maggioranza della popolazione, che non si sentiva più parte di un ordine precostituito. In Unione Sovietica, invece, dato che non esistevano tali condizioni, Stalin s’impegnò a crearle attraverso la liquidazione delle classi possidenti da un lato, e la centralizzazione della burocrazia dall’altro. Inoltre, per instaurare un regime totalitario è necessario un enorme “materiale umano” di cui i paesi con una popolazione relativamente ridotta non possono disporre, poiché esso deve essere sacrificabile senza effetti demografici disastrosi. È infatti questo il motivo per cui Mussolini, che amava definire il regime fascista un regime totalitario, non è riuscito a fondare altro che una semplice dittatura del partito unico: perché non disponeva di masse umane abbastanza numerose per compiere i suoi esperimenti totalitari. Tuttavia, c’è da dire che neanche la Germania poteva contare su una popolazione abbastanza numerosa. Infatti, essa avrebbe conosciuto un dominio totalitario completo solo se avesse vinto la guerra e nei fatti ha cominciato a instaurarlo sul serio solo grazie alle conquiste dei territori nell’Europa dell’est, le quali hanno reso possibili i campi di sterminio e hanno messo a disposizione ulteriori masse umane da sacrificare. Dunque, il termine “massa” indica dei gruppi che, per la loro entità numerica e/o per la loro indifferenza verso gli affari pubblici, non possono collocarsi in organizzazioni basate sulla comunanza di interessi o in partiti politici. Essi esistono almeno potenzialmente in tutti i paesi e spesso costituiscono la maggioranza della popolazione. I movimenti totalitari hanno quindi offerto a questi gruppi importanza politica attirando la loro attenzione con la propaganda e con un atteggiamento di ostilità nei confronti del sistema partitico nel suo insieme, sfatando due miti molto comuni tra i democratici: da un lato la convinzione che la maggioranza della popolazione fosse interessata alla politica, e dall’altro quella secondo la quale le masse apatiche e indifferenti erano veramente neutrali e che quindi non contavano nulla. I movimenti totalitari hanno infatti dimostrato che tali masse potevano costituire la maggioranza anche in una democrazia e che la costituzione democratica si basava anche sulla loro tacita approvazione e tolleranza. Comunque, i movimenti totalitari si pongono anche come i primi partiti antiborghesi, perché la borghesia è caratterizzata da una concezione della vita basata sul successo individuale e sulla concorrenza. Infatti, anche se questo atteggiamento si presta ottimamente a quelle forme di dittatura in cui un “uomo forte” si assume le responsabilità pubbliche, esso entra automaticamente in contrasto con i movimenti totalitari, che hanno invece come intento quello di estinguere in modo permanente l’identità individuale.

Nella società classista, l’appartenenza a una determinata classe è decisa dalla nascita e può mutare solo grazie alla fortuna o al possedimento di doti straordinarie. Con l’ascesa di una nuova classe, si verifica sempre l’addestramento di un certo numero dei suoi membri all’attività politica per la rappresentanza in parlamento, mentre la maggioranza di essi ne resta esclusa poiché priva di coscienza politica. Dunque, con il crollo del sistema classista, questo carattere apolitico dello Stato-nazione è venuto alla luce, causando automaticamente anche il crollo del sistema dei partiti, che non avevano più interessi da rappresentare e avevano perso ragion d’essere. Essi infatti non solo non riuscivano più a reclutare nuovi militanti, ma avevano anche perso il tacito consenso delle masse informi e disorganizzate, che cominciarono a manifestare la propria ostilità verso l’intero sistema. In Germania in particolare, questa massa di individui pieni d’odio crebbe dopo la prima guerra mondiale, quando alle conseguenze disgregatrici della sconfitta militare si aggiunsero anche l’inflazione e la disoccupazione. Tuttavia, essa raggiunse dimensioni preoccupanti anche in Austria e negli Stati dell’Europa orientale, nonché in Francia e in Italia nel secondo dopoguerra. E in quest’atmosfera di sfacelo generale, l’uomo di massa non si sente più vicino ai propri simili, perché non condivide più con essi degli interessi economici, sociali o politici. Rimasto solo, egli comincia a perdere interesse anche verso se stesso, a convincersi della propria sacrificabilità e a colmare la propria vuotezza con l’ideologia. Dall’inizio del XIX secolo, molti studiosi e statisti europei avevano cominciato a predire l’avvento dell’era di massa, ma credevano che essa sarebbe stata il risultato della crescente eguaglianza di condizioni, della diffusione dell’istruzione e della popolarizzazione della cultura. Invece, essa scaturì dai frammenti di una società atomizzata, la cui competizione strutturale e la solitudine in cui gettava gli individui erano tenuti a freno solo dal sistema classista. Dunque, più che l’assenza di strutture, ai movimenti totalitari sono necessarie l’atomizzazione e l’individualizzazione della moderna società di massa, e ciò è evidente sia se si considera il nazismo, sia se si considera il bolscevismo, anche se hanno cominciato la loro azione in circostanze totalmente diverse. Infatti, mentre in Germania la società atomizzata era stata creata dagli avvenimenti storici, in Unione Sovietica Stalin la creò artificialmente, spazzando via la dittatura rivoluzionaria di Lenin. Lenin era perfettamente consapevole della debolezza della classe operaia russa, così com’era consapevole del fatto che delle condizioni sociali anarchiche favoriscono i cambiamenti improvvisi. Per questo, egli doveva capire (anche superando le proprie convinzioni marxiste) come preservare il potere rivoluzionario e lo fece puntando su tutte le differenziazioni sociali, nazionali e professionali capaci di introdurre delle strutture tra la popolazione. Infatti, ad esempio, egli creò per la prima volta in Russia una classe contadina emancipata legalizzando l’espropriazione anarchica dei latifondisti da parte delle masse rurali, rafforzò la classe operaia incoraggiando l’indipendenza dei sindacati, e addirittura tollerò l’apparizione di una nuova classe media dopo la guerra civile (cioè quella nata dagli auspici della NEP, ossia la Nuova Politica Economica in parte orientata al libero mercato). In seguito, quando con lo scoppio della guerra civile il potere supremo che egli voleva inizialmente dare ai soviet passò alla burocrazia di partito, nonostante questa sia stata la sua sconfitta più grande, la dittatura del partito unico aggiunse semplicemente un’altra classe, la burocrazia, alla già avviata stratificazione sociale. Per Stalin, tutte le nazionalità e le classi sorte dopo la rivoluzione non costituivano altro che un ostacolo alla creazione di una massa atomizzata e amorfa che serviva all’instaurazione del potere totalitario. Infatti, egli prima di tutto (negli anni ‘20) procedette a minare l’autonomia dei soviet per accentrare la burocrazia di partito, poiché, in qualità di principali organi rappresentativi nazionali, essi continuavano a svolgere una certa funzione e quindi a impedirne il dominio assoluto. In seguito, passò alla liquidazione delle classi e cominciò, per motivi ideologici e di propaganda, dalle classi possidenti, ossia dalla nuova classe borghese in città e dalla classe contadina in campagna. Nei confronti di quest’ultima, che era potenzialmente la classe più potente dell’Unione, procedette in modo certamente più radicale, ricorrendo alla carestia artificiale e alla deportazione, con il pretesto di espropriare i kulaki e di collettivizzare le terre. Poi fu il turno degli operai, che erano molto più deboli dei contadini e quindi opposero meno resistenza. All’interno delle fabbriche, confiscate dal governo e di esclusiva proprietà statale, il sistema stacanovista(*), introdotto all’inizio degli anni ‘30, annientò la solidarietà e la coscienza di classe degli operai prima con una concorrenza feroce e poi con la formazione di un’aristocrazia dirigenziale. Questo processo giunse poi a compimento nel 1938, con l’introduzione del libretto di lavoro, che condannò ufficialmente l’intera classe operaia russa ai lavori forzati. Lo stesso libretto, in forma di passaporto interno, fu poi introdotto anche per la burocrazia e per l’aristocrazia militare.

(*)Lo stacanovismo è il sistema di divisione e organizzazione del lavoro ideato in Unione Sovietica da Aleksej Stachanov, un minatore del bacino del Don che nel 1935 estrasse 102 tonnellate di carbone in meno di 6 ore, superando di 14 volte la quota prevista. La sua immagine fu utilizzata a scopo propagandistico per aumentare la produttività individuale di tutti i lavoratori attraverso nuove tecniche di lavoro e per dimostrare al mondo l’efficacia del sistema socialista.

Ad ogni modo, nessuno di questi strati sociali liquidati era ostile al regime, né c’era probabilità che lo diventasse in futuro. L’opposizione attiva e organizzata aveva infatti cessato di esistere già nel 1930, con la messa al bando di tutti i deviazionisti sia di destra che di sinistra. Inoltre, Stalin non doveva neanche temere eventuali interventi dall’esterno, poiché il regime era già stato riconosciuto dalla maggioranza dei governi e aveva già concluso importanti accordi, commerciali e non, con gli altri paesi. Dunque, l’atomizzazione della società sovietica si ottenne con l’uso di ripetute epurazioni, poiché un regime totalitario, per raggiungere il suo scopo, deve far sì che finisca una volta per tutte l’esistenza di qualsiasi attività autonoma. Una volta ottenuta la sua massa, esso deve poi esigere da essa una dedizione e una fedeltà incondizionata che è possibile solo quando è svuotata di ogni contenuto concreto, da cui potrebbero naturalmente derivare cambiamenti di opinione. E mentre Hitler organizzò il movimento nazista in modo graduale, rifiutandosi di parlare o di discutere i punti del suo programma iniziale, Stalin ottenne lo stesso risultato attraverso la continua reinterpretazione del marxismo, svuotandolo di ogni contenuto prevedibile. Ma il primo a considerare i programmi politici come inutili pezzi di carta è stato Mussolini, che con la sua filosofia dell’attivismo rimetteva tutto al “momento storico” e alla sua forza ispiratrice. Tuttavia, secondo Arendt, Mussolini non è stato davvero un leader totalitario, poiché il suo obiettivo era quello di impadronirsi del potere insediando la sua élite come dominatrice del paese. Per Arendt, infatti, il leader totalitario non ha un obiettivo politico, perché ciò comporterebbe la fine del movimento. Piuttosto, egli ha un obiettivo pratico, cioè quello di organizzare il maggior numero possibile di persone nelle sue file e farle marciare e di controllarle in modo permanente e in qualsiasi aspetto della loro vita. Dunque, i regimi totalitari: •

contano sulla forza numerica, poiché hanno bisogno di sufficiente materiale umano da sacrificare per i propri esperimenti;



contano sulle masse di individui fino a quel momento indifferenti e apolitiche, composte da individui vuoti, facilmente plasmabili da un’ideologia;



necessitano dell’ assenza di strutture autonome nella società, poiché devono essere l’unico punto di riferimento degli individui;



sono caratterizzati dall’ assenza di un programma, poiché un preciso obiettivo politico da raggiungere comporterebbe la fine del movimento e qualsiasi contenuto concreto comporterebbe possibili mutamenti di opinione da parte degli individui.

2. La temporanea alleanza fra plebe ed élite I movimenti totalitari esercitano un’indubbia attrazione non solo sulle folle, ma anche sulle élites intellettuali, che si erano trovate al di fuori del sistema classista e nazionale già prima che esso crollasse. Ciò si spiega principalmente col fatto che questa élite, frustrata dalla società borghese, era andata in guerra con la speranza del crollo del mondo e della civiltà così com’erano conosciuti. Essi non credevano che la guerra, nell’era delle macchine, potesse essere capace di generare virtù come il coraggio e l’onore, ma al contrario esaltavano il caos, la rovina e la distruzione come valori supremi per l’origine di un nuovo ordine mondiale che li separasse definitivamente dal mondo della rispettabilità borghese. Dunque, la generazione del fronte era inevitabilmente attratta dall’ attivismo dei movimenti totalitari. Mentre infatti la società borghese descriveva gli uomini per quello che sembravano, l’attivismo li definiva sulla base di quello che facevano per fuggire dall’identificazione sociale. In altre parole, per il movimento totalitario l’importante non era la definizione di un’identità personale, ma bensì fare qualcosa di eroico o di criminale che fosse imprevedibile e indeterminabile da parte degli altri.

Nel frattempo, ciò che invece era importante per la plebe era la fama, l’accesso alla storia anche a prezzo della propria distruzione. Essa accettava con entusiasmo l’idolatria del genio praticata dalla mentalità borghese, in quanto gioiva alla possibilità di poter essere un genio o di servirne uno. Al contrario, invece, l’élite negava l’esistenza del genio, dell’anormale, e prendeva l’anonimato così sul serio da ritenere che l’eccellenza risiedesse nel materiale e nella coerenza logica. Tuttavia, allo stesso tempo, essa non poteva che provare piacere quando la plebe, spinta dalle menzogne dei movimenti totalitari, distruggeva le convenzioni della buona società. Inizialmente, l’attrazione che i movimenti totalitari esercitavano sull’élite prima della conquista del potere lasciava perplesso l’osservatore, poiché le loro dottrine apparivano palesemente banali e assurde. Tuttavia, quello che attirava non era il loro contenuto vero e proprio, ma il fatto che esso non doveva essere preso sul serio e che mancasse di qualsiasi forma di ipocrisia e di rispettabilità. Comunque, la temporanea alleanza tra plebe ed élite stava nel fatto che questi strati erano stati i primi ad essere eliminati dalla società classista e nel fatto che entrambi credevano di rappresentare il destino dell’epoca. Tuttavia, una volta giunti al potere, i capi dei movimenti totalitari, nonostante provenissero dalla plebe, non avvertirono alcun bisogno di rappresentare il gruppo di provenienza o di avere una posizione nella società, e si scrollarono di dosso l’élite di intellettuali simpatizzanti ancor prima di passare alla loro attività criminosa su vasta scala. Il gangsterismo della plebe e l’iniziativa intellettuale ed artistica erano infatti ritenuti molto più pericolosi dell’opposizione meramente politica, perché il dominio totale dell’uomo non consente libertà di iniziativa in nessun settore della vita, ed è essenzialmente per questo che i regimi totalitari tendono a sostituire le persone di talento con “eccentrici e imbecilli la cui mancanza d’intelligenza e di creatività offre la migliore garanzia di sicurezza”.

CAP. 11 – IL MOVIMENTO TOTALITARIO 1. La propaganda totalitaria Mentre la plebe e l’élite erano sensibilmente attratte dalla novità del movimento totalitario, le masse dovevano essere conquistate con la propaganda. Infatti, quando ancora era vigente la libertà di opinione e la lotta politica si svolgeva in condizioni normali, i movimenti totalitari potevano utilizzare il terrore solo in misura limitata, e condividevano con gli altri partiti la necessità di convincere un pubblico che aveva ancora accesso ad altre fonti di informazione. Spesso si ritiene che tra terrore e propaganda vi sia un rapporto simbiotico, ma per Arendt ciò è vero solo parzialmente, poiché anche se questi due fenomeni sono facilmente accessibili, non sono davvero complementari. Infatti, la propaganda può contenere elementi di minaccia anche senza l’utilizzo del terrore, e il terrore può produrre efficacemente i suoi effetti anche senza propaganda. Quest’ultima è solo uno strumento da utilizzare nei rapporti con il mondo esterno, ossia con gli strati della popolazione non totalitari in patria e con i paesi stranieri, mentre è il terrore la vera essenza del regime totalitario, poiché continua ad essere utilizzato anche quando il regime ha già conseguito i suoi fini psicologici. Il terrore come complemento della propaganda ebbe una parte rilevante più nel nazismo che nel comunismo. I nazisti non colpirono figure di primo piano, ma piccoli funzionari o membri influenti (ma non in vista) dei partiti avversari per mostrare alla popolazione quali pericoli comportasse anche solo la mera appartenenza a un partito. Essi volevano dimostrare di avere un potere maggiore rispetto alle autorità e che essere membro di un’organizzazione paramilitare nazista fosse più sicuro che essere membro di un qualsiasi partito repubblicano, e per rafforzare quest’impressione, essi ammettevano pubblicamente i loro delitti politici. Anche se non l’avevano mai ammesso, è indubbio che vi sia una certa analogia tra questo tipo di terrore e il gangsterismo americano degli anni ‘30. La propaganda totalitaria, inoltre, insisteva molto sulla natura “ scientifica” delle sue affermazioni, e lo faceva attraverso delle tecniche che sono spesso state paragonate alle tecniche pubblicitarie. Un movimento totalitario utilizza la scienza come un qualsiasi fabbricante che tenta di provare con dati e cifre che il suo prodotto è quello migliore del mondo, cioè come un surrogato del potere monopolistico. Infatti, una volta giunti al potere, tutta questa ossessione per le prove “scientifiche” svanisce. I nazisti licenziarono gli studiosi disposti a servirli, e i bolscevichi utilizzarono la reputazione dei propri scienziati per scopi assolutamente non scientifici.

A differenza delle vecchie forme di propaganda politica, che si appellavano al passato, la propaganda totalitaria insiste sulla profezia, portando al massimo l’efficienza del metodo e l’assurdità del contenuto, perché dal punto di vista demagogico non c’è modo migliore per evitare la discussione che svincolare un argomento dal controllo del presente dicendo che rivelerà i suoi meriti nel futuro. Per molti secoli, tutta la storia europea aveva insegnato a giudicare ogni azione politica secondo gli interessi che ne erano alla base, a considerare il nucleo utilitaristico delle ideologie una cosa naturale. Per questo, il comportamento antiutilitaristico dei regimi totalitari, completamente indifferente verso gli interessi...


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