Il mago di Oz - di Salman Rushdie PDF

Title Il mago di Oz - di Salman Rushdie
Course Letteratura e cinema
Institution Sapienza - Università di Roma
Pages 6
File Size 370.7 KB
File Type PDF
Total Downloads 88
Total Views 170

Summary

Ecco il commento e riassunto del libro a scelta da dare per l'esame di letteratura e cinema. "il mago di Oz" un saggio di Salman Rushdie....


Description

Il mago di Oz "Il Mago di Oz fu la mia prima influenza letteraria" scrive Salman Rushdie a proposito di questo grande classico della cinematografia mondiale. Per l'autore dei "Versi Satanici", "Il mago di Oz" è infatti molto più di un film per bambini. E' una storia "la cui forza propulsiva è proprio l'inadeguatezza degli adulti", che "Obbliga i bambini a prendere in mano il proprio destino e, ironicamente, a crescere da soli". Rigettando perciò l'idea secondo la quale "Il mago di Oz" termina con un confortante ritorno alla quiete della vita di tutti i giorni, Rushdie considera Oz alla stregua di una profonda riflessione sull'esilio, nella cretezza che l'unica vera casa è quella che noi stessi ci siamo costruiti, fuori e dentro di noi. Il brillantissimo "saggio" che commenta puntualmente le varie sequenze del film, è arricchito da uno scintillante racconto intitolato "All'asta delle scarpette rosse", incentrato sul giorno in cui le magiche scarpette rosse indossate da Dorothy nel film vengono battute a 15.000 dollari a un'asta futuribile e inquietante in cui qualunque sogno, passato e futuro, è in vendita. Salman Rushdie Salman Rushdie (Mumbai, 1947) si è trasferito a Londra quando aveva quattordici anni. È l'autore di Grimus, I figli della mezzanotte, La vergogna, I versi satanici, Harun e il mare delle storie, L'ultimo sospiro del Moro, Est, Ovest, La terra sotto i suoi piedi, Furia, Shalimar il clown, L'incantatrice di Firenze, Luka e il fuoco della vita, Joseph Anton, del reportage sul Nicaragua Il sorriso del giaguaro e dei volumi di saggi Patrie immaginarie e Superate questa linea. La vicenda personale e pubblica di Salman Rushdie è prova che l’autore indiano non condivida del tutto l’immagine tradizionale della “casa”, quella a cui sempre si fa ritorno perché, si sa, nessun posto è bello come casa propria. Nel saggio Il Mago di Oz (1992), un’acuta e divertente riflessione sul libro di L. Frank Baum ma soprattutto sul film di Victor Fleming, Rushdie ribalta il mito della bambina dalle scarpette rosse (o argentate?) che, nonostante le meravigliose avventure, manifesta l’ultimo vero desiderio di tornare a casa, dagli zii, nel triste Kansas. Quale bambino vorrebbe vivere in un luogo così desolato, con degli zii senza nulla da offrire, senza prospettive in cui sperare, con l’unica consolazione di un cagnolino minacciato di morte da un’arpia? Ma Dorothy Gale non è un nome a caso. L’impeto del ciclone che sradica la casa è la sua ribellione, la fine della sua infanzia perché Oz è il viaggio verso la vita, la fuga, la scoperta di se stessi. Zia Em e io zio Henry dovranno rassegnarsi che quello di Dorothy non è stato un sogno. Oz esiste davvero. Per tutti. Edizione di riferimento: S. Rushdie, Il Mago di Oz, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 2000 […] Il Mago di Oz è un film la cui forza propulsiva è proprio l’inadeguatezza degli adulti, anche di quelli buoni, e il fatto che la loro debolezza obbliga i bambini a prendere in mano il proprio destino e, ironicamente, a crescere da soli. Il viaggio dal Kansas a Oz è un rito di passaggio da un mondo in cui zia Em e zio Henry, ossia i sostituti dei genitori di Dorothy, si rivelano incapaci di aiutarla a mettere in salvo il suo cagnolino Totò dalla rapace Miss Gulch, a un altro in cui tutti sono a misura di Dorothy e in cui lei stessa non è mai trattata da bambina bensì come un’eroina. […] La debolezza di zia Em e dio zio Henry di fronte al desiderio di Miss Gulch di far fuori il cagnolino Totò conduce Dorothy a pensare in modo infantile, ossia a scappare di casa, a fuggire lontano. Ecco perché, quando il tornado si abbatte, lei non si trova assieme agli altri al sicuro nel rifugio e viene letteralmente soffiata verso una via di fuga che altrimenti non sarebbe mai stata in grado di immaginare. Più avanti, tuttavia, quando si trova alle prese con la debolezza del Mago di Oz, non fugge, anzi si getta nella mischia, dapprima contro la Strega, e poi contro il Mago stesso.

L’inefficacia del Mago è una delle numerose simmetrie del film, e fa il paio con la debolezza della famiglia di Dorothy: il punto nodale, però, è la differente reazione di Dorothy nell’uno e nell’altro caso.

Il Kansas descritto da L. Frank Baum è un luogo deprimente, in cui tutto, fin dove arriva lo sguardo, è grigio. Grigie sono la prateria e la casa in cui Dorothy vive. […] È al di fuori di questo grigiore – che tutto avvolge e assomma di quello squallido mondo – che arriva la calamità. Il ciclone altro non è che tutto quel grigio accumulato, turbinante e sguinzagliato, per così dire, contro se stesso. […] C’è però un altro modo di interpretare il tornado. Dorothy infatti ha un cognome: Gale. E per molti aspetti Dorothy è effettivamente una tempesta che soffia da quel piccolo angolo di nulla chiedendo giustizia per il suo cagnolino mentre gli adulti cedono mestamente il passo alla potente Miss Gulch […] Il Kansas del film è un po’ meno irrimediabilmente tetro del Kansas del libro. […] A ripensarci, però, si tratta di un’ambientazione più inquietante, perché vi aggiunge la presenza di un’entità realmente malvagia, ossia l’angolosa Miss Gulch, con quel profilo che potrebbe trinciare un quarto di bue, seduta rigidamente in sella alla sua bicicletta, la testa coronata da un cappello che sembra un budino di prugne o una bomba, decisa a reclamare la protezione della legge nella sua crociata contro Totò. Grazie a Miss Gulch, il Kansas del film è informato non solo dalla tristezza della cruda povertà, ma anche alla cattiveria degli aspiranti assassini di cani.E questa sarebbe la casa “bella come nessun posto al mondo”? Sarebbe questo il paradiso perduto che dovremmo preferire (come Dorothy) a Oz? Laggiù in Kansas, zia Em sta somministrando la sgridata che prelude a uno dei più immortali momenti della storia del cinema. “Tu ti agiti per delle sciocchezze! Trovati un posto dove stare tranquilla, senza cacciarti nei guai!” […] Chiunque si sia bevuto la storiella raccontataci dallo sceneggiatore sulla superiorità della “casa” rispetto al “lontano da casa”, e crede di conseguenza che la morale del Mago di Oz sia leziosa come un centrino con su ricamato “casa dolce casa”, farebbe bene ad ascoltare il tono struggente di desiderio nella voce di Judy Garland, mentre rivolge il suo faccino al cielo. […] Nel suo momento emotivo più potente, questo è senza ombra di dubbio un film sulla gioia di partire, di lasciare il grigiore e fare ingresso nel colore, di ricrearsi una nuova vita nel “luogo dove non ci sono guai”. Over the Rainbow è, o dovrebbe essere, l’inno di tutti gli emigranti del mondo, di tutti quelli che vanno alla ricerca di un luogo in cui “i sogni che osi sognare realmente si avverano”. È una celebrazione della Fuga, una grande peana dell’Io Sradicato, un inno - anzi l’inno - all’Altrove.[…] And now those magic slippers will take you home in two seconds… Close your eyes… click your heels together three times… and think to yourself… there’s no place like… Un momento.Un momento! Com’è che alla fine di questo film radicale e corroborante, che insegna nel modo meno didattico possibile a costruire ciò che abbiamo, a dare il meglio di noi stessi, ci viene propinata questa piccola

omelia conservatrice? Dobbiamo davvero credere che Dorothy non abbia imparato altro, nel suo viaggio, se non che non aveva alcun bisogno di intraprenderlo? Dobbiamo accontentarci del fatto che adesso accetti le limitazioni della sua vita familiare e che viva secondo la nozione che tutto ciò che non ha non è una perdita? È giusto così? Bè, senza offesa, Glinda, che orrore.Tornata a casa nel bianco e nero, con zia Em e zio Henry e la vil gente meccanica riunita intorno al suo letto, Dorothy dà così inizio alla sua seconda rivolta, ribellandosi non solo all’indisponente condiscendenza dei suoi familiari, ma anche a quella degli sceneggiatori e al moraleggiare sentimentaleggiante dell’intero studio system di Hollywood. “Non è stato un sogno, io ero davvero, in un posto reale” strilla penosamente. “Era tutto vero, e io ero in un posto reale insomma. Insomma, nessuno di voi mi crede?” È così che alla fine Oz diventa la casa; il mondo immaginato diventa il mondo reale, come avviene per tutti noi, perché la verità è che una volta che abbiamo abbandonato l’infanzia e abbiamo iniziato a dare una fisionomia alla nostra vita, armati solo di quello che siamo e abbiamo, comprendiamo anche che il vero segreto delle scarpette rosse non è che “nessun posto è bello come casa mia”, ma piuttosto che la nostra casa non esiste più; a eccezione, ovviamente, della casa che ci creiamo noi, o quella costruita apposta per noi a Oz: che è ovunque e in ogni luogo, fuorché dove abbiamo cominciato. Prendere in mano il proprio destino «Ho scritto il mioprimo racconto quando avevo dieci anni: il titolo era Overde Rainbow. [...] Il Mago di Oz (ilfilm, non il libro che non lessi da bambino) fu la mia primissimainfluenza letteraria.» Quanto contino gli incontri con lestorie che si hanno da bambini, è noto. E come tutte le cose note,finisce per diventare scontato. Ma se è un personaggio come Salman Rushdie ad affermare questaverità, l'attenzione si ferma. Qualche tempo fa leggendo unsaggio sui colori, ho scoperto che si deve al film del 1939 Il Mago di Oz,diretto da diretto da Victor Fleming, l'inizio della carrieradi scrittore di questo colosso della letteratura contemporanea,come si legge nel brano che ho appena riportato. Lacitazione viene dal breve scritto che Rushdie ha dedicato al film Il Mago di Oz, saggio omonimo uscitonel 1992 per Linea d'Ombra Edizioni e poi riedito da PiccolaBiblioteca Oscar Mondadori, e oggi esaurito. Un volume dal miopunto di vista interessante perché in esso Rushdie analizza uno deipiù famosi film della storia del cinema a partire dall'esperienzaprofonda che ne fece da bambino, prospettiva che lo mette nellecondizioni di riflettere su molti e rilevanti fatti inerentiall'infanzia e alla scrittura a essa dedicata. Valga, prima fratutte, questa, a titolo di esempio:

«Il Mago di Oz fece di me uno scrittore. Moltianni dopo, quando incominciai a pensare al racconto che diventòpoi Harun e il Mare delle Storie, avevo la fortesensazione che se avessi saputo cogliere il tono giusto sarebbe statopossibile scrivere il racconto in modo tale da renderlo interessanteper i bambini e per gli adulti; o, per usare la frase cara a quelliche scrivono i risvolti di copertina, ai “bambini dai sette aisettant'anni”. Il mondo del libro è diventato una faccenda dominatada rigide categorie e demarcazioni, in cui i libri per bambini non sonosoltanto una specie di ghetto, ma un ghetto suddiviso in base a un certonumero di fasce di età. Il cinema, tuttavia, ha regolarmente

scavalcatotali distinzioni. Da Spielberg a Scwarzenegger, da Disney a Gilliam,ha offerto film che bambini e adulti si godono seduti fianco a fianco,uniti da ciò che stanno guardando. Mi è capitato di vedere Chiha incastrato Roger Rabbit? in uno spettacolo pomeridianopieno di bambini gaiamente turbolenti, e di tornare la sera dopo,a un'ora troppo tarda per un pubblico infantile, per potermi goderetutte le battute, gli scherzi e stupirmi una volta di più dinanzialla genialità del concetto di Cartoonia. Ma tra tutti i film quelloche più mi ha aiutato a trovare il tono giusto per Harun è statoIl Mago di Oz.»

In seguito, ripercorrendo la trama del film(e in parte del libro da cui è tratto, cioè Il meraviglioso mago diOz, di Frank Baum), Rushdie osserva: «IlKansas descritto da Frank Baum è un luogo deprimente in cui tuttoè grigio, a perdita d'occhio: è grigia la prateria ed è grigia lacasa in cui abita Dorothy. E per quanto riguarda Zia Emma e Zio Henry,“il sole e il vento avevano tolto ogni luminosità ai loro occhie li avevano fatti diventare di un grigio smorto; avevano portatovia il rosso dalle loro guance e dalle loro labbra, che erano grigieanch'esse. Lei era magra e scarna e non sorrideva mai”. In quanto aZio Henry “Non rideva mai; anche lui era grigio, dalla lunga barbaagli stivali”. Il cielo? Era persino più grigio del solito. Totofortunatamente non era grigio. Aveva salvato “Dorothy dal diventaregrigia come tutto ciò che la circondava”. Neanche lui aveva dei beicolori vivaci, sebbene i suoi occhi fossero scintillanti e avesse un belpelo lucente come la seta: Toto era nero.

È dalquel grigiore - il grigiore di quel mondo desolato che si accumulava, ilgrigiore che si aggiungeva al grigiore – che giunge la sventura. Iltornado è il grigiore concentrato, trascinato in un turbine eliberato, per così dire, contro se stesso. A questo il film èsorprendentemente fedele: le scene del Kansas sono girate in quel che sichiama bianco e nero, ma che in realtà è fatto di una molteplicitàdi sfumature di grigio, e le immagini si oscurano sino a quando iltornado le risucchia e le fa a pezzi.»

Da questomondo plumbeo, la protagonista è catapultata, per volontà del tornadodescritto da Rushdie, nel mondo di Oz, dove ogni cosa è, all'opposto,accesa di vividi colori, e dove il colore è talmente importanteche tutti gli elementi centrali della storia trovano una connotazionecromatica: il sentiero dorato, la Città di Smeraldo, le scarpette rosse(che nel libro, però, sono d'argento).

Rushdie aproposito di questo passaggio che è, a un tempo, cromatico e psicologico,nota: «Dorothy ha fatto ben più che uscire dal grigiore...» è entrata«nel Technicolor. Il suo non essere a casa è sottolineato dal fattoche [..] non entrerà più in nessun interno fino a quandonon arriverà alla città di Smeraldo. Dal tornado al Mago, Dorothy nonviene mai a trovarsi sotto a un tetto.»

Ericordando la sua esperienza di piccolo spettatore, mettendo a confrontoi due mondi in opposizione, quello cromatico di Oz e quello acromatico dacui proviene Dorothy, assunti a metafora dell'esperienza umana, si chiede:«E questo sarebbe il posto “che non ha pari al mondo”? Sarebbe questoil Paradiso Perduto che ci viene chiesto di preferire (come fa Dorothy)al mondo di Oz? Ricordo, o immagino di ricordare che, quandovidi per la prima volta il film, e allora abitavo in una bella casa,quella di Dorothy mi sembrò una topaia. Ovviamente, pensavo, se iofossi stato sbattuto su Oz avrei naturalmente voluto ritornare a casa,ma allora io avevo un sacco di buoni motivi per volerci tornare. MaDorothy? Forse si sarebbe dovuto invitarla a restare: qualunqueposto sembra migliore di quello.»

Eprosegue, implacabile, dopo una attenta disamina del come e delperché questo famoso film hollywodiano fu realizzato, fra imprevisti,contraddizioni, errori e conflitti di ogni tipo: «Chiunqueabbia accettato l'idea degli scenggiatori che questo sia un film sullasuperiorità della propria casetta rispetto a luoghi lontani, che lamorale del Mago di Oz sia così vomitevolmente dolciastra, farebbebene ad ascoltare il tono struggente di desiderio della voce di JudyGarland mentre il suo viso si volge all'insù verso il cielo. Ciòche esprime in quel momento, ciò che incarna con la purezza diun archetipo, è il sogno di partire, un sogno almeno altrettantoforte del sogno opposto delle radici.

Alla basedel Mago di Oz c'è una forte tensione tra questi due sogni; ma quandosale la musica e quella voce grande e limpida vola tra gli intensissimidesideri espressi dalla canzone, chi potrebbe avere dei dubbi su qualedei due messaggi è il più forte? Nel suo momento emotivamente piùintenso questo è indiscutibilmente un film sulla gioia dell'andare via,del lasciare il grigiore e entrare nel colore, del farsi una nuovavita in un posto “dove non ci sono guai”. Over theRainbow è, o dovrebbe essere, l'inno degli emigranti ditutto il mondo, di tutti coloro che vanno in cerca di un mondo dove“i sogni più impossibili diventano realtà”. È una celebrazionedell'Evasione, un grande Peana all'Io senza Radici, un inno – l'innoper eccellenza – all'Altrove.»

Nelleprime pagine del saggio, Rushdie scrive: «Ho incominciato con questi ricordi personali perché Il Mago di Ozè un film la cui forza sta nel mostrare l'inadeguatezza degli adulti,anche degli adulti buoni, e nel farci vedere come la debolezza deigrandi costringa i bambini a prendere in mano il loro destino e quindia diventare grandi loro stessi. Il viaggio dal Kansas a Oz è un ritodi passaggio da un mondo in cui Zia Emma e Zio Henry, che fanno dagenitori a Dorothy, sono impotenti ad aiutarla a salvare il suo caneToto dalle grinfie di Miss Gulch, a un mondo i cui abitanti hannole sue stesse dimensioni e in cui non viene mai, assolutamente maitrattata come una bambina, bensì come un'eroina.» Eccoperché un inno all'Altrove è un inno molto adatto ai bambini e allaloro crescita. Le parole di questo libro mi sono apparse molto adeguateper cominciare il 2014 di questo blog. Buon anno e buonlavoro a tutti....


Similar Free PDFs