Il totalitarismo imperfetto corretto PDF

Title Il totalitarismo imperfetto corretto
Course Istituzioni di Economia Politica
Institution Università degli Studi di Parma
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Lo stato fascista Nella seconda metà degli anni ’20, quando in Germania il nazismo era ancora una forza marginale, in Italia lo Stato totalitario era una realtà già consolidata nelle sue strutture giuridiche e ben Cose fondamentali per riconoscibile nelle sue manifestazioni esteriori. Caratteristica essenziale del regime era la sovrapposizione di due strutture e di due gerarchie parallele: un regime dittatoriale o o

Quella dello Stato, che aveva conservato l’impalcatura esterna del vecchio Stato monarchico E quella del partito con le sue numerose ramificazioni.

Al di sopra di tutti si esercitava incontrastato il potere di Mussolini, che riuniva in sé la qualifica di capo del governo e quella di duce del fascismo.

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Leader carismatico; Riduzioni delle libertà di stampa, di pensiero e di associazione; Nuclei ideologici.

Stato e partito Contrariamente a quanto sarebbe accaduto in altri regimi totalitari, nel fascismo italiano l’apparato dello Stato ebbe fin dall’inizio, per esplicita scelta di Mussolini, una netta preponderanza sulla macchina del partito. A controllare l’ordine pubblico e a reprimere il dissenso provvedeva la polizia di Stato, mentre la Milizia era confinata a una funzione poco più che decorativa di corpo «ausiliario». Privato di ogni autonomia politica, il Partito fascista venne però continuamente dilatando le sue dimensioni e la sua presenza nella società civile. Dalla fine degli anni ’20 l’iscrizione al partito cessò di essere il segno dell’appartenenza a un’élite e divenne una pratica di massa (nel 1939 gli iscritti superavano i 2 milioni e mezzo), quasi una formalità burocratica, necessaria fra l’altro per ottenere un posto nell’amministrazione statale.

Gli organismi collaterali Una funzione importante nella fascistizzazione del paese fu svolta da alcuni organismi collaterali del partito, come l’Opera nazionale dopolavoro (che si occupava del tempo libero dei lavoratori organizzando gare sportive, gite e altre attività ricreative) e le numerose organizzazioni giovanili: i Fasci giovanili, i Gruppi universitari fascisti (Guf) soprattutto l’Opera nazionale Balilla (Onb). Quest’ultima, nata nel 1926, inquadrava tutti i ragazzi fra gli otto e i diciotto anni - divisi, secondo l’età, in «balilla» e «avanguardisti» - e forniva loro, oltre a un supplemento di educazione fisica e a qualche forma di istruzione «premilitare», anche un minimo di indottrinamento ideologico. Successivamente, per i bambini fra i sei e i dodici anni venne creata un’altra organizzazione, detta dei Figli della lupa. Attraverso queste e altre organizzazioni di massa (dai sindacati alla Milizia), il fascismo cercava di «occupare», insieme con lo Stato, anche la società, riplasmandola dalle fondamenta. In questo senso il regime fascista fu certamente totalitario, almeno nelle intenzioni. Mussolini teneva particolarmente nell’aumentare la popolazione, perciò agevolava i matrimoni e la nascita dei figli. Per fare questo istituì i primi nidi per i bambini così che le mamme potessero fare figli più frequentemente. Il duce crede in una gioventù forte, inoltre l’Italia aveva bisogno di ‘carne’ nel caso di una futura guerra.

Il ruolo della chiesa L’ostacolo maggiore era senza dubbio rappresentato dalla Chiesa. In un paese in cui oltre il 99% della popolazione si dichiarava di fede cattolica, in cui la pratica religiosa era diffusa in modo massiccio, non era facile governare contro la Chiesa o senza trovare con essa un qualche compromesso. Consapevole di ciò, Mussolini cercò un’intesa col Vaticano per avviare a definitiva composizione lo storico contrasto fra Stato e Chiesa che aveva segnato l’intera vita del Regno d’Italia. Questa intesa iniziò nell’estate del ’26 e finì nel febbraio del ’29 con stipula dei Patti lateranensi, che presero il nome dai palazzi del Laterano, luogo dove Mussolini si incontrava con il segretario di Stato vaticano. I Patti lateranensi si articolavano in tre parti distinte: ➢



un trattato internazionale, con cui la Santa Sede poneva ufficialmente fine alla «questione romana» riconoscendo lo Stato italiano e la sua capitale e vedendosi riconosciuta la sovranità sullo «Stato della Città del Vaticano» (uno Stato poco più che simbolico, comprendente la basilica di S. Pietro e i palazzi circostanti); una convenzione finanziaria, con cui l’Italia si impegnava a pagare al papa una forte indennità a titolo di risarcimento per la perdita dello Stato pontificio;



infine un concordato, che regolava i rapporti interni fra la Chiesa e il Regno d’Italia, intaccando sensibilmente il carattere laico dello Stato.

Il concordato stabiliva anche: ➢ ➢ ➢ ➢ ➢

che i sacerdoti fossero esonerati dal servizio militare, che i preti spretati fossero esclusi dagli uffici pubblici, che il matrimonio religioso avesse effetti civili, che l’insegnamento della dottrina cattolica fosse considerato «fondamento e coronamento» dell’istruzione pubblica, che le organizzazioni dipendenti dall’Azione cattolica potessero continuare a svolgere la propria attività, purché sotto il controllo delle gerarchie ecclesiastiche e al di fuori di ogni partito politico.

Per il regime fascista i Patti lateranensi rappresentarono un notevole successo propagandistico. Presentandosi come l’artefice della «conciliazione», Mussolini consolidò la sua area di consenso. Le prime elezioni plebiscitarie – tenute col sistema della lista unica e indette, non a caso, nel marzo 1929, a poche settimane dalla conciliazione – registrarono un afflusso alle urne senza precedenti (quasi il 90%) con un 98% di voti favorevoli. Un risultato da valutare con cautela (come tutti quelli dei plebisciti tenuti in regimi autoritari, dove l’elettore non ha una vera libertà di scelta e manca qualsiasi controllo sulla veridicità dei dati), ma comunque indicativo di un diffuso orientamento favorevole al regime. Se il fascismo trasse dai Patti lateranensi immediati vantaggi politici, fu però il Vaticano a cogliere i successi più significativi e duraturi. In cambio della rinuncia a qualcosa che aveva irrevocabilmente perduto da quasi sessant’anni (il potere temporale), la Chiesa acquistò una posizione di indubbio privilegio nei rapporti con lo Stato.

Il potere della monarchia

Elezioni Plebiscitaire La nuova legge elettorale prevedeva un Collegio unico nazionale chiamato a votare o a respingere una lista precostituita di 400 deputati, 200 candidati proposti da associazioni ed enti culturali ed assistenziali ed ulteriori candidati scelti dal Gran Consiglio stesso . Gli elettori potevano esprimersi con un "sì" o un "no" sul complesso della lista, esprimendo il proprio voto su schede recanti l'emblema del fascio littorio. Nel caso in cui la lista non fosse stata approvata dal corpo elettorale, era previsto che la consultazione si ripetesse con il concorso di liste concorrenti. La lista che avesse ottenuto il maggior numero dei voti, avrebbe avuto tutti i propri candidati eletti.

La Chiesa non costituì l’unico ostacolo per le aspirazioni totalitarie del fascismo. Un altro limite insuperabile stava all’interno, anzi al vertice delle istituzioni statali ed era rappresentato dalla monarchia. Il re restava pur sempre la più alta autorità dello Stato ed a lui spettavano il comando supremo delle forze armate, la scelta dei senatori e addirittura il diritto di nomina e revoca del capo del governo. Si trattava di poteri del tutto teorici, destinati a restare tali finché il regime fosse rimasto forte e compatto attorno al suo capo. Ma, in caso di crisi o di spaccatura interna, le carte migliori sarebbero fatalmente tornate in mano al re, punto di riferimento insostituibile per i militari e la borghesia conservatrice. Questa eventualità rappresentava per il fascismo un motivo di sotterranea debolezza.

Il regime e il paese Immagine e realtà Se osserviamo l’Italia del ventennio fascista quale ci appare attraverso l’abbondante materiale propagandistico prodotto durante il regime (cinegiornali d’attualità, foto ufficiali, stampa illustrata, ecc.), vediamo emergere con prepotente evidenza l’immagine di un paese largamente fascistizzato: ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢

I ritratti di Mussolini esposti nelle scuole e negli uffici o innalzati per le strade in giganteschi cartelli. Gli edifici pubblici e i monumenti, le copertine dei libri e le cartoline ornati dall’emblema del fascio littorio, insegna del potere dei magistrati di Roma antica, eletto a simbolo del regime. I muri istoriati da scritte guerriere, quelle di cui ancor oggi ci può capitare di scorgere le tracce scolorite. Le grandi folle mobilitate in occasione delle ricorrenze fasciste (come l’anniversario della marcia su Roma) o dei discorsi del duce trasmessi dalla radio. Gli scolari che sfilavano in formazione militare, vestiti in camicia nera e armati di fucili di legno. I loro padri, anch’essi in divisa fascista, che si riunivano nei giorni festivi agli ordini dei fasci locali per celebrare i riti del regime.

Ma il paese era davvero così?

Sviluppo e arretratezza Questi dati ci dicono in primo luogo che, anche durante il periodo fascista, l’Italia continuò a muoversi e a svilupparsi secondo le linee di tendenza comuni a tutti i paesi dell’Europa occidentale: ❖ Aumenta la popolazione, ❖ Si accentuò l’urbanizzazione e la percentuale dei residenti in comuni, ❖ Calano gli addetti al lavoro contadino e aumentano gli occupati nell’industria e nel terziario. Nonostante questi segni di sviluppo, alla vigilia della seconda guerra mondiale l’Italia era ancora un paese fortemente arretrato e il suo distacco dalle grandi potenze europee si era accentuato. Gli stipendi erano più bassi rispetto a quelli delle altre potenze europee. Malgrado spendesse più della metà del suo reddito in consumi alimentari, l’italiano medio si nutriva essenzialmente di farinacei, mangiava carne e beveva latte in quantità tre volte inferiore a quella di un inglese o di un americano, considerava generi di lusso il caffè, il tè e lo zucchero. Le automobili, i telefoni e le radio erano meno diffusi rispetto ad altri paesi.

Tradizione e modernità L’arretratezza economica e civile della società italiana fu per certi aspetti funzionale al regime e all’ideologia fascista, tradizionaliste. Il fascismo, come il nazismo, predicò il «ritorno alla campagna», lanciò a più riprese la parola d’ordine della ruralizzazione e tentò di scoraggiare, senza peraltro riuscirvi, l’afflusso dei lavoratori verso i centri urbani. Il fascismo inoltre, d’accordo in questo con la Chiesa, difese ed esaltò la funzione del matrimonio e della famiglia. il fascismo cercò di incoraggiare con ogni mezzo l’incremento della popolazione: furono aumentati gli assegni familiari dei lavoratori, vennero favorite le assunzioni dei padri di famiglia, furono istituiti premi per le coppie più prolifiche, venne addirittura imposta una tassa sui celibi. In coerenza con questa linea, il regime ostacolò il lavoro delle donne (anche in questo caso con scarso successo) e, più in generale, si oppose al processo di emancipazione femminile. In realtà anche le donne ebbero, durante il fascismo, le loro strutture organizzative tra cui quelle dei Fasci femminili e delle massaie rurali, ma si trattava di organismi poco vitali, la cui funzione principale stava nel valorizzare le virtù domestiche della donna. Il fascismo sotto un certo punto di vista era anche proiettato nel futuro verso la creazione dell’uomo nuovo, verso un sistema totalitario moderno, in cui l’intera popolazione fosse inquadrata nelle strutture del regime e pronta combattere per la grandezza nazionale.

I limiti della fascistizzazione Non era facile far giungere il messaggio fascista nei piccoli paesi sperduti dove non arrivavano le strade carrozzabili, non c’erano scuole e non si sapeva cosa fossero la radio e il cinema. Ma era soprattutto la scarsezza delle risorse a disposizione della collettività che impediva al fascismo di praticare una politica economica e salariale tale da permettergli di far breccia fra le classi lavoratrici.

Il consenso dei ceti medi

Carta del lavoro Documento varato con grande solennità nel 1927, in cui si parlava fra l’altro di «uguaglianza giuridica» fra imprenditori e prestatori d’opera e di «solidarietà fra i vari settori della produzione»

I maggiori successi, in termini di partecipazione e di consenso, il regime li ottenne non a caso presso la media e piccola borghesia. I ceti medi, infatti, non solo furono complessivamente favoriti dalle scelte economiche del regime e si videro aprire nuovi canali di ascesa sociale dalla moltiplicazione degli apparati burocratici (nello Stato, nel partito, negli enti di nuova istituzione), ma erano anche i più sensibili ai valori esaltati dal fascismo (la nazione, la gerarchia, l’ordine sociale), i più disposti a recepirne i messaggi e a farne proprie le parole d’ordine. Per dare una risposta sintetica agli interrogativi sul reale grado di fascistizzazione del paese, si può quindi concludere che questo fenomeno fu ampio ma riguardò essenzialmente gli strati intermedi della società.

Cultura e comunicazione di massa Il fascismo dedicò un’attenzione particolare alla scuola poiché era consapevole di quanto le motivazioni ideologiche e culturali fossero importanti ai fini del consenso. Alcune parole straniere venivano italianizzate e anche i nomi stranieri diventano italiani. Una volta consolidatosi, il regime si preoccupò di fascistizzare l’istruzione sia attraverso una più stretta sorveglianza sugli insegnanti, sia attraverso il controllo dei libri scolastici e l’imposizione dei testi unici (1930) per le elementari. Il corpo docente nel complesso si adattò ma in realtà molti insegnanti continuano ad eseguire il loro lavoro come lo facevano in precedenza, perciò il fascismo divenne un’adesione superficiale. Rispetto alla scuola elementare e media, l’università godette di un’autonomia molto maggiore. Ma non la usò per contestare le scelte culturali del fascismo. Quando nel 1931 venne imposto ai docenti di giurare fedeltà al regime, alcuni di questi, in netta minoranza, soprattutto prossimi alla pensione abbandonarono la cattedra. Vi furono insegnanti non fascisti, o addirittura antifascisti, che si piegarono all’imposizione solo per poter continuare la loro attività.

Riforma Gentile Una riforma, ispirata ai princìpi della pedagogia idealistica, che cercava di accentuare la severità degli studi e sanciva il primato delle discipline umanistiche (considerate come il principale strumento di educazione delle élite dirigenti) su quelle tecniche, relegate a una funzione nettamente subalterna.

Gli intellettuali In generale, gli ambienti dell’alta cultura si allinearono su una posizione di sostanziale adesione al regime. Alcuni fra i nomi più illustri della cultura italiana (scrittori come Luigi Pirandello, scienziati come Guglielmo Marconi ecc.) fecero esplicita professione di fede fascista. Quasi tutti gli intellettuali accettarono di inserirsi nelle istituzioni culturali pubbliche, godendo delle gratificazioni materiali e dei riconoscimenti di cui il fascismo fu prodigo nei loro confronti.

La stampa Ben più diretto e capillare fu il controllo esercitato dal regime nel campo della cultura e dei mezzi di comunicazione di massa. Tutto il settore della stampa politica – già fascistizzata fra il ’22 e il ’26 – fu sottoposto a un controllo sempre più stretto e soffocante da parte del potere centrale, che non si limitava alla semplice censura, ma interveniva con precise direttive sul merito degli articoli. Affidata istituzionalmente a un apposito ufficio dipendente dalla presidenza del Consiglio – poi trasformato in sottosegretariato e infine assorbito dal nuovo ministero per la Cultura popolare (Minculpop), creato nel 1937 a imitazione di quello nazista per la propaganda – la sorveglianza sulla stampa era in realtà esercitata personalmente da Mussolini: il quale, non dimentico del suo passato di giornalista, dedicava una parte notevole del suo tempo alla lettura dei quotidiani, intervenendo spesso anche su questioni di secondaria importanza.

La radio Al controllo sulla carta stampata il regime univa quello sulle trasmissioni radiofoniche, affidate, dal 1927, a un ente di Stato denominato Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) (progenitore dell’attuale Rai). Attraverso il nuovo mezzo giungevano alle famiglie della piccola e media borghesia non solo i messaggi propagandistici, ma anche le canzonette, i servizi sportivi, gli sceneggiati radiofonici, messaggi sulla vita cattolica, le trasmissioni di varietà: tutti gli ingredienti essenziali di una nuova cultura di massa destinata a svilupparsi su più larga scala nel secondo dopoguerra. La radio viene vista come strumento educativo.

Il cinema

Il percorso

Dopo il 1935 essa si affermò come essenziale canale di propaganda, grazie anche alla decisione del governo di installare apparecchi nelle scuole, negli uffici pubblici, nelle sedi delle organizzazioni di partito. Ma solo negli anni ’30 entrò stabilmente nelle case della classe media, influenzandone non poco i gusti e le abitudini.

Come la radio, anche il cinema fu oggetto privilegiato delle attenzioni del regime e ne ricevette generose sovvenzioni, che avevano lo scopo di favorire la produzione nazionale e di limitare la massiccia penetrazione dei film statunitensi. Bastavano i cinegiornali d’attualità, prodotti da un apposito ente statale – l’Istituto Luce (1925) – e proiettati obbligatoriamente nelle sale cinematografiche all’inizio di ogni spettacolo. I cinegiornali furono uno dei più importanti strumenti di propaganda di massa di cui disponesse il fascismo: sia perché

raggiungevano un pubblico valutabile in parecchi milioni di persone, sia perché fornivano delle immagini capaci di attirare l’attenzione popolare e scelte accuratamente per meglio illustrare i trionfi del fascismo e del suo capo.

Nazismo

Fascismo

Comunismo

1933-1945, è durato circa 12 anni Svastica

1922-1943, è durato circa 20 anni Fascio

Nasce nel 1848. Dura 150 anni Falce e martello

Germania

Italia

obiettivo

Rendere potente la Germania e eliminare gli ebrei.

Creare un’Italia forte, potente e unita

Attualità

Ci sono pochissimi nazisti in Germania ed essere nazista comprende un cattivo giudizio da parte della società. La vera ideologia nazista non esiste più.

L’Italia è ancora piena di fascisti anche se il fascismo è morto. L’ideologia è ancora presente nei ricordi delle vecchie generazioni.

Russia ma è esistito in tutti i paesi L’obbiettivo era quello di dare più diritti ai lavoratori ed eliminare il capitalismo. Essere comunista significava credere in un mondo migliore Ancora oggi esistono i comunisti e i partiti comunisti. Essere comunista non viene visto male dalla società odierna, o per lo meno non ha lo stesso effetto del nazismo.

Anno di nascita e durata Simbolo Dove è nato e si è diffuso...


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