Heinrich von Kleist - Racconti PDF

Title Heinrich von Kleist - Racconti
Author Giuseppe Libasci
Course Letteratura tedesca i
Institution Università degli Studi di Palermo
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Summary

Esaustiva e completa sintesi delle trame dei racconti di Kleist.
Il presente lavoro è realizzato a partire dalla consultazione del manuale PROFILO STORICO DELLA LETTERATURA TEDESCA (Reininger), appunti delle lezioni e ovviamente approfondimenti, ricerche e letture personali....


Description

I RACCONTI – KLEIST (trame) Michael Kolhaas – Volume primo (1810) Il commerciante di cavalli brandeburghese Michael Kolhaas recandosi alla fiera di Lipsia per vendere alcuni esemplari pregiati ha la sgradita sorpresa di trovarsi la strada sbarrata. Il nuovo padrone delle terre sassoni oltre l'Elba, lo junker Wenzel von Tronka, ha deciso di imporre un balzello per il transito, e con la scusa della mancanza di un improbabile lasciapassare gli trattiene due morelli come pegno. Conclusi i suoi affari e avuto conferma dell'inesistenza di quel permesso, al suo ritorno il commerciante ritrova i suoi cavalli in condizioni pietose, e alla sua richiesta di spiegazioni viene trattato in modo arrogante, decidendo quindi di non rientrarne in possesso e di chiedere giustizia per il sopruso subito. Ritrovato il servitore fidato che aveva lasciato con i cavalli trova per sua voce conferma di quanto sospettava, ovvero che l'intenzione era stata dall'inizio quella di sequestrarglieli per farne uso nei campi per l'imminente raccolto. I suoi sforzi di trovare giustizia per vie legali si infrangono però contro un muro di connivenze e coperture messe in atto dai parenti dello junker, occupanti alcune delle massime cariche pubbliche. Anche il tentativo di sua moglie di portare una supplica direttamente nelle mani del sovrano tedesco finisce nel peggiore dei modi, la donna per un equivoco viene respinta malamente e ne rimane uccisa. A questo punto nulla può più fermare il desiderio di giustizia di Kohlhaas. Inviata un'ingiunzione perentoria allo junker, allo scadere dei termini assale il castello uccidendo chiunque gli si oppone, non riuscendo però a mettere le mani sul von Tronka, che riesce a sfuggire precipitosamente alla cattura. Nel suo inseguimento Kohlhaas comincia a raccogliere tra le sue fila sbandati e persone in cerca di fortuna, formando un drappello in armi con cui semina il terrore a Wittenberg, dove lo junker si è rifugiato, per poi dirigersi dopo alcuni scontri vittoriosi verso Lipsia, credendo di trovarvi l'obiettivo della sua vendetta. Un messaggio di Lutero che condanna aspramente i suoi atti spinge il ribelle a un ripensamento, ed incontrato in segreto il religioso a cui lui e la moglie erano devoti chiede che il suo caso venga giudicato finalmente in modo obiettivo, ottenendo un salvacondotto in questo senso. Avuto conferma dell'accoglienza del suo ricorso e dell'intercessione di Lutero presso le autorità sassoni, Kohlhaas congeda il drappello di rivoltosi al suo seguito e si reca a Dresda per seguire il corso del procedimento giudiziario, e qui viene messo sotto scorta dalle autorità. Dopo varie ricerche i cavalli vengono rintracciati, ma ne deriva un incidente che mette in cattiva luce la causa del brandeburghese, e a peggiorare le cose un suo luogotenente, Johann Nagelschmidt, riprende le scorribande per propri fini, cercando di usare il nome di Kohlhaas per garantirsi l'appoggio popolare. La permanenza in città diventa di fatto una prigionia, e sentendosi tradito il commerciante decide di tentare la fuga accogliendo un'offerta d'aiuto di Nagelschmidt, che però si rivela una trappola delle autorità, e per lui è inevitabile la condanna alla pena capitale. Il destino ha però altre sorprese in serbo, venuto finalmente a conoscenza della vicenda l'elettore del Brandeburgo ne reclama il giudizio presso il tribunale imperiale, e nel trasferimento verso Berlino Kohlhaas si ritrova a pernottare vicino all'accampamento del principe sassone impegnato in una battuta di caccia. La curiosità spinge il principe ad incontrare quell'uomo fonte di tante preoccupazioni, mantenendo celata la propria identità. Ma ascoltando la singolare storia di come Kohlhaas fosse venuto in possesso di un foglietto sigillato da una zingara in una fiera, evento che sembra coinvolgerlo marginalmente, l'importante personaggio ha un collasso quasi fatale. Appena ripresosi, il principe sassone cerca in ogni modo di appropriarsi di quel documento, e per guadagnare tempo modifica radicalmente la propria linea d'accusa nel processo intentato al brandeburghese, chiedendone la sospensione senza successo. Al proprio ciambellano, sconcertato da questo voltafaccia, rivela infine la storia dietro al foglietto ed il suo contenuto: la predizione sulla caduta della propria casata, avvalorata da un'altra profezia avveratasi in quell'occasione. Il servitore mette allora in atto un espediente per sottrarre il documento al recluso, inviando una falsa zingara che si rivela però la vera autrice delle profezie, la quale mette in guardia Kohlhaas sulle mire dell'elettore sassone, consigliandogli dapprima di usare quelle informazioni per salvarsi, ma in seguito ai suoi dubbi lo lascia libero di decidere secondo coscienza. Alla conclusione del processo la condanna a morte

è confermata, ma il desiderio di giustizia dell'uomo è soddisfatto, poiché anche il suo avversario è condannato per il trattamento a lui inflitto, e può quindi avviarsi senza rimpianti al patibolo. Qui Michael Kohlhaas può togliersi anche l'ultima soddisfazione: venuto a sapere della presenza tra il pubblico del principe sassone e della sua intenzione di sottrargli il foglietto dopo la sua morte, lo ingoia davanti ai suoi occhi, distruggendolo. Volume secondo

Il fidanzamento a Santo Domingo Il racconto è ambientato nella colonia francese di Santo Domingo, attuale Haiti, durante la lotta antifrancese condotta dalla popolazione nera guidata dal generale Dessalines. Congo Hoango, un ex schiavo nero, vive nell'abitazione del suo ex padrone francese, che ha assassinato, in compagnia di due donne: la nera Babekan e la figlia quindicenne di quest'ultima, la mulatta Toni. Congo Hoango è attivo nella rivolta antifrancese e determinato a uccidere tutti i bianchi; le due donne sono state istruite pertanto ad attirare i bianchi affinché Congo Hoango e la sua banda di neri possano poi sorprenderli e ucciderli. Durante una assenza di Congo Hoango giunge dalle due donne Gustav, un giovane ufficiale svizzero il quale sta conducendo i suoi familiari, rimasti nascosti nel bosco, a Port-au-Prince. Toni si innamora di lui e tenta di salvarlo con l'astuzia dalle insidie dei neri. Gustav però non capisce la strategia della ragazza e, credendo che lei lo abbia tradito, la uccide; quando finalmente apprende la verità, Gustav rimedia all'errore uccidendosi.

La mendicante di Locarno Durante l'assenza del marito, la moglie di un marchese accoglie, in un grande castello nei pressi di Locarno, una mendicante ammalata; impietosita le permette di stendersi su della paglia ammucchiata in un angolo di una spaziosa stanza. Rientrato a casa, il marchese scaccia la donna dal luogo in cui giace e le ordina di mettersi dietro a una stufa. Nello spostarsi, la mendicante cade, si ferisce gravemente e muore. Molto tempo dopo il marchese si trova nella necessità di vendere il castello. Un potenziale acquirente, un cavaliere fiorentino, viene ospitato nel castello e trascorre la notte proprio nella stanza in cui era morta la mendicante; durante la notte il cavaliere sente rumori di passi e spaventato rifiuta l'acquisto. Il marchese e sua moglie decidono allora di verificare di persona il racconto del cavaliere; anch'essi però a mezzanotte odono rumori di passi. Mentre il marchese, afferrata una spada, mena fendenti in aria per combattere l'eventuale fantasma, la moglie spaventata decide di recarsi immediatamente in città. Prima che la carrozza varchi il portone, però, la marchesa vede il castello in fiamme. I soccorritori trovano il marchese morto. Ancora oggi le bianche ossa del marchese giacciono nel punto della stanza dal quale egli aveva fatto alzare la mendicante.

Il trovatello Antonio Piachi, un facoltoso mediatore romano di terreni, si sta recando a Ragusa in compagnia di Paolo, il figlio undicenne. In prossimità delle mura cittadine, Plachi apprende che a Ragusa è scoppiata una pericolosa epidemia e, preoccupato soprattutto per il figlio, decide di ritornare immediatamente in patria. Plachi è avvicinato da un fanciullo, Nicolò, il quale lo prega di portarlo con sé perché, pur essendo ammalato, non vuole essere ricoverato in ospedale. Sebbene timoroso, Plachi si impietosisce e accoglie il fanciullo. Durante una sosta in una locanda, i tre sono arrestati dalla polizia e isolati in quarantena nell'ospedale di Ragusa dove il giovane Paolo si contagia e muore mentre Nicolò guarisce. Terminata la quarantena, al momento di ritornare a casa, saputo che Nicolò è un povero trovatello, Antonio Piachi impietosito porta con sé a Roma il povero orfano il quale è accolto come figlio anche da Elvira, la sua giovane seconda moglie originaria di Genova. A Roma Nicolò riceve una buona educazione, viene adottato legalmente e inserito nell'impresa del padre adottivo. I genitori adottivi sono contenti del giovane se si eccettua una certa tendenza al bigottismo (come erede di un ricco patrimonio, il giovane ha attirato su di sé l'interesse dei frati Carmelitani) e un precoce interesse per il sesso femminile. Di nascosto dei genitori, a soli 15 anni Nicolò inizia una relazione con Saveria Tartini, la «concubina del vescovo». All'età di 20 anni comunque Nicolò sposa Costanza Parquet, una

virtuosa nipote di Elvira. Antonio Piachi, ormai sessantenne, decide allora di andare in pensione, e pertanto cede a Nicolò la maggior parte del proprio patrimonio. In gioventù Elvira ha vissuto una tragica esperienza: era stata salvata dalle fiamme da un giovane, di nome Colino, il quale era tuttavia morto a causa del suo intervento. Elvira non ha superato completamente quel trauma: da allora è sempre triste, prega ogni giorno davanti a un ritratto del suo salvatore e il marito rispetta con discrezione il suo dolore. Al contrario, anche dopo il matrimonio Nicolò ha mantenuto la relazione clandestina con Saveria Tartini. Durante il carnevale partecipa a una festa con l'amante travestendosi da nobile genovese. Ritornato di nascosto a casa, si imbatte in Elvira la quale, allorché lo vede, sviene. Poco dopo Nicolò resta vedovo: Costanza muore dando alla luce un bambino che non sopravvive. Antonio Piachi intercetta un biglietto di Saveria Tartini col quale la donna fissa un appuntamento a Nicolò; poi, davanti al feretro di Costanza, Antonio svergogna il figlio adottivo. Questi, credendo l'incidente sia stato causato da Elvira, comincia a odiarla e progetta di vendicarsi; contemporaneamente Nicolò si rende conto di quanto sia ancora bella Elvira e comincia a elaborare torbidi propositi su di lei. Comunque, ipocritamente Nicolò promette ad Antonio di troncare ogni rapporto con Saveria Tartini. Grazie alle indagini di Saveria Tartini e dei Carmelitani, Antonio conosce i segreti di Elvira; scopre anche di essere molto somigliante a Colino. Durante un'assenza del padre adottivo, con indosso abiti simili a quelli portati da Colino nel ritratto, Nicolò entra in camera di Elvira. La madre adottiva perde i sensi; Nicolò sta per approfittare di lei, quando viene sorpreso da Antonio, ritornato inaspettatamente a casa proprio in quel momento. Antonio intima a Nicolò di andar via da casa; ma questi, «in tutto degno di Tartufo», ribatte al vecchio che non si sarebbe mosso, essendo ormai il legittimo proprietario dei beni dei Piachi. Grazie dell'appoggio dei Carmelitani e del vescovo, Nicolò riesce a veder riconosciute in tribunale le sue pretese. Conosciuta la sentenza avversa poco dopo la morte di Elvira, in un impeto d'ira l'indignato Antonio uccide Nicolò. Condannato a morte, Antonio rifiuta i conforti religiosi affermando di voler andare all'inferno, dove sicuramente avrebbe ritrovato Nicolò, e riprendere nei suoi confronti la vendetta che in vita aveva potuto soddisfare solo in parte.

Santa Cecilia o la potenza della musica La vicenda si svolge durante il beeldenstorm, la distruzione dei luoghi sacri cattolici attuata dai fondamentalisti calvinisti nei Paesi Bassi fra il 10 agosto 1566 e i primi di ottobre dello stesso anno. Quattro fratelli, tre studenti a Wittenberg e un giovane pastore protestante ad Anversa, giungono ad Aquisgrana col desiderio di scatenare un'operazione iconoclasta nel convento di Santa Cecilia. Le monache hanno sentore della loro intenzione e chiedono invano aiuto alle autorità imperiali. Il giorno in cui si celebra il Corpus Domini la chiesa di Santa Cecilia è piena di fedeli; è tuttavia assente, perché costretta a letto da una gravissima malattia, Suor Antonia, la suora che ha il compito di dirigere l'orchestra che accompagna le funzioni sacre. Gli iconoclasti si sono disposti fra i fedeli, pronti ad agire, quando a un tratto compare Suor Antonia, apparentemente guarita: la suora dà inizio all'accompagnamento musicale. L'esecuzione è sublime, soprattutto il Gloria in excelsis: tutti i presenti, compresi coloro che avevano programmato la distruzione del convento, ne sono rapiti. Sei anni dopo giunge ad Aquisgrana la madre dei fratelli iconoclasti e trova i propri figli nel manicomio locale dove da sei anni non fanno altro che cantare il Gloria davanti a un crocifisso. La donna si reca infine nel convento di Santa Cecilia e scopre che sei anni prima Suor Antonia non si era mai mossa dal letto, anzi era morta quella notte stessa; non si sa chi, nella funzione di sei anni prima, abbia preso il suo posto. La madre si converte al cattolicesimo; lascia una somma di danaro a beneficio dei suoi figli, i quali moriranno infine serenamente in tarda età dopo aver intonato ancora una volta, secondo la loro abitudine, il Gloria in excelsis.

Il duello

La vicenda si svolge in Germania, nel Sacro Romano Impero, «verso la fine del XIV secolo»[1]. Una controversia fra il Duca Guglielmo di Breysach e il fratellastro Conte Iacopo Barbarossa era nata a causa del matrimonio del duca con una dama di rango inferiore al suo, la contessa Caterina di Heersbruck: tale matrimonio era da considerare morganatico, Filippo, il figlio nato dal Duca Guglielmo e dalla Contessa Caterina, era da considerare illegittimo e quindi, a termini di legge, alla morte del Duca la corona sarebbe dovuta andare al Conte. Il Duca tuttavia si era recato a Worms dall'Imperatore e aveva ottenuto dal sovrano la legittimazione di Filippo. Mentre sta ritornando a casa, lieto per aver risolto il problema dinastico, il Duca viene colpito da una freccia scoccata da un sicario. Soccorso dal suo camerlengo Federico di Trota, prima di morire il Duca ha la forza di leggere ai vassalli l'atto di legittimazione imperiale del giovane Filippo come erede al trono e di nominare la madre di lui come tutrice e reggente. Federico di Trota intraprende alcune indagini per scoprire l'assassino del Duca. Scopre che la freccia era stata acquistata tempo prima dal conte Iacopo, e che per di più quest'ultimo la notte del delitto era stato assente dal suo castello. Il Conte si professa innocente; per fugare i sospetti, si reca dall'Imperatore, il quale in quel momento si trovava a Basilea, chiedendogli di essere processato. Viene costituito un tribunale e qui il conte dichiara il proprio alibi: la notte del delitto si era recato in segretezza da donna Littegarda, giovane e bella vedova del castellano di Auerstein, la quale gli si era concessa per amore. Come prova, il conte mostra l'anello del defunto castellano di Auerstein regalatogli quella notte dalla vedova. Littegarda è stata giudicata finora «la più irreprensibile e senza macchia fra le dame del ducato»: dopo la morte del marito fa vita ritirata, rifiuta di risposarsi per amore dei suoi fratelli, che erediterebbero così il suo patrimonio, e si sarebbe già ritirata in un convento se non dovesse assistere il vecchio padre. La notizia della deposizione del conte ha effetti devastanti su di lei: il padre di Littegarda muore per un colpo apoplettico e i suoi fratelli la scacciano immediatamente da casa. Disperata, Littegarda si rivolge a Federico di Trota chiedendogli di procurarle un avvocato per aiutarla a difendersi. Federico, innamorato di Littegarda, si reca invece a Basilea, schiaffeggia il conte, accusandolo di essere un vile mentitore, e lo sfida così a un duello di Dio. Nel duello, che avviene davanti all'Imperatore. Federico ferisce lievemente il Conte ma viene ferito a sua volta gravemente dal Conte. Secondo le norme vigenti, il Conte ha dimostrato la verità delle sue affermazioni mentre, «per aver invocato in modo sacrilego l'arbitrato divino» Federico e Littegarda sono condannati a subire la morte infame del rogo sulla stessa piazza dove è avvenuta la tenzone. Le gravi ferite del Camerlengo guariscono però rapidamente, mentre la scalfittura del Conte non guarisce, ed esita anzi in gangrena per cui al conte sarà amputata dapprima la mano e successivamente il braccio. Questi differenti e imprevisti esiti fanno nascere nell'Imperatore e in alcuni giudici il sospetto che il giudizio di Dio possa non essere stato chiaro: l'Imperatore procrastina l'esecuzione e il priore del convento degli Agostiniani esegue un supplemento di indagini sull'alibi del Conte. Si scopre infine che la notte del delitto il conte non aveva amoreggiato con Littegarda, ma con la cameriera della dama: la cameriera era innamorata del conte, aveva finto di essere la sua padrone, e dopo esser giaciuta col Conte gli aveva regalato l'anello sottratto in precedenza a Littegarda. La deposizione giudiziaria scritta della ragazza giunge a Basilea il giorno fissato per l'esecuzione di Federico e di Littegarda. Si chiede al conte conferma dell'accaduto. Costui però sta morendo e in punto di morte conferma pubblicamente non solo l'innocenza di Littegarda, ma di essere stato anche il mandante dell'uccisione del Duca, attuata da un sicario prezzolato. L'imperatore fa liberare Littegarda e Federico, bruciare sul rogo il corpo senza vita del conte, scrivere negli statuti che regolavano il giudizio di Dio mediante duello, che attraverso il duello la colpa è portata alla luce solo «se questa è la volontà di Dio»....


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