Il capitalismo della sorveglianza Riassunto PDF

Title Il capitalismo della sorveglianza Riassunto
Course Storia delle Dottrine Politiche 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Summary

Il capitalismo della sorveglianzaIl capitalismo della sorveglianza si appropria dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti. Alcuni di questi dati vengono usati per migliorare prodotti o servizi, ma il resto diviene un surplus comportamentale privato, s...


Description

Il capitalismo della sorveglianza Il capitalismo della sorveglianza si appropria dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti. Alcuni di questi dati vengono usati per migliorare prodotti o servizi, ma il resto diviene un surplus comportamentale privato, sottoposto a un processo di lavorazione avanzato noto come “intelligenza artificiale” per essere trasformato in prodotti predittivi in grado di vaticinare cosa faremo immediatamente, tra poco e tra molto tempo. Infine, questi prodotti predittivi vengono scambiati in un nuovo tipo di mercato per le previsioni comportamentali, che io chiamo mercato dei comportamenti futuri. Grazie a tale commercio i capitalisti della sorveglianza si sono arricchiti straordinariamente, dato che sono molte le aziende bisognose di conoscere i nostri comportamenti futuri. I capitalisti della sorveglianza hanno scoperto che i dati più predittivi si ottengono intervenendo attivamente sui comportamenti delle persone, consigliandole o persuadendole ad assumere quelli che generano maggiore profitto. i processi automatizzati non solo conoscono i nostri comportamenti, ma li formano. In questa fase dell’evoluzione del capitalismo della sorveglianza, i mezzi di produzione sono subordinati a “mezzi di modifica del comportamento”. In tal modo, il capitalismo della sorveglianza dà vita a nuovi tipi di potere che rientrano nella categoria dell’ideologia strumentalizzante. L’ideologia strumentalizzante conosce e indirizza i comportamenti umani verso nuovi fini. Google ha inventato e perfezionato il capitalismo della sorveglianza. Il capitalismo della sorveglianza ben presto è arrivato a Facebook e a Microsoft. I prodotti e i servizi del capitalismo della sorveglianza non sono oggetto di uno scambio di beni. Sono “esche” che attirano gli utenti in operazioni nelle quali le loro esperienze personali vengono estratte e impacchettate per gli scopi di altre persone. Non siamo i “clienti” del capitalismo della sorveglianza. Nella vita quotidiana stiamo assistendo a una versione aggiornata del patto di Faust: ci è praticamente impossibile sottrarci a tale legame, ma allo stesso tempo il prezzo che dobbiamo pagare sta distruggendo il nostro modo di vivere. Internet è diventato essenziale per avere una vita sociale, ma internet è anche saturo di pubblicità, e la pubblicità è subordinata al capitalismo della sorveglianza. La nostra dipendenza è al cuore del progetto di sorveglianza commerciale. Il capitalismo della sorveglianza non è una tecnologia; è una logica che permea la tecnologia e la trasforma in azione. Il capitalismo della sorveglianza è una forma di mercato inimmaginabile fuori dal contesto digitale, ma non coincide col “digitale”. Le tecnologie sono sempre dei mezzi al servizio dell’economia, e non dei fini. I fini dell’economia, osserva Weber, sono sempre intrinsechi allo sviluppo e alla diffusione della tecnologia. “L’azione economica” determina gli obiettivi, mentre la

tecnologia offre i “mezzi appropriati”. Il 9 agosto del 2011, a distanza di migliaia di chilometri l’uno dall’altro, accaddero tre eventi. Il primo: Apple, che prometteva nuove soluzioni ai vecchi problemi economici e sociali, riuscì a diventare l’azienda col maggiore capitale al mondo. Il secondo: una fatale sparatoria con la polizia diede il via a una serie di rivolte per le strade di Londra, trascinando il Paese in una spirale di violente proteste. Il terzo: i cittadini spagnoli proclamarono il loro diritto a un futuro più umano esigendo da Google “il diritto a essere dimenticati”. Apple fece irruzione nel mondo della musica nel bel mezzo di un duello tra domanda e offerta. Le vendite di iPod/iTunes/iPhone fecero decollare i profitti dell’azienda. Cento anni prima dell’iPod, la produzione di massa aveva segnato l’inizio di una nuova era, Henry Ford ridusse del 60 per cento il prezzo di una singola automobile grazie a una logica industriale rivoluzionaria in grado di combinare alta produzione e basso prezzo per unità. La chiamava “produzione di massa”. Il contesto della produzione si diffuse in ogni branca dell’economia e in tutto il mondo, e il dominio del nuovo capitalismo della produzione di massa divenne la base per la creazione di ricchezza nel Ventesimo secolo. Apple è stata tra le prime aziende a raggiungere il successo commerciale intercettando la domanda di una forma di consumo individuale proveniente da una nuova società di individui. Il capitalismo si evolve in risposta ai bisogni delle persone in un tempo e in un luogo determinati. Circa due secoli fa, abbiamo intrapreso la strada della modernità, nella quale la vita non viene più tramandata di generazione in generazione secondo le tradizioni del villaggio o del clan. La “prima modernità” è coincisa con la grande diffusione dell’“individualizzazione” della vita. Siamo figli della prima modernità, ma con il nostro nuovo modo di pensare abbiamo fatto nascere una “seconda modernità”.13 A partire dalla migrazione moderna verso nuovi stili di vita, siamo arrivati a costruire una nuova società di persone convinte dalla nascita di meritare una psicologia individuale: un’arma a doppio taglio fatta di libertà e di costrizioni. Sentiamo di avere il diritto e il dovere di scegliere la nostra vita. Non ci accontentiamo più di essere parte di una massa anonima, ed esigiamo il diritto di autodeterminarci. alla seconda metà del Ventesimo secolo, la storia dell’individualizzazione ha compiuto una nuova svolta verso una seconda modernità. La modernità industriale e le pratiche del capitalismo di massa che la animano hanno prodotto più ricchezza di quanto mai immaginato prima. Centinaia di milioni di persone hanno potuto accedere a esperienze un tempo riservate a una minuscola élite. A metà degli anni Settanta del Novecento, l’ordine economico del dopoguerra, soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, si trovò assediato da stagnazione, inflazione e rallentamento della crescita. L’ordinamento politico inoltre subì le pressioni degli individui appartenenti alla seconda modernità che si mobilitavano

per chiedere la parità dei diritti, e la possibilità di essere ascoltati e partecipare. La dottrina del libero mercato era nata in Europa come una difesa contro la minaccia delle ideologie collettiviste totalitarie e comuniste. Le vecchie economie collettiviste sarebbero state sostituite dalla supervisione e dal controllo dello Stato, dai sindacati e dai contratti collettivi, dai princìpi della politica democratica. Negli Usa ebbero così inizio la disgregazione e il ridimensionamento della pubblica impresa. L’azienda pubblica come istituzione sociale venne considerata un errore. Con l’equivalente finanziario del metodo del bastone e della carota, i dirigenti vennero persuasi a smembrare e ridimensionare le proprie aziende, e la logica del capitalismo passò dall’ottenimento di un profitto attraverso la produzione di beni e servizi a forme sempre più astute di speculazione finanziaria. Il 9 agosto del 2011, 16.000 poliziotti si riversarono nelle strade di Londra, intenzionati a sedare “la più lunga ed estesa interruzione dell’ordine pubblico nella storia della città dalle sommosse di Gordon del 1780”.37 La rivolta era cominciata quattro notti prima, quando una veglia pacifica per un giovane ucciso dalla polizia all’improvviso era degenerata nella violenza. Nei giorni seguenti i rivoltosi aumentarono, e gli incendi e i saccheggi si diffusero in ventidue dei trentadue borough di Londra, oltre che in altre grandi città britanniche.38 Le rivolte coinvolsero migliaia di persone e il risultato furono 50 milioni di dollari di danni e 3000 arresti. Nelle strade di Londra si poteva osservare il tetro lascito di tre decenni di crescita economica basata sull’esclusione. ? Secondo molti analisti, la tragedia delle rivolte in Gran Bretagna era conseguenza della trasformazione della società operata dal neoliberismo. Stati Uniti, Regno Unito ed Europa sono entrati nel secondo decennio del Ventunesimo secolo confrontandosi con le disparità economiche e sociali più estreme dai tempi dell’Età dell’oro, paragonabili a quelle di alcuni dei Paesi più poveri del mondo. Nel 2011, nelle interviste a quei 270 rivoltosi si potevano osservare anche le cicatrici di tale collisione. Tutti gli interpellati hanno parlato di un profondo senso d’ingiustizia. Per alcuni era di natura economica: la mancanza di un lavoro, di denaro, di opportunità. Per altri era una questione sociale: non solo l’assenza di cose materiali, ma anche la percezione di una disparità di trattamento rispetto agli altri”. L’individualizzazione ci ha spinti a cercare le risorse necessarie a costruire una vita degna, ma siamo costantemente costretti a combattere con un’economia e una politica che ci guardano dall’alto verso il basso, e ci considerano solo dei numeri. Viviamo con la consapevolezza che le nostre vite hanno un valore unico, ma veniamo trattati come se fossimo invisibili. a. Nel primo decennio del secolo, la promessa di un capitalismo digitale orientato alla difesa del pubblico rincuorò i popoli della seconda modernità. Nuove aziende come Google e Facebook sembravano la risposta alla promessa di una vita diversa nei nuovi ambienti, con l’informazione e le persone che venivano

liberate dai vecchi confini istituzionali, e la possibilità di scoprire chi eravamo e che cosa volevamo, sempre e comunque. Certo, c’erano errori, carenze, falle. Gmail di Google, lanciata nel 2004, scansionava la corrispondenza dei suoi utenti per generare inserzioni pubblicitarie? Quando il primo utente di Gmail si accorse di aver ricevuto una pubblicità targettizzata sul contenuto delle sue lettere private, la reazione fu immediata. In tanti si dissero offesi e inorriditi, altri si sentivano confusi. Nel 2007 Facebook lanciò Beacon, presentandolo come “un nuovo modo per distribuire socialmente le informazioni”. Beacon consentiva agli advertiser di Facebook di tracciare le attività degli utenti, rivelando senza il loro consenso quali acquisti facevano. In molti si offesero per la sfacciataggine dell’azienda, sia per come li tracciava online, sia per come controllava la segretezza dei loro dati. Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg fu costretto a chiudere il programma, ma nel 2010 dichiarò che la privacy non era più una norma sociale e si vantò di avere di conseguenza allentato le “policy sulla privacy” della sua azienda. Ogni like e ogni clic potevano essere reclamati come un bene da tracciare, analizzare e vendere. Le aziende cominciarono a giustificare le loro violazioni come necessarie per fornire in cambio dei servizi “gratuiti”. Sostenevano che la privacy era il prezzo che l’utente doveva pagare per avere in cambio ricompense generose come informazione e connessione disponibili a proprio piacimento. Un capitalismo senza precedenti stava sgomitando per passare alla storia: il capitalismo della sorveglianza. Nel 2011, La crisi economica si era diffusa in città come la peste, facendo crollare i consumi e portando il tasso di disoccupazione al 21 per cento, il più alto dell’Unione Europea. L’Agenzia spagnola per la protezione dei dati aveva deciso di schierarsi dalla parte dei novanta comuni cittadini che erano determinati a non perdere il senso di un mondo che stava cambiando alla velocità della luce. In nome del “diritto a essere dimenticati”, questi spagnoli erano entrati nell’arena agitando un drappo rosso, decisi a sfidare il più bellicoso dei tori: Google, il titano del capitalismo della sorveglianza. Quando l’agenzia ordinò all’azienda di smettere di indicizzare i link di queste novanta persone, fu un duro colpo per il toro, uno dei primi. Ognuno di quei novanta cittadini aveva la propria storia. Una giovane donna era stata spaventata a morte dall’ex marito, e non voleva che lui trovasse il suo indirizzo online. Per essere tranquilla e sicura aveva bisogno della propria privacy informatica. Un’altra donna, di qualche anno più grande, provava imbarazzo per essere stata arrestata quando faceva l’università, e pretendeva che la sua privacy informatica fosse garantita per salvaguardare la propria identità e dignità. C’era poi un avvocato, Mario Costeja González, al quale era stata pignorata la casa. Per quanto la vicenda si fosse risolta, cercando il suo nome su Google continuavano a comparire i link dell’avviso di pignoramento, che a suo dire danneggiavano la sua reputazione. La corte ha

attribuito ai cittadini dell’Unione Europea il diritto di opporsi, imponendo a Google di mettere in atto un procedimento in grado di consentire agli utenti di richiedere il delinking, e autorizzando i cittadini a ricorrere alle istituzioni democratiche, comprese “l’autorità di supervisione o l’autorità giudiziaria, per prendere i necessari provvedimenti e intimare a chi detiene il controllo di apportare delle misure correttive”.89 Ristabilendo il diritto a essere dimenticati, la corte ha dichiarato che l’autorità decisionale sul futuro digitale spetta alle persone, alle loro leggi e alle loro istituzioni democratiche. Ha affermato che gli individui e le società democratiche possono combattere e vincere per il proprio diritto al futuro, anche se contrapposti a una grande potenza privata. Per riassumere, nella prima fase dello sviluppo di Google qualunque utente del suo motore di ricerca forniva inavvertitamente informazioni che per l’azienda avevano un valore e che vennero usate per migliorare i propri servizi. In questo ciclo di reinvestimento, offrire agli utenti risultati di ricerca eccellenti “consumava” tutto il valore creato dagli utenti che avevano fornito i loro dati comportamentali. Il fatto che gli utenti avessero bisogno di uno strumento di ricerca tanto quanto la ricerca avesse bisogno di loro creò un equilibrio di poteri tra Google e il suo popolo. Le persone venivano considerate uno scopo, erano i soggetti di un ciclo autosufficiente e fuori dal mercato, perfettamente in linea con il motto di Google: “organizzare tutta l’informazione del mondo e renderla universalmente accessibile e utile”. Dobbiamo considerare un fatto fondamentale: il capitalismo della sorveglianza è stato inventato da un determinato gruppo di persone, in un luogo e in un periodo determinati. Non si è trattato né di una conseguenza resa inevitabile dallo sviluppo della tecnologia digitale, né dell’unica espressione possibile del capitalismo dell’informazione. Il capitalismo della sorveglianza è stato costruito intenzionalmente in un particolare periodo storico. È importante sottolineare quali siano state per il capitalismo le differenze fondamentali tra i due momenti di innovazione di Ford e Google. Le invenzioni di Ford hanno rivoluzionato la produzione. Le invenzioni di Google hanno rivoluzionato l’estrazione, imponendola come primo imperativo economico del capitalismo della sorveglianza. L’imperativo dell’estrazione vuole che le materie prime vengano accumulate in misura sempre maggiore. Il capitalismo industriale aveva avuto bisogno di un’economia di scala per poter combinare un’alta produzione a un basso costo per unità. Il capitalismo della sorveglianza, al contrario, ha bisogno di un’economia di scala per quanto riguarda l’estrazione del surplus comportamentale. Il capitalismo industriale trasformava le materie prime naturali in prodotti; allo stesso modo il capitalismo della sorveglianza si appropria della natura umana per produrre le proprie merci. Il fatto che nell’era del capitalismo della sorveglianza il comportamento sia diventato una merce ci

proietta verso una società nella quale il mercato sarà protetto da fossati di segretezza, indecifrabilità e competenza. Gli archivi di surplus comportamentale di Google attualmente comprendono qualunque elemento del mondo digitale: ricerche, email, messaggi, foto, canzoni, chat, video, luoghi, schemi comunicativi, atteggiamenti, preferenze, interessi, volti, emozioni, malattie, social network, acquisti e così via. Le nostre vite offrono nuovo surplus comportamentale ogni volta che hanno a che fare con Google, Facebook e in genere con ogni aspetto dell’architettura informatica di internet. Google aveva scoperto che per funzionare l’esproprio non doveva limitarsi a una singola azione, ma estendersi a una complessa convergenza di operazioni politiche, sociali, amministrative e tecniche. Le operazioni di esproprio rivelano una sequenza prevedibile di fasi che devono essere architettate e gestite nel dettaglio per poter normalizzare l’estrazione del surplus. Le quattro fasi del ciclo sono: incursione, assuefazione, adattamento e reindirizzamento. La prima fase di un esproprio efficace è l’incursione unilaterale in uno spazio indifeso: il nostro laptop, il nostro telefono, una pagina web, la strada dove viviamo, un’email che abbiamo spedito a un amico, una passeggiata nel parco, la ricerca online di un regalo di compleanno, la condivisione delle foto dei nostri figli, i nostri gusti e interessi, la nostra digestione, le nostre lacrime, la nostra attenzione, le nostre emozioni, i nostri volti. Ci sono centinaia di cause legali intentate contro Google da paesi, gruppi e singoli individui. Nella seconda fase l’obiettivo è l’assuefazione. Cause e inchieste delle istituzioni democratiche avanzano a passo lento, e nel frattempo Google continua ad attuare le proprie pratiche controverse ad alta velocità. In una terza fase del ciclo, quando di tanto in tanto Google si vede costretta a modificare le proprie pratiche, i suoi dirigenti e ingegneri mettono in atto degli adattamenti superficiali ma tatticamente efficaci che soddisfano le richieste più urgenti di autorità governative, sentenze giudiziarie e pubblica opinione. Nel frattempo, nell’ultima fase, l’azienda mette in atto nuovi metodi, espedienti retorici ed elementi di design che ridirigono le operazioni contestate così da farle apparire adeguate agli obblighi legali e sociali. Il capitalismo della sorveglianza è riuscito ad affermarsi negli Stati Uniti in condizioni di relativa assenza di leggi, e in seguito si è diffuso in Europa e continua a farsi strada in tutto il mondo. Le aziende del capitalismo della sorveglianza, a partire da Google, dominano l’accumulazione e l’elaborazione dell’informazione, specialmente di quella che riguarda il comportamento umano. Sanno tanto di noi, mentre il nostro accesso alle loro conoscenze è assai limitato: è una conoscenza nascosta nel testo ombra, leggibile solo dal nuovo clero, dai loro capi e dalle loro macchine. Come tutti i capitalisti, anche quelli della sorveglianza vogliono una libertà senza limiti. Vogliono essere liberi di attuare qualunque nuova pratica, stabilendo al contempo in modo

aggressivo di dover essere liberi da leggi e regole. Il capitalismo della sorveglianza è definito invece da una convergenza inedita di libertà e conoscenza. L’intensità di tale convergenza è pari forza del potere strumentalizzante. Questo accumulo di potere senza ostacoli decide la divisione dell’apprendimento nella società, imponendo dinamiche di inclusione ed esclusione dalle quali dipendono i guadagni della sorveglianza. I capitalisti della sorveglianza rivendicano la libertà di disporre della conoscenza, e poi fanno leva sul vantaggio che quella conoscenza offre loro per ampliare e difendere la propria libertà. La combinazione di conoscenza e libertà accresce l’asimmetria di potere tra i capitalisti della sorveglianza e la società nella quale agiscono. È un ciclo che può essere interrotto solo se come cittadini, società, e perfino come civiltà ci renderemo conto che i capitalisti della sorveglianza sanno troppe cose per poter essere liberi. In primo luogo, i capitalisti della sorveglianza non contano più sulle persone come consumatori. L’asse di domanda e offerta orienta invece i capitalisti della sorveglianza verso aziende che vogliono anticipare i comportamenti di popolazioni, gruppi e individui. Come abbiamo visto, la conseguenza è che gli “utenti” diventano le materie prime del processo di produzione digitale, mirato a nuovi clienti. L’accumulo di libertà e conoscenza assieme alla fine della reciprocità dà forma ad un’altra caratteristica inedita del capitalismo della sorveglianza: un orientamento collettivista che diverge sia dai valori storici del capitalismo di mercato, sia dalle convinzioni neoliberiste del primo capitalismo della sorveglianza. Per il proprio tornaconto, il capitalismo della sorvegli...


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