Il dilemma di Antigone PDF

Title Il dilemma di Antigone
Author Del Elio
Course Giurisprudenza
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Summary

Il dilemma di AntigoneTRAMA Edipo dopo aver ucciso suo padre e averne preso il posto sul trono di Tebe sposando la vedova cioè sua madre Giocasta ha avuto 4 figli., due femmine ( antigone e ismene) e due maschi (eteocle e polinice). scoppiando la guerra civile per la conquista del potere, Eteocle e...


Description

Il dilemma di Antigone TRAMA  Edipo dopo aver ucciso suo padre e averne preso il posto sul trono di Tebe sposando la vedova cioè sua madre Giocasta ha avuto 4 figli., due femmine ( antigone e ismene) e due maschi (eteocle e polinice). scoppiando la guerra civile per la conquista del potere, Eteocle e Polinice combattono l’uno contro l’altro e muoiono l’uno da vincitore l’altro da traditore per mano dell’altro. Il nuovo re Creonte, stabilisce che Eteocle sia seppellito con tutti gli onori mentre ordina che il cadavere di Polinice sia lasciato insepolto. Chi andrà contro questo divieto verrà punito con la morte. Antigone fin dalla sua entrata in scena Antigone si mostra irremovibile intenta nel disobbedire l’ordine di Creonte e dare a suo fratello Polinice una giusta sepoltura. tuttavia la scelta di Antigone non vuole essere svolta di nascosto in quanto quest’ultima va orgogliosa della sua scelta. Creonte quest’ultimo appare fin dall’inizio coerente con i suoi principi, la sua azione è infatti rivolta alla salvaguardia e alla difesa della polis. tuttavia il divieto da lui promulgato va contro un elemento fondamentale del sentire comune dei greci e cioè quello secondo cui arrecare offesa al cadavere del nemico morto è un’azione spregevole che viola sia le consuetudini civili quanto le tradizioni religiose. Creonte specifica poi volgendosi verso il coro (espressione della comune volontà del popolo) che il suo divieto è motivato dal fatto che in città vi sono ancora dei sostenitori del partito argivo di cui Polinice era stato capo, e che dunque l’evitare la sua cerimonia funebre era dettato dalla volontà di disturbare il processo di pace iniziato dopo la fine della guerra civile. Nella prima parte dunque Creonte si mostra irremovibile, tale posizione inizierà poi a vacillare. Centrale dunque in questo tema risulta la contrapposizione tra il comando politico (comunemente definito nomos) proveniente dal potere di volta in volta costituito e la fedeltà a usanze o leggi non scritte (agrapta nomina). Nel confronto tra Emone e Creonte, suo figlio nonchè futuro sposo di Antigone si parte dal sottolineare un principio che il figlio deve tenere ben saldo, ossia quello di assecondare la volontà paterna. La sottoposizione di Emone al volere del padre è analoga a quella che devono avere i sudditi nei suoi confronti, affermando la sua autorità e dichiarando innanzitutto che non c’è nulla di più grave dell’anarchia che risulta essere la rovina della città. Poi afferma che bisogna sostenere le disposizioni dell’autorità e non lasciarsi vincere dal volere di una donna ed è qui che si afferma un altro principio della polis ossia di essere una società misogina. Secondo Susanetti il gesto compiuto da Antigone, di trasgredire l’editto virilizza Antigone e porta a considerare invece Creonte una figura assimilabile a quella femminile. Il dialogo di Emone con il padre lo porta poi successivamente a cambiare idea circa l’editto emesso di punire a morte Antigone, in quanto Emone dice al padre che secondo quanto udito dal popolo, l’editto di creonte risulti esagerato ed arbitrario. Ma la posizione di Creonte è ancora irremovibile, fino al dialogo con l'indovino Tiresia il quale lo mette in guardia del malumore del popolo circa la sua obiettiva dismisura delle sue azioni. È da questo momento in poi che la posizione di Creonte muta e revoca il bando, tale revoca si rivela poi inutile in quanto Antigone è già morta. I Termini del conflitto/ capitolo 2 IL DILEMMA DEL NOMOS Innanzitutto in ogni società vige una qualche forma di legalità che risulta essere il punto di arrivo di una elaborazione sociale anche quando non siano istituzionalizzate le concrete modalità della sua attuazione. Dunque è qui che nasce il problema principale ossia quello di stabilire se vi è una legittimazione universale ed oggettiva circa la legalità istituita. È nel contesto della polis che sorge il dilemma del NOMOS che assume una portata ancora più ampia con l'avvento del totalitarismo e dunque con la distruzione della democrazia con cui viene meno la distinzione tra legalità e legittimità. Secondo Hannah Arendt il regime totalitario annulla il dilemma del NOMOS dal momento in cui fatto e diritto vengono ad identificarsi, cioè vi è un'informazione totale fra l'essere umano e la legge e dunque non vi è più il divario tra legalità e giustizia. L'essere umano risulta essere incapace di azione e con i suoi comportamenti standardizzati viene ad essere considerato come l'incarnazione compiuta della legge. Scompaiono dunque i requisiti che pongono il dilemma del NOMOS. A differenza del regime totalitario, in un regime democratico, la legalità istituita, dal momento che non incarna alcuna legislazione universale e necessaria comporta il problema della sua giustificazione. Alla base della riflessione sul dilemma del NOMOS c è dunque il problema dell’indeterminatezza dell'agire umano. Opposizioni non negoziabili  L'opera di Sofocle è stata frutto di molte riscritture, una fra le più importanti è offerta dal critico letterario Steiner. Egli afferma che tra i tanti elementi ricorrenti particolare rilevanza è attribuita alla dimensione conflittuale dell'esistenza umana, tale elemento è ciò che rende ancora attuale L'Antigone. Steiner afferma poi che le costanti principali del conflitto circa la condizione umana sono 5: l'opposizione fra uomo e donna; vecchiaia e giovinezza; vivi e morti; uomini e divinità. Queste opposizioni esprimono le incertezze e l'indeterminatezza dell'azione umana che trovano il luogo perfetto per la loro elaborazione nello spazio scenico del teatro, anziché in quello della speculazione ontologica. In questo caso l antologia, intesa come studio dell'essere in quanto tale, si rivela impotente. Fondamentale risulta essere dunque il ricorso a ciò che Aristotele definiva phronesis cioè una forma di saggezza pratica che è l'unica risorsa capace di consentire all’azione di far fronte alla dimensione conflittuale della condizione umana. Qui non è in gioco la conoscenza della realtà ne la comprensione della verità ma la ricerca di un modo di vita in grado di attraversare i conflitti della condizione umana senza farsene travolgere. La hybris  L'esito catastrofico della tragedia Antigone è da riportare al problema della hybris, ma cosa si intende con essa? Questa parola indica la tracotanza, la superbia, ossia allude all'eccesso o alla dismisura dell'azione umana. La hybris quale comportamento oltraggioso riguarda il fallimento dell’agire dell’uomo nel darsi dei limiti. La Hybris non si riconduce alla trasgressione di una o più prescrizioni o norme esistenti che dovrebbero regolare l’azione, dal momento che essa presuppone la libertà ma anche l’indeterminatezza dell’agire umano. La trasgressione della legge non può essere dunque ricondotta alla hyubris, può esservi hybris solo quando l’autolimitazione sia l’unica norma. Il solo modo per fronteggiare la hybris, che conduce la città alla rovina consiste nel perseguire l’autocontrollo delle azioni e l’autolimitazione delle proprie pretese, per soddisfare tale esigenza è indispensabile il ricorso alla capacità di discernimento, di saggezza pratica e di autocontrollo a cui allude il verbo greco phronein, che ritroveremo nelle parole del coro quando si rivolge a Creonte invitandolo all’autolimitazione. Se quella di Creonte è la hybris del potere assoluto la dismisura di Antigone è la hybris della nuda azione secondo Susanetti , ciò significa che l’eroina ha una forte inclinazione nell’autodeterminarsi che si rivela rovinosa perché la isola, impedendole di confrontarsi con altri punti di vista, Antigone si crea una dimensione pubblica fittizia che si limita al confine della propria vita privata che la induce ad un’illusoria autosufficienza e che le impedisce di tener presente l’opinione dei suoi interlocutori ( si pensi ad Ismene). Ma come osserva Castoriadis la decisione di Creonte è una decisione politica presa su basi solide ma le più solide basi politiche possono rivelarsi traballanti se non sono altro che “politiche” Quindi proprio per il carattere totale dell’ambito politico che comprendeva decisioni di sepoltura e di vita e di morte che una decisione politica corretta deve farsi carico di tutti i fattori oltre quelli politici in senso stretto Dialogo fra sordi  Creonte revoca inutilmente la punizione di Antigone soltanto perché sopraffatto dalla forza degli eventi. La mancanza di alcun cenno di ripensamento circa le sue convinzioni etiche e politiche confermano che il conflitto messo in scena dal dramma è un conflitto irrisolto. Non bisogna tuttavia argomentare che il conflitto tra Antigone e Creonte sia generato da una qualche forma di fraintendimento tra i due, poiché il conflitto nasce da due determinazioni incapaci di trovare un punto di incontro o mediazione.

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Per i protagonisti la decisione presa è l’unica possibile e dunque risulta indiscutibile ed insindacabile. La tragedia dunque dimostra le conseguenze di una decisione che sono date appunto dall’ indeterminatezza dell’agire umano. Pertanto Steiner ha definito lo scontro verbale tra Antigone e Creonte un dialogo fra sordi, vi è dunque un rifiuto completo delle decisioni dell’altro.

CAPITOLO III Il dilemma del nomos Mentre l’Edipo re viene definita la tragedia dell’apparenza, l’Antigone è definita la tragedia del nomos. In quanto tragedia dell’apparenza, la problematica dell’Edipo re si situa sul piano ontologico della teoresi, nel senso che la sua trama attiene alle vicende legate alla conoscenza il cui oggetto è la scoperta e la comprensione della realtà. Mentre la vicenda dell’Antigone si situa sul piano morale e politico della prassi, nella vicenda manca un criterio oggettivo e universale che permetta di porre fine al conflitto che ha per oggetto non la verità bensì il significato delle azioni umane. Mentre nell’Edipo re c’è alla fine la scoperta della verità, nell’Antigone ciò non accade in quanto fin dall’inizio tutto è chiaro, la fanciulla già sa quale scelta compire senza volerlo nascondere e sapendo sin dall’inizio le conseguenze delle sue azioni che la condurranno alla morte. Il dilemma del nomos resta qui privo di soluzione giuridica o politica. Dunque è da escludere che l’Antigone possa ricondursi alla opposizione tra giusnaturalismo e giuspositivismo-  Nessuna delle due filosofie può applicarsi all’ Antigone, perché entrambe danno per scontato che alla base della agire umano vi è un criterio oggettivo universale per risolvere la questione non prendendo in considerazione la SINGOLARITÀ delle due personalità di Antigone e Creonte, e le due teorie filosofiche pretenderebbero di avere l ultima parola per cui non farebbero altro che contrapporre il torto alla ragione andando a ledere quello che è proprio il senso del dilemma cioè non un’ opposizione ma la rappresentazione di due unilateralità : la contrapposizione non e' tra u na ragione e un torto , ma tra due ragioni o due torti. IL SILENZIO DI ANTIGONE E LA SUA ASSOLUTA ESTRANEITA’ AL LOGOS ( POLITICA , ARGOMENTARE POLITICO) Il gesto di Antigone sottolinea che il nomos e il logos trovano nella salvaguardia della sfera privata il proprio limite, con il richiamo ai nomina Antigone mette in discussione la normatività del nomos , rende evidente la possibilità di superare il comando politico perché il nomos è qualcosa di socialmente istituito e quindi di destituibile. Antigone, tuttavia, col suo silenzio mostra di essere ben lontana dal voler raccogliere consensi, non intende opporsi al logos, cioè alla politica di Creonte, non mira a riformare il potere del sovrano allo scopo di renderlo più rispettoso delle tradizioni , l’unico suo obiettivo è quello di dare una degna sepoltura al fratello. Antigone dunque esprime l’appartenenza ad un’altra dimensione rispetto a quella del nomos e del logos ed è in questa alterità che si radica la sua hybris. Sarebbe quindi, in tale ottica, errato a vedere in lei l’emblema di una rivolta contro l’autoritarismo del sovrano : se quest’ultimo non avesse minacciato la dignità di Polinice , lei non sarebbe mai scesa in campo, non avrebbe dato espressione pubblica alla sua fedeltà ai legami familiari. DUE MANIERE DI INTENDERE I DOVERI CIVILI – ZAGREBELSKY E STOLFI Il conflitto tra i due protagonisti è un conflitto tra due modi radicalmente diversi di intendere i doveri del cittadino all’interno della polis, per Creonte le decisioni del legislatore vanno rispettate acriticamente , per Antigone le decisioni del sovrano devono rispettare le leggi non scritte. A tal proposito DE BECHILLON definisce i nomina come “ un diritto costituzionale non scritto della città greca” in quest’ottica l’editto di Creonte andrebbe considerato come “norma ordinaria”da considerare illegittima alla luce di una norma di grado superiore. A questo filone interpretativo si può ascrivere la tesi di Zagrebelsky il quale ritiene che l’appello ai nomina andrebbe visto come un riferimento a principi giuridici superiori, capaci di correggere la legge istituita quando questa diventa arbitraria e tirannica. In polemica con questa interpretazione si pone Stolfi il quale fa notare che Z. insiste su di una contrapposizione (richiamo di Antigone alle leggi naturali e legge di Creonte) che potrebbe avere senso nella storia romana ( che già conoscono i due termini ius e lex) e in quella dell’Europa continentale a partire dal diciottesimo secolo, ma che risulta artificiosa nel contesto della Grecia classica la quale assegna al termine nomos un significato più esteso a quello che noi attribuiamo a legge. Secondo Stolfi gli storici ed i giuristi dovrebbero astenersi dal ricercare risposte limpide dato che il tragediografo mirava semplicemente ad evocare problemi profondi senza indicare una via d’uscita. La frattura tra Creonte e Antigone è espressione di quelle che Stolfi chiama dualità nomiche. LA LEGITTIMAZIONE DEL NOMOS E IL PROBLEMA DELLA SUA ORIGINE Come diceva Aristotele “ dove i nomoi non comandano , non c'è politeia “ per politeia si intende costituzione nel senso di unione dei cittadini cioè la loro pluralità tenuta unita dall'effettività della legislazione . In una società democratica , essendo esclusa ogni forma di autorizzazione extra-sociale della legalità istituita , il giudizio dei consociati è la sola maniera di valutarla. A differenza di ciò che accade nell'Edipo re , tragedia all’apparenza, nell’Antigone alla ricerca della verità originaria dei fatti si sostituisce l'esigenza di un'efficace mediazione giuridica tra posizioni in conflitto radicale.Dice Calasso che qualsiasi teoria occidentale della legittimità soffre di una mancanza : non conosce l'origine e per di più questa è celata piuttosto che rivendicata dalla tradizione . D’Agostino afferma che l'obbligo giuridico è minacciato dalla modernità: “ il moderno si compiace del carattere contingente del diritto “ , per contingenza intende l' assenza di presupposti vincolanti. Da ciò risulta che la qualità del diritto non sta nel valore delle sue norme, ma nel fatto che può essere cambiato . In tal modo avviene un disconoscimento dell'universalitá e della necessità del diritto, il diritto moderno riconosce se stesso solo in quanto positivizzato . In quest'ottica la produzione del diritto significa selezione , nell'ambito di tutte le norme materialmente possibili, di quelle volute per essere valide . In tal modo per D'Agostino , il processo di positivizzatine del diritto conduce all'evaporazione dell' obbligo giuridico . L'oggettivitá del diritto non può imporsi da sola , è sempre necessario il “discernimento dei valori “ il quale non può che comportare un intervento umano, quindi soggettivo. In entrambi i modelli del diritto , tradizionalistico e giusnaturalistico, viene attribuito un fondamento assoluto : storicistico per il primo e metafisico per il Secondo, in entrambi i casi il

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discernimento dei valori è un'esigenza primaria : per il tradizionalismo e necessario discernere la tradizione autentica da quella manipolata. Per il giusnaturalismo bisogna leggere in modo filosoficamente corretto la natura e dedurre da essa i principi dai quali orientare le pratiche sociali degli uomini . Anche in una concezione ontologica del diritto non si può non fare un rimando decisivo alla responsabilità umana : non c'è fondazione ontologica che in fin dei conti non sia affidata ai condizionamenti sociali che ne caratterizzano l'espressione.

GIUSTIZIA SENZA ONTOLOGIA Dell’Antigone emerge dunque l'esigenza di una mediazione tra due contrapposte unilateralitá , esigenza che rimane insoddisfatta dato che la tragedia è sprovvista di indicazioni sui modi concreti del suo possibile soddisfacimento. Questa carenza è sì riconducibile al significato civile e politico del teatro tragico nella democrazia ateniese , ma si spiega anche in ragione del significato originariamente attribuito alla parola giustizia “Dike" dalla radice deik che vuol dire indicare -mostrare , ma non nel senso di indicare una cosa visibile o un oggetto esistente, si tratta invece di mostrare con la parola ciò che è e che perciò si deve fare. Aristotele al termine edile accompagna il termine dikaiosyne che indica la giustizia come virtù umana : eccellenza dell'agire tanto nella sua dimensione individuale quanto collettiva. Con Aristotele dike non è più una nozione mitologica, ma un giudizio umano che stabilisce ciò che è giusto e ciò che è ingiusto producendo in tal modo all'interno dalla polis un ordine convenzionale (taxis) e nella nozione di taxis come ordine artificiale , la responsabilità umana nell'istituirlo è ineludibile . Alla base della giustizia , dunque, non c'è l’ontologia( universalità dell'essere) , ma l'elaborazione storico- culturale di significati e valori capaci di aggregare un gruppo umano .

CAPITOLO IV LA SINGOLARITA’ DELL’AZIONE TRAGICA La peculiarità di Antigone non consiste nel rendersi accettabile, né tantomeno nell’iscrivere il proprio gesto all’interno di una regola universale, al potere costituito non oppone un no sistematico, le prerogative di Creonte non sono da lei contestate, solo una cosa le sta a cuore: i propri legami familiari. Costruire ragionamenti sui suoi atti o provare a razionalizzarli significa universalizzarli, sminuendo il carattere innovativo della loro singolarità. Ciò non significa , però , che Antigone agisca d’impulso, senza riflettere sulla sua azione , al contrario significa che l’attaccamento a Polinice e la salvaguardia della sua identità attraverso l’atto umanizzante della sepoltura è il movente più alto della sua azione , si sbaglierebbe a vedere in questo suo gesto l’emblema di una generale rivolta contro l’autoritarismo. E’ da escludersi che ci si trovi davanti ad un’eroina della rivolta politica, le sue ragioni sono provate. Nessuno può garantire a priori la giustezza di un atto , nemmeno la ragione ed è cosa folle pretendere di essere saggio da solo “monos phronein” , tanto è vero che l’insegnamento che si può ricavare dalla messa in scena sofoclea riguarda l’insostenibilità di un simile monismo e quindi l’esigenza etica di una mediazione tra posizioni che , chiuse nella loro assolutezza, conducono soltanto alla distruzione reciproca.

LA PARADOSSALE SOMIGLIANZA TRA ANTIGONE E CREONTE – NUSSBAUM – EROS E PHILIA. Secondo Marta Nussbaum tanto Antigone quanto Creonte realizzano una semplificazione del mondo dei valori ed è questo che li accomuna : Creonte vede la città come un bene affidato alla sua custodia ed in nome di questa interpretazione che egli per il bene della città è disposto a sacrificare ogni valore e affetto. Antigone è animata dalla salvaguardia di un altro bene : la dignità del fratello, in virtù del vincolo che unisce gli appartenenti allo stesso ceppo familiare. Il divieto di sepoltura riguarda non solo il cadavere di Polinice, ma tutti i morti lasciati sul campo dagli eserciti che avevano assediato Tebe, tuttavia Antigone non è mai sfiorata dal pensiero di dover infrangere quel divieto per dare sepoltura anche a loro. Nella figura di Antigone si scorge un’unidimensionalità monocorde, centrata esclusivamente sui legami di sangue in nome della quale ella risulta estremamente fredda con tutti coloro che sono al di fuori del suo nucleo familiare, la stessa freddezza risiede anche in Creonte , né l’uno né l’altra sono esseri appassionati, essi sfuggono al potere dell’eros: Creonte vede le per...


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